Qualche precisazione a proposito di truffe

Michele Sbezzi
03 Marzo 2020

Il titolo XIII del codice penale tratta dei delitti contro il patrimonio, classificazione che, con tutta evidenza, oltre a confermare la particolare attenzione del Legislatore nei confronti della tipologia di reati di più frequente accadimento, indica già dal punto di vista nominale…
La linea di demarcazione tra le varie figure di frodi

Il titolo XIII del codice penale tratta dei delitti contro il patrimonio, classificazione che, con tutta evidenza, oltre a confermare la particolare attenzione del Legislatore nei confronti della tipologia di reati di più frequente accadimento, indica già dal punto di vista nominale come un'intensa tutela di legge, che appare affiancarsi a quella apprestata dal diritto civile seppur mantenendosi da essa autonoma, sia apprestata al complesso di beni rientrante nella nozione di patrimonio, bene giuridico di categoria che comprende certamente la proprietà, ogni altro diritto reale, ma anche il possesso e i diritti di obbligazione, come espressamente citato dai lavori preparatori del codice.

All'interno del titolo, poi, il Legislatore ha voluto indicare, anche sistematicamente, come una certa tipologia di reati debba distinguersi dalle altre per la decisiva circostanza della partecipazione necessaria della stessa vittima, seppur inconsapevole o artificiosa, all'azione delittuosa. Così, il Capo II del titolo in esame tratta dei Delitti contro il patrimonio mediante frode, in essi ricomprendendo, oltre alle vere e proprie figure di truffa, anche la circonvenzione di persone incapaci, l'usura, l'appropriazione indebita, la ricettazione, il riciclaggio e l'autoriciclaggio.

Delle prime tratteremo più avanti; sin d'ora può comunque sottolinearsi che le truffe sono caratterizzate soprattutto dalla immancabile (perché tipizzata nel testo di legge) creazione di un artificio o dall'utilizzo di un raggiro, che l'agente pone in essere al fine di carpire la collaborazione della vittima, indotta in tal modo all'adozione di atti da cui scaturisce il profitto ingiusto ed il correlativo danno.

Nella circonvenzione di incapaci, come nell'usura, l'agente invece approfitta dell'altrui situazione di difficoltà, che la norma non pretende egli abbia creato o determinato. Anche in tali casi, la vittima è comunque portata al compimento di atti o all'adozione di condotte per sé dannose. Nell'appropriazione indebita, in cui la collaborazione della vittima può limitarsi alla semplice concessione del possesso del bene, l'agente si avvale di tale, legittimo possesso, che poi, però, tramuta in signoria sulla cosa. Ricettazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, invece, non prevedono l'attività necessaria ed artificiosamente collaborativa della vittima, ma condotte delittuose che rendono comunque più difficoltosa la difesa.

Trattando delle sole figure in cui il Legislatore abbia utilizzato, nel descriverle, il termine truffa, cercheremo di sottolineare le differenze che caratterizzano una figura dall'altra.

La previsione generale della condotta delittuosa nella truffa

L'

art. 640

c.p.

, nella parte in cui indica la generica descrizione della condotta e che qui ci riguarda, dispone: «Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro». La norma, poi, prosegue con disposizioni sulle quali ci soffermeremo a breve.

Elementi indispensabili - ed espressamente tipizzati - perchè possa dirsi sussistente il delitto in parola, come emerge chiaramente dal testo del codice, sono quindi gli artifizi o raggiri, l'induzione in errore, l'ingiusto profitto e il danno.

Quanto agli artifizi o raggiri, essi impongono al delitto in parola una forma vincolata: essi sono immancabili; e immancabilmente l'errore in cui viene indotta la vittima deve essere l'effetto di una manipolazione della realtà effettiva, ottenuta simulando l'esistenza di ciò che non esiste, o l'inesistenza del vero (artificio), o invece argomentando e determinando a parole il convincimento della vittima (raggiro).

