La difficile quantificazione dei compensi dell'avvocato familiarista

28 Agosto 2019

Con l'entrata in vigore della riforma della professione forense (l. n. 247/2012), e del successivo d.m. n. 55/2014, è stata liberalizzata la pattuizione del compenso fra il professionista e la parte assistita e sono stati introdotti nuovi parametri per la quantificazione dei compensi degli avvocati in caso di mancato accordo fra le parti. Partendo dall'analisi dei due testi di legge, vengono esaminate le novità introdotte con l'intento di trovare possibili soluzioni per la quantificazione dei compensi per l'attività svolta dal legale nell'ambito del diritto di famiglia, delle persone e dei minori.
Il quadro normativo

Prima dell'entrata in vigore della l. n. 247/2012, il d.l. n. 1/2012 aveva provveduto ad abrogare «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (art.9, comma 1, d.l. n.1/2012).

Veniva quindi abolito il previgente sistema per la quantificazione dei compensi dei professionisti basato sulle vecchie tariffe senza tuttavia prevedere un sistema alternativo per il suo calcolo. Dopo un periodo di vacatio, venne introdotto il d.m.n. 140/2012, poi superato dal d.m. n. 55/2014, tutt'ora vigente, redatto sulla base di quanto statuito della l. n. 247/2012. Quest'ultima disposizione normativa, all'art. 13, comma 3, prevede la libera pattuizione del compenso (a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione).

Conseguentemente, il contenuto dell'accordo volto a determinare il compenso fra il professionista e il proprio assistito è libero e rimesso alla volontà delle parti.

L'art. 1, d.m. n. 55/2014, entrato in vigore il 3 aprile 2014, prevede che il ricorso ai parametri non è più limitato ai casi di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale ma anche alle ipotesi di mancata determinazione consensuale degli stessi, comprese quelle di liquidazione giudiziale anche officiosa e di prestazione nell'interesse di terzi o prevista dalla legge.

In tal modo il parametro non è più destinato solo a soggetti qualificati (organo giurisdizionale), come nel caso del d.m. n. 140/2012, bensì anche al soggetto fruitore della prestazione.

Nel d.m. n. 55/2014, dopo le disposizioni generali contenute nel capo I -dove viene esplicitato in maniera inequivoca il riconoscimento del rimborso per le spese forfettarie nella misura del 15% da quantificarsi sul compenso totale- nel capo II vengono racchiuse le disposizioni riguardanti l'attività giudiziale in sede civile con l'indicazione dei parametri per la determinazione dei compensi in sede giudiziale. All'art. 4, comma 3, d.m. n. 55/2014 per quanto qui di pertinenza, è previsto che l'avvocato che assiste entrambi i coniugi nella separazione consensuale o nel divorzio congiunto possa applicare un aumento del 20% su quanto altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto. Al comma 4 del medesimo articolo è invece sancita la possibilità, in caso di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, di aumentare il compenso fino a un quarto rispetto a quanto altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta.

Il capo IV concerne le disposizioni riguardanti l'attività stragiudiziale. L'art. 18, d.m. n. 55/2014 precisa che «i compensi liquidati per le prestazioni giudiziali sono omnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l'affare». Sulla base di un principio giurisprudenziale prevalente, l'art. 20, d.m. n. 55/2014 prevede altresì l'autonomarilevanza dell'attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale.

In calce al Decreto Ministeriale sono poi allegate le tabelle parametri forensi per la quantificazione dei compensi, divise per Autorità Giudiziaria avanti la quale il giudizio si svolge piuttosto che per l'attività procedimentale di cui si tratta. Una volta individuata la tabella di riferimento, per la quantificazione dei compensi si dovrà far riferimento al valore della causa nonché alle fasi per la quali è stata prestata l'attività. Il d.m. prevede infatti il riconoscimento del compenso per fasi che vengono analiticamente indicate al comma 5 dell'art. 4, d.m. n. 55/2014, con la esplicita indicazione, per ogni singola fase, dell'attività da ricomprendersi.

Con il d.m. n. 37/2018 è stata introdottala tabella per la quantificazione dei compensi relativi ai procedimenti di negoziazione assistita e mediazione.

