Trojan horse e reati contro la pubblica amministrazione: un parto prematuro

28 Febbraio 2020

In materia di intercettazioni ambientali, per effetto di quanto statuito dall'art. 1, comma 3 della l. 9 gennaio 2019, n. 3 – che ha determinato l'integrale applicazione ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione della speciale disciplina in materia di intercettazione…
Abstract

In materia di intercettazioni ambientali, per effetto di quanto statuito dall'

art. 1, comma 3 della l. 9 gennaio 2019, n. 3

– che ha determinato l'integrale applicazione ai più gravi reati contro la pubblica amministrazione della speciale disciplina in materia di intercettazione per la criminalità organizzata di cui all'

art. 13 d.l. 152

/

199

1

– in difetto di qualunque disciplina transitoria, l'impiego del captatore informatico per tale tipologia di reati è divenuto possibile a partire dal quindicesimo giorno successivo alla entrata in vigore della citata

legge 3

/

2019

(avvenuta il 16 gennaio 2019) e, dunque, a partire dal 1 febbraio 2019.

Il caso

La sentenza annotata, riguardante un procedimento concernente la responsabilità disciplinare di un magistrato, affronta in realtà un problema spinosissimo, vale a dire quello della applicabilità della disciplina del c.d. captatore informatico a reati diversi da quelli di criminalità organizzata, vale a dire a reati con riferimento ai quali la prassi, come si vedrà, ritiene applicabile, sulla base della disciplina contenuta nel testo originario del codice di rito, l'impiego di questo insidiosissimo strumento di indagine.

Nel caso di specie, nell'ambito di un procedimento disciplinare erano stati utilizzati, tra l'altro, elementi acquisiti attraverso intercettazioni eseguite con il captatore informatico applicato sul dispositivo di un magistrato, sottoposto ad indagini per reati contro la pubblica amministrazione.

Premessa l'utilizzabilità in sede disciplinare delle acquisizioni disposte nell'ambito di un procedimento penale e, dunque, anche delle intercettazioni telefoniche (

Cass.

pen.

, Sez.

un., n. 14552

/

2017

;

Cass.

pen.

, Sez.

un., n. 3020

/

2015

;

Cass.

pen.

, Sez.

un., n. 3271

/

2013

), la questione sollevata dinanzi alle sezioni unite civile era quella dell'entrata in vigore della disciplina del captatore informatico nei procedimenti per reati diversi da quelli di criminalità organizzata. Sebbene prevista dall'

art. 6 d.lgs.

29

dicembre

2017, n. 216

e, poi, per quanto concerne specificamente i reati contro la pubblica amministrazione, dalla

l. 9

gennaio

2019, n. 3

, tale disciplina farebbe, infatti, parte di un gruppo di disposizioni che, per effetto di una complessa vicenda di successione di leggi nel tempo, non sarebbe ancora entrata in vigore.

Secondo la corte di cassazione, al contrario la disciplina del captatore informatico contenuta nella

l. 3

/

2019

, a differenza di altre disposizioni per le quali il legislatore ha espressamente previsto una diversa

vacatio legis

, sarebbe già entrata in vigore il quindicesimo giorno dalla pubblicazione della legge sulla GU avvenuta il 16 gennaio 2019.

Il captatore informatico

Come noto il captatore informativo o, come definito da talune decisioni, l'“agente intrusore” (

Cass.

pen., S

ez.

VI

, 26

maggio

2015, n. 27100

, Musumeci) o il “trojan horse” (

Cass.

pen., S

ez. V

,

30

maggio

2017, n. 48370

) è un software che una volta installato in un dispositivo elettronico (computer, tablet, smartphone) consente il compimento da remoto di varie attività di intercettazione ed acquisizione di dati.

In particolare esso, oltre a captare tutto il traffico dati in arrivo e in partenza dal dispositivo, perquisire a distanza gli hard disk delle unità di memoria del sistema informatico infettato, consente di utilizzare il dispositivo come un captatore delle conversazioni tra persone presenti nell'area circostante, in quanto attraverso l'attivazione del microfono possono essere appresi tutti i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto che ha la materiale disponibilità dell'apparecchio. Inoltre, è possibile mettere in funzione la web camera presente su tali dispositivi e carpire, oltre i dialoghi, anche le immagini. Questo software, ancora, consente di captare in diretta (e contestualmente) tutto ciò che viene digitato sulla tastiera e che appare sullo schermo del dispositivo permettendo così di aggirare i sistemi di conversazione tramite chat che utilizzino programmi di criptazione dello scambio di dati.

