Oltraggio: non vi è sproporzione tra la pena detentiva prevista dall'art. 341-bis c.p. e la mera pena pecuniaria di cui all'art. 342
13 Marzo 2020
Massima
La pena da 15 giorni a 3 anni di reclusione prevista per il reato di Oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.), nella versione in vigore dal 2009 fino all'entrata in vigore del cosiddetto “decreto sicurezza”, che ha innalzato il minimo a 6 mesi, non è contraria ai principi costituzionali di uguaglianza e proporzionalità, anche se in comparazione con il delitto di Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo, o giudiziario (art. 342 c.p.), che prevede la multa da 1.000 a 5.000 euro, posto il diverso disvalore delle due fattispecie poste in raffronto. Il caso
L'imputata aveva rivolto frasi ingiuriose all'indirizzo di agenti di polizia alla presenza di manifestanti e passanti. Pertanto era stata incriminata per il delitto di “oltraggio a pubblico ufficiale” previsto dall' art. 341- bis c.p. Il Tribunale non dubita della di lei colpevolezza, rilevando che la pena, anche se il fatto dovesse ritenersi di minima gravità, potrebbe fissarsi nei quindici giorni di reclusione, posto che tale fattispecie prevede, per l'appunto, la reclusione fino a tre anni di reclusione. E non nega la rilevante ratio di tale disposizione penale, “squisitamente pubblicistica”, tesa a garantire i compiti del pubblico ufficiale senza che le offese dirette alla sua persona possano turbarne l'operato.
Solleva, invece, questione di legittimità costituzionale dell' art. 341- bis c.p. in riferimento all'art. 3 Cost. , posta la “iniqua sproporzione” tra il trattamento sanzionatorio previsto da tale fattispecie rispetto a quello previsto dall'art. 342 c.p. che punisce l'oltraggio ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, per il quale è prevista la mera pena pecuniaria (multa da 1000 a 5000 euro), posto che, secondo il giudice remittente, gli interessi tutelati sarebbero sostanzialmente identici.
Inoltre, solleva eccezione di legittimità costituzionale della stessa norma per contrasto con il principio rieducativo di cui all' art. 27, comma 3, C ost . , in quanto la prevista sanzione sarebbe inadeguata nella specie e nella quantità nell'attuale contesto storico, generando un senso di sfiducia nella Giustizia e nelle Istituzioni, posto che il principio di proporzionalità rientra nel “volto costituzionale del sistema penale”, e che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la pena detentiva non dovrebbe applicarsi per i reati commessi tramite la manifestazione del pensiero.La particolare vicenda della fattispecie di oltraggio
Alquanto laboriosa la vicenda del reato di oltraggio, inizialmente previsto all' art. 341 c.p. , rubricato Oltraggio a un pubblico ufficiale, in forza del quale «Chiunque offende l'onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. // La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni. //. La pena è della reclusione da uno a tre anni, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. // Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l'offesa è recata in presenza di una o più persone».
Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 1994, n. 341 , aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma nella parte in cui prevedeva come minimo edittale la reclusione di mesi sei. In particolare, la Corte ha osservato che la rigidità e severità del minimo edittale previsto dal legislatore del 1930 rappresenta il frutto di un bilanciamento ormai manifestamente irragionevole tra la tutela dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale anche nei casi di minima entità, e quella della libertà personale del soggetto agente,aggiungendo, peraltro, che la manifesta irragionevolezza della norma emerge anche dal raffronto con il trattamento sanzionatorio previsto dall' art. 594 c.p. , che prevede il reato di Ingiuria, inteso pertanto come tertium comparationis (si noti che tale disposizione è stata da ultimo abrogata dall'art. 1 del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 ). In definitiva, la pena minima per il reato di oltraggio era quella minima prevista dall'art. 23 c.p. per la reclusione (quindici giorni).Infine , l' art. 341 c.p. è stato abrogato dall'art. 18
, comma 1, della legge 25 giugno 1999, n. 205 , recante Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario.
Trascurando i problemi di diritto intertemporale cagionati da tale abrogazione, e che qui non rilevano, sorti dal fatto che comunque la fattispecie concreta poteva rivestire la qualifica di ingiuria aggravata ex artt. 594 e61 n. 10 c.p. , e con il conseguente dubbio se doveva applicarsi il comma 2 ovvero il comma 3 (ora comma 4 ai sensi dellalegge 24 febbraio 2006, n. 85) dell'art. 2 c.p., e che il reato di ingiuria, a differenza di quello di oltraggio, era perseguibile a querela di parte, è giocoforza che il delitto di oltraggio è rimasto assente dall'ordinamento penale per un decennio.
