Operazioni di scissione fraudolenta

10 Ottobre 2019

Seppure l'operazione di scissione è in sè lecita ed ha portata neutrale, la sua eventuale natura fraudolenta può essere desunta dal concreto atteggiarsi della vicenda. Ai fini della individuazione del reato di sottrazione fraudolenta bisogna inoltre tenere conto del fatto che, in caso di cessione conforme a legge, la responsabilità del cessionario dell'azienda ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata, nel quantum, al valore della cessione e, nell'oggetto, alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto.
Massima

Seppure l'operazione di scissione è in sè lecita ed ha portata neutrale, la sua eventuale natura fraudolenta può essere desunta dal concreto atteggiarsi della vicenda. Ai fini della individuazione del reato di sottrazione fraudolenta bisogna inoltre tenere conto del fatto che, in caso di cessione conforme a legge, la responsabilità del cessionario dell'azienda ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata, nel quantum, al valore della cessione e, nell'oggetto, alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto.

In riferimento ai debiti tributari solo l'accertamento della natura simulata della cessione rende applicabile la responsabilità illimitata in solido, laddove, comunque, oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta non è il diritto di credito dell'Erario, bensì la garanzia generica rappresentata dai beni dell'obbligato.

Il caso

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 37326 del 06 settembre 2019, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di operazioni di scissione fraudolenta.

Nel caso di specie, il Tribunale rigettava l'appello proposto avverso l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato la misura cautelare di cui all'art. 290 c.p.p. (Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali), per la durata di un anno, nei confronti degli imputati, i quali, rispettivamente in qualità di amministratore e titolare dell'85% delle quote di una società e titolare del 15% delle restanti quote della predetta società, in concorso tra loro, ne distraevano, occultavano e dissimulavano i beni, trasferendo ad altra Srl, costituita a seguito di scissione e con socio unico il socio di minoranza della prima, beni per un valore di quasi 5.000.000 di euro della società, poi fallita, cui residuavano debiti, anche di natura tributaria, per circa 1.500.000 euro.

Le quote della società, inoltre, venivano cedute ad un prestanome e il ramo d'azienda relativo alla gestione della società veniva ceduto ad altro soggetto giuridico, il cui amministratore legale era sempre l'amministratore e titolare della stessa società.

Con tali condotte gli imputati compivano quindi atti fraudolenti sui beni della società, al fine di sottrarla al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, rendendo inefficace le procedure di riscossione coattiva; fatto aggravato per essere l'ammontare di imposte, interessi e sanzioni superiore a 200.000 euro.

Gli imputati ricorrevano in Cassazione per violazione di legge in relazione agli artt. 216, comma 1, n. 1, 219 comma 1, 223 L. fall. e all'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, in quanto, a loro dire, il provvedimento impugnato si basava sull'errato presupposto che le scelte imprenditoriali fossero preordinate a svuotare le casse societarie e ad impedire al fisco di soddisfare le proprie pretese sul patrimonio della società, giungendo così al “paradosso” di affermare che ogni operazione di ristrutturazione societaria dovrebbe valutarsi negativamente, visto che è ipotesi frequente, nella prassi, che, in situazioni di crisi, prima della cessazione o della liquidazione delle società, si modifichino i modelli societari.

A parere della difesa, la scissione operata dagli amministratori doveva considerarsi finalizzata alla ristrutturazione dei debiti societari e non aveva in alcun modo pregiudicato i diritti e le prerogative del creditore pubblico (ex Equitalia), cercando anzi di consentire il pieno pagamento dei debiti, che, altrimenti, sarebbe stato impossibile.

Il Tribunale del Riesame, secondo i ricorrenti, valutando superficialmente ed erroneamente i motivi esposti nell'atto d'appello, aveva dunque giudicato sulla base di mere congetture, senza neppure tener conto che, nel caso di debiti d'imposta derivanti da violazioni commesse anteriormente alla scissione, sia questa totale o parziale, ai sensi dei commi 12 e 13 dell'art. 173 TUIR, sussiste un rapporto di solidarietà illimitata tra società scissa e società beneficiaria.

