Libera circolazione dei capitali: parità di trattamento tra dividendi in uscita e distribuiti a società residenti

Giancarlo Marzo
12 Settembre 2019

Per l'applicazione sui “dividendi in uscita” della ritenuta alla fonte ridotta prevista dall'art. 27, co. 3-ter, d.P.R. n. 600/1973 (attualmente dell'1,20%), in luogo di quella prevista dall'art. 27, co. 3, d.P.R. n. 600/1973 (oggi del 27%), la società percettrice - residente in uno degli Stati membri dell'Unione Europea o degli Stati aderenti all'Accordo SEE - è tenuta, esclusivamente, alla dimostrazione dell'effettiva tassazione del flusso reddituale nel Paese di residenza. Eventuali contestazioni relative alla qualità di conduit company del soggetto percettore ovvero all'esistenza di costruzioni abusive volte a celare la residenza “extra-territoriale” del beneficiario effettivo del dividendo, devono essere dimostrate dall'Amministrazione finanziaria
Massima

Ai dividendi percepiti da società non residenti nel territorio dello Stato deve essere applicata l'imposta sostitutiva ridotta di cui all'art. 27, co. 3-ter, del d.P.R. n. 600/1973. Due le condizioni per poter accedere alla disciplina di vantaggio:

  • la residenza in uno degli Stati membri dell'Unione Europea o degli Stati aderenti all'Accordo SEE,
  • nonché l'effettiva tassazione nel paese di residenza.

Sulla società non grava l'onere di provare di essere il “beneficiario effettivo” dei dividendi percepiti. Quest'ultimo è un requisito richiesto dalla differente disciplina - di matrice unionale - di cui all'art. 27-bis, applicabile solo nei rapporti “Madre-Figlia”.

Il caso

La controversia scaturisce dall'impugnazione del silenzio-rifiuto dell'Amministrazione finanziaria formatosi in relazione alla richiesta di rimborso, presentata da una società avente sede legale in Lussemburgo, delle maggiori ritenute a titolo d'imposta subìte sui dividendi percepiti in ragione della sua partecipazione azionaria in una nota società italiana. Da tale partecipazione, la società aveva ricevuto, nelle annualità 2014 e 2015, dividendi erroneamente assoggettati a ritenuta alla fonte con aliquote del 20% e 26%, in applicazione dell'art. 27, co. 3,del d.P.R. n. 600/1973, vigente all'epoca dei fatti.

Nel rispetto del termine quadriennale previsto dall'art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, la società estera aveva presentato istanza all'Agenzia delle Entrate - Centro Operativo di Pescare, in cui rilevava l'applicabilità alla fattispecie in esame della ritenuta ridotta dell'1,375%, prevista dal comma 3-ter dell'art. 27 del d.P.R. n. 600/1973 (applicabile ratione temporis) e, conseguentemente, chiedeva il rimborso del maggior importo incamerato dall'Erario, oltre che degli interessi maturati.

La Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, prima, e la Commissione Tributaria Regionale dell'Aquila, poi, previo esame della documentazione prodotta, hanno accolto la tesi societaria ritenendo dimostrata la sussistenza dei presupposti applicativi dell'art. 27, co. 3-ter. In particolare, la società ha dato prova, tramite visura camerale, di risiedere in Lussemburgo, Stato membro dell'Unione Europea, nonché di essere un soggetto passivo d'imposta nello Stato di residenza, depositando apposito certificato rilasciato dall'Amministrazione fiscale lussemburghese e anche le dichiarazioni dei redditi per gli anni 2014 e 2015.

Il Collegio, in tal modo, ha rigettato la tesi dell'Agenzia delle Entrate secondo la quale, ai fini dell'applicabilità dell'invocata ritenuta ridotta, la società avrebbe dovuto dimostrare, da un lato, l'effettiva tassazione del flusso reddituale nello Stato di residenza e, dall'altro, la propria qualità di “beneficiario effettivo” dei dividendi.

La questione

La questione nasce dall'errata individuazione della disciplina applicabile al caso in esame.

L'Ufficio, pur ritendo la fattispecie in esame rientrante nell'ambito applicato di cui all'art. 27, co. 3-ter, del d.P.R. n. 600/1973, aveva negato il rimborso sull'assunto che la società dovesse provare ulteriori requisiti non contemplati dal dettato normativo (quali quello di essere “beneficiario effettivo” dei dividendi), basati sulla disciplina - di matrice unionale - recepita nell'art. 27-bis del d.P.R. 600/1973. Disposizione, quest'ultima, introdotta a livello interno per recepire la Direttiva comunitaria n. 90/435/CE (c.d. “Madre-figlia”) che, essendo finalizzata ad evitare fenomeni di doppia imposizione, consente alla società comunitaria “controllante”, assoggettata a ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalla società residente “controllata”, di ottenere il rimborso totale della ritenuta operata laddove ricorrano specifici requisiti.

