Criteri di assegnazione della casa familiare, sussistenza del collegamento della prole con l’habitat domestico

Elisa Pradella
23 Agosto 2019

Ai fini dell'assegnazione della casa familiare occorre la concreta dimostrazione del collegamento stabile della prole con l'abitazione del genitore, unitamente al criterio della prevalenza temporale del figlio...
Massima

Ai fini dell'assegnazione della casa familiare occorre la concreta dimostrazione del collegamento stabile della prole con l'abitazione del genitore, unitamente al criterio della prevalenza temporale del figlio, in relazione ad una determinata unità di tempo, coniugato con il ritorno frequente dello stesso presso tale abitazione, mantenendovi il proprio centro d'interessi. La sola circostanza per cui la figlia maggiorenne, non economicamente autosufficiente, si rechi frequentemente presso l'abitazione del genitore non esclude il trasferimento del centro delle proprie attività ed interessi, indipendentemente dalle risultanze anagrafiche.

Il caso

La pronuncia in questione deriva dal ricorso presentato da una madre avverso la decisione della Corte d'Appello di Venezia che, rigettando il reclamo dalla stessa proposto, aveva ritenuto legittima la decisione del giudice di primo grado di ridurre l'ammontare del contributo mensile al mantenimento della figlia maggiorenne a carico del padre, nonché di revocare l'assegnazione della casa familiare in favore della madre, in considerazione del trasferimento della figlia all'estero.

La ricorrente fondava il proprio ricorso, in particolare, sulla violazione dell'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c., in relazione all'art. 115 c.p.c., poiché la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare dei documenti attestanti il carattere meramente temporaneo dell'allontanamento della figlia dalla casa familiare, e all'art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della decisione, per apparenza e contraddittorietà della motivazione, in quanto il giudice d'appello aveva ritenuto sciolto il legame della figlia maggiorenne con la città ove era ubicata la casa familiare, contemporaneamente riconoscendo la frequenza con la quale quest'ultima si recava presso tale abitazione.

La questione

Ci si chiede se la frequenza con la quale la figlia maggiorenne, non economicamente autosufficiente, si reca presso l'abitazione materna sia idonea o meno ad escludere che la stessa abbia trasferito il centro delle proprie attività ed interessi e quale sia la valenza delle risultanze anagrafiche ai fini dell'assegnazione della casa coniugale.

Le soluzioni giuridiche

L'assegnazione della casa familiare è istituto volto a tutelare prevalentemente l'interesse della prole a permanere nell'ambiente domestico in cui sono state radicate le consuetudini di vita e le relazioni sociali della stessa. Tali esigenze protettive vengono meno in relazione ai figli maggiorenni, non economicamente autosufficienti, che, di fatto, non convivono stabilmente con uno dei genitori qualora il centro delle proprie attività e dei propri affetti si sposti dall'habitat domestico verso nuovi orizzonti.

L'ordinanza in commento evidenzia che il trasferimento del centro delle attività della figlia all'estero comporta il venir meno della nozione di convivenza necessaria per l'assegnazione della casa familiare alla madre. La convivenza richiesta dall'art. 6 comma 6 l. 898/1970 per l'assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori, presuppone la stabile dimora del figlio presso la stessa sicché le ipotesi in cui il figlio vi faccia saltuariamente ritorno configurerebbe un rapporto di mera ospitalità (Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4555).

I figli maggiorenni economicamente non autosufficienti che si trasferiscono all'estero, pur mantenendo la residenza anagrafica presso l'abitazione familiare e ritornandovi periodicamente, non può dirsi abbiano mantenuto quel collegamento stabile richiesto dalla giurisprudenza. Infatti, qualora la coabitazione con il genitore assegnatario della casa familiare non fosse quotidiana, occorrerebbe valutare la frequenza del ritorno del figlio presso il luogo di coabitazione con il genitore o, in ogni caso, la prevalenza temporale dell'effettiva presenza del figlio nella casa familiare in relazione ad una determinata unità di tempo, quale l'anno, il semestre o il mese, oltre allo spostamento del centro degli interessi e delle attività dello stesso.

La Cassazione, inoltre, affronta l'ulteriore doglianza della ricorrente relativa al mancato esame dei documenti anagrafici che attesterebbero, a dire di quest'ultima, il carattere meramente temporaneo dell'allontanamento della figlia dalla città di residenza. La ricorrente aveva assunto che tali documenti anagrafici, se analizzati, avrebbero potuto fondare una diversa decisione della Corte, poiché volti a dimostrare il carattere meramente temporaneo dell'allontanamento della figlia.