I ricorrenti evidenziavano poi come, comunque, ai fini fiscali, ai sensi dell'art. 28, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014, l'estinzione della società di cui all'art. 2495 c.c. ha effetto solo una volta trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese.

La questione

La questione oggetto del giudizio riguardava, in sostanza, l'operatività di un sodalizio criminoso dedito all'attuazione di condotte fraudolente tese a svuotare società in crisi e, come tali, suscettibili di fallimento in danno dei creditori delle stesse, inclusa l'Amministrazione finanziaria.

Lo strumento della scissione aveva dunque consentito di trasferire il complesso alberghiero della società ad altro soggetto societario, con un valore di cessione esattamente coincidente all'importo del passivo, costituito da mutui in corso e da fondi di ammortamento, e pari ad euro 4.864.602,49. Dopo circa un anno l'intero pacchetto della società a cui era stato trasferito il complesso era stato poi ceduto con un contratto simulato.

In tal modo, in definitiva, l'originaria società era stata privata degli strumenti operativi e, a causa dei debiti da cui era gravata, pari a circa un milione e mezzo di euro, era stata avviata alla liquidazione. Infine, previa ulteriore cessione del ramo di azienda avente ad oggetto la gestione dell'attività alberghiera (per un valore di 100.000,00 euro, con esclusione dei debiti e dei crediti), veniva infine cancellata dal Registro delle imprese.

Al fine di evitare istanze di fallimento e di paralizzare le attività di riscossione dei crediti tributari, erano stati inoltre proposti ricorsi alla Commissione Tributaria ed intraprese azioni legali risarcitorie in riferimento ai tassi di interesse praticati dagli istituti di credito. E ciò nonostante la società veniva comunque dichiarata fallita, su istanza del pubblico ministero.

In un tale evidente contesto le condotte poste in essere avevano dunque la finalità di sottrarsi al pagamento dei debiti nei confronti dei creditori e dell'Erario.

E, in particolare, la scissione aveva avuto un ruolo nevralgico nella strategia fraudolenta, mirando a frustrare le legittime pretese dell'Erario, laddove anche la richiesta di rateizzazione del debito tributario, il pagamento delle rate scadute, l'accesso alla procedura di definizione agevolata dei debiti tributari e la proposta irrevocabile di accollo dei debiti tributari della società da parte dell'amministratore miravano semplicemente a limitare i danni derivanti dalla notizia delle indagini in corso, acquisita dagli indagati a seguito dell'esecuzione della perquisizione presso le abitazioni e gli studi professionali dei coindagati.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di legittimità che, seppure è vero che, in sé, l'operazione di scissione è lecita ed ha una portata neutrale, è altrettanto vero, come già stabilito più volte dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. Civ., sez. trib., n. 20370/2015; Cass. Civ., sez. trib., n. 13522/2015; Cass. Civ., sez. trib., n. 6404/2014; Cass. Civ., sez. trib., n. 42272/2014), che l'eventuale natura fraudolenta di detta operazione può essere desunta dal concreto atteggiarsi della vicenda.

E nel caso in esame, come visto, l'operazione risultava caratterizzata dal fatto che alla stessa aveva fatto seguito la nomina di un prestanome per la società scissa ed il trasferimento del pacchetto di quote della società beneficiaria, nonché la messa in liquidazione della società, con conseguente cancellazione dal Registro delle imprese.

L'operazione, oltre a rendere assai più ardua la soddisfazione delle pretese creditorie diverse da quelle di natura tributaria, poteva del resto essere considerata un ostacolo anche in riferimento ai crediti vantati dall'Agenzia delle Entrate, non potendosi accogliere le doglianze difensive volte a sottolineare come, in caso di scissione, anche parziale, per i debiti tributari siano responsabili in solido ed illimitatamente sia la società scissa che quella beneficiaria.

