Segnalazione alla Centrale Rischi della esposizione a sofferenza di un cliente: presupposti e rimedi nel caso di illegittima comunicazione

Giuseppe Sileci
11 Giugno 2019

E' legittima la decisione delle Banche di segnalare la esposizione della Società alla centrale rischi? E se invece fosse illegittima la segnalazione, la Società avrebbe diritto al risarcimento dei danni consistenti nella perdita della reputazione commerciale e nella impossibilità di ottenere dal sistema bancario un secondo mutuo per l'acquisto di un immobile da destinare ad uffici amministrativi?

La Società Z, esercente la attività di commercio all'ingrosso di elettrodomestici, che esercita l'impresa all'interno di un capannone di proprietà ed i cui uffici amministrativi hanno sede in un appartamento condotto in locazione, ha ottenuto dalla Banca X due distinte linee di credito: una apertura di credito in conto corrente con fido sino ad € 100.000; una anticipazione su fatture per ulteriori € 100.000. Sempre la Banca X ha concesso alla Società Z un mutuo di € 500.000 garantito da ipoteca e da rimborsare in n. 24 rate semestrali. Infine, per le piccole spese correnti, la Società Z ha aperto un conto corrente ordinario presso la Banca Y con concessione di affidamento sino ad € 20.000. Nonostante il regolare svolgimento dei rapporti intrattenuti con la Banca X (e cioè costante movimentazione dell'apertura in conto corrente con saldo sempre nei limiti dell'affidamento e regolare andamento del conto anticipi), la Banca X ha segnalato la posizione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia a causa dell'omesso pagamento della decima rata semestrale di mutuo ed ha anche chiesto l'immediato pagamento di tutte le somme di cui la Società Z era debitrice. Appena qualche giorno dopo la Banca Y, che in passato aveva consentito alla Società di operare anche allo scoperto, ha invitato la correntista a rientrare immediatamente e, tardando questa ad estinguere la scopertura, ha segnalato a sua volta la sofferenza alla Centrale Rischi. Ebbene, è legittima la decisione delle Banche di segnalare la esposizione della Società Z alla centrale rischi? E se invece fosse illegittima la segnalazione, la Società Z avrebbe diritto al risarcimento dei danni consistenti nella perdita della reputazione commerciale e nella impossibilità di ottenere dal sistema bancario un secondo mutuo per l'acquisto di un immobile da destinare ad uffici amministrativi?

Con delibera del 29 marzo 1994, il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio ha affidato alla Banca d'Italia il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi, stabilendo altresì che le banche, le società finanziarie e gli intermediari finanziari sono tenuti, a richiesta dell'Ente di emissione e con le modalità da questo stabilite, a comunicare periodicamente l'esposizione nei confronti dei propri affidati. Queste notizie sono messe a disposizione degli intermediari che ne facciano richiesta per nominativi censiti diversi da quelli segnalati e purché per finalità connesse all'attività di assunzione del rischio.

La materia è inoltre regolata dalla Circolare della Banca d'Italia dell'11 febbraio 1991 n. 139 intitolata “Centrale dei rischi – istruzioni per gli intermediari”.