La decisione delle Sezioni unite Scurato e i limiti di compatibilità con la disciplina codicistica

Come noto, il captatore informatico ha sempre posto un problema di compatibilità con l'

art. 266, comma 2, c.p.p.

, che prevede la disciplina per lo svolgimento di intercettazioni c.d. ambientali.

In forza di tale previsione, infatti, costituisce requisito indispensabile, quando esse debbano svolgersi in luoghi di privata dimora, il “fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa”. Poiché il giudice, all'atto di autorizzare un'intercettazione da eseguirsi mediante captatore informatico installato su un dispositivo elettronico, non può prevedere o predeterminare i luoghi nei quali il dispositivo elettronico viene introdotto, viene in concreto a mancare la possibilità di svolgere

ex ante

quell'indispensabile controllo circa l'effettivo rispetto dei limiti che, in attuazione delle garanzie di cui all'

art. 15 Cost.

, legittimano le intercettazioni ambientali nel domicilio e in luoghi ad esso assimilati. Si deve ricordare che il giudice, attraverso l'autorizzazione non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova ma, come precisato dalla Corte costituzionale (sent. 23 luglio 1991 n. 366) e ribadito dalle Sezioni Unite penali della Corte Di Cassazione (

Cass.

pen., S

ez.

un., 28

novembre

2019, n. 51

), a circoscrivere l'utilizzazione dei suoi risultati a fatti di reato che all'autorizzazione stessa risulti riconducibili nel senso che essa, infatti, deve dare conto dei “fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede” e “dei soggetti da sottoporre a controllo”.

Con la nota Scurato (

Cass.

pen

, Sez.

un

ite,

28 aprile 2016, n. 26886

), riallacciandosi agli insegnamenti della giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. 6 aprile 1973, n. 34), hanno stabilito che, di regola, il decreto autorizzativo delle intercettazioni tra presenti, soprattutto laddove esse siano disposte in ambienti di privata dimora, deve contenere, quale indispensabile condizione di validità del procedimento autorizzativo, la specifica indicazione dell'ambiente nel quale la captazione deve essere eseguita.

La peculiarità e, dunque, problematicità dell'intercettazione eseguita tramite captatore informatico sta proprio nel fatto che il soggetto intercettato con il proprio dispositivo può recarsi, portando con sé l'apparecchio elettronico nel quale è stato installato il virus, in luoghi non predeterminabili dal giudice e, tra questi, quelli di privata dimora e così captare i dialoghi di altre persone che, in tal modo, finiscono per essere a loro volta sottoposti ad intercettazione al di fuori dei cogenti limiti previsti dalla vigente disciplina codicistica.

A tale riguardo, due importanti precisazioni sono contenute nella sentenza Scurato.

La prima, che quand'anche tecnicamente possibile, qualora, cioè, fosse disponibile una tecnologia che consentisse di seguire in diretta gli spostamenti dell'utilizzatore del dispositivo elettronico e sospendere la captazione nel caso di ingresso dell'apparecchio infettato nel luogo di privata dimora, «sarebbe comunque impedito il controllo del giudice al momento dell'autorizzazione, che verrebbe disposta “al buio”».

La seconda, che non potrebbe essere invocata, a sanare la violazione degli eventuali limiti posti dalla disciplina «la sanzione della inutilizzabilità» la quale è destinata a colpire le gravi patologie degli atti del procedimento e del processo ma non è invocabile in relazione «ad ipotesi di adozione di provvedimenti

contra legem

e non preventivamente controllabili quanto alla loro conformità alla legge».

Per queste ragioni, in difetto di specifiche previsioni di legge, la sentenza Scurato aveva ritenuto, non senza peraltro suscitare talune perplessità in dottrina, che l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili potesse, allo stato della legislazione allora in vigore, essere disposta «limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata».

Tralasciata la problematica della puntuale individuazione dei reati ai quali la tecnica di intercettazione in esame può essere applicata (questione sulla quale la sentenza Scurato ha fornito una importante chiarificazione, rinvenendo nella categorizzazione operata dal legislatore attraverso il comma 3-

bis

dell'

art. 51 c.p.p.

, il criterio selettivo degli illeciti in questione), la soluzione adottata dalla medesima decisione si aggancia a quanto prevede l'

art. 13

d.l. 152/1991

il quale, per le indagini relative a tali delitti consente l'intercettazione domiciliare «anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa».