Manca ogni indicazione circa l'intensità che tali elementi debbano avere per supportare la sussistenza del reato; giurisprudenza e dottrina ne pretendono solo l'idoneità concreta, da valutarsi ex post. Ciò significa che qualsiasi condotta artificiosa deve valutarsi idonea ove abbia effettivamente raggiunto lo scopo, fosse anche solo per la debolezza di una vittima vulnerabile o poco diligente.

Quanto al danno e all'ingiusto profitto, va chiarito che il primo deve necessariamente avere contenuto patrimoniale o comunque economico e può, indifferentemente, assumere tanto la forma del danno emergente quanto quella del lucro cessante. Il profitto ingiusto, invece, può consistere in un qualsiasi vantaggio, anche se di carattere non strettamente economico. Entrambi sono, al pari degli altri e per quel che si sosterrà più avanti, elementi immancabili della fattispecie. L'eventuale e mancato loro mancato raggiungimento, per effetto di cause indipendenti dalla volontà dell'agente e nell'ambio di un'azione che possa comunque giudicarsi concretamente idonea, comporta, quindi, la configurabilità del delitto di tentata truffa (vedi, sul punto, la sentenza Forneris, Cass. pen., SSUU, 1974). La previsione tipizzata del danno, come del profitto, consentono di ritenere che ci troviamo di fronte a un reato “di danno”.

L'errore, come appare evidente, consiste nell'erronea rappresentazione della realtà, cui la vittima deve esser stata indotta come conseguenza della condotta dell'agente. Un errore non indotto, quindi, e di cui l'agente approfitti, non sarebbe idoneo a integrare il delitto in parola.

Per effetto della tipizzazione degli elementi indicati nella previsione codicistica, essi vanno ritenuti obbligatori. Con la conseguenza che l'assenza di anche uno solo di essi impedisce che possa ritenersi sussistente il delitto in parola (R. BRICCHETTI,

Percorsi di accertamento che trascurassero o decolorassero detti elementi del fatto tipico trasformerebbero la truffa da reato a «forma vincolata»

in Reato causale a schema libero, dilatazione interpretativa impedita dal principio di legalità).

Il delitto in parola,

secondo la descrizione imposta dal codice penale, da sempre confermata dall'interpretazione tanto giurisprudenziale quanto dottrinaria, va definito come reato istantaneo di danno mediante frode.

Indiscutibile appare la natura di reato istantaneo, perchè esso si perfeziona nel momento in cui vengono a esistenza tutti gli elementi previsti dalla norma e di cui deve, quindi, comporsi. Una volta verificatosi il danno, e ottenuto il correlativo vantaggio, entrambi elementi contenuti nella tipizzazione codicistica fornita dal codice penale, non ha più effetto alcuno, né generalmente luogo, che l'attività dell'agente si protragga nel tempo. E neppure che egli cessi da una condotta ormai completa per pervenire a un impossibile effetto di “decadenza” del reato, ormai perfetto in ogni suo elemento.

La natura di delitto a cooperazione artificiosa della vittima

La semplice lettura del codice dà una visione chiara ma incompleta del delitto in parola.

Se, a stretto rigore “codicistico” la condotta delittuosa può sembrare integrata dalla presenza dell'artificio o raggiro, che induca taluno in un errore da cui derivi un ingiusto profitto con altrui danno, dottrina e giurisprudenza, sono pervenuti all'individuazione di un ulteriore requisito, immancabile perchè la figura in esame possa dirsi sussistente: la cooperazione della vittima. Il delitto di truffa, infatti, è ritenuto appartenere alla categoria dei reati a cooperazione artificiosa della vittima, una fattispecie in cui l'offensività consiste nell'aggressione al patrimonio altrui (è, certamente e principalmente, delitto contro il patrimonio), realizzata con condotta fraudolenta che induce la vittima a porre in essere un atto che si traduce, per lui, in un danno, con contestuale ingiusto profitto per l'agente o per altri.

Già Cass. pen., Sez. Unite, 1974, Forneris, indicò chiaramente che l'errore, in cui la vittima del delitto è indotta, deve comportare per lui l'adozione di un atto dispositivo dannoso (mancando il quale, e mancando il correlativo profitto, secondo l'arresto citato, si verte in materia di delitto tentato). Ancor più chiaro il diritto vivente che ci deriva da

Cass.

p

en

.