Nella fattispecie sottoposta all'esame della Commissione Tributaria Regionale abruzzese, diversamente, non era stata né invocata l'applicabilità della summenzionata Direttiva comunitaria né richiesto l'integrale rimborso della ritenuta subìta. La società lussemburghese, al contrario, in applicazione principio di “libera circolazione dei capitali”, attualmente disciplinato dagli articoli 63 e ss. del TFUE (“Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea”) e recepito a livello interno nell'art. 27, co. 3-ter, del d.P.R. n. 600/1973, aveva chiesto il rimborso del differenziale tra le aliquote erroneamente applicate dall'intermediario e quella prevista dalla predetta disposizione.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio abruzzese ha, in primis, ripercorso l'iter che ha determinato l'introduzione, ad opera dalla Legge n. 244/2007 (c.d. Legge finanziaria 2008), del citato comma 3-ter, finalizzato ad equiparare il trattamento fiscale dei dividendi percepiti da società appartenenti all'Unione Europea a quello previsto per i dividendi percepiti da società residenti nel territorio dello Stato. Come rilevato dalla Commissione Regionale, tale equiparazione si era resa necessaria all'indomani della sentenza della Corte di Giustizia, resa il 19 novembre 2009 nel procedimento C-540/07 contro l'Italia, con la quale i Giudici europei avevano rilevato l'illegittimità della normativa italiana vigente ratione temporis - per contrasto con il principio di “libera circolazione dei capitali” disciplinato all'epoca dall'art. 56 del TCE (“Trattato che istituisce la Comunità Europea”) - nella parte in cui prevedeva l'assoggettamento dei dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri ad un regime fiscale meno favorevole di quello applicato ai dividendi distribuiti a società residenti.

E difatti, in mancanza di un intervento normativo, le società non residenti avrebbero continuato a subire una ritenuta alla fonte con aliquota piena sui dividendi “in uscita”, a differenza di quanto avveniva per le società residenti nel territorio italiano ed in violazione del principio della libera circolazione dei capitali. Per le società residenti, come noto, l'art. 89 del d.P.R. n. 917/1986 (“TUIR”) prevede la non imponibilità del 95% dei dividendi percepiti e la, conseguenziale, applicazione dell'aliquota IRES al restante 5%.

Cosicché, con l'introduzione del comma 3-ter all'art. 27 del d.P.R. 600/1973, la ritenuta dell'1,375% (corrispondente all'aliquota Ires del 27,5%, ratione temporis vigente, sul 5% del dividendo percepito: 27,5*5% = 1,375), è stata estesa ai dividendi erogati a società o enti soggetti ad un imposta sul reddito delle società in uno Stato membro dell'UE o appartenente allo SEE che sono inclusi nella lista degli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni (c.d. “white List”).

Terminata la disamina delle motivazione che hanno condotto all'introduzione della ritenuta ridotta, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto sussistenti, nella fattispecie in esame, le condizioni necessarie per usufruire della disciplina de qua, quali:

(i) la dimostrazione della residenza della società in uno Stato membro dell'Unione Europea o in uno Stato aderente allo SEE e

(ii) l'assoggettamento alla locale imposta sul reddito delle società.

Osservazioni

Non ha trovato accoglimento, quindi, la tesi dell'Ufficio incentrata sulla differente fattispecie di cui all'art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973, introdotto a seguito della Direttiva “Madre-figlia”.

Va chiarito, infatti, che le discipline di cui agli artt. 27, comma 3-ter e 27-bis del d.P.R. 600/1973, attenendo a fattispecie diverse, richiedono requisiti differenti e producono risultanti altrettanto diversi.

L'art. 27-bis è stato introdotto allo scopo di eliminare, da un lato, fenomeni di doppia imposizione economica e, dall'altro, fenomeni di “doppia non imposizione” e “treaty shopping, prevedendo il rimborso della ritenuta alla fonte a titolo di imposta subìta sui dividendi distribuiti dalle società controllate (“figlie”) alle società controllanti (“madri”), localizzate in diversi Paesi dell'Unione Europea, ma vincolando tale rimborso alla dimostrazione da parte del percettore di una serie di requisiti. Tra i requisiti richiesti dalla norma, figurano la detenzione di una partecipazione diretta non inferiore al 20% della società che distribuisce gli utili, nonché quel peculiare requisito di essere il “beneficiario effettivo” (c.d. “beneficial owner”) dei dividendi percepiti.

Ebbene, con la pronuncia in esame, i Giudici hanno chiarito l'esclusiva valenza interna dell'art. 27, comma 3-ter, come riconosciuto dalla stessa prassi dell'Amministrazione finanziaria (cfr. Circolari nn. 26/E del 2009 e 32/E del 2011). Infatti, al fine di individuare il corretto trattamento fiscale a cui assoggettare il contribuente, occorre prender le mosse dalle disposizioni interne. Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, del resto, al pari delle Direttive comunitarie, sono destinate unicamente a regolamentare la sovranità tributaria degli Stati. Tali accordi, dunque, in ossequio al principio di reciprocità, limitano esclusivamente la potestà impositiva dei singoli Stati coinvolti, evitando principalmente fenomeni di doppia imposizione.

Pertanto, gli accordi internazionali entrano in gioco laddove il carico fiscale determinato a livello interno risulti superiore o iniquo rispetto a quello previsto su base convenzionale.

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