Poiché, dunque, con riferimento ai procedimenti di criminalità organizzata non opera il limite di cui all'

art. 266, comma 2, c.p.p.

e poiché, ancora, nei luoghi di privata dimora le intercettazioni c.d. ambientali sono ammissibili senza limiti (se non, ovviamente, quelli di carattere generale), è consequenziale che l'installazione del captatore informatico in dispositivi

itineranti

, purché ovviamente preceduto da provvedimento autorizzativo adeguatamente motivato (quanto ai “sufficienti indizi” e alla “necessità” ai fini dello svolgimento delle indagini), non pone problemi di compatibilità con il dettato normativo perché, in pratica, esso finisce per essere semplicemente «una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni al pari delle collocazioni di microspie all'interno di un luogo di privata dimora».

Sebbene non del tutto appagante in quanto, proprio perché itinerante e, dunque, in grado di eseguire una pluralità di intercettazioni domiciliari, l'utilizzo del captatore informativo finisce per fuoriuscire completamente dalla sfera di controllo del giudice il quale in sede di autorizzazione non è in grado di prevedere quali persone potranno essere coinvolte dall'attività di intercettazione, tale soluzione sembrava aver comunque posto un punto fermo tanto che, in un successivo intervento di una sezione semplice, la Corte, riallacciandosi alla sentenza Scurato, ha ribadito che l'installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali può trovare applicazione la disciplina di cui al

d.l. 15

2/

199

1

(Cass. pen., Sez. VI, 23 giugno 017, n. 36874)

Per la verità un'altra sentenza delle sezioni semplici successiva a quella delle Sezioni Unite ha messo in dubbio questo risultato, ritenendo che tale decisione si fosse limitata ad esprimersi riguardo l'applicabilità del

trojan horse

per eseguire intercettazioni tra presenti, con la conseguenza che «il supremo organo nomofilattico non solo non ha escluso la legittimità dell'uso di tale strumento captativo per le intercettazioni tra presenti nei luoghi di privata dimora dove si stia svolgendo l'attività criminosa, ma soprattutto […] non l'ha esclusa per le ulteriori forme di intercettazioni tra cui quelle telematiche

ex

art. 266-

bis

c.p.p

.

» (

Cass.

pen., S

ez.

V 20

ottobre

2017, n. 48370

) ma, a ben vedere, si tratta di un tentativo di aggiramento del vuoto normativo che, in presenza di una riserva di legge, impedisce qualunque tipo di operazione estensiva o analogica.

La disciplina del captatore informatico

Era fatale, dunque, che, in presenza di queste disorientanti soluzioni giurisprudenziali, sulla questione dovesse intervenire il legislatore. L'

art. 15, comma 2, Cost.

del resto consente limitazioni della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge e la critica che, appunto, poteva essere rivolta alla sentenza Scurato è che essa andava a disciplinare ciò che il legislatore non aveva previsto né poteva prevedere, non essendo tali tecniche investigative nemmeno immaginabili quando furono concepite le garanzie previste dagli

artt. 266 e ss. c.p.p.

Il problema è che, nel riappropriarsi delle sue ‘competenze', il legislatore nell'arco di poco più di due anni è intervenuto numerose volte, lasciando tra l'altro incerto il

dies a quo

relativo alla applicabilità della nuova disciplina.

La possibilità di svolgere intercettazioni attraverso il captatore informatico al di fuori dei reati di criminalità organizzata è stata introdotta dall'

art. 4 d.lgs. 29-

dicembre

2017, n. 216

che, oltre ad aver profondamento inciso sulla disciplina generale delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, ed aver stabilito che le intercettazioni di comunicazioni tra presenti sono sempre possibili con il captatore informatico quando si proceda, oltre che per delitti di cui all'art. 51, comma 3-

bis

, per quelli di cui al comma 3-

quater

c.p.p. (così l'

art. 266, comma 2-

bis

c.p.p.

), aveva altresì previsto che, per tali delitti, nei luoghi di privata dimora di cui all'

art. 614 c.p.

, l'intercettazione tra presenti poteva essere eseguita anche mediante l'inserimento di un captatore informatico.

Al fine di dare attuazione alle esigenze evidenziate dalla sentenza Scurato, l'art. 4 cit. nel modificare l'

art. 267 c.p.p.

aveva anche previsto non solo che il decreto del Gip dovesse indicare le ragioni che rendevano necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, ma che, se si fosse proceduto per reati diversi da quelli di cui all'

art. 51, commi 3-

bis

e 3-

quater

c.p.p.