, S

ez. Unite

, 29

settembre

2011, n. 155

Pres. Lupo, Rel. Di Tomassi, ric. Rossi e altro,

che conferma come l'atto dispositivo della vittima, indotta in errore dall'agente, sia elemento costitutivo implicito della truffa.

Secondo tale arresto, la serie causale che porta agli eventi di ingiusto profitto con altrui danno, passando attraverso l'induzione in errore, rappresenta il modo in cui si manifesta il nesso causale, ma non lo esaurisce. Dottrina e giurisprudenza tradizionalmente concordano nel rilevare che il passaggio dall'errore agli eventi consumativi deve essere contrassegnato da un elemento sottaciuto dal legislatore, costituito dal comportamento “collaborativo” della vittima che per effetto dell'induzione arricchisce l'artefice del raggiro e si procura da sé medesimo danno.

In altri termini e sempre secondo l'arresto citato, ingiusto profitto e danno possono dirsi determinati dalla condotta fraudolenta solo nel caso in cui questa abbia comportato una reale collaborazione della vittima, consistita in un atto di disposizione patrimoniale artificioso che, senza l'induzione in errore, non sarebbe stato posto in essere. Per la precisione, la sentenza richiamata pretende, perchè sia integrata la truffa, si riscontri un comportamento del soggetto ingannato che sia frutto dell'errore in cui è caduto per fatto dell'agente e dal quale derivi causalmente una modificazione patrimoniale, a ingiusto profitto del reo e a danno della vittima.

In ciò l'elemento differenziale rispetto a fatti di mera spoliazione o di spoliazione coartata.

L'atto di disposizione può ben consistere anche in un semplice permesso, in un assenso e perfino in una tolleranza; quel che conta è che si tratti di un atto volontario, seppure frutto dell'errore indotto dall'artificio o dal raggiro. Persino l'erronea convinzione che una dazione di denaro sia obbligatorio adempimento all'ordine del Giudice può esser frutto di induzione artificiosa e costituire, quindi, atto idoneo a integrare il delitto in parola.

La truffa contrattuale

Non esiste una specifica previsione, codicistica o comunque normativa, che descriva il delitto di “truffa contrattuale”; esso va dunque inquadrato nel più ampio “genere” del delitto di truffa, sopra esaminato, di cui costituisce semmai una versione ancor più complessa ed articolata.

Non essendo certo indispensabile che la rilevanza penale della cooperazione della vittima riposi sulla sua qualificabilità in termini di atto negoziale, o comunque di atto giuridico in senso stretto, essendo invece sufficiente che esso sia idoneo a produrre danno, dall'eventuale contesto negoziale in cui la truffa viene ‘costruita' consegue un'aggettivazione, come quella in argomento, che può renderne più agevole la comprensione; ma anche più probabile il pericolo di ritenere erroneamente sussistenti elementi caratterizzanti e costitutivi di un reato diverso ed autonomo. La colorazione indotta dall'aggettivazione, invece, non muta gli elementi costitutivi del delitto di truffa, così come delineati dal Legislatore.

Anche in ambito contrattuale, quindi, la condotta truffaldina, e perciò delittuosa, si caratterizza per il ricorso all'artificio, o al raggiro, che abbia indotto taluno in errore; l'errore deve aver poi determinato nella vittima la decisione di adottare un atto dispositivo che si sia poi tradotto in una perdita patrimoniale, o comunque economica; e per l'agente in un ingiusto profitto. Come già sottolineato, che l'atto dispositivo rivesta o meno le caratteristiche del negozio giuridico non porta a una diversa qualificazione giuridica del fatto di reato.

Questo il diritto vivente che apprezziamo da Cass. pen., SSUU, Rossi, sopra citata, il cui arresto statuisce che «[…] l'atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consiste in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa. Ne consegue che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una

traditio

, da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno.”

Nessuna rilevanza

viene, dunque, riconosciuta al fatto che la condotta sia stata, o no, adottata – e subita – nell'ambito di un contratto.

