Dies a quo per esercitare azione di responsabilità contro i magistrati: la questione è rimessa al Primo Presidente
08 Novembre 2019
Il caso. Una società di diritto tedesco conviene in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti dall'esercizio delle funzioni giudiziarie a seguito di una vicenda complessa di natura tributaria; in particolare, chiedeva l'accertamento della responsabilità dello Stato per colpa grave a carico di cinque magistrati componenti il Collegio della Suprema Corte. La società aveva infatti ricevuto due avvisi di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate che risultavano però fondate su presupposti errati, tanto che il ricorso era stato accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale e poi confermato da quella Regionale. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate proponevano ricorso in cassazione contro la sentenza d'appello e la Suprema Corte accoglieva il ricorso, dichiarando inammissibili per tardività i ricorsi proposti a suo tempo dalla società dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale. Questa decisione era però manifestamente errata, dal momento che nel contro riscorso era stato rilevato che non fosse ravvisabile alcuna tardività, stante la sospensione del termine per l'impugnazione conseguente alla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione, la cui prova risultava agli atti. La società straniera dunque, convinta che la decisione della Suprema Corte fosse fondata su di un errore di fatto, proponeva ricorso per revocazione, ricorso che la Cassazione considerò tuttavia inammissibile, nella convinzione che non si potesse ritenere la decisione impugnata viziata da un errore di fatto, semmai da uno di diritto. Divenuta irrevocabile la prima sentenza, la società straniera versò la somma dovuta per chiudere il debito tributario (pari a 25 milioni di euro) rivolgendosi ancora una volta alla Suprema Corte.
I precedenti conformi. I giudici della Terza Sezione, investiti della questione, dichiarano che la Corte d'appello aveva ritenuto inammissibile la domanda per tardività richiamando una recente ordinanza della Suprema Corte che postula che in tema di responsabilità civile dei magistrati, l'azione di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie è tardiva se è proposta decorsi due anni dalla data della sentenza della cassazione, nonostante la proposizione di revocazione ex art. 391-bis c.p.c., che non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione. La stessa pronuncia aveva chiarito che la revocazione, pur essendo di norma un mezzo ordinario di impugnazione, non lo è più se rivolta contro una sentenza di cassazione, e ciò anche per ragioni pratiche costituite dalla esigenza di una «non remota ed impervia formazione di giudicato».
Tale ordinanza era stata pronunciata in relazione ad un caso nel quale la prima pronuncia della Corte Suprema era stata proprio di rigetto del ricorso e il medesimo principio di diritto, applicato in quel caso, era stato confermato anche in un'altra recente ordinanza delle Sezioni Unite, che si era occupata di una ipotesi in tutto simile a quella della società tedesca atteso che la prima delle due pronunce emesse dalla Corte di cassazione (e oggetto dell'azione di responsabilità) era stata una Cassazione con decisione nel merito. Tuttavia, i Giudici riconoscono che le Sezioni Unite all'epoca erano state chiamate a risolvere tutt'altro problema e che l'aver ribadito il principio di diritto suindicato appariva piuttosto come un semplice passaggio logico finalizzato a dimostrare che l'azione di responsabilità civile era stato in quel giudizio tempestivamente proposta.
I precedenti difformi. La Cassazione ricorda poi che sono ravvisabili altre pronunce che, pur affrontando la medesima questione, hanno deciso in senso opposto. In particolare, una pronuncia risultava aver affrontato, seppur incidentalmente, il problema del decorso del termine, decidendo nel senso di ritenere giustificabile il ricorso per revocazione contro una sentenza della corte di cassazione, pur nel caso in cui la revocazione fosse stata dichiarata inammissibile, e quindi ritenendo possibile lo spostamento della decorrenza del termine per l'esercizio dell'azione di responsabilità del magistrato. Condicio sine qua non è che però tale impugnazione dichiarata inammissibile sia quantomeno teoricamente giustificabile, per essere stata proposta sulla base di un plausibile errore nell'interpretazione della legge.
Il caso di specie. Nel caso di specie, poi si sottolinea che la prima delle due pronunce dalle quali si dipana il ricorso della società straniera per la responsabilità civile dei magistrati non ha respinto il ricorso né cassato la sentenza impugnata con rinvio, bensì l'ha cassata con decisione della causa nel merito. Tale ipotesi non risulta espressamente regolata né dal comma 5 dell'art. 391-bis c.p.c., ove si fa riferimento al passaggio in giudicato della sentenza impugnata per ricorso per cassazione respinto, né dal successivo comma 6, ove si fa riferimento all'ipotesi di cassazione con rinvio.
Rimessione al Primo Presidente. Il Collegio, pertanto, ha rimesso l'esame del ricorso al Primo Presidente affinché dia risposta al seguente quesito: proposto ricorso per revocazione avverso una sentenza della Corte di cassazione la quale, accogliendo il ricorso abbia erroneamente cassato la sentenza impugnata e deciso nel merito, il termine di decadenza per proporre l'azione di responsabilità civile contro l'operato dei magistrati decorre della decisione di merito da parte della Corte di cassazione ovvero dalla decisione sul ricorso per revocazione?
*Fonte: www.ridare.it
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