), il decreto avrebbe anche dovuto prevedere «i luoghi e il tempo anche indirettamente determinati, in relazioni ai quali è consentita l'attivazione del microfono».

In tal modo, il legislatore aveva dato copertura normativa tanto alla soluzione alla quale era pervenuta la sentenza Scurato, quanto alla utilizzabilità del captatore informatico nei procedimenti relativi ai reati diversi da quelli di criminalità organizzata.

L'art. 4 cit., tuttavia, ad oggi non è mai entrato in vigore. L'

art. 9 d.lgs. 216

/

2017

, infatti, aveva previsto che esso (unitamente ad altre disposizioni) si applicasse alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 180° giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto (26 gennaio 2018 più 180 giorni= 27 luglio 2018) e tale data, per effetto di una serie di rinvii, è stata spostata sino al 29 febbraio 2020.

Il

d.l. 27

luglio

2018, n. 91

(art. 2), infatti, aveva disposto il rinvio dell'operatività della nuova disciplina al 31 marzo 2019; la

l. 30

dicembre

2018, n. 145

(art. 1, comma 1139) al

31

luglio

2019 ed il d.l.

14

giugno

2019, n. 53

, ancora, al

31

dicembre

2019

. Da ultimo, il

d.l. 30

dicembre

2019, n. 161

ha disposto un ulteriore posticipazione dell'operatività della disciplina sul captatore informativo (oltre che di numerose altre modifiche alla materia delle intercettazioni), consentendone l'applicazione solo ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020.

(Segue). Nei reati contro la pubblica amministrazione

Ciò posto in via generale, non poche problematiche si pongono avuto riguardo ai reati commessi dai pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione. In relazione a tali fattispecie, infatti, il legislatore è intervenuto con norme

ad hoc

, le quali apparentemente sarebbero sottoposte a un diverso regime temporale.

Va ricordato che l'

art. 6 d.lgs. 216

/

2017

aveva previsto l'applicabilità dell'

art. 13

d.l. 152/1991

ai reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Non essendo tale previsione richiamata dall'art. 9, in pratica, a partire dal 26 gennaio 2018, per tale categoria di delitti, le intercettazioni, in deroga alla disciplina generale prevista dall'

art. 267 c.p.p.

per i reati comuni, sono possibili in presenza di sufficienti indizi di reato e in caso di necessità per lo svolgimento delle indagini.

Tuttavia, l'

art. 6 comma 2 d.lgs.

n.

216

/

2017

aveva previsto un'importante limitazione all'estensione ai reati contro la pubblica amministrazione di tale speciale disciplina, statuendo che l'intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi di privata dimora non avrebbe potuto essere eseguita mediante captatore elettronico qualora non vi fosse stato motivo di ritenere che in detti luoghi si stesse svolgendo attività criminosa.

In sostanza, l'attenuazione dei presupposti per procedere ad intercettazione non comportava alcuna deroga all'

art. 266, comma 2, c.p.p.

Tale disciplina, tuttavia, ha avuto una vita tormentata per effetto di un intreccio di successivi interventi che, appunto, sono alla base della questione sollevata dinanzi alla corte di cassazione.

Va evidenziato anzitutto come il menzionato

d.l.

n.

161

/

2019

ha disposto l'applicabilità della disciplina

de qua

anche ai reati contro la pubblica amministrazione commessi dagli incaricati di pubblico servizio (figura, questa, originariamente non contemplata dall'

art. 6 d.lgs.

n.

216

/

2017

).

È la

legge 9

gennaio

2019 n. 3

che tuttavia ha sollevato le principali problematiche di diritto intertemporale. Essa, infatti, se da un lato ha abrogato l'

art. 6 comma 2, d.lgs. 216

/

2017

(cfr. art. 1, comma 3), dall'altro ha riprodotto quanto previsto da detta disposizione, aggiungendo nell'

art. 266, comma 2-

bis

c.p.p

la previsione che anche in caso di delitto commesso da pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione (oltre che per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-

bis

e comma 3-

quater

) è possibile eseguire l'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante captatore informatico.

Attraverso tale modificazione, in pratica, viene estesa ai reati commessi dai soggetti qualificati contro la pubblica amministrazione l'integrale applicazione la disciplina delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, prevista per i reati di criminalità organizzata.

La vexata quaestio dell'entrata in vigore

In tale complicata successione di leggi nel tempo, però, il legislatore ha omesso di disciplinare il regime intertemporale.

A tale riguardo, deve essere osservato come l'

art. 6 d.lgs.

n.

