Il fine vita. L’Italia e la Francia verso un approccio divergente dell’assistenza al suicidio
30 Gennaio 2020
Il 18 luglio scorso, il Professor Maurizio Mori, docente di filosofia morale e bioetica all'Università di Torino, ha firmato il rapporto intitolato “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito” (Comitato Nazionale di Bioetica, http://bioetica.governo.it/media/3785/p135_2019_parere-suicidio-medicalmente-assistito.pdf), redatto dal Comitato Nazionale di Bioetica (CNB), sotto l'egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La parte introduttiva del documento presenta già la consapevolezza che il tema trattato sia accompagnato e seguito da «orientamenti difformi sia all'interno dello stesso Comitato, sia nella società». Il punto chiave, presupposto indispensabile alla riflessione, è la necessità di avvicinare concetti opposti quali la «salvaguardia della vita umana da un lato, e dell'autonomia e dell'autodeterminazione del soggetto dall'altro». Il Comitato identifica nell'espressione di “eutanasia omissiva” la sospensione o la non attivazione di terapie specifiche, a seguito della decisione del paziente. Un tale atteggiamento, riporta il testo, equivale, secondo taluni, a un'eutanasia tout court o a vero e proprio un suicidio assistito, argomentando che il risultato ottenuto, il decesso del paziente, è il medesimo. A questa riflessione fa seguito la distinzione, espressa da altri, tra il lasciar morire e favorire il decesso di un individuo. Si tratta di due concetti diversi, dal punto di vista della responsabilità morale, prima che giuridica. Viene altresì ricordato come, nell'ordinanza del 14 febbraio 2018, la Corte d'Assise di Milano s'interrogasse sulla legittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice Penale, che tratta dell'istigazione o dell'aiuto al suicidio. Si tratta del caso di Fabiano Antoniani, ampiamente presentato dai media, che ha spinto ulteriormente il dibattito italiano sul suicidio assistito. In particolare, la Corte sottolinea «la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p.». Due sono i passaggi dell'articolo che interessano i magistrati. Un primo, ove si incriminano «le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione», e un secondo, in cui si sanzionano «le condotte di agevolazione dell'esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell'aspirante suicida» (1a Corte d'Assise di Milano, ord. 14 febbraio 2018; 1/18, R.G. 11/17, p. 16). Nel suo elaborato, il Comitato Nazionale di Bioetica cita tuttavia anche l'art. 579 del medesimo codice, parimenti fondamentale nella lettura del soggetto trattato. Si tratta dell'articolo che sanziona colui che “cagiona la morte di una persona col consenso di quest'ultima. Il testo precisa che «si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso», tra i vari casi, «contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti». Il distinguo è d'obbligo per corroborare giuridicamente la distinzione, operata dal CNB, tra eutanasia, riconducibile all'art. 579, e suicidio assistito, più facilmente identificabile con l'art. 580. Fatte queste necessarie premesse, appare importante sottolineare come il CNB abbia fornito un parere sull'argomento, le cui conclusioni si traducono in una serie di raccomandazioni per eventuali dibattiti, in sede parlamentare e non, senza peraltro dare un avviso dicotomico sull'assistenza al suicidio. L'alto consesso ha fornito quindi delle indicazioni e delle raccomandazioni per le riflessioni future e le eventuali decisioni a venire, anche a livello giudiziario. Dal parere espresso dall'alto consesso, molti sono i dibattiti che si sono succeduti e che hanno mostrato come le differenze di vedute all'interno del Comitato etico si rispecchiassero poi nei media, nella politica e nella popolazione più in generale. Il tutto si è recentemente assestato nel momento in cui, il 25 settembre scorso, la Corte Costituzionale, ha stabilito che «chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» non è sanzionabile ai sensi dell'art. 580 del Codice Penale. I media hanno ampiamente pubblicato gli elementi salienti emersi dall'analisi dell'Alta Corte. In particolare, «la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente» (Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2019; https://www.ilsole24ore.com/art/dj-fabo-consulta-marco-cappato-non-punibile-AC8Zbsm?refresh_ce=1). Questa decisione apre la strada ad analoghe prese di posizione che potranno avvalersi di tale giurisprudenza e, d'altro canto, come auspicato e atteso da più parti, a