Credito d'imposta del contribuente e contro crediti erariali: l'Ufficio può sempre opporli in compensazione
18 Ottobre 2019
Massima
Qualora il contribuente agisca in giudizio per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l'amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal contribuente creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell'art. 1243 c.c., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale. Il caso
Una società, in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi 2010, chiedeva, per l'anno d'imposta 2009, il rimborso della somma relativa ad un credito d'imposta IRES risultante dal Modello Unico 2003 e riportato di anno in anno, sino a quando ne chiedeva la restituzione. Successivamente la contribuente cedeva il credito d'imposta chiesto in restituzione a due istituti finanziari che, l'anno successivo, presentavano a loro volta istanza di rimborso del credito acquistato. A seguito del silenzio-rifiuto opposto dall'Agenzia delle entrate, una delle due banche cessionarie proponeva ricorso alla CTP, che condannava l'amministrazione al rimborso della somma richiesta, sull'assunto che i controcrediti erariali pure vantati dall'amministrazione erano tuttavia evidenziati in ruoli ritenuti «mero atto interno», inidoneo a paralizzare la pretesa del contribuente. La decisione fu confermata dalla CTR, secondo cui l'esistenza del credito chiesto a rimborso era certa e riconosciuta dallo stesso ufficio, il quale invece non aveva fornito prove sufficienti dell'esistenza di un controcredito erariale da opporre in compensazione. L'Agenzia delle Entrate interponeva quindi ricorso per cassazione evocando, tra l'altro, la circostanza che l'autorizzazione al rimborso emessa dalla stessa Agenzia prevedeva espressamente la previa compensazione con gli importi iscritti a ruolo a titolo definitivo a carico della contribuente, ovvero la sospensione del rimborso in ragione di eventuali future iscrizioni a ruolo a seguito della definizione di controversie in corso con la banca cessionaria in senso favorevole all'amministrazione.
La Suprema Corte, Sezione Tributaria, in accoglimento di due motivi di ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata rassegnando il principio di diritto di cui alla massima.
La questione
La decisione in commento affronta la questione dell'operatività dell'istituto civilistico della compensazione legale e giudiziale di cui all'art. 1243 c.c. in relazione all'autonomo potere di autotutela riconosciuto alla pubblica amministrazione che vanti, nei confronti del contribuente-creditore, controcrediti certi, liquidi ed esigibili. Ci si chiede se l'amministrazione finanziaria, nel corso del giudizio per il rimborso del credito d'imposta promosso del contribuente, possa opporre in compensazione il proprio controcredito laddove non si sia avvalsa del potere di sospensione del pagamento o di compensazione del credito ai sensi dell'art. 23, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997. Invero, inizialmente detta norma - come evidenziato dalla sedes materiae - circoscriveva suddetta facoltà amministrativa a ragioni creditorie derivanti specificamente dall'irrogazione di sanzioni tributarie, le quali, se prive del carattere di definitività, legittimavano la sospensione provvisoria del pagamento del credito del privato; se contenute in provvedimenti divenuti definitivi, legittimavano l'Ufficio alla pronuncia della compensazione. Come rammenta la sentenza in commento, a seguito delle modifiche al suddetto art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997 introdotte dall'art. 16, comma 1, lett. h), D.Lgs. n. 158/2015 (in vigore dal 1° gennaio 2016), la facoltà dell'amministrazione finanziaria di disporre con appositi provvedimenti la sospensione o la compensazione dei crediti vantati dal contribuente in presenza di propri controcrediti derivanti dall'obbligo di pagamento delle sanzioni, è stato esteso negli stessi termini all'ipotesi in cui l'ufficio sia titolare di controcrediti derivanti da maggiori tributi dovuti (in via non definitiva o definitiva) dal contribuente che fa valere il credito di imposta.
