Casi in cui è ammissibile il deposito in modalità tradizionale della prova dell’avvenuta notifica via PEC

Pietro Calorio
22 Ottobre 2019

“Non è nulla la costituzione dell'appellante la quale avviene mediante il deposito di copia cartacea dell'atto di appello notificato a mezzo PEC, pur carente delle ricevute del messaggio predetto, ove essa sia corredata dall'attestazione di conformità agli originali informatici, qualora la controparte si sia costituita e dia atto della data in cui è stata effettuata la notifica e non contesti la conformità tra la copia notificata e la copia depositata”.
Massima

“Non è nulla la costituzione dell'appellante la quale avviene mediante il deposito di copia cartacea dell'atto di appello notificato a mezzo PEC, pur carente delle ricevute del messaggio predetto, ove essa sia corredata dall'attestazione di conformità agli originali informatici, qualora la controparte si sia costituita e dia atto della data in cui è stata effettuata la notifica e non contesti la conformità tra la copia notificata e la copia depositata”.

Il caso

Una società notificava un atto di appello a mezzo PEC e iscriveva il giudizio a ruolo depositando unicamente una copia analogica dell'atto introduttivo, priva di sottoscrizione, senza depositare la prova della notificazione.

La questione

La questione giuridica affrontata è se sia ammissibile la prova della notificazione di un atto introduttivo notificato a mezzo PEC in modalità tradizionale; in altre parole se, nonostante la previsione dell'art. 9, co. 1-bis, l. n. 53/1994 (che consente il deposito “in cartaceo” solamente in caso di impossibilità di quello telematico), residui spazio per ritenere ammissibile la prova della notifica in modalità tradizionale.

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello di Torino ha ritenuto ammissibile l'appello anche in assenza di prova della notifica in modalità tradizionale dell'atto di appello, pur precisando la necessità che ciò avvenga in via telematica.

La citata sentenza è rilevante in quanto si inserisce in un dibattito giurisprudenziale, non ancora del tutto sopito, in merito alla possibilità di considerare l'ammissibilità del deposito della prova della notificazione degli atti notificati a mezzo PEC in modalità tradizionale.

Il Collegio Giudicante ritiene ammissibile e valido l'appello pur in assenza di prova della notificazione da parte dell'appellante, sul presupposto che a) era presente un'attestazione di conformità della copia analogica a quella informatica dell'atto notificato e b) “le controparti (in particolare l'assicurazione) ha specificato che la notifica era effettuata il 19.12.2017 e nessuno ha contestato la conformità tra copia depositata e copia notificata” (letterale dalla sentenza).

Le considerazioni di cui sopra si richiamano all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, la quale ha fatto salva la costituzione in forma tradizionale in presenza dell'attestazione di conformità (Cass., Sez. Un. n. 22438/2018) nonché, in caso di assenza di tale attestazione, valorizzando la mancanza di contestazione della controparte la quale dia atto della data della notifica (Cass., Sez. Un. n. 16598/2016).

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte d'Appello ha ritenuto ammissibile l'appello, respingendo le eccezioni preliminari e procedendo alla disamina del merito del giudizio.

Osservazioni

La questione sorge a seguito dell'introduzione dell'art. 9, co. 1-bis della l. n. 53/1994, a norma del quale: "Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'articolo 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.

La disposizione stabilisce quindi che la prova dell'avvenuta notificazione di un atto avvenuta in via telematica non può essere fornita in modalità tradizionale, se non “qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche”, ossia nel caso in cui tale deposito risulti “impossibile”.

L'interpretazione della norma non pone particolari problemi con riferimento ai giudizi dinanzi al Giudice di Pace e alla Corte di Cassazione, nei quali pacificamente non è, al momento, previsto il deposito telematico degli atti, se non in via meramente sperimentale.

Il problema, invece, si pone per i giudizi innanzi a Tribunale e Corte d'Appello, nei quali è ammissibile una duplice modalità di costituzione, in modalità telematica e tradizionale (a mente dell'art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012).

Sul punto la dottrina prevalente ritiene il deposito telematico sempre possibile (e quindi obbligatorio), salvo situazioni eccezionali e contingenti riconducibili agli uffici giudiziari.

Secondo i commentatori più autorevoli, pur essendo consentita la costituzione in modalità cartacea, nel momento in cui si opta per la notificazione in via telematica sarà necessario utilizzare il deposito telematico come unico sistema per fornire la prova della notifica a mezzo PEC.

