Attività gratuita dell'Avvocato a fini pubblicitari

13 Febbraio 2020

L'avvocato può offrire gratuitamente la propria attività per farsi pubblicità? La risposta è certamente negativa e lo precisa la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 69 del 22 marzo - 22 giugno 2018 nella quale viene inflitta a sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale…

L'avvocato può offrire gratuitamente la propria attività per farsi pubblicità?

La risposta è certamente negativa e lo precisa la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 69 del 22 marzo - 22 giugno 2018 nella quale viene inflitta a sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale all'avvocato che era incolpato- tra altri capi- “Per aver inviato alla Sig.ra [Mevia], detenuta per espiazione di pena presso la Casa Circondariale di Bologna, offerta di difesa gratuita nell'eventuale processo di revisione, dichiarando di essere “sensibile alla vicenda e di credere in lei”, violando il dovere di colleganza nei confronti dei difensori di fiducia della detenuta, nonché in particolare gli artt. 19 e 22 del Codice Deontologico forense, compromettendo così il prestigio dell'Ordine Forense. In Roma, dal 30 settembre 2010”.

Il ricorrente a sua difesa sosteneva di aver assunto tale iniziativa per motivi umanitari e di esser scusata formalmente con i difensori della Sig.ra Mevia chiarendo l'equivoco.

In merito il Consiglio Nazionale Forense riteneva evidente, nelle motivazioni della senza sopra citata, il disvalore della condotta dell'avvocato che ignorando e superando i colleghi difensori designati si rivolga al terzo prospettando la gratuità della difesa. “Con ciò gettando sostanzialmente un'ombra sull'operato degli altri avvocati senza aver ricevuto alcun mandato in proposito ma anzi sollecitandolo ed in assenza, ovviamente, dei relativi presupposti: un'indebita intrusione – con sostanziali intenti denigratori – in una pratica altrui che si risolve in un tentativo di acquisizione di clientela attraverso l'offerta di una prestazione ad un determinato soggetto. L'antinomia di un tale comportamento non può essere sottovalutata anche per i suoi effetti sul piano dell'immagine di una categoria i cui componenti paiono contendersi occasioni di visibilità se non di lavoro…”.

Il Consiglio Nazionale Forense ha contestato che l'illecito sopra esposto violasse l'art 37, comma 5, rubricato “divieto di accaparramento di clientela” che prevede al quinto comma: “È altresì vietato all'avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare”. La norma deontologica, dunque, vieta all'avvocato di offrire senza che ci sia stata una specifica richiesta una prestazione personalizzata.

In ordine alla gratuità della prestazione dell'avvocato si era già pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite Civili ritenendo che: “Integra violazione dell'art. 17 del codice deontologico forense e, comunque, illecito disciplinare per non conformità alla dignità ed al decoro della professione forense il fatto di più professionisti, i quali abbiano offerto al pubblico le loro prestazioni con l'apposizione di una vistosa insegna formata dall'acronimo Alt (Assistenza Legale per Tutti) e con la promessa di una prima consulenza legale gratuita” Cassazione civile sez. un., 18/11/2010, n.23287.

Non è però vietato offrire le prestazioni professionali per amicizia, parentela o semplice convenienza che non siano strumentali a violare i minimi tariffari così come precisato dalla Corte di legittimità: “La corte territoriale ha infatti correttamente applicato, fornendo adeguata motivazione, il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui il principio dell'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 sugli onorari di avvocato, non trova applicazione nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché quest'ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa sui minimi di tariffa, ma per ragioni di amicizia, parentela o anche semplice convenienza (Cass. 21 luglio 1998, n. 7144; Cass., 10 aprile 1999, n. 3495; Cass., 27 settembre 2010, n. 20269)” Cassazione civile, sez. VI, 20 luglio 2017, (ud. 07 giugno 2017, dep. 20 luglio 2017), n. 17975.

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