La Circolare prevede che: a) gli intermediari possono utilizzare le informazioni disponibili in Centrale dei rischi sia nella fase di monitoraggio dell'esposizione nei confronti della propria clientela, sia nella fase di erogazione di finanziamenti o concessione di garanzie; b) i soggetti segnalati possono fare specifica richiesta di accessoalle informazioni registrate a loro nome e distribuite agli intermediari partecipanti tramite i servizi della Centrale dei rischi e possono chiedere agli intermediari la modifica delle informazioni registrate a loro nome in caso di errore o inesattezza nelle segnalazioni; c) gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) in occasione della prima segnalazione a sofferenza, ma se il cliente è un consumatore la informativa deve essere preventiva e non può essere strumentale alla più agevole riscossione del credito da parte dell'intermediario segnalante, né può essere utilizzata per sollecitare il debitore ad adempiere; d) gli intermediari sono responsabili della qualità dei dati trasmessi in termini di accuratezza, completezza e pertinenza e devono assicurare la necessaria coerenza dei dati segnalati con le risultanze della contabilità e del sistema informativo aziendale; e) gli intermediari trasmettano mensilmente la posizione di rischio di ciascun cliente ma anche informazioni “inframensili” quando sono intervenuti cambiamenti di stato nella situazione debitoria della clientela; f) gli intermediari devono ottemperare senza ritardo agli ordini dell'Autorità giudiziaria riguardanti le segnalazioni trasmesse alla Centrale dei rischi; g) nella categoria di censimento “sofferenze” è inserita l'intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall'intermediario e prescindendo dall'esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti; h) l'appostazione a sofferenza è preceduta da una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non è automatica al verificarsi di singoli specifici eventi quali, ad esempio, uno o più ritardi nel pagamento del debito o la contestazione del credito da parte del debitore; i) nel caso di rapporti cointestati, la posizione è segnalata a sofferenza se tutti i cointestatari versano in stato di insolvenza; l) gli intermediari informano per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza, ma l'informativa non può essere strumentale alla più agevole riscossione del credito né può essere utilizzata per sollecitare il cliente ad adempiere ai suoi obblighi; m) se cessa lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile, non è più dovuta la segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze, ma il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse.

Dunque, gli intermediari finanziari hanno l'obbligo di segnalare i crediti in sofferenza, ossia le esposizioni nei loro confronti di quei clienti che non siano in condizione di onorare i loro impegni perché versano in uno stato di insolvenza.

Poiché la Circolare della Banca d'Italia subordina la segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione a sofferenza alla sussistenza di uno stato di insolvenza che sia valutata dall'intermediario tenendo conto della complessiva situazione finanziaria del cliente, qualche incertezza si è registrata nella giurisprudenza tutte le volte in cui si è dovuto stabilire in cosa debba consistere l'insolvenza.

Secondo un orientamento meno recente (Trib. Alessandria 20 ottobre 2000; Trib. Napoli 22 ottobre 2002, Trib. Palermo 4 novembre 2002;) la segnalazione sarebbe legittima se la situazione finanziaria del cliente denotasse una condizione di illiquidità idonea a giustificarne la dichiarazione di fallimento.

A tale ultimo fine, per consolidata giurisprudenza «costituiscono indizi esteriori dell'insolvenza gli elementi sintomatici che esprimono lo stato di impotenza funzionale e non transitoria dell'impresa a soddisfare le proprie obbligazioni, secondo una tipicità - desumibile dai dati dell'esperienza economica - rivelatrice dell'incapacità di produrre beni o servizi con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze dell'impresa medesima (prima fra tutte l'estinzione dei debiti), nonché dell'impossibilità di essa di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose compromissioni del patrimonio» (Cass. civ., sez. I, sent., 11 marzo 2019 n. 6978).

La giurisprudenza più recente, però, ha – potremmo dire definitivamente – subordinato la segnalazione a sofferenza di un credito alla sussistenza di uno “stato di insolvenza” più lieve.

Ha infatti chiarito la Cassazione che «la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come deficitaria, ovvero come di grave difficoltà economica, senza quindi alcun riferimento al concetto di incapienza o di irrecuperabilità e senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull'esistenza del credito» (Cass. civ., sez. III, sent., 16 dicembre 2014 n. 26361; in senso conforme anche Cass. civ., sez. I, sent., 8 febbraio 2016 n. 2406).