La previsione di cui all'

art. 640

c.p.

, naturalmente, opera una precisa e completa rappresentazione della condotta sussumibile nella tipica figura di delitto; con ciò ne descrive il limite di rilevanza, superato il quale, naturalmente, stanti il principio di legalità e quello correlato di riserva di legge, non può forzatamente ricomprendersi anche quel che reato non è.

Nel caso di condotte ospitate in ambiti contrattuali, spesso assai prossime quantomeno al limite della correttezza, non è certo la derivazione “contrattuale” del danno che possa sostituire l'immancabile elemento costitutivo dell'artificio o del raggiro, o l'induzione in errore, o ancora l'adozione di una disposizione, per costruire una nuova forma di reato che vada a sostituirsi, o ad aggiungersi, al dettato codicistico.

Così, va riconosciuta la truffa “contrattuale” nella condotta di chi, nell'ambito di un negozio giuridico, adotti artifici e/o raggiri e così tragga in inganno l'altra parte del negozio, inducendola a un consenso o a una prestazione che comporti un danno, cui diversamente non aderirebbe, con correlativo ingiusto vantaggio per l'agente o altri.

Naturalmente, anche in tal caso, il raggiro può assumere qualsiasi forma, purchè risulti idoneo ed efficace secondo un giudizio da portarsi in concreto ed ex post; e può aver luogo in qualsiasi momento, purchè precedente al danno, visto che deve determinarlo.

Dalla fase delle trattative fino all'esecuzione dell'accordo negoziale, come sancito dalla sentenza 41073 del 2004 con cui la Corte di Cassazione ha dichiarato colpevole di truffa l'agente che aveva indotto in errore l'altra parte violando le modalità concordate di esecuzione del contratto, con una modifica unilaterale, funzionale al vantaggio ingiusto che aveva di mira.

A tal proposito, va sottolineato che non supera l'ambito civilistico e, dunque, non ha valenza penale il semplice mancato rispetto delle regole della buona fede contrattuale, la semplice scorrettezza o l'inadempimento, non dovendo invece mancare quel qualcosa in più in cui deve potersi riconoscere la condotta artificiosa, il raggiro.

Così

Cass.

p

en. n. 29853/2016

, che ha formulato il seguente principio di diritto: "nei contratti ad esecuzione istantanea si ha truffa contrattuale allorché l'agente ponga in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. Di conseguenza, ove tale tipologia di contratti sia stipulata senza alcun artifizio o raggiro, l'eventuale successiva attività decettiva finalizzata a nascondere l'inadempienza costituisce solo illecito civile.

Al contrario, nei contratti sottoposti a condizione o in cui l'esecuzione sia differita, o non si esaurisca in un'unica prestazione, è configurabile il reato di truffa anche nei casi in cui l'attività decettiva sia posta in essere durante la fase di esecuzione del contratto al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o al fine di far apparire verificata la condizione

".

In buona sostanza, una cosa è il semplice tentativo di persuasione, o perfino una pubblicità molto suggestiva, ed altra cosa è il raggiro penalmente rilevante, efficace, concepito per quello specifico caso e nei confronti di quella (o quelle) specifica persona offesa.

Perfino il silenzio, cioè la volontaria omissione di avvertenze concernenti quel rapporto negoziale, non costituisce raggiro se l'agente non ha uno specifico dovere giuridico di informare l'altra parte al fine di evitare di farla cadere in errore. Così

Cass.

p

en.,

Sez. VI

,

n. 13411 del 5 marz

o 2019

, ha riconosciuto il delitto di truffa nella condotta di chi aveva il dovere giuridico di far conoscere all'altra parte circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni contrattuali. Si trattò, in quel caso, di un dirigente medico che ricevendo mensilmente un'indennità di esclusiva, omise di comunicare all'ASP di appartenenza che svolgeva continuativamente attività professionale presso il proprio studio privato.

Ben diversamente andò all'insegnante che, seppur posta in quiescenza, continuò a ricevere lo stipendio dal ministero.