Tale orientamento pare essere seguito anche da qualche pronuncia in giurisprudenza, ad es. Corte App. Torino, 28 ottobre 2016, n. 603, la quale ha dichiarato la nullità della notificazione del ricorso di primo grado, applicando il principio sancito dall'art. 11, l. n. 53/1994, che commina la nullità rilevabile d'ufficio della notifica “[…] se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti”, e dunque anche il comma 1-bis dell'art. 9 che prevede la prova della notificazione mediante deposito telematico salvo che questo “non sia possibile”.

La sentenza della Corte d'Appello di Torino in commento è molto rilevante in quanto si inserisce in una serie di decisioni volte a limitare le declaratorie di inammissibilità o improcedibilità delle iniziative giudiziarie: ciò in accordo con i principi comunitari di accesso alla giustizia, nonché dell'effettività della tutela giurisdizionale, anche considerando il principio di non discriminazione del documento digitale ex art. 46 Reg. UE n. 910/2014 (eIDAS), nonché i criteri di proporzionalità e ragionevolezza che devono orientare eventuali restrizioni del diritto della parte all'accesso ad un Tribunale.

Tali esigenze sono garantite dal principio di “strumentalità delle forme” degli atti del processo, le quali sono prescritte dalla legge non per la realizzazione di un valore in sé, ma in quanto strumento più idoneo per realizzare un risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma intende conseguire (cfr. Cass., 12 maggio 2016, n. 9772).

Tale orientamento si pone, infatti, nel solco della via già tracciata da Cass. Sez. Un., 24 settembra 2018 n. 22438 (espressamente richiamata) a proposito della prova della notifica del ricorso per cassazione, la quale ha ritenuto di rimeditare l'originario orientamento restrittivo in materia sulla base di ragioni “che muovono da una prospettiva convergente con l'esigenza di consentire la più ampia espansione, nel perimetro di tenuta del sistema processuale, del diritto fondamentale di azione (e, quindi, anche di impugnazione) e difesa in giudizio (art. 24 Cost.) che guarda come obiettivo al principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, alla cui realizzazione coopera, in quanto principio “mezzo”, il giusto processo dalla durata ragionevole (art. 111 Cost.), in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull'Unione Europea, art. 6 CEDU)”.

Tale statuizione è stata ribadita anche dalla sentenza in commento, la quale ha precisato che “è vero che nel caso esaminato dalle Sezioni Unite nella sentenza citata si faceva riferimento ad un giudizio dinanzi alla Cassazione ove non si applica la disciplina del processo telematico, ma è altresì vero che il principio enunciato è generale e può estendersi anche al giudizio di appello”.

Rilievo dirimente in tal senso assume la mancata contestazione, ovvero il comportamento processuale del destinatario della notificazione. Secondo le norme di legge sul documento informatico (d.lgs. n. 82/2005) e le regole tecniche del PCT, l'atto in formato elettronico “nativo” oggetto di notificazione, se munito di firma digitale non rappresenta (come avviene con le notifiche cartacee) una mera copia autentica dell'originale, ma è esso stesso l'atto originale.

Ciò implica che, in caso di notifica telematica, il destinatario viene posto nelle condizioni di poter effettivamente verificare se l'atto depositato in via tradizionale sia o meno conforme all'originale (cosa che non può fare con la notifica “analogica”, poiché l'atto originale rimane in possesso del notificante).

Per tali ragioni, l'orientamento a cui aderisce la Corte torinese afferma che il punto di equilibrio, nella valutazione dell'ammissibilità del deposito in forma cartacea della prova della notifica a mezzo PEC dell'atto, è rappresentato non soltanto dal deposito dell'atto ad opera della controparte, ma soprattutto dallo stesso comportamento concludente della parte destinataria della notificazione, che esprime una “saldatura concettuale” in termini di affidamento nella verifica della condizione di procedibilità.

In senso analogo si vedano anche Cass. civ., n. 30918/2017 e 10266/2018, le quali hanno ritenuto ammissibile la formazione digitale del ricorso e il suo deposito in copia analogica autenticata, nonché Cass., Sez. Un., 25 marzo 2019 n. 8132, la quale ha esteso il principio sancito dalla citata decisione n. 22438/2018 a proposito del deposito, da parte del ricorrente, della sentenza impugnata notificata al resistente a mezzo PEC.

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