Anche la nullità della notificazione telematica impedisce la tempestiva ulteriore rinnovazione dell'incombenza ex art. 291 c.p.c.

Andrea Ricuperati
04 Novembre 2019

La notificazione telematica di un atto (o provvedimento) processuale, eseguita ad un indirizzo PEC errato (in quanto attualmente non riferibile all'effettivo destinatario), è nulla e la sua invalidità – se verificatasi in sede di rinnovazione – preclude di reiterare ulteriormente la notifica.
Massima

La notificazione telematica di un atto (o provvedimento) processuale, eseguita ad un indirizzo PEC errato (in quanto attualmente non riferibile all'effettivo destinatario), è nulla e la sua invalidità – se verificatasi in sede di rinnovazione – preclude di reiterare ulteriormente la notifica.

Il caso

Tizio proponeva dinanzi alla Corte d'Appello di Perugia rituale opposizione avverso il decreto di rigetto della sua domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo (l. n. 89/2001).

Poiché nessuna delle parti era comparsa alla prima udienza del 7 marzo 2016, la causa veniva differita d'ufficio al 4 luglio 2016, quando la Corte – su istanza del difensore del ricorrente – assegnava a quest'ultimo nuovo termine sino al 30 settembre 2016 per notificare al Ministero della Giustizia l'atto introduttivo col decreto di fissazione d'udienza ed il pedissequo verbale, all'uopo rinviando il procedimento al 7 novembre 2016.

Tale notifica era effettuata in data 19 settembre 2016 con modalità telematica, all'indirizzo PEC dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, che peraltro si rivelava “errato in quanto non aggiornato”.

Nell'udienza del 7 novembre 2016 il legale di Tizio chiedeva – ed otteneva – ulteriore termine per reiterare la notifica in questione, stavolta assolvendo l'incombenza all'esatto indirizzo PEC dell'Avvocatura.

In occasione della successiva udienza (tenutasi il 6 febbraio 2017), la difesa erariale si costituiva eccependo l'estinzione del giudizio ex art. 307, terzo comma, c.p.c.: eccezione, questa, accolta dalla Corte d'Appello.

Tizio interponeva ricorso per cassazione contro detto provvedimento, negando sussistere gli estremi per la declaratoria di estinzione del processo ed a tal fine affermando di aver correttamente eseguito tutte le notifiche disposte dall'autorità giudiziaria.

La questione

Il Supremo Collegio si è chiesto se – una volta ordinatana la rinnovazione – la nullità di tale (rinnovata) notifica impedisca o meno l'ulteriore reiterazione dell'incombenza de qua.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha fornito risposta positiva al quesito, sostenendo che:

  • il termine assegnato dal giudice, a norma dell'art. 291 c.p.c., per rinnovare la notificazione dell'atto introduttivo del processo ha natura perentoria;
  • l'art. 153 c.p.c. consente la proroga di un termine perentorio soltanto quando l'inosservanza di tale termine non sia imputabile alla parte (che dunque otterrà di essere rimessa in termini);
  • nella fattispecie non è stato neppure dedotto che l'esecuzione della notifica ad un indirizzo PEC erroneo dipendesse da “fatti che il ricorrente non era in condizione di conoscere”;
  • il principio della scissione degli effetti della notificazione telematica (secondo cui per il notificante rileva la ricevuta di accettazione del messaggio di posta elettronica certificata, mentre per il destinatario conta la ricevuta di avvenuta consegna) s'appalesa qui inconferente, perché nella vicenda in esame non è in discussione il perfezionamento della notifica, bensì la sua validità, viziata dall'inesattezza dell'indirizzo PEC utilizzato;
  • la Corte territoriale, dunque, non avrebbe dovuto – nell'udienza del 7 novembre 2016 – concedere un ulteriore termine per rinnovare la notificazione di atto introduttivo, decreto e verbale; ma correttamente essa ha dichiarato estinto il processo per i motivi sopra enunciati.