Cass.

p

en.,

Sez. II,

n.

16817 del 26 febbraio 2019

, riconobbe che l'obbligo di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro al ministero incombeva sulla scuola e non sull'insegnante. La sua condotta, quindi, fu giudicata meramente omissiva e non costitutiva di raggiro o artificio.

Il

Tribunale di Napoli, con s

entenza 9832 dell'ottobre 2018

, decise che porre in vendita un elettrodomestico su un sito web e incassare il pagamento senza inviare la merce al compratore costituisce inadempimento contrattuale e non truffa.

Ancora,

Cass.

p

en.,

Sez. II

,

con sentenza 43909 del 4 ottobre 2019

(riprendendo quanto già statuito con sentenza 29853 del 23 giugno 2016), ha ancora una volta e chiaramente indicato il limite di rilevanza penale delle condotte adottate in ambito contrattuale, riconoscendo la sussistenza del reato di truffa nella condotta dell'agente di viaggio che aveva venduto i propri prodotti ad alcuni clienti, incassando a rate il relativo prezzo e omettendo di informarli, frattanto, del proprio, sopraggiunto stato di difficoltà economica. In sentenza, La Corte specifica che «[…]

nel caso di contratto stipulato senza alcun artificio o raggiro, l'attività decettiva commessa successivamente alla stipula e durante l'esecuzione

contrattuale

è penalmente irrilevante, a meno che non determini, da parte della vittima, un'ulteriore attività giuridica che non sarebbe stata compiuta senza quella condotta decettiva

».

Come detto, nella fattispecie in esame, il reato si determinò con condotta successiva alla conclusione contrattuale, quando l'agente incassò le ultime rate del prezzo, omettendo di dare doverosa informazione ai clienti della propria situazione economica. Gli acquirenti completarono il pagamento perchè indotti in errore dall'omissione e l'atto di disposizione si tramutò in danno.

La questione non muta nel caso dei contratti conclusi via internet.

Cass.

p

en.,

Sez. II

, n. 45115 del 17

settembre

2019

, ha individuato truffa contrattuale nel caso di una mancata consegna di merce, acquistata e pagata via internet nel corso di una vendita on line, perchè era stato offerto un prezzo conveniente e indicato un falso luogo di residenza del venditore, così resosi non rintracciabile. Spiega la sentenza che le modalità dell'offerta evidenziavano sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato, da ravvisarsi nella volontà di non adempiere all'esecuzione del contratto sin dal momento dell'offerta on line.

In conclusione, può certo affermarsi che la “truffa contrattuale” altro non è se non una truffa condotta in ambito contrattuale, ove l'adozione dell'atto dispositivo che si tramuta in danno - come più volte sopra sottolineato - consiste in un adempimento di obblighi contrattuali, cui però non ci si sarebbe obbligati se non si fosse caduti in quell'errore indotto dall'artificio o dal raggiro.

Si tratta, dunque, di caratteristiche modali che non portano a distinguere la “truffa contrattuale” dal necessario parametro fissato dal

codice penale all'art. 640

c.p.

Nella disamina dei fatti, l'interprete deve condurre un severo, attento esame delle condotte sospette di aver integrato un artificio o un raggiro per verificarne, ex post e in concreto, l'effettiva capacità di induzione in errore e il rapporto causa-effetto rispetto alla condotta assunta dal preteso truffato.

Solo in presenza di un accertamento positivo potrà dirsi sussistente il reato di “truffa contrattuale”, irrilevante essendo, invece, il danno economico non artificiosamente indotto.

È necessario, infatti, tener presente che qualsiasi contratto contiene un'alea e che, dunque, il mancato raggiungimento del risultato economico sperato, in funzione del quale si è coscientemente prestato assenso, non è necessariamente e sempre conseguente all'adozione di condotte truffaldine.

In mancanza di frode – da riconoscersi, appunto, nei raggiri come negli artifici – il contratto raggiunto abbia interesse nella sola sfera civilistica, e nessuna valenza penale.