216

/

2017

non era contemplato tra le disposizioni che, a norma dell'art. 9 (e successive modifiche), erano destinate ad entrare in vigore in un tempo diverso rispetto a quello ordinario ed anche la

l. 3/2019

, cui come detto si deve l'innesto della disciplina del captatore informatico per i reati contro la pubblica amministrazione all'interno dell'

art. 266, comma 2-

bis

c.p.p.

, non ha stabilito una disciplina transitoria.

Tutto ciò potrebbe far pensare che in

mens legis

la disciplina del captatore informatico per i delitti contro la pubblica amministrazione abbia trovato applicazione a far data dal 26-1-2018, vale a dire dal giorno di entrata in vigore del

d.lgs. 216-2017

e che la sua efficacia sia rimasta invariata, senza soluzione di continuità, anche in seguito degli assestamenti ai quali essa stata sottoposta.

La Corte di cassazione con la sentenza annotata ha appunto ritenuto che, per effetto della nuova disciplina introdotta dalla

l. 3/2019

(e, segnatamente, dell'abrogazione del comma 2 dell'

art. 6 del d.lgs.

n.

216

/

2017

) l'intero

art. 13

d.l.

n.

152/1991

è divenuto integralmente applicabile ai reati contro la pubblica amministrazione (determinando, in particolare, il venir meno, rispetto alla precedente versione, della restrizione dell'uso del captatore informatico nei luoghi indicati dall'

art. 614 c.p.

). Per effetto di tale recepimento, dunque, la possibilità di utilizzare il captatore informatico preesisterebbe e prescinderebbe dalla modifica del testo codicistico operata dall'art. 4 d.lgs. 216-217 perché essa discenderebbe direttamente dall'art. 13 cit., la cui applicabilità ai reati contro la pubblica amministrazione è stata estesa dall'

art. 6 d.lgs.

n.

216

/

2017

, la cui entrata in vigore, come visto (non essendo stato richiamato dall'art. 9 contenente la disciplina transitoria), non sarebbe mai stata rinviata.

Osservazioni

La conclusione alla quale è pervenuta la Corte di cassazione è per più versi opinabile.

Preliminarmente deve essere osservato che, nonostante non fosse stato richiamato dall'art. 9 (che come visto conteneva la disciplina transitoria delle nuove norme sulle intercettazioni), l'

art. 6 comma 2, d.lgs. 216-2017

non poteva vivere di una vita propria.

Tale disposizione, infatti, contrariamente a quanto afferma la Corte, non aveva affatto disposto l'applicazione del captatore informatico ai reati contro la pubblica amministrazione: essa, semmai, nel rendere applicabili i presupposti di ammissibilità di cui all'

art. 13

d.l. 152/1991

(sufficienti indizi e necessità per la prosecuzione delle indagini) aveva riaffermato il principio generale dell'inoperatività delle intercettazioni ambientali tramite il

trojan horse

in luoghi di privata dimora nel caso in cui non si fosse ivi svolta un'attività illecita.

Dunque, il rinvio alla speciale disciplina non fu affatto integrale.

In secondo luogo va notato che la disciplina concernente i reati contro la pubblica amministrazione – in quanto speciale rispetto a quella generale di cui all'art. 4 – aveva un senso compiuto solo laddove avesse trovato applicazione la disciplina generale del captatore informatico in relazione ai reati comuni. L'entrata in vigore di quest'ultima disciplina, tuttavia, è stata, come si è visto, rinviata al 20-2-2020 per effetto di quanto disposto dall'

art. 9 d.lgs. 216-2017

(e le successive modifiche).

Dunque, il rinvio alla disciplina speciale prevista per la criminalità organizzata, non fu neanche autosufficiente.

Né le cose stanno diversamente per effetto di quanto ha disposto l'

art. 1, comma 3,

l. 3/2019

. Quest'ultimo ha infatti innestato una disciplina mai entrata in vigore all'interno del comma 2-

bis

dell'art. 266, il cui testo, come visto, oltre ad essere la risultante di tre successivi interventi legislativi, a sua volta non è pure mai entrato in vigore perché l'

art. 4 d.lgs. 216-2017

, che lo ha inserito nel codice di procedura penale, è applicabile ai procedimenti iscritti dopo il 29-2-2020.

A ciò si aggiunga che l'

art. 2, comma 3 d.l. 161-2019

ha stabilito perfino che i requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali all'esecuzione delle intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile devono essere stabiliti con decreto del Ministro della giustizia.

Pertanto, in pratica, la disciplina del captatore non è oggi nemmeno completa.

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