L'esito positivo della messa alla prova dell'evasore fiscale è incompatibile con la confisca per equivalente. Ma nei casi di confisca diretta?

16 Dicembre 2019

on l'espressione confisca per equivalente si intende far riferimento al provvedimento ablatorio che viene assunto a seguito di condanna per determinati reati e...
Massima

In tema di reati tributari, in caso di pronuncia di estinzione del reato fiscale per esito positivo della messa alla prova disposta nei confronti dell'imputato, non essendo tale declaratoria estintiva del reato equiparabile alla pronuncia di una sentenza di condanna, alla adozione della stessa non può seguire la confisca del profitto nella forma per equivalente.

Il caso

In sede di merito nei confronti di un imputato per il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 perché estinto per esito positivo della messa alla prova, disponendo al contempo la confisca per equivalente di quanto in sequestro preventivo.

La decisione veniva impugnata per cassazione, per violazione degli artt. 168-bis, 168-ter c.p., in relazione all'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, lamentandosi in particolare che la confisca disciplinata da quest'ultima previsione potrebbe essere disposta soltanto con la sentenza di condanna o di applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., non anche con quella di estinzione del reato emessa ai sensi degli artt. 464-septies c.p.p. e 168-ter c.p.

La questione

Con l'espressione confisca per equivalente si intende far riferimento al provvedimento ablatorio che viene assunto a seguito di condanna per determinati reati ed in relazione a cose che non rappresentano il profitto o il prezzo del reato commesso, bensì con riferimento a beni o altre utilità nella disponibilità del colpevole e di valore corrispondente – il cosiddetto tantundem – al prezzo o al profitto del reato

Quanto alla natura della confisca per equivalente, è palese che tale istituto ha una natura afflittiva e general-preventiva, affatto diversa dal perseguimento delle finalità special-preventive, legate ad una qualche pericolosità oggettiva del bene confiscato, che rappresentano invece l'obiettivo cui tende l'istituto della confisca disciplinato dall'art. 240 c.p., che proprio per tale motivo ha ad oggetto cose attinenti al reato commesso. La confisca in discorso, infatti, costituisce una misura ablativa di carattere sanzionatorio – una “forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti”, la definisce la giurisprudenza (Cass., sez. VI, 29 marzo 2006, Lucci, in Mass. Uff., n. 234739) -, la quale, attraverso la previsione della possibilità di procedere anche “per equivalente”, è effettivamente idonea a privare il reo di un qualunque beneficio sul versante economico derivante dalla commissione del reato, risultando in tal modo consentito di superare gli ostacoli o le difficoltà che altrimenti potrebbero verificarsi per l'individuazione degli specifici beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, soprattutto allorquando si tratti di beni fungibili o di beni trasformati o reimpiegati dal trasgressore, rispetto ai quali risulti comunque indimostrabile il nesso di derivazione causale (anche solo indiretto) dal reato (sulla ratio di tale previsione ex multis, sul punto ALESSANDRI, La confisca nel diritto penale, in Dig. Disc. Pen., vol. IV, Torino, 1989, 39 ss.; ID., Criminalità economica e confisca del profitto, in AA.VV, Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano 2006, 2103; MUSCO, Misure di sicurezza, in Enc. Dir., Agg. I, Milano, 1997, 776; GIALANELLA, Patrimoni di mafia. La prova, il sequestro, la confisca, le garanzie, Napoli 1988; MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali fra funzionalità e garantismo, Torino 2001).

In sostanza, come già accennato, laddove non fosse prevista la particolare ipotesi di confisca per equivalente, nella maggior parte dei casi risulterebbe di fatto impossibile eseguire la misura ablatoria, “per la materiale impossibilità di individuare ex post, nel patrimonio del trasgressore, proprio quei beni che costituiscono il prezzo o il profitto dell'illecito, vuoi perché, per lo più, già confusi nel compendio complessivo del patrimonio (l'ipotesi tipica è quella del denaro, bene fungibile per eccellenza), vuoi perché, comunque, reinvestiti, trasferiti o, più in generale, reimmessi nel circuito economico da parte del trasgressore, con modalità tali da impedire la dimostrazione del collegamento originario con il reato”. Rispetto a tali problematiche, la confiscabilità del cosiddetto tantundem rende irrilevante la sorte del profitto o del prezzo del reato, proprio perché per procedere a confisca per equivalente è sufficiente individuare nel patrimonio del trasgressore altri beni – diversi per l'appunto da quelli costituenti il profitto o il prezzo dell'illecito – sui quali disporre la misura ablatoria: questo altresì spiega perché la confisca obbligatoria per equivalente non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato (Cass., Sez. VI, 19 gennaio 2005, Nocco, in Mass. Uff., n. 231604) e può avere ad oggetto anche i beni acquisiti al patrimonio dell'indagato in epoca precedente all'entrata in vigore della norma che ha introdotto la confisca per equivalente (Cass., sez. III, 1 ottobre 2019, n. 40071).

Nell'ambito del diritto penale tributario, l'istituto della confisca per equivalente è divenuto operante, grazie alla previsione contenuta nel comma 143 dell'art. 1 l. n. 244 del 2007, in relazione a gran parte dei reati tributari, ed in particolare con riferimento alle fattispecie di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. Successivamente, in occasione della riforma del 2015, il legislatore ha introdotto nel decreto n. 74 del 2000 un nuovo articolo 12-bis il quale disciplina per l'appunto l'istituto della confisca, anche per equivalente, con riferimento ai reati tributari.