Infatti, dieci anni dopo, l' art. 1, comma 8, della legge 24 luglio 2009, n. 94 (recanteDisposizioni in materia di sicurezza pubblica ), ha introdotto nel codice penale l'art.341-bis , parimenti rubricato come Oltraggio a pubblico ufficiale. La scelta di non inserire la nuova normativa sotto la analoga dizione (oramai vuota) dell'art. 341, è ben precisa, determinata dal fatto che la nuova fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale è ben diversa da quella precedentemente abrogata:
«Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. // La pena è aumentata se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l'ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'offesa non è punibile. // Ove l'imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell'ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.»
Deve, inoltre sottolinearsi che, di recente, l' art. 7, comma 1, lett. b-bis, del d.l. 14 giugno 2019, n. 53 , ha sostituito la sanzione di cui all'art. 341-bis, primo comma, elevandola "da sei mesi a tre anni" (e non più da quindici giorni a tre anni). In ogni caso tale ultima modifica non interessa il quadro giuridico di cui all'eccezione di illegittimità costituzionale de qua, in quanto precedente ad essa.
L' art. 342 c.p. , rubricato Oltraggio ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, disponeva, nella sua dizione originale:
«Chiunque offende l'onore o il prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica Autorità costituita in collegio, al cospetto del Corpo, della rappresentanza o del collegio, è punito con la con la reclusione da sei mesi a tre anni. // La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno diretti al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni. // La pena è della reclusione da uno a quattro anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. // Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente.»
Successivamente l' art. 18, comma 3, della citata legge 25 giugno 1999, n. 205 (quella che ha abrogato l'oltraggio di cui all'art. 341 c.p ) ha modificato la sanzione di cui al primo comma dell'art. 342 c.p. , riducendo la reclusione “da sei mesi a tre anni" con la reclusione “fino a tre anni" (ossia: da quindici giorni a tre anni).
Da ultimo, una innovazione decisiva: l' art. 11, comma 3, della legge 24 febbraio 2006, n. 85 , recante Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione, ha sostituito la sanzione di cui al primo comma dell'art. 342 con la multa da 1000 e 5000 euro, e quella del comma 4 con la multa da 2000 a 6000 euro: una sanzione, pertanto, meramente pecuniaria.I rapporti fra le due disposizioni penali
Per quanto comprensibile, sarebbe errato considerare, anche prima delle modifiche che hanno interessato le due norme, l' art. 342 c.p. come una sorta di oltraggio plurimo rispetto a quello singolo di cui all'art. 341 c.p.
La stessa Corte costituzionale del resto, aveva dichiarato l'infondatezza del trattamento sanzionatorio dell' art. 342 c.p. (Corte cost., 12 luglio 1995, n. 313 ) proprio raffrontandolo con la pena edittale prevista per il reato di cui all'art. 341, peraltro poco prima modificata dalla citata sentenza n. 341 del 1994. Secondo la Consulta, infatti, l'offesa all'onore o al prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o di una pubblica autorità costituita in collegio non può affatto ricondursi, sul piano della lesività, ad una mera ipotesi di oltraggio "plurimo", giacché nella fattispecie descritta dall'art. 342 c.p. è la specifica qualità dell'organo e delle attribuzioni che esso esprime a rappresentare la connotazione tipizzante e, dunque, un valore da tutelare adeguatamente anche sotto il profilo dell'onore e del prestigio, per i naturali riverberi negativi che l'offesa può in sé determinare sul corretto e sereno svolgimento delle funzioni che il corpo o il collegio è chiamato a esercitare.
Non v'è dubbio, dunque, che in quel contesto normativo, il disvalore di cui all' art. 342 c.p. era diverso e, per certi versi, superiore a quello dell'art. 341 c.p.
Il quadro cambia completamente con la riforma, anche se diacronica, delle due disposizioni. L'oltraggio viene ora a ledere l'onore e il prestigio del pubblico ufficiale (cumulativamente e non alternativamente, come in precedenza), mentre compie un atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, e non più in presenza di lui, bensì in luogo pubblico o aperto a pubblico e in presenza di più persone (così il primo comma dell' art. 341- bis c.p. , mentre trascuriamo, in quanto qui non rilevano, le disposizioni fortemente innovative dei capoversi successivi).
