Covid-19 e carceri: un'emergenza al quadrato, umana e sanitaria

Veronica Manca
16 Marzo 2020

“Covid-19 e carcere: scoperchiato il vaso di pandora”. Potrebbe essere il titolo alla situazione attuale, che descrive l'emergenza sanitaria vista all'interno degli istituti penitenziari. Alla luce del susseguirsi dei provvedimenti presidenziali, e, in ragione dell'aggravarsi dell'emergenza sanitaria, sull'esterno, si è assistito a un'esplosione di violenza e proteste, all'interno (delle carceri), generate dalla limitazione dell'accesso per l'esterno e dalla sospensione dei colloqui con i familiari. Tali decisioni, oltre alla mancanza di informazioni precise, all'insufficienza di prassi di prevenzione della diffusione del contagio, sono state motivo di concitazione e preoccupazione, sia per la società esterna, sia, tanto più, per le persone recluse.
Abstract

“Covid-19 e carcere: scoperchiato il vaso di pandora”. Potrebbe essere il titolo alla situazione attuale, che descrive l'emergenza sanitaria vista all'interno degli istituti penitenziari. Alla luce del susseguirsi dei provvedimenti presidenziali, e, in ragione dell'aggravarsi dell'emergenza sanitaria, sull'esterno, si è assistito a un'esplosione di violenza e proteste, all'interno (delle carceri), generate dalla limitazione dell'accesso per l'esterno e dalla sospensione dei colloqui con i familiari. Tali decisioni, oltre alla mancanza di informazioni precise, all'insufficienza di prassi di prevenzione della diffusione del contagio, sono state motivo di concitazione e preoccupazione, sia per la società esterna, sia, tanto più, per le persone recluse.

La cronistoria: l'iter dei provvedimenti emergenziali per l'ambito penitenziario

In una situazione di emergenza sanitaria, a prova di ultimo tweet, post sui social, aggiornamento televisivo, sia giornalistico e non, abbiamo vissuto con apprensione il susseguirsi di notizie che comunicavano un generale cambiamento rispetto alle abitudini di chi lavora nel mondo della giustizia, sia per l'attività giudiziaria, sia nel settore carcerario.

L'incertezza sulle misure operative, anche per noi operatori del diritto, si è fatta sentire: il bombardamento di notizie, alcune non veritiere, o, eccessivamente tempestive, ha ulteriormente aggravato la situazione, già di per sé difficile e complessa.

Le ricadute che tale incertezza informativa e applicativa hanno avuto sulle persone recluse, detenuti e detenenti, e, per gli operatori penitenziari, a stretto contatto, si sono fatte sentire, eccome: eventi drammatici, con morti e feriti in numerosi istituti penitenziari, dal Nord al Sud della Penisola (da Milano, San Vittore, a Modena, fino a Foggia, e in molti altri; così Damiano Aliprandi, Rivolta nelle carceri: morti, incendi e fughe di massa, in Il Dubbio, 9 marzo 2020).

Come ha ricordato anche Riccardo De Vito (Magistrato di Sorveglianza di Sassari e Presidente di Magistratura Democratica), in Il vecchio carcere ai tempi del nuovo colera, per Questione Giustizia, 11 marzo 2020), l'emergenza sanitaria ha scoperchiato una pentola in ebollizione, lasciando in superficie tutta la drammaticità di una situazione carceraria, ormai al collasso (v., anche, Damiano Aliprandi, Le rivolte tra rabbia, critiche e qualche spiraglio. Ma è un bollettino di guerra, in Il Dubbio, 11 marzo 2020).

I dati, infatti, parlano chiaro: a far data del 29 febbraio 2020, i detenuti presenti nelle carceri sono 61.230, a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti, e, di quella effettiva di poco più di 47.000 unità. Una situazione drammatica, i cui numeri ricordano di molto quelli che hanno preceduto la sentenza pilota Torreggiani e altri c. Italia del 2013 (v., nel 2010, 67.691 detenuti, nel 2012, 66.586. Un interessante contributo, che mette in luce la correlazione tra il fenomeno del sovraffollamento ed episodi di violenza nelle carceri, Adrano Sofri, L'associazione tra carcere e coronavirus è l'annuncio della tempesta perfetta, in Il Foglio, 14 marzo 2020).

