Centri commerciali
04 Gennaio 2020
Inquadramento
Il condominio negli edifici sorge, per costante orientamento giurisprudenziale, laddove un fabbricato sia costituito da più unità in proprietà solitaria e da beni, impianti e servizi comuni destinate a fornire utilità alle singole unità che lo compongono. Si è osservato che la costituzione del condominio non richiede una apposita deliberazione o presa d'atto dei soggetti interessati ma che consegua ex lege alla prima cessione a terzi di una proprietà solitaria, così che, all'interno di un edificio multipiano, almeno due unità vedano titolarità distinte. Anche assai di recente la giurisprudenza di legittimità ha esteso ai complessi immobiliari che vedano sviluppo diverso dall'ordinario edificio che si eleva in altezza (e che per prassi vengono appellati con la brutta definizione di supercondominio) tale tipo di dinamica genetica: al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 ss. c.c., anche il c.d. supercondominio viene in essere ipso iure et facto, ove il contrario non risulti dal titolo, senza necessità alcuna di manifestazioni di volontà e, men che meno, di approvazioni assembleari, dandosi invece luogo a tale fenomeno giuridico ove singoli fabbricati, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi che siano legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi, stato di fatto che ne comporta l'appartenenza pro quota, ai proprietari delle unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Cass. civ.,sez.II, 25 ottobre 2018, n. 27084; Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2017, n. 27094). Nulla vieta, tuttavia, che tali complessi (a cui possono essere ascritti anche i centri commerciali) siano sottoposti a un diverso assetto giuridico, trattandosi di materia nella piena disponibilità delle parti, di talchè costoro ben possono prevedere discipline ad hoc nel titolo. Ancor più di recente, si è affermato che il supercondominio identifica ogni realtà edilizia complessa, costituita da più edifici, che siano o meno a loro volta condomini, e che siano improntati ad una relazione di accessorietà tra la parte comune servente e la pluralità di immobili serviti, ragione per la quale trova ad essi applicazione, proprio in ragione della condominialità del vincolo funzionale, la disciplina specifica del condominio, e non quella generale della comunione (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2019, n.32237). Va, invece, rilevato che, ove l'intera struttura appartenga in comproprietà a più soggetti, senza commistione di parti comuni e proprietà solitarie, si debba applicare il regime della comunione, disciplinato dagli artt. 1100- 1116 c.c.; tali norme sono volte a disciplinare la modalità di amministrazione del bene comune e la ripartizione dei diritti e degli oneri fra i contitolari del bene. Una parziale estensione della disciplina del condominio agli edifici che, giuridicamente, rappresentano una comunione è previsto dall'art. 1129, comma 16, c.c., così come introdotto dalla novella del 2102, che prevede l'applicabilità di quel solo articolo (che disciplina nomina, obblighi e revoca dell'amministratore) “anche agli edifici di alloggi di edilizia popolare ed economica, realizzati o recuperati da enti pubblici a totale partecipazione pubblica o con il concorso dello Stato, delle regioni, delle province o dei comuni, nonché a quelli realizzati da enti pubblici non economici o società private senza scopo di lucro con finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica”. Si tratta di disposizione specifica, volta a disciplinare quelle ipotesi che, di fatto, presentano problemi analoghi al condominio ma che tecnicamente non sono riconducibili a tale fattispecie (fabbricati di alloggi assegnati in conduzione), che prevede ipotesi tassative e che appare insuscettibile di applicazione analogica ad altre realtà. Poiché i centri commerciali presentano caratteristiche costruttive e funzionali assai peculiari, è plausibile che il costruttore predisponga una disciplina specifica in ordine all'uso e agli oneri per la manutenzione di beni, impianti e servizi comuni, previsioni che avrà cura di trasfondere nei contratti di alienazione o di locazione dei fondi posti all'interno della struttura, sì che la vicenda troverà adeguata soluzione in via convenzionale. Tuttavia, ove ciò non avvenga, si è rilevato che il complesso edilizio destinato a centro commerciale, ove ne rivesta le caratteristiche (proprietà individuali che vedono un collegamento funzionale con talune parti e servizi comuni), sarà comunque assoggettato alla disciplina del condominio, a mente dell'art. 1117 c.c. e, oggi, dell'art. 1117-bis c.c. Sul punto, esiste scarsissima elaborazione giurisprudenziale, tuttavia una non risalente pronuncia (Cass. civ., sez. II, 2 aprile 2014, n. 7736), affrontando la