Per certi aspetti questa disposizione non presenta profili di novità, giacché il primo comma - a norma del quale “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti … per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto” - sostanzialmente rappresenta una riformulazione, che non ne modifica la portata, della preesistente disciplina in tema di confisca per i reati tributari, sostituendo l'attuale rinvio all'art. 322-ter c.p. con una diretta esplicitazione del comando normativo inserito all'interno del testo in tema di illeciti fiscali. In sostanza, per la parte cui si è fatto ora riferimento, la nuova disposizione ha una finalità di razionalizzazione sistematica, giacché, in tal modo, viene ricondotta nell'ambito del decreto legislativo n. 74 del 2000 la disposizione definita “extravagante” finora contenuta nel citato articolo 1, comma 143.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato accolto ritenendosi sussistente la violazione dell'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000. Infatti, secondo la Cassazione, la confisca per equivalente di cui al citato art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per espressa previsione normativa, può essere disposta soltanto con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta, tenuto conto della sua natura tipicamente sanzionatoria penale (e non una sanzione amministrativa accessoria) e perciò, a differenza della confisca quale misura di sicurezza, non può essere disposta con la sentenza ex artt. 464-septiesc.p.p. e 168-ter cod. pen., con la quale è dichiarato estinto il reato per l'esito positivo della prova, salva l'applicabilità, per l'appunto, delle sole sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge.

Sulla base di questa impostazione, la Cassazione ritiene che – posto che, sicuramente, la declaratoria estintiva del reato in conseguenza dell'esito positivo della messa alla prova non può essere in alcun modo equiparata alla pronuncia di una sentenza di condanna, prescindendo dall'accertamento della penale responsabilità (per tutti, Cass., sez. III, 18 luglio 2018, n. 53640) – in caso venga pronunciata la sentenza prevista dagli artt. 464-septiesc.p.p. e 168-ter cod. pen. (ovvero una sentenza che dichiara l'estinzione del reato) non sia possibile disporre la confisca del profitto nella forma per equivalente

Osservazioni

La sentenza della Cassazione è senz'altro condivisibile con riferimento alla massima ricavabile dalla stessa, ma lasciano residuare un significativo dubbio circa la sua portata applicativa. Ma andiamo con ordine.

Che non possa adottarsi la confisca per equivalente – misura, come detto più volte ed ormai indiscusso, tanto è vero che non è possibile una sua applicazione retroattiva – in caso di pronuncia di estinzione del reato a seguito di messa alla prova è conclusione che discende dalla natura di tale decisione che non presuppone alcun accertamento in ordine alla responsabilità dell'indagato, come dimostrato dalla circostanza che analoga conclusione è stata assunta con riferimento alla sanzione rappresentata dall'ordine di demolizione (per tutti, Cass., sez. III, 18 luglio 2018, n. 53640. In dottrina, SCARCELLA, L'estinzione del reato per messa alla prova blocca la demolizione, in Urb. Appalti, 2018, 266).

Ciò che la sentenza non dice però è se tale conclusione valga solo con riferimento alla confisca per equivalente o anche con riferimento alla confisca in via diretta. Se infatti all'esito positivo della messa alla prova non può seguire, come detto, l'adozione della confisca per equivalente, stante la natura sanzionatoria di tale provvedimento e l'assenza di un riconoscimento di responsabilità nella decisione di estinzione del reato, c'è da chiedersi se analoga conclusione vada assunta anche quando si proceda a confisca (non per equivalente, ma) in via diretta, quando cioè il provvedimento ablatorio abbia ad oggetto proprio il profitto ricavato dal reo, ed in particolare le somme di denaro, dalla sua attività delittuosa e ciò in quanto – secondo l'insegnamento delle sezioni unite (Cass., sez. un., 30 gennaio 2014, Gubert, in Mass. Uff., n. 258647. In dottrina si vedano a commento, CORSO, Reato non presupposto di responsabilità amministrativa e limiti del sequestro/confisca nei confronti dell'ente, in Giur. It, 2014, 990; SOANA, Le Sezioni Unite pongono limiti alla confisca nei confronti delle persone giuridiche per i reati tributari, in Riv. Giur. Trib., 2014, 388; CARDONE – PONTIERI, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni della società per delitti tributari commessi dal legale rappresentante, in Riv. Dir. Trib., 2014, 3, 53; SANTORIELLO, Confiscabilità “limitata” dei beni della società per i reati commessi dall'amministratore, in questa Rivista, 2014, 13, 1255) – tale disposizione ablatoria non ha natura sanzionatoria - ed infatti, come per l'appunto detto dalla citata decisione delle Sezioni Unite, può interessare anche il profitto ricavato da una persona giuridica dalla condotta di evasione tenuta dal relativo amministratore, responsabile criminale dell'illecito in sede penale.

Detto altrimenti, se correttamente si sostiene vi sia incompatibilità fra la sentenza che dichiara l'estinzione del reato per la conclusione favorevole della procedura di messa alla prova e confisca per equivalente, in ragione del carattere sanzionatorio di tale misura ablatoria, può fondatamente dubitarsi che tale incompatibilità vada mantenuta ferma quando la confisca sia diretta e vada ad attingere direttamente, nei conti dell'evasore (o eventualmente della società, quando sia quest'ultima ad essere stata favorita dalla condotta criminale del suo dirigente), le somme di denaro rappresentati il profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta: in questo caso, infatti, non la confisca non assume natura punitiva ma – almeno seguendo l'impostazione assunta più volte dalle Sezioni Unite – colpisce proprio il medesimo profitto conseguente alla realizzazione dell'illecito andando a privare il responsabile del delitto del guadagno ingiusto che lo stesso ha ottenuto, ricostruendo così l'ordine economico perturbato dal reato e che ha determinato una illegittima locupletazione per il contribuente infedele.

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