Alla luce dei suestesi rilievi, il gravame di Tizio è stato respinto (senza pronuncia in punto spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva).

Osservazioni

L'ordinanza in commento – il cui dispositivo appare ineccepibile – non chiarisce con precisione le ragioni per le quali l'indirizzo PEC dell'Avvocatura dello Stato perugina, utilizzato in sede di prima rinnovazione della notifica, fosse errato, limitandosi a parlare di “non aggiornamento” del medesimo; dalla motivazione del provvedimento della Corte di Cassazione sembra di poter evincere che la casella di posta in parola fosse funzionante (altrimenti il Supremo Collegio non avrebbe affermato che “la notifica telematica del 19 settembre 2016 si sia perfezionata”).

Probabilmente, allora, la notificazione censurata dalla Corte quale causa dell'estinzione del processo è stata effettuata ad un indirizzo che, pur continuando a rimanere attivo, non figurava (più) incluso nel novero dei pubblici elenchi contemplati dall'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012 (conv. in legge con modifiche dalla l. n. 221/2012): ossia il cd. ReGInDE (Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), l'Indice nazionale (non ancora creato dall'AgID) dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione negli albi professionali o nel Registro delle imprese (art. 6-quater del d.lgs. n. 82/2005 [cd. codice dell'amministrazione digitale]), il Registro delle pubbliche amministrazioni (previsto dall'art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 cit.), il Registro delle imprese e l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR, peraltro al momento non completata), nonché l'INI-PEC (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, ex art. 6-bis d.lgs. n. 82/2005), quest'ultimo – al pari dei precedenti – a buon diritto pienamente utilizzabile, i tre provvedimenti di segno contrario del Supremo Collegio (Cass. civ., nn. 24160/2019, 24110/2019 e 3709/2019), resi in palese spregio del chiaro dettato normativo, essendo il frutto di un evidente abbaglio (l'INIPEC è stato confuso col ben diverso IPA, alias Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi, disciplinato dall'art. 6-ter del CAD, il quale non figura richiamato dal summenzionato art. 16-ter del d.l. n. 179/2012; ad esso si può validamente attingere solo per le notificazioni nell'àmbito del processo tributario telematico).

L'art. 3-bis, comma 1, della legge n. 53/1994 prescrive che le notificazioni telematiche in materia civile e stragiudiziale debbono avvenire ad uno degli indirizzi PEC inseriti all'interno dei suindicati pubblici elenchi; e l'art. 11 della stessa legge sanziona con la nullità – rilevabile d'ufficio – il mancato rispetto di una delle disposizioni ivi contenute.

Il principio ha trovato espressa conferma, da ultimo, in una serie di recenti ordinanze della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. II, n. 9918/2019; Cass. civ., Sez. II, n. 9914/2019; Cass. civ., Sez. VI, n. 9562/2019; Cass. civ., Sez. VI – Lav., n. 13224/2018); si è poi avuto modo di puntualizzare, in una vicenda analoga a quella in commento, che “la mera disponibilità da parte dell'Avvocatura dello Stato di altri indirizzi di posta elettronica certificata ad essa intestati presso ciascuna sede, e destinati ad usi diversi, non consente di declassare a mera irregolarità la trasmissione ad un indirizzo diverso da quello risultante dal Reginde, la quale, equivalendo all'inosservanza delle disposizioni riguardanti la persona cui dev'essere consegnata la copia dell'atto, comporta, ai sensi dell'art. 160 c.p.c., la nullità della notifica” (Cass. civ., Sez. VI - 1, n. 11574/2018).

È lecito presumere che sarebbe bastata l'ordinaria diligenza per individuare – attraverso la consultazione, verosimilmente, del ReGInDE o del Registro PP.AA. – l'indirizzo PEC aggiornato dell'Avvocatura dello Stato di Perugia: per cui l'inescusabilità dell'errore (con la conseguente inapplicabilità della rimessione in termini, di cui al capoverso dell'art. 153 c.p.c.) non può nella fattispecie essere seriamente revocata in dubbio.

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