legittimità della richiesta monitoria ex art. 63 disp.att. c.c. proposta dall'amministratore di un complesso destinato a centro commerciale nei confronti di uno dei proprietari dei fondi ivi posti, ha chiarito che - pur essendo stata contrattualmente prevista l'istituzione di un consorzio per la gestione della struttura, al momento non ancora istituito - doveva ritenersi sussistente un'ipotesi di condominio (rectius, di supercondominio) con conseguente legittima applicazione della relativa disciplina. La pronuncia è estremamente sintetica e non spende particolari argomentazioni, tuttavia il principio di diritto affermato è inequivocabile. Va ancora rilevato che, in talune occasioni, con riferimento ai complessi edilizi in cui sono ubicati solo unità immobiliari destinate ad attività commerciali o professionali, la giurisprudenza di merito ha pacificamente ritenuto che si trattasse di condomini e, in quanto tali, soggetti anche alla disciplina del codice del consumo, posto che la qualifica dei singoli condomini prescinde dalla natura e dallo scopo del condominio in quanto tale, volto invece a gestire beni ed impianti comuni e funzionali a strutture immobiliari di proprietà individuale (App.Milano 13 novembre 2019, n. 4500; Trib. Massa 26 giugno 2017, n. 552): tali giudici hanno osservato che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei condomini (Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2018, n. 22911), con la conseguenza che i singoli condomini, nel momento in cui agiscono per la tutela e conservazione delle proprietà comuni tramite l'amministratore, assumono la veste di consumatori, perché operano per scopi totalmente estranei alla loro eventuale attività imprenditoriale o professionale. Indiretta conferma della assimilabilità dei complessi commerciali alla disciplina privatistica del condominio (e in quanto tale a quella del c.d. codice del consumo) si trae anche dalla recente giurisprudenza comunitaria (Corte Europea Giustizia 2 aprile 2020). Locazione e avviamento parassitario
Ove il centro commerciale non integri la fattispecie del condominio, per costituire un bene di proprietà individuale (o in comunione fra più soggetti) che cedono in locazione a terzi i fondi ivi posti, si pone un peculiare problema legato alla specificità della struttura e dei rapporti con la clientela, con riguardo a quel bene immateriale che - in materia di locazioni - il conduttore rivendica al termine fisiologico del rapporto, ovvero l'indennità di avviamento. La peculiarità che il fondo sia posto in un centro commerciale, dunque in una struttura destinata funzionalmente ad attirare clienti, indipendentemente dalla reputazione e dalla notorietà commerciale del singolo esercizio, ha portato la giurisprudenza di legittimità ad affermare che compete al giudice di merito valutare se il singolo esercente - che svolga la propria attività all'interno di un centro commerciale - goda di una posizione autonomamente tutelabile ai sensi dell'art. 34 della l. n. 392/1978. In tali ipotesi si è fatto riferimento al c.d. avviamento parassitario, ovvero alla circostanza che il singolo esercizio si giovi di una clientela che frequenta la struttura commerciale in quanto tale, godendo quindi di un afflusso non legato alla reputazione del singolo esercizio, secondo il paradigma delineato dall'art. 35 della l. 392/1978 per taluni tipi di immobili, ovvero per le unità commerciali posti in locali “complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici”. Tuttavia, tale forma parassitaria, ad avviso della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2016, n. 18748), non sarebbe in re ipsa, poichè - anche all'interno di complessi destinati al commercio - il singolo esercizio può aver maturato una propria autonoma componente di stima e conoscenza, con conseguente buon nome commerciale, che farebbe comunque maturare il diritto all'indennità per la perdita di avviamento: secondo l'indicazione della corte di legittimità, in tali casi, il giudice di merito dovrà effettuare una valutazione in fatto sulla natura e sulle caratteristiche dell'attività svolta dal conduttore, al fine di escludere che l'avviamento per cui si chiede tutela abbia natura parassitaria e ciò, non già in applicazione analogica dell'art. 35 della l. n. 392/1978, quanto compiendo una valutazione di fatto sulla scorta della ratio sottesa a tale norma, ovvero se debba ravvisarsi una “sinergia reciproca”, dovuta all'ubicazione nel centro, che in concreto escluda la sussistenza di un avviamento individuale autonomo e tutelabile; soluzione che non manca di destare qualche perplessità in ordine alle possibilità di analisi e valutazione di cui può disporre il giudice di merito in una materia non facilmente misurabile con parametri oggettivi.
Casistica
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