Detto principio, affermato pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità:

Cass. Civ., sez. trib., 6 dicembre 2018, n. 31591
"In tema di scissione parziale, per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d'imposta anteriori alla data dalla quale l'operazione produce effetti, rispondono, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell'art. 173, comma 12, del d.p.r. n. 917 del 1986 - i quali prevalgono, per il principio di specialità, sull'art. 2506-quater, comma 3, c. c. - solidalmente ed illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione, anche in forza del principio della unitarietà dell'imposta, senza che tale disciplina violi il criterio di adeguatezza e proporzionalità, stante l'esigenza di maggiore tutela riconosciuta all'amministrazione finanziaria per radempimento delle obbligazioni tributarie, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90/2018." conf., sez. trib., n. 13059 del 24/06/2015) va, infatti comunque coordinato con quello della temporaneità dell'obbligazione solidale.

Con indirizzo più volte ribadito, la giurisprudenza civile della Corte ha peraltro, sul tema, affermato che "In tema di cessione di azienda, la disciplina dettata dall'art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, quanto alla responsabilità del cessionario per le obbligazioni tributarie, è una norma speciale rispetto all'alt. 2560, comma 2, c.c., sulla quale prevale" (Cass., sez. trib., n. 31610 del 06/12/2018; Cass. Civ., sez. trib., n. 17264 del 13/07/2017; Cass., Sez. trib., n. 9219 del 10/04/2017), laddove tale orientamento si basa sulla lettura della norma, che, testualmente, dispone che:

"1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro í limiti del valore dell'azienda o del ramo d'azienda, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

2. L'obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria e degli enti preposti all'accertamento dei tributi di loro competenza.

3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell'interessato, un certificato sull'esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta.

4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni.

5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante".

La norma citata, come detto, è speciale rispetto all'art. 2560, secondo comma, cod. civ., ed ha natura antielusiva, diretta, cioè, ad evitare - tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente - che, attraverso il trasferimento dell'azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell'interesse pubblico.

Ne consegue, quindi, che, in caso di cessione conforme a legge ed in base ad un criterio volto a premiare la diligenza nell'assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata nel quantum, al valore della cessione, oltre che nell'oggetto, con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto, ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all'accertamento dei tributi.

Evidente appare, quindi, come, in riferimento ai debiti tributari, solo l'accertamento della natura simulata della cessione rende applicabile la responsabilità illimitata in solido.

Non bisognava infine dimenticare, evidenzia la Corte, che, nel caso in esame, era stata elevata contestazione ai sensi dell'art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, disposizione questa che mira ad evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'Erario, laddove la fattispecie criminosa va qualificata come reato di pericolo concreto, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio ex ante, l'attività recuperatoria dell'Amministrazione finanziaria.

Oggetto giuridico del reato, pertanto, non è in questi casi il diritto di credito dell'Erario, bensì la garanzia generica rappresentata dai beni dell'obbligato, potendosi, pertanto, configurare il reato anche nel caso in cui, dopo il compimento degli atti fraudolenti, si verifichi comunque il pagamento dell'imposta e delle relative sanzioni (Cass., sez. III, n. 35853 del 11/05/2016; Cass. Civ., sez. III, n. 13233 del 24/02/2016; Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 36290 del 18/05/2011; Cass., Sez. III, sentenza n. 19595 del 09/02/2011).

Quanto alla condotta del reato, la Corte ricorda che, in tema di atto fraudolento, sono intervenute le S.U. n. 12213/2018, che hanno testualmente affermato che: "Con riguardo alla nozione di 'atto fraudolento' contenuta nella disposizione dell'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall' art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, 'al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto [...] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno (Sez. III, n. 25677 del 16/05/2012), ovvero che è tale ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione (Sez. III, n. 3011 del 05/07/2016)".

Ciò detto, quindi, il Tribunale del Riesame aveva correttamente ravvisato la natura fraudolenta degli atti nel complesso delle operazioni poste in essere e nelle conseguenze da esse derivanti, osservando che - quanto ai debiti di natura non tributaria - la solidarietà della società cedente era comunque limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria e, in via generale, al valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto, ai sensi degli artt. 2506-bis, comma terzo e 2506-quater, comma terzo, c.c..