Nonostante questa rivoluzione riguardante i compensi, con ben 27 tabelle per la loro quantificazione, di fatto nulla di specifico e mirato è stato messo in atto per quanto riguarda la quantificazione dei compensi per l'attività svolta dal professionista nell'ambito del diritto di famiglia, dei minori e delle persone.

Il problema della quantificazione dei compensi in questa materia era già presente anche durante la vigenza delle vecchie tariffe, stante l'assenza di specifiche determinazioni al riguardo, dando adito, in sede di opinamento delle parcelle da parte dei Consigli dell'Ordine, ad ampio dibattito. La situazione non si può dire sia migliorata con le ultime modifiche legislative, giacché né il d.m. n. 140/2012 né il successivo il d.m. n. 55/2014 prevedono una specifica categoria o particolari disposizioni mirate per quanto attiene i procedimenti relativi alla famiglia, ai minori e alle persone.

Anche con i nuovi parametri si pone il problema, ai fini della quantificazione degli importi da richiedere, di dove far riferimento ai fini della loro determinazione.

La proporzionalità del compenso secondo il CNF

La pattuizione dei compensi tra avvocato e cliente è libera; ciò nonostante permane «Il divieto di richiedere compensi manifestamente sproporzionati (art. 29 ncdf, già art. 43 cdf)» che è «posto a tutela del cliente e prescinde dal consenso di questi. Conseguentemente, l'accordo sul compenso tra avvocato e cliente non può derogare al principio di proporzionalità, dovendo sempre essere correlato all'attività svolta» (CNF, sentenza n. 57/2017). Dunque, «l'avvocato che richieda un compenso manifestamente sproporzionato e comunque eccessivo rispetto all'attività professionale svolta, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità» (sentenze CNF n. 23/2018; n. 14/2018; n. 9/2018; n. 241/2017).

Se il compenso, come visto, non deve essere manifestamente sproporzionato in eccesso, non può esserlo neppure per difetto giacché «l'accettazione di un incarico professionale comportante un compenso onnicomprensivo irrisorio costituisce accaparramento di clientela, pratica che, di per sé lecita, sconfina nel disvalore deontologico qualora sia attuata ricorrendo a modalità non conformi a correttezza e decoro» (CNF, 28 dicembre 2017, n. 244 ); infatti «l'onerosità costituisce una componente necessaria dell'incarico difensivo dell'avvocato, giacché il compenso concorre a tutelare, a garanzia dei terzi e del mercato, la serietà e l'indipendenza della funzione forense. Conseguentemente, l'accettazione di un incarico professionale comportante un compenso onnicomprensivo irrisorio mortifica la funzione stessa della professione forense, trattandosi di comportamento lesivo del decoro e della dignità che devono caratterizzare le attività dell'avvocato» (sentenza CNF n. 245/2017).

Conseguentemente, pur essendo libera la pattuizione del compenso fra le parti, bisognerà comunque tener conto di quanto evidenziato dal CNF, con le sentenze sopra richiamate, nella sua determinazione.

Il patto di quota lite

L'art. 13, comma 4, l. n. 247/2012, ha reintrodotto il divieto del patto di quota lite, abolito con la l. n. 248/2006, anche se con un margine di problematicità. Difatti il comma 3 prevedendo che la pattuizione del compenso è libera, indicando le varie forme di remunerazione, prevede altresì che la stessa possa essere determinata «a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione». La nuova norma quindi, se vieta la forma più ortodossa del patto (quello relativo ad una quota del bene) legittima l'altra vietata prima della l. n. 248/2006 e cioè la pattuizione a percentuale; la percentuale deve però essere rapportata al valore e non al risultato (sulla base dell'inciso «si prevede possa giovarsene» che evoca la previsione e non il consuntivo) come altresì sancito dalla Cassazione, laddove si è affermato in maniera chiara che «nel patto di quota lite fra avvocato e cliente, la percentuale può essere rapportata al valore dei beni o degli interessi litigiosi, ma non al risultato» (Cass. civ., sent. n. 25012/2014).