Le figure aggravate

L'art. 640 del codice sostanziale prevede, inoltre, figure aggravate del delitto di truffa, con ricadute sull'entità della pena, sull'effetto del giudizio di comparazione di circostanze; ma non sulla durata del termine di prescrizione, da determinarsi però, senza tenerne conto, con riguardo al complesso iter di formazione e promulgazione della relativa e recente normativa. Altra ricaduta - conseguente alla condanna per il reato di truffa ai danni dello Stato – è l'applicazione della pena accessoria dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il testo:

«La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:

1)

se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare (CPMP art. 162, 32 quater)

2)

se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'Autorità;

3)

se il fatto è commesso in presenza di della circostanza di cui all'art. 61, n. 5;

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, primo comma, n. 7

»

Per quanto riguarda la prima figura, aggravata perchè commessa in danno dello Stato o di altro ente pubblico, quest'ultimo va inteso come qualsiasi ente funzionale al raggiungimento di interessi generali della collettività, anche a prescindere dalla forma che l'ente abbia deciso di darsi. Così

Cass.

p

en.,

Sez. II

, n. 42408/2012

, ha sancito che il riconoscimento della natura pubblicistica dell'ente passa attraverso la disamina di vari indicatori, peraltro indicati dall'

art. 3 del D.L.vo 163/2006

: personalità giuridica, finalità di soddisfare esigenze di carattere generale, non industriale né commerciale, controllo della gestione ad opera dello Stato, di enti o organismi pubblici.

La truffa aggravata “col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare” è funzionale alla protezione di chi rischi di essere abbindolato da chi dichiara di essere in grado di fargli ottenere l'esonero; la figura di reato, già dal 2001 e con l'abolizione dell'obbligatorietà della leva militare, è priva di rilievo pratico e applicazione.

L'aggravante di cui al numero 2 riguarda il pericolo, in vero inesistente, che viene però fatto percepire come vero ed effettivo alla persona offesa.

Cass. Pen.,

Sez. II

, n. 48249/2016

ci indica che l'aggravante in parola ricorre ogni qualvolta venga ingenerato il timore di un pericolo immaginario, cioè effetto dell'immaginazione e solo in essa esistente, privo di un fondamento reale (forze occulte, magia, mali futuri che nel raggiro si insinua potranno scongiurarsi grazie all'intervento dell'agente …), tale che una persona dotata di comune discernimento è in grado di individuare come non reale. Come già specificato nella trattazione generale del delitto di truffa, deve sottolinearsi che la valutazione dell'idoneità del raggiro a raggiungere lo scopo va portata in concreto ed ex post.

Quanto, infine, alla truffa aggravata per avere l'agente profittato di “circostanze di tempo, luogo o persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” in cui si sostanzia la circostanza di cui all'

art. 61 n. 5 c.p.

, detta anche di “minorata difesa”, essa ricorre quando le circostanze, tassativamente ma fin troppo genericamente descritte, siano conosciute dall'agente, il quale deve averne volontariamente approfittato. Anche in questo caso, una corretta valutazione della ricorrenza dell'aggravante non può prescindere dalla concretezza dell'ex post.

Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche

Indica l'

ar

t. 640

-

bis

c.p.

La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'art. 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

La norma è stata introdotta con

l

egge n. 55 del 22 marzo 1990

, dal titolo Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale. Essa mira a prevenire l'infiltrazione di imprese che trovino origine in – o possano connettersi a – contesti criminali territoriali

Cass.

p

en., S

ez. Unite

23 febbraio 2017, n. 20664

, Pres. Canzio, Rel. Petruzzellis, ric. Stalla e altra, trattando la non semplice materia del concorso apparente di norme, da risolversi preferibilmente secondo l'unico criterio normativamente previsto della specialità (

art. 15

c.p.

), indica che la specie non costituisce un'articolazione della figura di truffa aggravata prevista, a danno di ente pubblico, dal 2° comma n. 1 dell'art. 640, stante che il danno economico che la norma intende prevenire, quale elemento caratterizzante della figura di reato in esame, è lo storno delle somme dalla finalità pubblica che si voleva imprimere con l'erogazione, nella contemporanea tutela della corretta individuazione del beneficiario operatore economico avente diritto, illegittimamente escluso dall'accesso ai fondi per effetto della falsa rappresentazione della realtà esposta dall'autore del reato.