E quanto ai debiti tributari, vista la natura fraudolenta delle operazioni e, segnatamente, dell'atto di scissione, non era dirimente la circostanza che la Società avesse prodotto ricavi dichiarati, nell'anno 2014, pari ad oltre 2 milioni di euro, posto che detti ricavi non avevano determinato alcun incremento patrimoniale, risultando, dalla dichiarazione dei redditi della società per l'anno 2014, un reddito lordo di 23.000,00 euro ed una perdita nel conto economico di 6.475,00 euro.

A ciò andava poi aggiunta la considerazione delle altre caratteristiche dell'operazione, ossia la cessione del capitale sociale a prezzo “vile” ed il trasferimento della rappresentanza legale della società ad un prestanome, che aveva avviato le procedure della liquidazione della medesima società, ormai "vuota" di beni e attività, in quanto deprivata del patrimonio trasferito, ancorché gravata da un debito tributario pari a circa un milione e mezzo di euro.

In relazione infine alle iniziative di pagamento e di accollo dei debiti tributari da parte delle società beneficiarie, la Corte rileva che le stesse non valevano ad escludere la natura fraudolenta e la finalità elusiva delle operazioni poste in essere dagli indagati, anche considerato che l'accollo confermava anzi la consapevolezza che la scissione avrebbe pregiudicato la riscossione dei crediti tributari.

Osservazioni

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

La scissione è un'operazione di carattere straordinario, mediante la quale una società, definita scissa, estinguendosi, o rimanendo in vita, trasferisce ad una società preesistente o di nuova costituzione, definita beneficiaria, l'intero suo patrimonio, o una parte di esso, attribuendo ai soci della scissa azioni o quote della beneficiaria, in modo proporzionale, ovvero non proporzionale, rispetto alla percentuale di attribuzione sussistente presso la scissa (artt. 2506 - 2506-quater c.c.).

L'operazione, sotto il profilo della disciplina generale dei tributi, è regolamentata dall'art. 173 TUIR, commi 11,12 e 13, ove è disposto, tra le altre (comma 12), che “Gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l'operazione ha effetto sono adempiuti in caso di scissione parziale dalla stessa società scissa, o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell'atto di scissione”.

Le operazioni di scissione possono del resto a volte mascherare un intento elusivo, con particolare riferimento al caso in cui la scissione sia strutturata in modo tale da minare la funzione di garanzia del patrimonio in favore dei creditori sociali, sviando cespiti patrimoniali di significativo valore dalla scissa a favore di una o più entità, con l'intento di sottrarre i beni da possibili azioni giudiziarie, promosse dai creditori non ancora soddisfatti.

Quando poi tra i creditori ancora non soddisfatti c'è anche l'Erario, si può incorrere nel reato di sottrazione fraudolenta, ex art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.

L'art. 11 citato sanziona infatti chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Come affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 232 del 9 gennaio 2018, la scissione societaria è quindi idonea a integrare il reato di sottrazione fraudolenta in relazione non soltanto al momento in cui l'atto di scissione viene posto in essere, ma anche alle vicende successive alla stessa scissione.

La Cassazione affermava inoltre che “in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, anche una singola operazione di scissione societaria può essere idonea, se valutata in relazione non soltanto al momento in cui l'atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione, a costituire quell'atto negoziale fraudolento o simulato idoneo ad integrare il reato”.

Anche se quindi le società nate con le operazioni di scissione sono obbligate, in solido con la cedente, al pagamento delle imposte e delle sanzioni accertate a carico di quest'ultima, l'operazione, da un punto di vista penale, deve essere valutata in una prospettiva più ampia, al fine di analizzare l'effettivo impatto sulle garanzie per i creditori.

E per integrare il reato di sottrazione fraudolenta può essere sufficiente anche una singola operazione, valutata magari anche in relazione alle vicende successive alla scissione, idonee, se viste nel loro complesso, a costituire quell'atto negoziale fraudolento e/o simulato, proprio appunto del reato in esame.

Il fatto di reato, in sostanza, si perfeziona con il compimento di una condotta commissiva, consistente, alternativamente, nell'eseguire atti simulati di alienazione, o nel realizzare altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, sicché il momento consumativo del reato, una volta integrata la soglia di punibilità, coincide semplicemente con la realizzazione degli atti depauperativi del proprio patrimonio, dismessi con l'intento di pregiudicare le ragioni erariali.

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