Considerata la mancanza di chiarezza, si può pensare di pattuire il compenso diviso per scaglioni di risultato, collegando singole determinate remunerazioni fisse al raggiungimento di obbiettivi predeterminati. In tal modo la fissità del compenso porta la convenzione a non ricadere nell'area del divieto limitato alle pattuizioni di una percentuale sul risultato, fermo restando il rispetto del principio di proporzionalità (CNF, 30 dicembre 2013, n. 225).

La difficile individuazione dello scaglione di riferimento

Ancora più problematica è la liquidazione del compenso in difetto di accordo, considerato quanto può essere difficile individuare con precisione lo scaglione di riferimento.

Con riferimento alle controversie di diritto di famiglia, si riscontrano vari indirizzi:

a) quello che ritiene che lo scaglione di riferimento è quello delle cause di valore indeterminato (da € 26.000,00 a € 52.0000,00) nell'ambito del quale vanno applicati i valori per le singole fasi svolte (Trib. Bolzano, 25 maggio 2018, n. 646 e Trib. Bolzano, 11 aprile 2018, n. 436; Trib. Parma, 11 aprile 2018, n. 525; App. Catania 12 marzo 2015; App. Bologna15 ottobre 2015, n. 1710);

b) quello che fa riferimento in maniera più generale alle cause di valore indeterminato, secondo cui «lo scaglione da applicare per la liquidazione del compenso professionale deve essere parametrato allo scaglione compreso da un minimo di € 26.000,00 ad un massimo di € 260.000,00» giacchè «di valore non inferiore a € 26.000,00' non sta a significare che i 26.000,00 euro rappresentino il valore massimo ma, al contrario, il valore da cui partire per individuare lo scaglione applicabile» (Cass. civ., sent. 16671/2018);

c) quello che ha affermato che le spese devono essere liquidate prendendo come riferimento il valore della causa calcolato ex art. 13 c.p.c. con liquidazione di importi medi per quanto riguarda le fasi di studio ed introduttiva ed importi minimi per la fase decisoria vista la semplificazione del rito camerale (App. Bologna, 17 maggio 2016, n.579);

d) quello che assume invece che ai fini dell'applicazione dei parametri per la quantificazione dei compensi si debba far riferimento allo scaglione di valore che va da € 5.201,00 sino a € 26.000,00 (Trib. Benevento, 12 marzo 2015, n. 587; Trib. Perugia, 21 novembre 2018, n. 409);

e) quello che, nell'individuare lo scaglione del valore di riferimento, applica il criterio della quantificazione dell'assegno mensile di mantenimento per due annualità conformemente a quanto sancito dalla Cassazione con le sentenze n. 5777/1988 e n. 3791/1989 (App. Potenza 17 aprile 2015 n. 165).

Quanto ai procedimenti camerali la Cassazione ha poi precisato che «la liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta nei procedimenti camerali va effettuata in base alle tariffe relative ai procedimenti contenziosi qualora insorgano contestazioni il cui esame è devoluto al Giudice della cognizione» (Cass. civ., sent. n. 9563/2018).

Gli spunti offerti dal d.m. n. 55/2014 e dalla l. n. 247/2012 per la quantificazione del compenso dell'avvocato familiarista

Come visto la l. n. 247/2012 e il d.m. n. 55/2014 sono i testi di legge ai quali far riferimento per la quantificazione dei compensi da riconoscersi al professionista per l'attività prestata.

Quali elementi sono rinvenibili in detta normativa da utilizzare ai fini della quantificazione del compenso per il professionista nel settore che ci riguarda?

Gli spunti offerti non sono molti.

Per quanto attiene alla determinazione dei compensi in sede giudiziale, l'art. 4, comma 3, d.m. n. 55/2014, stabilisce che «quando l'avvocato assiste ambedue i coniugi nel procedimento di separazione consensuale e nel divorzio ad istanza congiunta, il compenso è liquidato di regola con una maggiorazione del 20% su quanto altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto», prevedendo al comma 4 la possibilità, in caso di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, di aumentare il compenso fino a un quarto rispetto a quanto altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività in precedenza svolta.