Applicando questi principi, è stato escluso che si possa desumere l'insolvenza – intesa come “situazione di grave difficoltà economica” – dal fatto che il cliente abbia sconfinato rispetto ai fidi accordati dal sistema bancario (specie se la assenza di reazione da parte degli intermediari denoti la fiducia del sistema nella capacità finanziarie del correntista) ed i cui bilanci espongano perdite o anche debiti sensibilmente superiori ai crediti, ossia siano meri indicatori di uno sbilanciamento finanziario che non implica di per sé l'impossibilità di fare fronte alle proprie obbligazioni (Trib. Arezzo 13 novembre 2018 n. 1057).

È stata giudicata illegittima la segnalazione alla Centrale Rischi di un cliente in seguito ad uno sconfino di appena € 1.000 su un fido accordato di € 70.000 senza che l'intermediario avesse dimostrato di avere quanto meno svolto la necessaria indagine relativa alla complessiva situazione finanziaria del correntista (Trib. Milano 30 giugno 2018).

È stata censurata la decisione della banca di segnalare a sofferenza un cliente desumendone la insolvenza sia dal perdurante ritardo nell'adempimento delle sue obbligazioni, specie quando ciò è giustificato dalla contestazione dell'esistenza del credito o del suo ammontare, e sia dalla rilevante esposizione debitoria emergente dal bilancio se isolatamente considerata (Trib. Napoli 1 dicembre 2017).

Parimenti illegittima è stata valutata la segnalazione senza alcun preavviso alla Centrale Rischi di un cliente dopo che questo aveva avviato un giudizio civile per fare accertare la illegittima applicazione di interessi anatocistici e di interessi usurari e non aveva rimborsato entro tre giorni alla Banca – che nel frattempo aveva revocato tutte le linee di credito e contestato il ritardo nel pagamento di alcune rate del mutuo – le somme di cui questa era creditrice, stigmatizzandosi sia la assenza della preventiva informativa sia il fatto che non si potesse desumere l'insolvenza dall'omesso pagamento di alcune rate di mutuo (Trib. Brindisi 15 maggio 2018).

Bene agisce l'intermediario, invece, se la segnalazione è successiva agli esiti di una approfondita istruttoria, effettuata attraverso una serie di banche dati (Cerved – Ribes – Agenzia del Territorio) le cui informazioni gli hanno consentito di accertare la titolarità di proprietà immobiliari e di partecipazioni societarie oltre che la esistenza di protesti e procedure esecutive (Trib. Milano 12 ottobre 2018).

Altrettanto legittima è la segnalazione alla Centrale Rischi se lo stato di insolvenza del cliente risulta dalle stesse rilevazioni della suddetta banca dati ed in particolare dalla esistenza di un'altra sofferenza ed anche di significativi sconfinamenti (Trib. Genova 3 maggio 2017).

Infine, è giustificata la segnalazione di un cliente alla Centrale Rischi se poco prima questo è già stato segnalato da altri due intermediari per consistenti esposizioni debitorie nei loro confronti, senza che questa situazione allarmante possa essere ridimensionata dai dati di bilancio se questi denotano un limitato recupero dei crediti con scadenza non superiore a 12 mesi; una contenutissima disponibilità di liquidità in rapporto alle dimensioni organizzative ed operative della società; il persistere di un elevato indebitamento complessivo a breve scadenza (Trib. Salerno 19 gennaio 2016 n. 244).

Tuttavia, la segnalazione a sofferenza della esposizione debitoria di un cliente senza che ne sia accertato lo stato di insolvenza non si traduce senz'altro in un danno suscettibile di risarcimento.

Ancora recentemente la Suprema Corte ha affermato che «in tema di responsabilità civile, il danno all'immagine ed alla reputazione (nella specie, "per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi"), in quanto costituente "danno conseguenza", non può ritenersi sussistente "in re ipsa", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento» (Cass. civ., sez. VI, ordinanza, 28 marzo 2018 n. 7594).

