Comunicazione dei nomi dei morosi in assemblea

Redazione scientifica
24 Ottobre 2019

L'amministratore, durante la riunione di condominio, può comunicare ai condomini i nomi di quelli che non pagano le quote?

L'amministratore, durante la riunione di condominio, può comunicare ai condomini i nomi di quelli che non pagano le quote o che sono in arretrato senza temere di essere a sua volta denunciato per lesione della privacy o per diffamazione?

Nell'esercitare il ruolo da titolare del trattamento dei dati personali dei singoli condòmini, l'amministratore deve sempre agire con cautela ed equilibrio, evitando di commettere errori che potrebbero causargli guai seri. Particolare attenzione occorre prestare qualora nello stabile vi siano condòmini morosi.

Sul punto, il Garante per la privacy (vademecum del 2013) è stato risoluto: l'amministratore non può in nessun caso pubblicare sulla bacheca condominiale i dati e le generalità dei condòmini morosi così come non può comunicare a terzi (non interessati) l'importo del debito di altri partecipanti al condominio. La morosità, al contrario, può essere comunicata agli altri partecipanti al condominio in sede di assemblea, solitamente in occasione dell'approvazione del rendiconto annuale.

Per meglio dire, per quanto concerne la comunicazione dei nominativi dei morosi occorre distinguere due ipotesi: l'informazione data agli altri condomini e l'informazione data ai fornitori quali terzi estranei al condominio. In linea generale bisogna chiarire che tutti i condomini hanno diritto di sapere se, all'interno della compagine condominiale, vi sono o meno dei morosi e chi sono. Ciò significa che, in ogni momento, - anche durante l'assemblea – l'amministratore è tenuto a comunicare chi sono i morosi se ciò gli viene richiesto senza che, tale esternazione, debba essere considerata una violazione della privacy. Occorre, tuttavia, evidenziare che qualora in assemblea siano presenti soggetti terzi l'amministratore, ai fini della tutela del diritto alla privacy del moroso, è tenuto a comunicare tale informazione in altra sede (il nuovo art. 63 disp. att. c.c. prevede che l'amministratore "è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condòmini morosi").

Dunque, affermare che una persona è inadempiente ai pagamenti non equivale ad offenderla. E informarsi, in assemblea di condominio, quali siano i proprietari che non pagano gli oneri è pienamente legittimo e l'amministratore è tenuto a rispondere, anche se davanti a tutti gli altri condomini. Ma se viene dato del “moroso” ad una persona, in presenza di terzi, è diffamazione.

A questa particolare conclusione è giunta la Cassazione. Secondo i giudici, la critica nei confronti di un condomino può legittimamente estrinsecarsi all'interno di un'assemblea condominiale o nei rapporti con l'amministratore, ma di certo non può legittimare affermazioni offensive (Cass. civ. sez. V, 11 novembre 2014, n. 46498. In tale precedente è stata confermata la condanna nei confronti dell'imputato che aveva accusato la persona offesa di essere un condomino moroso e abituato a non pagare le proprie quote condominiali; nella specie non sussisteva il diritto di critica: da un lato, la parte lesa aveva ammesso di non aver pagato le spese condominiali, ma semplicemente perché a sua volta era in credito con il condominio, il che escludeva la sua morosità, e dall'altro, il diritto di critica deve essere esercitato nel giusto contesto).

Allo stesso modo commette reato l'amministratore che, per puro pettegolezzo e non perché sollecitato dai condomini, comunica a terzi – estranei alla compagine condominiale – l'inadempimento del condomino alle spese condominiali (Cass. civ.,ord., 5 settembre 2019, n. 22184. In tal vicenda, il difensore dell'amministratore, con la sua approvazione, aveva inviato una serie di lettere a vari enti locali contenenti, tra l'altro, la comunicazione che la persona giuridica/condomina era inadempiente al pagamento delle spese condominiali. Per tali motivi, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza che li condannava al pagamento di una somma di denaro, quale risarcimento del danno alla parte lesa).