La cognizione degli arbitri si estende all'accertamento del carattere simulato del contratto?
16 Luglio 2019
Massima
L'accertamento del carattere simulato o no del contratto sul quale è fondata la pretesa fatta valere innanzi agli arbitri costituisce il presupposto logico indispensabile perchè l'arbitro possa pronunciarsi sull'oggetto della domanda. Il caso
La fattispecie riguarda una controversia insorta tra vedova ed erede, insieme con i figli del de cuius, in relazione ad un contratto di affitto d'azienda tra quest'ultimo ed il proprio germano, dante causa della prima, definita con lodo arbitrale, il quale dichiarò cessato il contratto d'affitto e condannò il de cuius all'immediata riconsegna alla prima dell'azienda e di tutti i beni che la componevano, ed al risarcimento del danno per avere ritardato tale riconsegna, dichiarando invece improcedibile la domanda riconvenzionale diretta all'accertamento della simulazione del contratto d'affitto e l'esistenza tra le parti di un dissimulato contratto di vendita dell'azienda, ritenendo estranea tale questione alla clausola compromissoria. La Corte d'appello dichiara inammissibile l'impugnazione proposta, in quanto l'impugnante si sarebbe limitato a proporre un'interpretazione opposta a quella degli arbitri, senza indicare quale canone ermeneutico sia stato erroneamente applicato ed in che modo sia stato violato, risultando altresì generica la doglianza della mancata considerazione della controdichiarazione sottoscritta dall'altro stipulante.
La questione
La controversia nella quale si discute dell'esistenza o della simulazione, assoluta o relativa, del contratto in cui la clausola compromissoria è stata inserita appartiene alla competenza degli arbitri od al giudice statale? Le soluzioni giuridiche
La Cassazione accoglie il ricorso rilevando la sussistenza del denunciato error iuris per avere la corte di merito omesso di rilevare la nullità del lodo discendente dall'erronea esclusione della potestas iudicandi degli arbitri in ordine alla questione preliminare dedotta in ricorso, concernente la cognizione degli arbitri estesa a qualsiasi aspetto della vicenda che risulti rilevante al fine di stabilire se ed in quale misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata. Non può infatti dubitarsi che l'accertamento del carattere simulato o meno del contratto sul quale è fondata la pretesa fatta valere innanzi agli arbitri costituisca il presupposto logico indispensabile perchè l'arbitro possa pronunciarsi sull'oggetto della domanda, atteso che quando le parti hanno voluto riservare al giudizio arbitrate le questioni relative all'interpretazione del contratto, tra queste debbono ritenersi comprese anche quelle relative all'accertamento della simulazione, assoluta o relativa, del negozio. Osservazioni
Il principio espresso nella pronuncia che si annota prevede che gli arbitri hanno l'obbligo di provvedere su tutto il thema decidendum ad essi sottoposto e non oltre i limiti di esso. La pronuncia fuori dai limiti del compromesso prevista dall'art. 829, comma 1, n. 4 c.p.c. ricorre quando i quesiti, od alcuni di questi, sottoposti agli arbitri, non rientrino nell'oggetto della clausola compromissoria, cosicché la loro potestas iudicandi, non trovando ivi la sua attribuzione, non può essere legittimamente esercitata, con conseguente nullità del lodo (Cass. civ., sez. I, 8 aprile 2004, n.6950; v. anche Cass. civ., sez. I, 30 agosto 1999, n.9111, secondo cuila pronuncia fuori dai limiti del compromesso, prevista dall'art. 829, comma 1, n. 4, c.p.c. ricorre quando i quesiti od alcuni dei quesiti, sottoposti agli arbitri, non rientrino nell'oggetto della clausola compromissoria o del compromesso, cosicché la loro potestas iudicandi non può essere legittimamente esercitata, con la conseguente nullità del lodo, sanata a norma dell'art. 817 c.p.c. ove nessuna delle parti deduca dinanzi agli arbitri l'esorbitanza del quesito dai limiti della clausola o del compromesso, dovendosi ritenere che con tale mancata deduzione abbiano inteso tacitamente ampliarne