una vera legislazione in merito. Benché, come vedremo meglio in seguito, taluni Paesi europei abbiano già legiferato in favore di pratiche come l'eutanasia e l'assistenza al suicidio, altri, tra cui la Francia, sono ancora reticenti a spingersi più in là nella presa in carico del fine vita con simili azioni. La realtà transalpina è spesso precoce nel tradurre in legge e regole le tendenze popolari o giurisprudenziali, acquisite o in fase di acquisizione. Basti pensare alla legge Kouchner del 4 marzo 2002 e alla legge Leonetti del 22 aprile 2005, di cui la legge Gelli del marzo 2017 e la legge n. 219 del 22 dicembre 2017 non sono che un tardivo richiamo. Tuttavia, nell'ambito dell'eutanasia, o piuttosto dell'assistenza al suicidio, la situazione francese è simile a quella italiana o, per essere più precisi, lo era fino alla decisione della consulta del 25 settembre scorso. La legge 370 del 22 aprile 2005 (LOI n. 2005-370 du 22 avril 2005 relative aux droits des malades et à la fin de vie), firmata dal recentemente scomparso Jacques Chirac, allora Presidente della Repubblica, sancisce i diritti dei malati in fin di vita. L'art. 1 stabilisce la futilità dell'ostinazione irragionevole di trattamenti inutilmente amministrati a un paziente. Vi sono poi articoli che trattano specificamente delle disposizioni anticipate o delle cure palliative, soggetti già trattati dal legislatore prima del 2005, ma che la legge Leonetti rivede e perfeziona. Il testo iniziale ha subito una modifica nel 2016 e prende il nome di legge Claeys-Leonetti (Loi n. 2016-87; 2 février 2016). Quest'ultimo provvedimento rafforza le impostazioni del primo, per tentare di risolvere alcune questioni sollevate dalla giurisprudenza dopo il primo testo del 2005. In particolare, le disposizioni anticipate sono dotate di un peso vincolante per il personale sanitario che prende in carico un paziente in fin di vita o portatore di una patologia in fase terminale. L'eccezione a tale regola è rappresentata delle situazioni come l'emergenza vitale o i casi in cui il trattamento appaia manifestatamente inappropriato o non conforme alla situazione medica contingente (Art. 8). Va innanzitutto sottolineato che la questione dell'eutanasia è rapidamente chiusa, in particolare per mezzo dell'art. 38 del Codice di Deontologia Medica dove è chiaramente specificato che il medico non deve provocare la morte. È doveroso ricordare che il Codice deontologico francese, essendo parte integrante del Codice della Sanità Pubblica (Décret n° 95-1000 du 6 septembre 1995 portant code de déontologie médicale ) dal 1995 (Code de la Santé Publique), è legge a tutti gli effetti. La legge Leonetti e la relativa versione aggiornata nel 2016, la Claeys-Leonetti, analizzano e regolano il fine vita senza peraltro annoverare l'assistenza al suicidio. Come per la situazione Italiana, anche la Francia si è confrontata a casi estremamente mediatizzati, in cui persone in vita grazie all'ausilio di presidi medico-chirurgici potrebbero, e spesso vorrebbero, terminare la loro esistenza a seguito dell'interruzione di ogni terapia o aiutato dal personale sanitario con modalità più proattive. L'ultimo caso è quello di Vincent Lambert, paziente mantenuto in vita unicamente grazie ad un'assistenza medica costante, deceduto recentemente dopo la conclusione di un lungo e pesante iter giuridico che opponeva i genitori e la moglie del paziente, con pareri divergenti sull'approccio da adottare verso il congiunto. Il caso Lambert non presenta le caratteristiche di un suicidio assistito ma piuttosto quelle dell'interruzione di un'ostinazione irragionevole delle terapie, cosa che, invariabilmente, ha condotto al decesso del paziente. Vincent Lambert infatti, a seguito di un incidente, è divenuto tetraplegico, posto in coma farmacologico e incapace di esprimere una qualsivoglia decisione. Il paziente non aveva stabilito alcuna disposizione anticipata e non aveva designato alcuna persona di fiducia, in grado quindi di fornire un parere in sua vece. Il caso Lambert è emblematico per tre aspetti. Il primo risiede nell'assenza d'indicazione di una persona di fiducia. Come già sottolineato, l'evoluzione della legge sul diritto del paziente in fine vita ha portato, in Francia, a un rafforzamento delle disposizioni anticipate, che sono ora vincolanti. Il secondo aspetto riguarda i trattamenti amministrati. Il Consiglio di Stato ha infatti cassato, nel 2014, la decisione del tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne che aveva a sua volta rifiutato di considerare