E con una decisione di poco precedente la Cassazione aveva più specificamente chiarito che «in caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il pregiudizio non patrimoniale non può mai essere "in re ipsa", ma deve essere allegato e provato da parte dell'attore, anche mediante il ricorso alla prova presuntiva. Raggiunta la prova della lesione, considerando che trattasi di beni immateriali il cui pregiudizio difficilmente si presta ad essere effettivamente valutato e quantificato, il danneggiato potrà ritenersi esonerato dalla dimostrazione del "quantum" dello stesso, a tal fine sopperendo la valutazione equitativa del giudicante ex art. 1226 c.c.» (Cass. civ., sez. III, sent., 5 marzo 2015 n. 4443).

A maggior ragione è onere del cliente dimostrare l'eventuale danno di natura patrimoniale, ai sensi dell'art. 1223 c.c., come ribadito da ultimo dalla Cassazione, la quale ha affermato che «in caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato in re ipsa per il fatto stesso dello svolgimento dell'attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell'art. 2050 c.c., il danno, in particolare la perdita, deve essere sempre allegato e provato da parte dell'interessato (fattispecie regolata dall'art. 15 d. lgs. 30 giugno 2003 n. 174 che è stato abrogato dall'art. 27 comma 1 lettera a) numero 2) del d.lgs. 10 agosto 2018 n. 101(Cass. civ., sez. I, sent., 8 gennaio 2019 n. 207).

Quanto ai rimedi processuali, la giurisprudenza ha sovente affermato l'ammissibilità della tutela in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., potendo ravvisarsi la sussistenza del periculum in mora sia nel fatto che la segnalazione costituisce già di per sé ostacolo all'accesso al credito bancario e sia perché può provocare la revoca o la richiesta di rientro delle linee di credito in essere (Trib. Padova 31 ottobre 2018; in senso affermativo sull'ammissibilità della tutela in via d'urgenza anche Trib. Salerno 7 aprile 2015; Trib. Verona 19 marzo 2013; Trib. Nocera Inferiore 23 maggio 2011; Trib. Lecce 9 maggio 2011).

Questione più complessa riguarda il rito applicabile.

In taluni casi, infatti, la illegittima segnalazione alla Centrale Rischi è stata impugnata lamentando la violazione delle norme in materia di protezione dei dati personali ed ai sensi dell'art. 152 del d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196.

Il comma 1-bis dell'art. 152 d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196 vigente, rinviando all'art. 10 del d. lgs. 1 settembre 2011 n. 150, prevede il rito del lavoro per tutte le controversie che riguardano le materie oggetto dei ricorsi giurisdizionali di cui agli artt. 78 e 79 del Regolamento e quelli comunque riguardanti l'applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali nonché il diritto al risarcimento del danno.

Ebbene, la ammissibilità del rito speciale disciplinato dall'art. 152 del d. lgs. n. 196/2003 – in luogo del rito ordinario – per censurare la illegittima segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione a sofferenza è stata implicitamente affermata dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, sent., 25 gennaio 2017 n. 1931 che ha deciso un ricorso promosso ai sensi della norma in questione, anche se non è stata chiamata a sindacare la scelta del rito; sull'ammissibilità del ricorso d'urgenza, dopo le modifiche apportate all'art. 152 d. lgs n. 196/2003 dal d. lgs. n. 150/2011, e la compatibilità di questo con il rito lavoro cui soggiacciono le domande di merito in materia di privacy ai sensi del richiamato art. 152, cfr. Trib. Salerno 7 aprile 2015).

Tuttavia, è stato recentemente affermato che «colui che agisce per ottenere la sospensione o la cancellazione del proprio nominativo dalla centrale rischi si duole non già delle modalità con cui i dati relativi all'insolvenza siano stati raccolti, trasmessi o gestiti ma piuttosto dell'assenza dei presupposti di fatto che legittimano la predetta segnalazione, di tal che la relativa controversia non risulta riconducibile a qelle riguardanti l'applicazione della disciplina sul codice della privacy ma piuttosto a quella da responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.» (Trib. Padova 31 agosto 2018; ma anche Trib. Verona 18 marzo 2013 in Il.Caso.it del 17 aprile 2013).