Dati i numeri, risulta evidente come la gestione di una possibile contaminazione all'interno delle carceri, sia per i detenuti, che per i detenenti, diventa un problema complesso e delicato: non è possibile, infatti, allo stato dell'arte degli istituti penitenziari, consentire una corretta applicazione di misure sanitarie preventive e contenitive del virus, perché le aree sanitarie, ad oggi, non sono in grado di sopportare simili numeri (e ciò vale, ad oggi, anche per persone libere, nel sistema sanitario nazionale); non ci sono strumentazioni igienico-sanitarie diffuse a sufficienza, nemmeno per gli operatori e per i detenuti malati; non ci sono state, su larga scala, indicazioni, di una corretta profilassi.

Non da ultimo, non ci sono nemmeno gli spazi fisici per consentire un eventuale isolamento (anche ai sensi dell'art. 33 ord. penit.) per i detenuti contagiati.

Tenuto conto della situazione allarmante, facciamo un passo indietro, cercando di capire quali sono stati i passaggi normativi e ministeriali, oltre che amministrativi.

Con il provvedimento del 23 febbraio 2020, in relazione al D.P.C.M., Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, venivano diffuse due prime circolari, una del DAP, e una del DGMC, con cui si comunicavano le misure restrittive da applicarsi nelle zone rosse, inizialmente limitate, in sostanza alla Lombardia e ad altre poche province, con oggetto fondamentalmente il contenimento dei c.d. “nuovi giunti” e della sospensione dei trasferimenti, oltre che l'attivazione delle prassi operative per la parte sanitaria.

Successivamente, anche per l'aggravarsi della situazione, tenuto conto dell'alto tasso di trasmissibilità del virus per via aeree, tali restrizioni sono state ulteriormente rimodulate, con successive decisioni del 26 febbraio.

Il DAP, infatti, ha sancito di a) sospendere le attività trattamentali, per le quali sia previsto o necessario l'accesso della comunità esterna; b) contenere le attività lavorative esterne e quelle interne per le quali sia prevista la presenza di persone provenienti dall'esterno; c) sostituire i colloqui con familiari o terze persone, diverse dai difensori, con i colloqui a distanza mediante le apparecchiature in dotazione agli istituti penitenziari (Skype) e con la corrispondenza telefonica, che potrà essere autorizzata oltre i limiti; d) prevedere l'accesso dei difensori solo con l'apposito dispositivo di protezione; e) prevedere, sulla base del caso concreto, la sospensione dei permessi premio e della semilibertà, in accordo con l'autorità giudiziaria (sul punto, v., la nota del Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Nota del Garante nazionale e del portavoce della conferenza dei garanti territoriali sui provvedimenti assunti sulla prevenzione del covid-19 negli istituti detentivi per adulti e minori, 3 marzo 2020).

Tali decisioni erano già estese a più province e realtà territoriali: a fronte di ciò, le Direzioni hanno iniziato ad attuare tali disposizioni restrittive, cercando di gestire l'emergenza con gli strumenti e gli ordini di servizio a disposizione, e, di fatto, contando sul buon operato del personale penitenziario, per una più ampia diffusione possibile di tali informazioni (anche, se molto probabilmente qualcosa non ha funzionato, dato che sono iniziate a registrarsi le prime proteste circa presunti restrizioni oltre le zone segnalate, e, oltre i limiti indicati dal DAP).

In parallelo sono mutate anche le abitudini di lavoro del personale degli ULEPE: sulla base delle note del DGMC, già a partire dal 26 febbraio, le Direzioni hanno iniziato a ridurre l'accesso degli utenti, disponendo direttive di una corretta profilassi a tutto il personale coinvolto e al pubblico esterno.