Si pone, quindi, il problema se l'amministrazione - convenuta in giudizio dal contribuente che vanti un credito d'imposta non restituito - sia legittimata ad eccepirne, come qualunque privato, la compensabilità con controcrediti derivanti da imposte non pagate, o debba invece tutelare le proprie ragioni avvalendosi dei poteri autoritativi derivanti dagli appositi istituti sospensivi previsti a tutela del credito erariale. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento fa chiarezza sui rapporti tra il generale istituto civilistico della compensazione (legale e giudiziale) di cui all'art. 1243 c.c. e gli eccezionali strumenti autoritativi dei quali dispone l'ente impositore. Rammenta la Corte regolatrice che l'istituto del «fermo di pagamento» previsto dall'art. 69, ultimo comma, R.D. n. 2440/1923 - che consente ad un'amministrazione dello Stato, che abbia ragioni di credito verso soggetti aventi diritto a somme di denaro dovute da altre amministrazioni, di richiedere ed ottenere la sospensione del pagamento spettante al creditore della pubblica amministrazione - è inquadrato nella stessa giurisprudenza di legittimità come strumento eccezionale attribuito all'amministrazione obbligata, «atto a differire in via provvisoria il soddisfacimento di un credito liquido ed esigibile, comportante l'affievolimento sia pure temporaneo del diritto di credito del privato». Da tali caratteristiche dell'istituto discende che il fermo non può prescindere dall'adozione di un provvedimento formale, emesso nell'esercizio di un potere discrezionale dell'autorità competente e dotato dei requisiti prescritti dalla legge (Cass. civ., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23601).
Negli stessi termini - rammentano oggi i Supremi giudici - i poteri di sospensione del pagamento e di compensazione del credito, previsti dal citato art. 23, D.Lgs n. 462/1997, sono finalizzati ad una tutela rafforzata del credito erariale, consentendo all'amministrazione finanziaria di adottare discrezionalmente provvedimenti autoritativi - comunque soggetti ad impugnazione e controllo giurisdizionale - coi quali l'ente impositore dispone unilateralmente la sospensione del pagamento o pronuncia la compensazione nei confronti del contribuente titolare del credito principale. Detti provvedimenti, normalmente, non sono di spettanza delle parti ma competono all'autorità giudiziaria: in questo risiede, quindi, il distinguo oggi bene tracciato dalla Suprema corte rispetto alla compensazione legale e giudiziale disciplinata dell'art. 1243 c.c., che invece è invocabile da chiunque. Quest'ultimo istituto - cadenza significativamente la Corte - opera al di fuori di ogni potere eccezionale (e discrezionale) di autotutela riconosciuto alla pubblica amministrazione, poiché consente a qualunque soggetto (ivi compresa l'amministrazione finanziaria) chiamato in giudizio per il pagamento di un credito di opporre a propria volta in compensazione l'esistenza di un proprio controcredito anch'esso certo, liquido ed esigibile. Con la conseguenza che il giudice (tributario), verificata la sussistenza di detti requisiti del controcredito (erariale) opposto, dichiara l'estinzione (totale o parziale) del credito principale per compensazione legale (in tal senso v. Cass. civ., sez. unite, 15 novembre 2016, n. 23225).
Osservazioni
D'altro canto - conclude condivisibilmente la sentenza annotata - risulterebbe palesemente contrario alla ratio della norma ritenere che l'attribuzione all'amministrazione finanziaria di poteri autoritativi di sospensione del pagamento del credito e di pronuncia unilaterale della compensazione, debba comportare, per l'amministrazione finanziaria che intenda agire solo sul piano privatistico, la privazione della facoltà - riconosciuta in via generale dall'art. 1243 c.c., di opporre in compensazione al contribuente che agisce in giudizio per il pagamento di un credito, l'esistenza di un proprio controcredito altrettanto certo, liquido ed esigibile, tale essendo quello iscritto nei ruoli definitivi a norma degli artt. 1,12 e 49, d.P.R. n. 602/1973, che costituiscono titolo esecutivo legittimante altresì la riscossione forzata. |