l'oggetto). La giurisprudenza di legittimità, attenendosi al suddetto criterio, ha ribadito il perimetro d'indagine disegnato da tale concetto, letteralmente espresso con riferimento al compromesso, il quale, vale anche con riguardo al caso in cui la potestas iudicandi sia stata conferita agli arbitri da una clausola compromissoria inserita nell'atto negoziale, e che, in tale caso, il thema decidendum è quello specificato nei quesiti posti agli arbitri, non già quello genericamente indicato nella clausola (Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2018, n.22107, in cui si è precisato che laddove l'aspetto della vicenda, non risulti rilevante ai fini di stabilire se ed in quale misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata, allora deve considerarsi del tutto estranea al contenuto della convenzione, non essendo indispensabile per l'individuazione degli elementi conoscitivi mediante i quali gli arbitri avrebbero potuto ricostruire i presupposti occorrenti per l'espressione del loro giudizio; Cass. civ., sez. I, 30 aprile 2018, n. 10391; Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2013, n. 7282, in cui si afferma altresì che ovviamente,ciò non toglie, come la cognizione degli arbitri, al pari di quella di chiunque sia chiamato ad esprimere un giudizio su una determinata controversia, si estende a qualsiasi aspetto della vicenda che risulti rilevante ai fini di stabilire se ed in qual misura la pretesa fatta valere da una parte sia fondata; Cass. civ., sez. I, 29 agosto 2003, n. 12694). In tale ottica, va opportunamente sottolineato come il compromesso, è un accordo che interviene tra le parti allorché una controversia è già insorta, e dunque ne sono già noti i termini, che il compromesso, appunto, definisce, mentre la clausola compromissoria che accede a un contratto, invece, è necessariamente generica, perché viene stipulata in un momento anteriore al sorgere della controversia, il cui contenuto, dunque, non può essere nella clausola specificamente predeterminato. Gli arbitri hanno dunque l'obbligo di decidere su tutto il thema decidendum ad essi sottoposto e non oltre i limiti di esso, per cui, tale concetto, letteralmente espresso con riferimento al compromesso, vale, indubbiamente, anche con riguardo al caso in cui la potestas iudicandi sia agli arbitri conferita in base ad una clausola compromissoria, ma in tale ipotesi, a differenza di quello del compromesso, il thema decidendum sottoposto agli arbitri non e ancora precisato nell'accordo compromissorio, ed abbisogna, pertanto, di una specificazione a seguito del concreto insorgere della lite, non essendo concepibile un giudizio che prescinda da ben definiti confini. Tale specificazione avviene mediante la formulazione dei quesiti nel giudizio arbitrale in concreto introdotto in forza della clausola compromissoria. Questo passaggio motivazionale è esplicativo dell'importante precisazione, fatta a suo tempo in una risalente pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. I, 27 luglio 1957, n. 3167), le cui conclusioni sono state riprese nella sentenza che si annota, secondo cui, quando le parti hanno voluto riservare al giudizio arbitrale le questioni relative alle interpretazioni del contratto, tra queste debbono ritenersi comprese anche quelle relative all'accertamento della simulazione, assoluta o relativa, del negozio. E' allora evidente come l'erronea esclusione della potestas iudicandi degli arbitri in ordine all'esame della suddetta preliminare questione, comporti la nullità del lodo, come indirettamente può evincersi in altra risalente pronuncia di legittimità, in cui si ebbe ad affermarsi che il principio dell'unità del lodo e della sua conseguente inscindibilità, comporta che la nullità ai sensi dell'art. 829 n. 4, prima parte, c.p.c., per l'inosservanza dei limiti dei quesiti proposti di uno dei capi della pronuncia arbitrale, si estende a quest'ultima nella sua interezza (Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 1980, n. 5354).
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