Nessuna intermediazione fittizia in danno di RTI e Mediaset spa

Redazione Scientifica
31 Gennaio 2020

Mediaset e Reti Televisive Italiane S.p.a. hanno chiesto al Tribunale di Milano l'accertamento della responsabilità dei convenuti per il reato di appropriazione indebita aggravata, oltre alla responsabilità extracontrattuale con conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Il caso. Mediaset e Reti Televisive Italiane S.p.a. chiedevano al Tribunale di Milano l'accertamento della responsabilità dei convenuti per il reato di appropriazione indebita aggravata, oltre alla responsabilità extracontrattuale con conseguente condanna al risarcimento dei danni. Oggetto della pretesa è il costo dei diritti di sfruttamento televisivo di opere cinematografiche acquisiti da Mediaset e da RTI che, secondo gli attori, è stato indebitamente gonfiato dai convenuti, operanti dietro schermo societario, con imposizione di prezzi artificiosamente elevati al fine di conseguire un illecito profitto.

Interposizione fittizia e appropriazione indebita. Il Tribunale ha dapprima specificato la nozione di interposizione fittizia, come elaborata dalla giurisprudenza di Cassazione, escludendone la sussistenza nel caso di specie. Ed infatti «l'interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all'accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all'intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell'accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell'interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, mentre la mancata conoscenza, da parte di detto terzo, degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui conosciuti) integra gli estremi della diversa fattispecie dell'interposizione reale di persona» (Cass. civ. n. 4738/15).

Passando alla questione della sussistenza del delitto di appropriazione indebita, la sentenza ricorda che, ai sensi dell'art. 646 c.p., la fattispecie punisce colui che si appropri del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso. Tale elemento costitutivo deve essere inteso non in senso civilistico (art. 1140 c.c.), ma secondo la nozione penalistica definita dalla giurisprudenza di legittimità come «l'esercizio sulla cosa di un potere che esula dal diretto controllo di chi vanti sulla medesima res un potere giuridico maggiore». La condotta penalmente rilevante è dunque quella dell'impossessamento, ovvero il compimento di un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria.

Applicando tali principi alla vicenda in esame, il Tribunale ritiene che «manchino gli elementi oggettivi e soggettivi che possano integrare il reato di appropriazione indebita». Ed infatti «un dipendente o un funzionario o un dirigente non ha il possesso, la signoria di fatto sulla cosa (nella specie il danaro) al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di un'altra persona che abbia sulla stessa un potere giuridico maggiore».

In conclusione, «una volta dimostrato che non c'è stata intermediazione fittizia, le somme di denaro pagate dalle società attrici quale corrispettivo delle singole cessioni dei diritti sono state effettivamente trasferite ai convenuti ed alle società dagli stessi controllate o comunque a loro riconducibili». Precisa inoltre la pronuncia che, dal punto di vista civilistico, il rimedio appropriato avrebbe potuto essere l'annullamento del contratto avente ad oggetto l'acquisto di diritti televisivi per dolo incidente ex art. 1140 c.c., domanda che non è però stata avanzata dalle parti e di cui deve essere dichiarata la prescrizione per decorso di 5 anni ex art. 1442 c.c.

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