Come ha ricordato il Garante dei detenuti, ciò non è avvenuto in modo uniforme e razionale, dando origine a ordini di servizio, di chiusura e sospensione, anche in zone non ritenute dal D.P.C.M., come zone rosse. Sul punto, infatti: «In questo articolato panorama, sono preoccupanti talune decisioni che vanno oltre le indicazioni emanate centralmente e che tendono a configurare un concetto di prevenzione assoluta che, superando i criteri di adeguatezza e proporzionalità, finisce col configurare il mondo recluso come separato dal mondo esterno e portatore di un fattore intrinseco di morbilità. Si tratta in parte delle autonome indicazioni di un Provveditorato, in parte di disposizioni di alcuni Direttori di Istituti per adulti, anche di regioni per nulla coinvolte dalle “Indicazioni” del 26 febbraio e quindi non destinatari di queste o di alcuni Direttori di Istituti di regioni coinvolte che hanno assunto direttamente tali decisioni che spettavano invece ai relativi Provveditori” (così, Nota del Garante nazionale e del portavoce della conferenza dei garanti territoriali sui provvedimenti assunti sulla prevenzione del covid-19 negli istituti detentivi per adulti e minori, 3 marzo 2020)».

Il 2 marzo 2020, inoltre, sulla base della pubblicazione del decreto legge n. 9 del 2020, Misure per il contrasto e il contenimento sull'intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVJD-19, si prevedeva che tali limitazioni avrebbero avuto una durata temporale “emergenziale” fino al 31 marzo 2020. Termine anticipato, con il decreto legge n. 11 dell'8 marzo 2020, al 22 marzo (v., Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria). Solo con il D.P.C.M. dell'8 marzo 2020, tale durata temporale è stata estesa fino al 3 aprile 2020.

Tuttavia, il punto dolente, come per il versante della giustizia, si è ravvisato nella circolazione di informazioni tra la bozza e la versione finale dello schema del decreto legge del 7 marzo, alla versione finale del D.P.C.M. dell'8 marzo, che sanciva una durata ulteriormente prolungata, fino al 31 maggio 2020 per la sospensione dei colloqui coi familiari e per il blocco di tutte le attività trattamentali, che comportino un contatto con l'esterno (così, Damiano Aliprandi, Carcere, fino al 31 maggio niente colloqui, più telefonate e Skype, ma niente pene alternative, in Il Dubbio, 7 marzo 2020). Infatti, sono proprio le giornate del 7 e 8 marzo, le giornate più convulse, in cui le proteste in carcere hanno raggiunto la massima espansione territoriale e la più elevata intensità di violenza (v., Damiano Aliprandi, Finite le proteste restano le macerie di un sistema penitenziario già in crisi, in Il Dubbio, 12 marzo 2020).

Sulla base, invece, del testo finale dell'8 marzo 2020, il termine finale per le restrizioni è fissato al 3 aprile. Non solo. Secondo il D.P.C.M., poi «I colloqui visivi si svolgono in modalità telefonica o video, anche in deroga alla durata attualmente prevista dalle disposizioni vigenti. In casi eccezionali può essere autorizzato il colloquio personale, a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri. Si raccomanda di limitare i permessi e la libertà vigilata o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l'uscita e il rientro dalle carceri, valutando la

possibilità di misure alternative di detenzione domiciliareP. Quindi, ferme restando le sospensioni delle attività trattamentali, non più fino al 22-31 marzo, ma fino al 3 aprile, tenuto conto delle restrizioni delle modalità di accesso per gli esterni (compresi, in parte, i difensori, che possono effettuare i colloqui, solo se muniti di protezione), il D.P.C.M. lascia discreti margini di apertura per lo svolgimento, in casi eccezionali, di colloqui visivi di persona, mentre concede ampia discrezionalità alle Direzioni per l'attuazione dei colloqui a distanza con l'utilizzo delle piattaforme via Skype; oltre alla possibilità di svolgere colloqui telefonici, “in deroga alle disposizioni vigenti”. In chiusura, pur limitando – rimettendo comunque la decisione all'autorità giudiziaria competente – la concessione, e, quindi, lo svolgimento di permessi premio, semilibertà (e, si pensi al lavoro all'esterno), si sollecita la concessione, dove possibile, della misura alternativa della detenzione domiciliare.