Da sottolineare che, secondo il diritto vivente,

Cass.

p

en.

,

S

ez. Unite

, 16

dicembre

2010

,

n. 7537

, Pres. Lupo, Rel.

Fiale, ricorrente Pizzuto, la falsa rappresentazione di condizioni economiche e reddituali compatibili con quelle che legittimano l'esenzione dal ticket sanitario non costituiscono truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. E neppure truffa aggravata in danno dello Stato. Colui il quale certifica falsamente condizioni economiche e reddituali che gli fanno ottenere un'esenzione, infatti, ottiene certamente, ed indebitamente, un profitto, con correlativo danno per la pubblica amministrazione che non consegue il ticket eluso. Resta, però, inconciliabile la nozione di erogazione, che comporta il trasferimento di un bene dall'ente al privato, con quella della rinuncia alla riscossione, atto di disposizione patrimoniale che non può esser considerata elargizione di denaro.

La decisione è intervenuta a modificare, nettamente, l'orientamento precedente

(

Cass.

p

en.,

Sez. V,

17

settembre

2008, n. 41383

, P.m. in c. Capalbo) derivante da

Cass. Pen. SSUU, 19

aprile

2007, n. 16568

, Carchivi), secondo cui per “erogazione” doveva intendersi tanto la prestazione per il sostegno ad attività economiche e produttive, quanto quella a carattere meramente assistenziale, giustificata da situazione di disagio sociale e non destinate al diretto inserimento in un ciclo finanziario.

La truffa processuale

L'

art. 374 del codice penale

, dispone che: ”Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa disposizione di applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela, richiesta o istanza, e questa non è stata presentata

.”

Oggetto della tutela, naturalmente, è il buon funzionamento della giustizia, quantomeno sotto l'aspetto delle acquisizioni istruttorie e probatorie, tutelando le fonti che portano alla formazione del convincimento del giudice.

E' un reato di pericolo, dunque con soglia di punibilità anticipata rispetto all'effettivo accadimento di un danno, in cui non è necessario che il giudice sia stato effettivamente ingannato, sufficiente essendo invece che la condotta sia astrattamente idonea a pervenire al risultato.

I momenti in cui la condotta assume rilevanza penale sono tassativamente indicati dalla norma: il procedimento in corso, se civile o amministrativo, o anche il tempo anteriore, nel caso del procedimento penale.

A differenza dalle figure di reato fin qui analizzate, la frode qui in esame non comporta – come elemento necessario – un danno economico con il contestuale, ingiusto profitto per l'agente o per altri. Essi possono naturalmente essere conseguenza della condotta, ma non costituiscono elemento tassativamente previsto – e perciò immancabile – di una fattispecie delittuosa che è solo simile a quelle previste nell'ambito dei delitti contro il patrimonio.

Per conseguenza, secondo

Cass. Pen., 6

°, n. 5009 del 31.1.2008, chi ha proposto denuncia di frode processuale non è persona offesa dal delitto in parola, ma solo persona danneggiata da reato; non è, quindi, legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, poiché il reato viola il corretto funzionamento della giustizia, rispetto al quale l'interesse del privato ha rilievo solo mediato e di riflesso.

Pur trattandosi di reato di pericolo, l'anticipazione della soglia di punibilità non è tale da escludere che la condotta ha rilievo penale solo se idonea a pervenire al risultato preso di mira; è dunque esclusa la rilevanza penale di condotte grossolane o maldestre, rispetto alle quali possa escludersi la potenzialità ingannatoria. La condotta, inoltre, se assunta in vista di un procedimento penale, deve essere dotata di autonomia e alterità rispetto a quella costitutiva del reato che ha portato – o può portare – all'instaurazione del procedimento.

L'uno e l'altro assunto sono il diritto vivente portato da

Cass. Pen.

,

SSUU, n. 45583 del 25.10.2007

.

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