Gli Ermellini, in conformità alla giurisprudenza prevalente, evidenziano che tale omissione può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui sia determinante ai fini di una diversa decisione della controversia. Ove non fosse data indicazione circa la decisività dei documenti o, comunque, quanto prodotto non avesse invalidato i dati probatori posti a fondamento della decisione della Corte distrettuale, il ricorso dovrebbe ritenersi funzionale ad un inammissibile riesame nel merito della vertenza e, come tale, fonte di una pronuncia di inammissibilità.

Osservazioni

Le risultanze anagrafiche non sono idonee, di per sé stesse, a fondare il collegamento stabile con l'abitazione familiare del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, occorrendo valutare anche altri dati fattuali. La stabilità del rapporto di convivenza deve essere accertato tenendo anche conto delle condizioni di vita del figlio, delle ragioni dell'allontanamento dalla casa familiare, della distanza dal luogo in cui essa è sita e quello in cui si è trasferito il figlio, oltre alla valutazione dei reali periodi di permanenza presso l'abitazione originaria. Tali valutazioni si basano sul complesso delle risultanze istruttorie che devono essere poste a base della decisione del giudice e la documentazione anagrafica potrebbe esclusivamente costituire uno degli elementi presi in considerazione per determinare il collegamento stabile con la casa familiare, ma non le si potrebbe attribuire carattere decisivo.

L'art. 6 comma 6, l. n. 898/1970 dispone che «L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con i quali i figli convivono oltre la maggiore età». Pertanto, è chiara la finalità protettiva del legislatore verso i figli ai quali intende offrire prioritariamente tutela con una stabile dimora, sede delle loro attività, indipendentemente dalla residenza anagrafica. La Suprema Corte, con la decisione in commento, consolida tale finalità di protezione sino a che il figlio non muta il centro delle proprie attività ed interessi, con effetto restrittivo rispetto ai precedenti orientamenti. In tale contesto il collegamento stabile verrebbe meno nonostante la frequenza dei rientri del figlio presso la casa del genitore. I predetti elementi legittimano la revoca dell'assegnazione della casa familiare, non essendo più configurabile la ratio protettiva (Cass. civ., 7 febbraio 2018, n. 3015).

Un primo orientamento di legittimità, ai fini dell'assegnazione della casa familiare, riteneva necessaria la stabile dimora del figlio presso l'abitazione dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti, per brevi periodi, ed escludeva l'ipotesi di saltuario ritorno presso la casa familiare per i fine settimana (Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2002, n. 5857). Successivamente, si è contrapposta una diversa corrente giurisprudenziale che ha ritenuto di estendere la nozione di convivenza ex art. 6 comma 6, l. n. 898/1970. A tal fine, la sola presenza saltuaria del figlio, non avrebbe fatto venire meno il requisito di coabitazione nel caso di collegamento stabile del figlio con l'abitazione del genitore. Ciò accadeva, ad esempio, quando il figlio, pur assentandosi dalla casa familiare per motivi di lavoro o studio, vi ritornasse ogniqualvolta gli impegni glielo consentissero. Il criterio del ritorno con frequenza regolare del figlio presso la casa familiare permetteva di non elidere il rapporto esistente con l'abitazione originaria nonché la possibilità, per il genitore, di provvedere alle sue esigenze (Cass. civ., sez. I, 27 maggio 2005, n. 11320). Tale accezione, tuttavia, si poneva in termini troppo ampi, con il rischio di rendere incerti i confini esistenti tra rapporto di coabitazione e quello di ospitalità.

Attualmente, l'opinione prevalente ritiene che il criterio del collegamento stabile debba essere valutato unitamente al criterio della regolarità del ritorno presso la casa familiare, coniugato alla prevalenza temporale in relazione ad una determinata unità di tempo dell'effettiva presenza del figlio nel luogo di coabitazione con il genitore o, in ogni caso, con il criterio della frequenza regolare del ritorno in rapporto alla stessa unità di tempo assunta per il criterio della prevalenza temporale (Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012 n. 4555).

La decisione della Suprema Corte, in commento, inserisce quale ulteriore criterio valutativo, ai fini dell'assegnazione della casa familiare, il centro di interessi e delle attività del figlio.

La combinazione di questi criteri permetterebbe di giungere a risultati condivisibili anche nei casi più articolati.

Il trasferimento della prole all'estero, sebbene ritorni regolarmente presso la casa familiare, è indice del mutamento del centro di interessi della stessa e comporta la modifica del rapporto esistente con la casa familiare di uno dei genitori, che da coabitazione diventerebbe mera ospitalità.

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