Le opinioni: Covid-19 e carcere, quali soluzioni?

Dato il contesto, e il quadro normativo, numerosi esperti si sono espressi, tentando di formulare delle riflessioni, non solo su ciò che è stato, ma anche rispetto a cosa l'ordinamento andrà incontro, soprattutto, senza un'attenta e ponderata rimeditazione dei principali strumenti normativi di tutela delle persone recluse, in caso di emergenza (e di sovraffollamento carcerario).

Di recente, Vittorio Manes, Giovanni Fiandaca, Mauro Palma, Stefano Anastasia e Rita Bernardini, intervistati da Il Foglio, il 12 marzo 2020, hanno manifestato forti preoccupazioni rispetto alla situazione attuale, rilanciando anche proposte di riforma del sistema penale, dall'amnistia, all'indulto, a modifiche maggiormente orientate sull'ordinamento penitenziario, anche sulla base degli strumenti normativi esistenti, sollecitando, ad es., la magistratura di sorveglianza alla concessione della misura della detenzione domiciliare, per tutti i soggetti con un fine pena ravvicinato o per pene di breve durata, o, ancora alla presa in carico, con misure extra-detentive, dei soggetti anziani, over 65 anni, o, di quelli affetti da patologie cardiache o polmonari (v., in senso analogo, anche Stefano Anastasia, Il sovraffollamento aiuta il virus l'urgenza è svuotare le celle, in La Repubblica, 10 marzo 2020; v., anche, Francesca Vianello, Il carcere insostenibile, in rivistailmulino.it, 13 marzo 2020).

Sulla stessa linea anche Tullio Padovani che, escludendo la praticabilità di una legge parlamentare in materia di amnistia, ha descritto, in termini crudi, la situazione del sovraffollamento carcerario, indicando la necessità di una riforma deflattiva che consenta di abbassare le cifre dei detenuti presenti: «Nel nostro sistema si verifica il contrario della massima hegeliana: ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale. Da noi, invece, nell'ambito carcerario ciò che è reale è irrazionale, e ciò che è irrazionale è reale. Le carceri non possono e non debbono accogliere un solo detenuto in più rispetto al numero che assicura un trattamento umano e non degradante. Come previsto dalla normativa europea, un maiale in allevamento deve disporre di almeno 6 metri quadrati. Noi al posto del porco mettiamo il detenuto. Il detenuto per il nostro legislatore è un porco. Nelle nostre carceri più di 30000 detenuti non entrano. Se io ho 30000 posti mi devo rassegnare a questo numero. E se ne ho da mettere in più scelgo: metto fuori uno che sta alla fine della pena, o uno che ha un reato meno grave e faccio entrare l'altro. Il carcere invece è concepito come un pallone che si gonfia all'infinito, mentre è una struttura metallica nella quale vengono pigiati gli esseri umani. E poi la verifica di ciò che è umano e non degradante non può essere fatta a- posteriori ma è a- priori. Ossia, il giudice di sorveglianza deve avere lo strumento per dire ‘questa cella non è umana'. La verifica deve essere preventiva e coercibile» (v., Valentina Stella, I penitenziari ridotti a discariche del male: lo Stato è fuorilegg», in Il Dubbio, 11 marzo 2020). Sul punto, in relazione a quanto affermato da Padovani, Luigi Manconi ha magistralmente rammentato come la vera emergenza sia proprio il sovraffollamento carcerario e una “cattiva” politica della gestione penitenziaria, tenuto conto che a causa del sovrannumero di persone detenute non è possibile praticare alcuna politica di prevenzione, né applicare buone prassi di profilassi (v. Luigi Manconi, I centimetri del carcere, in La Repubblica, 09 marzo 2020; in senso analogo, Simone Lonati, Carceri italiane, un sistema malato da tempo, in lavoce.info, 14 marzo 2020).