Mentre la giurisprudenza insiste sulla necessaria presenza di almeno due persone ( Cass. pen. , sez. VI, 6 marzo 2019, n. 35428 ;C ass. pen., sez. VI, 23 ottobre 2018, n. 52895 ), presenza che deve essere provata e non desumibile da altre considerazioni (Cass. pen., sez. VI, 6 giugno 2018, n. 29406 ), anche se è sufficiente la mera possibilità di percezione dell'offesa da parte dei presenti (Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2019, n. 47879 ;Cass. pen., sez. VI, 15 maggio 2018, n. 26028 ;Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2017, n. 19010 ), il legislatore sottolinea la gravità del reato aumentando di recente, come vi è visto, il minimo della pena edittale (il citatod.l. n. 53 del 2019 ).
Per altro verso, altrettanto profonda la riforma dell' art. 342 c.p. , ove le pene detentive previste scompaiono per essere sostituite da quelle pecuniarie. E non è un caso che il tutto venga disposto dalla citatalegge n. 85 del 2006 che viene a disciplinare quanto disposto in materia di reati di opinione. L'operazione, a dire il vero, non è del tutto lineare in quanto l'art. 342 c.p. è situato nel titolo dedicato ai reati contro la pubblica amministrazione e si era sempre sottolineato la ratio di tale fattispecie criminosa in quanto lesiva del corretto andamento di un pubblico corpo o collegio.Le motivazioni della Corte costituzionale
La Consulta ha ben presente tale complesso quadro giuridico e, a sua volta, ne delinea le scansioni. Due, a nostro avviso, i punti fondamentali da porre in rilievo. Innanzi tutto, comunque lo si voglia denominare o situare nella topografia del codice, l'art. 342 c.p. viene considerato e fatto rientrare, fors'anche forzatamente, nei reati l'opinione, posto che l'offesa ovvero, rectius, l'ingiuria, per quanto rivolta ad un soggetto collettivo, tale deve essere considerata, tant'è che l'onore o il prestigio del Corpo politico, amministrativo o giudiziario può essere leso anche mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno, diretti al Corpo, alla rappresentanza o al collegio (come previsto dal capoverso della medesima disposizione). Diversa valutazione deve, invece, farsi rispetto al nuovo art. 341-bis c.p., ove si rimarca che l'oltraggio avviene “mentre” il pubblico ufficiale compie un atto legittimo del suo ufficio (se tale non fosse richiamerebbe la fattispecie scriminante di cui all'art. 393-bis c.p.). In tal caso, non solo viene arricchita la dimensione offensiva rispetto a quella previgente, affiancando alla duplice lesione dell'onore individuale del pubblico ufficiale che subisce l'offesa anche il prestigio della pubblica amministrazione. In secondo luogo, proprio tale ostacolo al compimento di un atto legittimo del suo ufficio viene a creare il pericolo che tale reazione offensiva possa trasmodare in una aggressione minacciosa o violenta, con la conseguente configurabilità della più grave ipotesi delittuosa di cui all'art. 337 c.p. (rubricato Resistenza a un pubblico ufficiale), che punisce chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale proprio “mentre” compie un atto dell'ufficio. Rimane il dubbio se, in tal caso, cisi porrebbe di fronte ad una “progressione criminosa”, come sembrerebbe desumersi da uno sfumato accenno nella sentenza de qua, ovvero, e più fondatamente a nostro sommesso avviso, ad un concorso di reati, come asserito dalla Suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, 17 maggio 2018, n. 39980), posto che il reato di oltraggio non è assorbito, ma concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale. Ben diverso, in definitiva, il disvalore (od il bene tutelato) sotteso all'art. 341-bis c.p. rispetto a quello dell'art. 342 c.p. La decisione della consulta
Poste tali premesse, la Corte ritiene che la lamentata disparità di trattamento fra l'art. 341-bise l'art. 342 c.p. sia sorretta da sufficienti ragioni giustificative e che, pertanto non violi l'art. 3 Cost., in ragione delle modifiche strutturali subite alla “rinata” fattispecie di oltraggio di cui all'art. 341-bis rispetto al paradigma disegnato dall'abrogato art. 341 c.p. Per quanto attiene alla censura formulata in riferimento al principio di proporzionalità della pena la Corte rileva che è necessario individuare un preciso tertium comparationis da cui mutare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella dichiarata incostituzionale: il che nella ordinanza di remissione non viene delineato. In conclusione, alla Corte costituzionale non resta che dischiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 341-bis c.p., introdotto dall'art. 1, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in tema di sicurezza pubblica) sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. Peraltro, al di là delle modifiche ed innovazioni delle norme oggetto di attenzione, forse anche criticabili dal profilo della politica criminale, una diversa soluzione giuridica era affatto impensabile. |