Vietata l’applicazione stereotipata ed automatica delle tabelle milanesi se questo sacrifica i diritti personalissimi
19 Dicembre 2019
IL CASO. Ricorreva in giudizio presso la Suprema Corte un uomo il quale lamentava l'erroneità della sentenza della competente Corte d'Appello la quale aveva respinto il riesame avverso la pronuncia del tribunale che aveva condannato la propria controparte al pagamento di oltre € 20.000,00, quale ristoro del danno non patrimoniale dal medesimo subìto a causa di un morso di ‘selvaggia ferocia' all'orecchio sinistro che anni addietro, nel corso di un diverbio accesosi durante una partita amatoriale di calcio, gli era stato dato dal convenuto, morso talmente violento da provocare al malcapitato il distacco parziale del lobo superiore sinistro. Il ricorso alla Suprema Corte avviene con deduzione di un unico motivo e, precisamente, del vizio di violazione di legge poiché i giudici di merito nel liquidare il danno alla persona -secondo la tesi del ricorrente - non avrebbero correttamente valutato il danno morale ed esistenziale che ne è conseguito, avendo valutato il danno biologico indicato nei baréme delle tabelle milanesi, le quali inglobano il danno morale entro una certa misura media, tenendo conto della media degli eventi che provocano le dette lesioni, mentre al contrario gli stessi avrebbero dovuto valutare il particolare disagio in termini di ansia, sofferenze psichiche e senso di prostrazione conseguenti all'aggressione ed alla mutilazione subìta in giovane età, che aveva cambiato profondamente la capacità del leso di relazionarsi con gli altri, tutti elementi provati mediante testimonianze rese in corso di giudizio.
LIQUIDAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE. La Suprema Corte in proposito conferma, prima di tutto, la bontà dell'orientamento che fino ad oggi ha ritenuto che nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative, e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, sia condivisibile il ricorso ai parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano successivamente all'esito delle pronunce delle Sezioni Unite dell'anno 2008, in quanto determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di danno morale, la quale nei sistemi tabellari precedenti veniva invece liquidata separatamente; mentre nella versione tabellare successiva all'anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia – continua la Cassazione- è altresì condiviso il fatto che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, tenendo conto della percentuale media considerata di danno morale, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza delle peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (rectius più ricca) considerazione in termini monetari. Inoltre, la Suprema Corte osserva come - in linea con tale impostazione - anche in altre circostanze sia stato chiarito che qualora il giudice procede alla liquidazione equitativa, in applicazione delle tabelle predisposte al Tribunale di Milano, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizza per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborati in astratto in base alle oscillazioni ipotizzabili in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit. Tutto ciò premesso, la Cassazione osserva che nel caso di specie il Tribunale - nell'applicare le tabelle milanesi - ha liquidato il danno alla persona con il metodo cd. tabellare in relazione a un baréme medico-legale del 10% che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ‘ordinarie' che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona, sull'assunto che esso possa essere incrementato in via di personalizzazione in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali che, nel caso di specie, sono state tempestivamente allegate e provate dal danneggiato e che rendono evidente che il danno subìto sia più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado, sofferte da persone della stessa età e condizione di salute. Sul punto la parte ricorrente, infatti, ha insistito nell'assumere che il Tribunale, e la Corte d'Appello, avrebbero dovuto valutare l'obiettiva sofferenza e patemi d'animo e le difficoltà relazionali che un'altra persona, con la stessa menomazione fisica, non avrebbe in ipotesi parimenti sofferto e ciò proprio in virtù delle peculiarità del caso in contesa. Ed in argomento, la censura del ricorrente riporta una serie di circostanze integranti profili soggettivi di ansia, preoccupazione, turbamento e dispiacere, collegati al pregiudizio fisico e collegati al particolare fatto illecito subìto quali: (1) la violenza inaudita di cui il danneggiato era stato vittima (aggressione violenta con presa dalle spalle); (2) la scena del volto sanguinante del malcapitato che disperatamente cercava di frenare il copioso flusso ematico, ricercando sul terreno di gioco il pezzo di orecchio staccato; (3) la estenuante trafila di visite mediche e di interventi chirurgici nel vano tentativo di limitare il danno estetico; (4) l'accertata incidenza della vicenda nella quotidianità.
IL DICTUM DELLA CORTE DI CASSAZIONE. Sulla scorta di tutte queste osservazioni, effettivamente risultanti dal materiale probatorio, la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassando la pronuncia della Corte d'Appello competente e rinviandola alla stessa, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del procedimento del giudizio di legittimità. Infatti, per i Giudici la valutazione della fattispecie realizzata dal Tribunale e condivisa dalla Corte territoriale, ai fini della commisurazione del danno secondo equità entro i parametri di una corretta valutazione equitativa, non risulta essere stata svolta con la necessaria accuratezza, soprattutto in riferimento alle circostanze e modalità con cui si è verificata la lesione volontaria che presenta particolarità tali da richiedere una separata, o comunque adeguata, valutazione del danno morale derivatone, riguardando un fatto di violenta aggressione fisica con correlata testimonianza di cambiamento dello stile di vita, psicologicamente rilevante, non comparabile alla sofferenza psicologica derivante - ad esempio - da un distacco dell'orecchio subìto a causa di uno scontro, di origine colposa e non dolosa, tra persone nel corso di una partita di calcio o di un'altra attività sportiva. Per questi motivi, per la Cassazione la valutazione è risultata stereotipata nonché frutto di un automatismo risarcitorio non voluto neanche dal legislatore che, pertanto, alla luce dei suddetti criteri deve essere diversamente svolta, dovendo risultare nella motivazione ‘se' e ‘come' il giudice abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un integrale risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato.
(FONTE: dirittoegiustizia.it)
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