Dal punto di vista operativo, il Garante nazionale dei detenuti, intervistato, ha dichiarato: «Bisogna cominciare a ragionare in proiezione. Mi riservo di fare una serie di proposte che vanno nella direzione di prepararsi anche all'ipotesi più negativa. Se ci fosse bisogno di isolare delle persone occorre avere capacità e numeri per riuscire a farlo. Per cui una prima misura è quella di alleggerire il sistema di detenuti giunti alla fine della pena o che tornano in carcere solo per dormire. Lo dico non tanto per mettere subito fuori dei detenuti ma anche per crearci degli spazi qualora domani ci fosse la necessità di un sistema meno fitto» (v., Valentina Stella, Mauro Palma: Con tutti quei morti nelle carceri era doveroso lasciare i Palazzi e far sentire la propria vicinanza, in Il Dubbio, 13 marzo 2020).

Ancora. L'Unione delle Camere Penali Italiane, in collaborazione con Il Riformista hanno lanciato un appello pubblico al Governo per denunciare la gravità della situazione, sollecitando lo stesso ad adottare delle riforme, così indicate: «(1) la prosecuzione della espiazione della pena in detenzione domiciliare per soggetti con pena residua non superiore a 24 mesi, nonché per detenuti di età superiore ai 70 anni, previa indicazione di domicilio idoneo; (2) l'aumento del tetto di pena, residua e non, per la concessione di misure alternative alla detenzione; (3) l'immediato potenziamento degli organici dei Tribunali di Sorveglianza mediante adozione di provvedimenti di distacco temporaneo dei magistrati attualmente sollevati da impegni di udienza; (4) l'immediata applicazione presso i Tribunali di Sorveglianza di magistrati e personale in grado di accelerare le valutazioni sulla concessione o meno di misure alternative alla detenzione in atto pendenti; (5) l'attribuzione al giudice competente di un breve termine per rivalutare d'ufficio lo stato delle esigenze cautelari dei detenuti in attesa di giudizio, in funzione della verifica della sufficienza degli arresti domiciliari» (per la lettura dell'intero documento, v. https://www.camerepenali.it/cat/10380/appello_pubblico_al_governo.html).

Rilevanti, anche le proposte segnalate dalla Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ornella Favero, in Ristretti, il 10 marzo 2020, per cui: «Quello che si può fare subito è creare le condizioni perché vengano concesse più misure alternative: quindi dove è possibile l'affidamento in prova ai servizi sociali, che è la misura più compiutamente efficace per il reinserimento delle persone detenute nella società e anche per la sicurezza della società stessa, e poi la detenzione domiciliare negli ultimi due anni della pena. A partire da tutte le persone anziane e dai malati, che devono essere al più presto rimandati a casa. E se non hanno dove andare, crediamo che la rete delle Comunità di accoglienza possa dare una mano a trovar loro una sistemazione dignitosa. Questo ridurrebbe sensibilmente il numero delle persone in carcere e contribuirebbe ad alleggerire le tensioni e ad affrontare più efficacemente l'emergenza sanitaria».

Di segno più ampio, fino a comprendere possibili margini di apertura verso un'amnistia e/o un indulto, sono le soluzioni offerte dall'Associazione Nessuno Tocchi Caino e dal Partito Radicale (che sono state pubblicate a più riprese, tra il 7-9 marzo, sia su Il Riformista, sia su Il Dubbio).

Il da farsi: il fattibile, il programmabile, il futuribile

Sulla base di tutte le opinioni sin qui sintetizzate, si ritiene che i livelli di intervento possano essere molteplici.

1. Il primo, immediato: servono risposte concrete e tangibili; serve ripristinare la “normalità” della vita detentiva, con il funzionamento dei servizi e con la serenità degli operatori penitenziari interessati; servono delle direttive comuni che diano indicazioni precise e dettagliate alle Direzioni, senza lasciare spazi di manovra in peius, o, eccessiva discrezionalità, tenuto conto della situazione territoriale, di eventuali disordini e rivolte e della peculiarità del singolo istituto penitenziario.