Nel capo IV, concernente le disposizioni riguardanti l'attività stragiudiziale, l'art 18, d.m. n. 55/2014 precisa che «i compensi liquidati per le prestazioni giudiziali sono omnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l'affare», mentre all'art 20, d.m. n. 55/2014 è previsto che «l'attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale, che riveste un autonoma rilevanza rispetto a questa ultima, è di regola liquidata in base ai parametri numerici di cui all'allegata tabella», ponendo a ben vedere una grossa limitazione nella quantificazione dei compensi; è infatti noto che per giungere ad un ricorso congiunto l'attività stragiudiziale svolta preliminarmente è sicuramente di particolare entità e rilevanza, ma sulla base di quanto previsto, non vedrà autonomo e specifico riconoscimento, dovendo essere ricompresa negli onorari per l‘attività giudiziale.

Altro non sembrerebbe essere rinvenibile nella normativa vigente che possa essere utilizzabile nel caso di specie soprattutto per quanto attiene la determinazione dello scaglione di valore da applicare o la tabella a cui far riferimento, benché più volte le varie associazioni specialistiche abbiano evidenziato tali problematiche.

Conclusioni

A fronte di questa disamina emerge in maniera inequivoca un quadro quanto mai vago per la determinazione dei compensi relativi ai giudizi riguardanti la famiglia, i minori e le persone.

Benché più volte sollecitato al riguardo, il legislatore ha omesso uno specifico intervento limitandosi ad alcuni accorgimenti marginali che poco aiutano il professionista nella predisposizione di una nota spese.

Volendo ben vedere per i procedimenti di separazione e divorzio le opportunità individuabili nel d.m. n. 55/2014 sono differenti offrendo l'applicazione di ben tre diverse tabelle a seconda che si tratti di

- procedimenti giudiziali avanti il Tribunale a cui potrebbe risultare applicabile la tabella 2 relativa ai procedimenti ordinari di cognizione;

- procedimenti consensuali avanti il Tribunale, a cui potrebbe risultare applicabile la tabella 7 relativa ai procedimenti di volontaria giurisdizione;

- procedimenti giudiziali trasformati in consensuali, a cui potrebbe risultare applicabile la tabella 2 con l'incremento previsto dall'art. 4, comma 4, d.m. n. 55/2014;

- procedimenti definiti con la procedura di negoziazione assistita, a cui risulterebbe applicabile la tabella 25 bis se la procedura si conclude con il nulla osta o l'autorizzazione del Procuratore, mentre se la procedura si conclude negativamente con rinvio al Tribunale per la fissazione dell'udienza di comparizione parti, si potrebbe supporre di applicare la tabella 25 bis in cumulo con la tabella 2 relativa ai procedimenti ordinari;

- procedimenti avanti l'Ufficiale dello Stato Civile, infine, a cui potrebbe risultare applicabile la

tabella 25 relativa alle attività stragiudiziali.

Oltre all'incertezza della tabella da applicare e a quale scaglione di valore far riferimento, anche se sembrerebbe prevalente l'orientamento del valore indeterminato - anche sulla base di un orientamento dottrinario secondo cui oggetto della controversia è il rapporto coniugale in sé stesso e non le questioni economiche ad esso collegate in quanto le questioni relative alla determinazione dell'assegno di mantenimento e all'assegnazione della casa coniugale sono funzionali alle decisione sulla sospensione o scioglimento del rapporto di coniugio e non costituiscono l'oggetto principale della causa essendo in alcuni casi inammissibili in sede di giudizio- rimane il problema irrisolto della quantificazione dell'attività stragiudiziale svolta per giungere ad un accordo consensuale.

Se è pur vero che la pattuizione del compenso è libera è altresì vero che il CNF ha sanzionato il professionista che aveva chiesto un compenso sproporzionato sia in eccesso che in difetto.

Non rimane quindi altro che sperare in un intervento legislativo che ponga fine a questa incertezza, un po' come avvenuto per quanto riguarda l'introduzione della nuova tabella riguardante la negoziazione assistita e la mediazione, introdotta con il d.m. n. 37/2018, anche se anche in questo caso rimane l'incertezza dell'individuazione dello scaglione di valore da applicare.

*Fonte: www.ilFamiliarista.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario