È il giudice di merito e non la Cassazione che può revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato

02 Marzo 2020

A fronte di un ricorso per cassazione ritenuto, in parte, manifestamente infondato e, in parte, manifestamente inammissibile, la Corte, oltre a rigettare il ricorso e condannare il ricorrente per abuso del processo ex art. 96 ultimo comma, c.p.c. si è posta il problema volto a sapere se può procedere, oppure no, alla revoca dell'ammissione del ricorrente al beneficio del gratuito patrocinio.

La Cassazione si è pronunciata su questa questione (e sull'ulteriore questione del “riparto” di competenza tra giudice e amministrazione sui presupposti del “doppio contributo unificato”) a Sezioni Unite in quanto vi erano due orientamenti contrastanti e inconciliabili tra loro.

A chi spetta revocare l'ammissione? Ed infatti, quanto alla questione relativa a chi spetti il potere di revoca dell'ammissione, in base ad un primo orientamento il potere di revoca spetterebbe al giudice del rinvio ovvero al giudice di merito che aveva emesso il provvedimento impugnato: e ciò similmente con quanto avviene per il gratuito patrocinio in materia penale e per la liquidazione del compenso del difensore in cassazione come previsto dagli artt. 112, comma 3, e 83, comma 2, d.P.R. 115/2002.
In base ad un secondo orientamento, invece, la Corte di cassazione in presenza di un ricorso manifestamente infondato e ravvisando colpa grave della parte ben può procedere senz'altro alla revoca dell'ammissione con ogni conseguenza sull'obbligo di versare il contributo unificato.

La configurazione del patrocinio a spese dello Stato. Per le Sezioni Unite al fine di decidere la questione sottoposta occorre muovere dalla ricostruzione della attuale configurazione del patrocinio a spese dello Stato che è istituto del tutto differente dall'originario e risalente “gratuito patrocinio” andato in crisi con l'introduzione della Costituzione.
La differenza principale rispetto al passato è che a) il mandato è fiduciario (potendo la parte nominare l'avvocato che preferisce tra quelli iscritti nel relativo elenco) e b) il mandato non è più gratuito (e, quindi, un onere del professionista tenuto per motivi morali e senza possibilità, se non per eccezionali motivi, di rinunciare), ma retribuito dallo Stato (in attuazione dell'art. 24 Cost.).
Requisiti legittimanti sono che il richiedente non superi certi limiti di reddito (salvo che per alcune tipologie di processi penali ove è sempre disposta l'ammissione a prescindere dal reddito) e che il ricorso non appaia “manifestamente infondato”.

La revoca del provvedimento di ammissione… Ricostruito il quadro normativo di riferimento contenuto nel d.P.R. 115/2002 la Suprema Corte esamina la specifica questione della revoca del provvedimento di ammissione come disciplinato dall'art. 136.
E ciò distinguendo gli effetti della revoca a seconda dei casi: e così “se nel corso del processo sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell'ammissione al patrocinio, il magistrato che procede revoca il provvedimento di ammissione” e ciò con efficacia ex nunc.
Viceversa, se il magistrato “revoca l'ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine degli avvocati [poiché] risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave” e ciò con efficacia ex tunc.

…non spetta alla Cassazione. Ebbene, per le Sezioni Unite il potere di revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato spetta al giudice del rinvio ovvero, in caso di mancato rinvio, al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato il quale deciderà, peraltro, una volta ricevuta la sentenza di cassazione, ex officio e senza alcun vincolo di giudicato a quanto ritenuto dalla cassazione (ad esempio potrà ritenere – anche sulla base di valutazioni ulteriori e documenti producibili ex novo nella causa di opposizione – che ci può essere stata mala fede anche se la cassazione non ha condannato ex art. 96 c.p.c.).
E ciò anche perché, la Corte di cassazione è istituzionalmente deputata alla funzione nomofilattica di cui all'art. 65 ord. giudiziario con la conseguenza che, in assenza di una norma ad hoc, è precluso alla stessa ogni attività (come quella di disporre la revoca dell'ammissione) che presuppone “accertamenti di fatto e valutazioni di merito”.
Peraltro, il patrocinio a spese dello Stato riguarda un rapporto giuridico del tutto “diverso e indipendente” da quello oggetto della causa (e che nei processi di opposizione ai decreti di liquidazione ovvero di revoca coinvolge il Ministero della giustizia) tant'è che il provvedimento con cui si dispone della revoca è autonomo e distinto.
Ecco allora che per quando la legge discorre di “magistrato che procede” il riferimento è unicamente al giudice del merito e non già alla cassazione che mai – sono le parole delle Sezioni Unite – potrebbe emettere un provvedimento di revoca una volta che si è spogliata della decisione del ricorso e, quindi, della potestas iudicandi (in realtà l'argomento non è probante e decisivo: anche il giudice del merito, infatti, si è spogliato della potestas iudicandi quando emette il provvedimento di revoca).

L'impugnazione del decreto di revoca (in materia civile). Per le Sezioni Unite, poi, la conclusione dell'inesistenza del potere della cassazione di disporre la revoca dell'ammissione è imposta anche dal regime di impugnazione del decreto di revoca: sebbene in materia civile (diversamente dal penale) nulla sia detto, il decreto di revoca deve essere – ex art. 24 Cost. – impugnabile.
L'impugnazione avverrà, quindi, in prima battuta, con l'opposizione ex art. 170 d.P.R. 115/2002 (ritenuto comunque rimedio generale) e, essendo inappellabile la decisione, ex art. 111 Cost., con il ricorso straordinario per cassazione.
Ecco allora che ammettere un potere di decidere in capo alla cassazione determinerebbe un “cortocircuito processuale” dal momento che sarebbe la cassazione a decidere (sostanzialmente) su se stessa (il che non può essere).

Il raddoppio del contributo unificato. Una volta decisa la questione sul giudice competente sulla revoca, la Suprema Corte ha deciso anche un'ulteriore questione di massima importanza e, cioè, il dovere del giudice dell'impugnazione – in presenza di una parte ammessa al patrocinio a spese dello stato – “dare atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti” del raddoppio del contributo unificato ex art. 13 comma 1-quater (che pure è un tributo come il contributo-base e la cui cognizione spetta alla giurisdizione tributaria).
Il “dare atto dei presupposti” è una previsione invero “eccentrica” rispetto alla dinamica tributaria: ha il solo scopo, però, di facilitare l'accertamento dei presupposti: in mancanza di questa previsione, il funzionario amministrativo avrebbe dovuto interpretare la sentenza e verificare quello specifico presupposto (processuale) legittimante il “doppio contributo” (gli altri – ad esempio – se ci sono cause originarie o sopravvenute di esenzione - li dovrà verificare more solito l'amministrazione).

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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