Opportune, quindi, le iniziative delle Direzioni che hanno invitato gli operatori penitenziari a fornire le informazioni necessarie alle persone recluse, sollecitando anche il volontariato, per quanto possibile, ad iniziative di supporto dall'esterno. Importanti poi le iniziative dei Garanti territoriali promotori di garanzie e del rispetto della legalità: la presenza fisica degli stessi, in questi giorni, all'interno degli istituti, si rivela quanto mai necessaria.

Ancora. Sulla base dei limitati spazi di manovra lasciati dal D.P.C.M. dell'8 marzo, non si possono, infatti, escludere importanti svolte nella gestione dei rapporti con l'esterno, come sta accadendo per i detenuti studenti.

Secondo la nota del DAP-Dipartimento generale dei detenuti e del trattamento del 12 marzo, è ora possibile il ricorso ad Internet e a Skype, per l'invio della posta elettronica, relativamente a colloqui e comunicazione con i propri tutor universitari. Tale possibilità sembrerebbe essere stata aperta anche ai detenuti nei circuiti di Alta sicurezza, concedendo loro l'opportunità di svolgere il colloquio con i familiari a distanza (sul punto, Emilia Rossi, intervistata a Il Dubbio, Sono indispensabili i domiciliari e la liberazione anticipata speciale, 14 marzo 2020; vedi, anche l'ultimo aggiornamento del Garante dei diritti dei detenuti, Il Garante Nazionale sulla privazione della libertà nei giorni del Covid-19, 13 marzo 2020).

Potrebbe, inoltre, essere l'occasione, per mantenere tali prassi, anche ad emergenza cessata, liberalizzando l'utilizzo del cellulare e della piattaforma Skype, sia per i colloqui con i familiari, sia per i rapporti con l'Università e gli altri enti/associazioni ruotanti intorno al mondo del carcere (così, Eleonora Martini, Carcere, il Dap rompe il tabù: “I detenuti potranno utilizzare mail e Skype”, in Il Manifesto, 13 marzo 2020).

Sussistono ampi margini, infatti, in capo al DAP, e, alle singole Direzioni, per operare in termini estensivi rispetto alla liberalizzazione delle telefonate e all'organizzazione dei colloqui visivi: senza ombra di dubbio, una telefonata in più alla settimana di n. 10 minuti non risolve il problema dell'afflittività della pena nelle carceri, ma può essere un inizio di regolamentazioni più “permissive”, superando così la concezione della “telefonata straordinaria” come una prassi del tutto eccezionale (Di rilievo il pensiero di un Direttore, v. Sergio Romice, Quando il carcere non è più carcere, in www.giurisprudenzapenale.com, 14 marzo 2020).

Il sovraffollamento è una situazione emergenziale che consentirebbe comunque di adottare soluzioni più ampie (così, anche Ornella Favero, Tempi di virus: capire la sofferenza di chi è in carcere, sconfiggere ogni violenza, cit.: «Dare ordine ed efficacia alle misure, relative alla tutela degli affetti, uscendo dalla genericità di formule come quella adottata in questi giorni, che dice che “I colloqui visivi si svolgono in modalità telefonica o video, anche in deroga alla durata attualmente prevista dalle disposizioni vigenti”. Le telefonate dovrebbero essere liberalizzate come avviene in molti Paesi europei, e però programmate per permettere a tutti di chiamare casa ogni giorno; andrebbe istituito un fondo per chi non ha soldi nel conto corrente e studiata la possibilità di far usare ai detenuti stranieri le tessere prepagate. C'è poi una circolare del DAP che invita a istituire i colloqui via Skype in tutti gli istituti, va monitorata la situazione per capire quali carceri abbiano già applicato la circolare e vanno organizzate più postazioni in ogni istituto, allargando anche ai detenuti di Alta Sicurezza la possibilità dei colloqui via Skype. Va inoltre ridato al Volontariato il ruolo di sostenere e aiutare le persone detenute a restare in contatto con le loro famiglie, in modo particolare in un momento così delicato»).

Informazione, coordinamento d'azione e vicinanza sono le parole chiave del ripristino di una prima “normalità” che può consentire la ripresa dei servizi e delle attività da parte degli operatori penitenziari, garantendo così quel minimo di vivibilità che consente la restrizione della libertà.