Al riguardo non si rinvengono precedenti specifici della Suprema Corte, ma la questione non è di scarsa importanza.

Invero, se la illegittima segnalazione alla Centrale Rischi costituisse trattamento di dati personali, si applicherebbe il rito lavoro e non vi sarebbero ragioni per escludere la tutela cautelare ove sussistessero i presupposti; tuttavia le sentenze dell'autorità giudiziaria non sarebbero appellabili perché si applicherebbe il comma 10 dell'art. 10 del d. lgs. n. 150/2011 cui rinvia espressamente l'art. 152 del d. lgs. n. 196/2003.

Viceversa, se fosse applicabile il rito ordinario avverso la sentenza sarebbe senz'altro ammissibile l'appello.

In ogni caso, e cioè sia che si opti per l'una che per l'altra soluzione, graverebbe sulla banca l'onere di dimostrare di avere segnalato alla Centrale Rischi una sofferenza dopo avere compiuto una approfondita e complessiva valutazione delle condizioni economiche e finanziarie del cliente (Cass. civ., sez. I, sent., 26 ottobre 2017 n. 25512, la quale – peraltro – ha deciso una controversia promossa con il rito ordinario).

Brevemente compendiate le norme che regolano la segnalazione di una sofferenza alla Centrale Rischi e dato conto della loro applicazione giurisprudenziale, sembra potersi affermare che l'omesso pagamento di una rata di mutuo non legittimava affatto la Banca X a segnalare la società Z alla Centrale Rischi.

Quanto all'iniziativa della Banca Y, successiva e consequenziale alla prima segnalazione, questa sembra pure censurabile.

Vero è che talvolta la giurisprudenza ha ritenuto sufficiente – ai fini della legittimità della segnalazione – il fatto che il cliente fosse già segnalato, ma a me pare che – coerentemente con l'orientamento della Cassazione sopra richiamato – l'intermediario non possa arrestarsi ai dati risultanti dalla Centrale Rischi ma debba effettuare una valutazione complessiva della situazione finanziaria e patrimoniale.

Dunque, se la Banca Y avesse preso l'iniziativa di segnalare la Società Z dopo avere avuto notizia di altra segnalazione ma senza compiere alcun ulteriore approfondimento, anche questa segnalazione potrebbe considerarsi illegittima, non potendosi fare discendere automaticamente la situazione di insolvenza dall'allarme creato dalla prima segnalazione, ben potendo verificarsi la possibilità che quella segnalazione fosse contraria a legge.

Quanto ai rimedi, dovrebbe ammettersi il ricorso alla tutela d'urgenza qualora la Società Z dimostri che la illegittima iniziativa delle due banche la espone al rischio di non potere più accedere al credito bancario e dunque di non potere più fare fronte agli impegni derivanti dall'esercizio dell'attività d'impresa.

Tanto, però, non le darebbe diritto automaticamente al risarcimento del danno senza la prova di un pregiudizio.

In tal senso, qualora dimostrasse, ad esempio, che la impossibilità di realizzare il programmato acquisto dell'immobile ove avevano sede gli uffici amministrativi l'abbia costretta a proseguire nella locazione ed a pagare un canone per il godimento del bene che era più oneroso del mutuo da contrarre per il perfezionamento dell'affare, questo sarebbe certamente un danno emergente suscettibile di risarcimento.

Più complessa sarebbe la prova del discredito commerciale che gli sarebbe derivato dalla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi.

In questo caso si tratterebbe di un danno di natura non patrimoniale per dimostrare il quale non basterebbe dolersi di un pregiudizio alla propria reputazione commerciale e probabilmente non sarebbe neppure sufficiente allegare la isolata impossibilità di ottenere la erogazione di un mutuo ma occorrerebbe una serie di più pregnanti elementi dai quali desumere una concreta e maggiore difficoltà della Società Z di accedere al credito.

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