presidi terapeutici l'idratazione e l'alimentazione artificiale (Conseil d'Etat; CE ass, 24 juin 2014 n°375081). Il terzo aspetto è rappresentato dal lunghissimo iter giuridico che ha portato a un'ulteriore decisione del Consiglio di Stato (Conseil d'Etat; CE ass, 24 avril 2019 n. 428117) e a due decisioni della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo (CEDH, 5 juin 2015, Lambert et autres c/ France, n° 46043/14 ; CEDH 20 mai 2019, Lambert et autres c/ France, n. 21675/19). Il caso Lambert, benché non rivesta le peculiarità del suicidio assistito, ha tuttavia riacceso il dibattito nell'Hexagone in cui eutanasia e assistenza al suicidio sono state riproposte da più parti, siano esse associazioni di pazienti o membri del parlamento, che rivestono quindi una veste più istituzionale. Nel settembre 2018, alcuni mesi prima della pubblicazione del parere del Comitato Nazionale di Bioetica in Italia, il Comité Consultatif National d'Ethique (CCNE), redige un documento che esamina le questioni sull'eutanasia e sul suicidio assistito (Comité National Consultatif d'Ethique. Etat Généraux, Septembre 2018 https://etatsgenerauxdelabioethique.fr/media/default/0001/01/8a7b70ff460d2e08c49786ec1d4ea7c620fc7329.pdf ). Anche in questo caso, il sostegno a tali pratiche non è manifesto. In particolare, il CCNE indica che le posizioni pro e contro il riconoscimento legittimo di tali presidi sono “inconciliabili” tra loro. Viene ammessa l'esistenza di “un'etica dell'eccezione” da un lato e una reale e fondamentale distinzione tra eutanasie e suicidio assistito dall'altro. In ultima analisi, anche nel caso francese, il Comitato consultativo rimanda al legislatore le successive prese di posizione, per la definizione di un quadro legislativo adeguato e, soprattutto, necessario. Conclusione
La legge Claeys-Leonetti, dalla sua pubblicazione, è stata più volte confutata in quanto poco evoluta rispetto alla versione iniziale del 2005 e, soprattutto, per non prendere in considerazione nuovi approcci del fine vita come l'eutanasia e, oggetto del presente scritto, l'assistenza al suicidio. Un'analisi interessante, esempio fra tanti di questo approccio critico della legge Claeys-Leonetti, è il rapporto pubblicato già il 24 gennaio 2018 da Caroline Fiat, deputata all'Assemblée Nationale (RAPPORT n. 582, sur la proposition de loi relative à l'euthanasie et au suicide assisté, pour une fin de vie digne, par Mme Caroline FIAT, Députée. 24 janvier 2018 http://www.assemblee-nationale.fr/15/rapports/r0582.asp#P244_53282). Il testo riporta come diversi paesi abbiano adottato nel passato leggi ad hoc per regolamentare la pratica dell'eutanasia e/o del suicidio assistito (Belgio, nel 2002, Svizzera nel 1941, Olanda, nel 2001, Lussemburgo, nel 2009). Il documento sottolinea come in questi Paesi, in rapporto al numero totale dei decessi, i casi dovuti all'eutanasia o al suicidio assistito sono minimi, come il 2% in Belgio e il 3,5% in Olanda. Nonostante le varie prese di posizione volte a far evolvere la legislazione francese riguardo al fine vita, il 28 giugno 2018, l'Assemblea Generale Plenaria del Consiglio di Stato si dichiara contraria ad ogni revisione della legge della Clayes-Leonetti su tale argomento. Le motivazioni risiedono nel fatto che l'alto organo dello Stato non auspica la modifica della struttura legislativa che sanziona il suicidio assistito e l'eutanasia, per via del carattere recente della legge, adottata, precisa, dopo un lungo dibattito e con un ampio consenso. Il 24 luglio 2019, il parlamento francese pubblica un progetto legislativo volto a modificare la legge della bioetica (LOI n. 2011-814 du 7 juillet 2011 relative à la bioéthique https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000024323102&categorieLien=id). Il testo non cita il fine vita sancendo quindi, una volta di più, la volontà del legislatore d'oltralpe di mantenere lo status quo su argomenti tanto ampiamente dibattuti quanto importanti dal punto di vista sociale e giuridico quali l'eutanasia e l'assistenza al suicidio. In Italia, il 25 settembre scorso (LOI n. 2011-814 du 7 juillet 2011 relative à la bioéthique https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000024323102&categorieLien=id), la Consulta ha ritenuto «non punibile ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Una volta di più, nonostante le molte similitudini che accomunano i due Paesi, l'Italia probabilmente intraprenderà una strada divergente rispetto all'attitudine attuale francese.
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