2. Su un ulteriore piano, si potrebbero immaginare diverse soluzioni programmabili con gli strumenti normativi, già esistenti.

Si pensi, ad esempio, agli strumenti deflattivi/premiali già operativi, come la liberazione anticipata: perché non pensare di dare priorità all'istruttoria di istanze che presentano un cumulo di più periodi, oppure, si riferiscano all'ultimo semestre, in base al quale potrebbe dipendere la scarcerazione e/o la diminuzione di pena tale da accedere alla quota pena di misure alternative? Perché non immaginare un coordinamento tra Area educativa/Assistenti sociali/Magistratura di sorveglianza per la definizione, comunque già breve, dell'istruttoria di cui all'art. 1 della legge n. 199/2010: l'istituto dell'esecuzione della pena breve (inferiore ai 18 mesi) presso il domicilio richiede infatti un'istruttoria più contratta, di fatto, limitata alla verifica dell'idoneità del domicilio e di una buona relazione comportamentale. Tale istituto può già rappresentare una valvola di sfogo del sistema penitenziario.

Perché poi non pensare a un coordinamento per l'accelerazione di istruttorie circa istanze pendenti/progettualità avviate per l'avviamento di percorsi extramurari, anche mediante la proposizione di istanze a titolo provvisorio (si pensi, in particolar modo, ai percorsi terapeutici già autorizzati e pendenti, o, alle detenzioni domiciliari per motivi di salute già avanzate, o, alle istanze di misura alternativa con un fine pena breve).

In tale direzione, paia muoversi il SerD di Milano, in collaborazione con il Tribunale di sorveglianza di Milano (v., LINEE GUIDA OPERATIVE sulla formulazione di Programmi Terapeutici provvisori domiciliari per detenuti ristretti preso le Carceri Milanesi finalizzate alla gestione dell'emergenza sanitaria relativa al COVID 19, pubblicate in www.camerapenalemilano.it, 13 marzo 2020; pubblicate anche in Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2020).

Il sovraffollamento carcerario e il Covid-19 potrebbero rappresentare dei validi motivi che giustificano l'urgenza della trattazione (c.d. “per gravi motivi”).

Certo, soluzioni fattibili. Ma la situazione non è facile: la mole di lavoro già incombente sulla Magistratura di sorveglianza, il numero esiguo di operatori presenti sia nelle carceri sia negli ULEPE non consente, quanto meno su larga scala, di ipotizzare delle tempistiche più contratte e delle soluzioni comuni.

Non solo. Come non pensare al problema della dipendenza da sostanze stupefacenti: non è, infatti, pensabile che il problema possa essere gestito efficacemente dal territorio, tenuto conto della situazione dei SerD, senza un investimento importante, sia di tipo economico, sia di tipo sanitario. La problematica della tossicodipendenza spesso si associa – ma non sempre – anche ad una condizione di irregolarità sul territorio: l'assenza di documenti, di un domicilio e di un riferimento sociale esterno (a cui spesso si aggiungono provvedimenti di espulsione già emessi) rendono praticamente impossibile immaginare una collocazione esterna di tali detenuti. Categorie che di fatto continuerebbero a permanere in istituto, alimentando la concezione del carcere come discarica di emarginazione sociale (così, Franco Corleone, La rivolta in carcere e la miopia sulle droghe, in Messaggero Veneto, 13 marzo 2020).

Ancora. Il problema dell'infermità mentale e del disagio psichico: la collocazione di tali soggetti sull'esterno è ancora più complessa, e, spesso di non felice soluzione. Anche in questo caso, spesso poi l'infermità si associa a una condizione di salute piuttosto precaria e/o a un'età avanzata: è evidente che la collocazione esterna di tali soggetti dovrebbe rappresentare la priorità, anzi ci si dovrebbe chiedere perché si trovino in carcere. Ma la prassi ha dimostrato come non sempre sia facile ed immediata una soluzione extramuraria, sia per il numero elevato di soggetti coinvolti (dall'Area sanitaria, agli assistenti sociali ULEPE, a quelli del territorio, ecc.), sia per la necessaria presenza di una serie di pre-requisiti (come la residenza, il domicilio, ecc.).

Sicuramente, la situazione del caso concreto è sempre dirimente: anche rispetto a tali situazioni “critiche”, si potrebbe immaginare un'accelerazione delle tempistiche e delle istruttorie, solo nei casi di valutazione e presa in carico già avviata, così da consentire, per quanto possibile, l'inserimento della persona nel contesto territoriale esterno.

3. Su un piano di riforme più futuribili, ma praticabili.

Si dovrebbe pensare all'ordinamento della giustizia penale come un unico corpo armonioso: il processo, e, ancora prima il procedimento (v., l'accesso alle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare), dovrebbe già all'inizio proiettarsi sull'esecuzione della pena.

Una soluzione immaginabile potrebbe venire dal termine di 5 anni, che ricorre sia in caso di sospensione del processo con messa alla prova (v. art. 168-bis c.p.), sia in caso di applicazione della custodia cautelare in carcere (v. co. 1 lett. c) dell'art. 274 c.p.p.), termine che potrebbe essere ripreso anche ai sensi del comma 5 dell'art. 656 c.p.p., per la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva.

Innalzando tale termine, si dovrebbe, quindi, per armonia del sistema, ipotizzare, quanto meno, per l'affidamento in prova al servizio sociale, un tetto di pena più ampio, che vada verso i 5 anni.

Così come si potrebbero ripensare le varie soglie di accesso delle varie forme di detenzione domiciliare, che, a partire dal tetto più ampio dell'affidamento, vadano a cascata.

Ancora. Si potrebbe prendere come riferimento il termine di 2 anni (o 24 mesi), peraltro, già utilizzato in caso di sospensione condizionale della pena, per due istituti: quello di cui all'art. 678, comma 1-ter c.p.p., consentendo al Magistrato di sorveglianza di decidere in via autonoma e provvisoria sull'istanza di misura alternativa presentata dal condannato libero, e, quello di cui all'art. 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, che vuole l'accesso alla misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio, per gli ultimi 18 mesi, come, residuo di pena.

Rispetto poi alla disciplina della detenzione domiciliare sarebbe auspicabile una scelta legislativa: sia la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-bis, ord. penit. sia quella di cui all'art. 199/2010 sono vietate, in modo assoluto, agli autori di cui all'art. 4-bis ord. penit. (da ultimo, v. Corte cost., 23 ottobre 2020 (dep. 12 marzo 2020), n. 50). Tale preclusione assoluta risulta irrazionale, se si pensa che tra gli autori dell'art. 4-bis ord. penit., al di là del co. 1, vi sono anche autori di reati con disvalore sicuramente inferiore, e, che a fronte di un fine pena ravvicinato potrebbero scontare il residuo presso il domicilio (peraltro, la legge n. 199/2010 risulta anche più severa della detenzione ex art. 47-ter ord. penit., tenuto conto delle prescrizioni che l'accompagnano, degli ulteriori divieti e degli effetti in caso di revoca, con la preclusione all'acceso a misure alternative, in caso di evasione, per 5 anni, per il richiamo all'art. 58-quater ord. penit.).

Non solo. Senza entrare nel merito, infinito, in fatto di preclusioni, data la necessità primaria di cura, si dovrebbe rimuovere la differenza per l'accesso alla misura dell'affidamento terapeutico, riportando un unico termine di 6 anni per tutti gli autori, a prescindere dalla collocazione o meno nell'art. 4-bis ord. penit. (v. art. 94 del d.p.r. n. 309/1990); così come per le altre ipotesi, se supportate da esigenze primarie, di cura o di tutela dei figli minori. Sempre in un'ottica di tutela della salute, potrebbero essere estese le ipotesi di sospensione/differimento (anche nelle forme della detenzione domiciliare) e potenziati gli strumenti normativi di cui ai co. 1 e co. 1-ter dell'art. 47-ter ord. penit. (anche in ragione della Corte cost., n. 99 del 2019).

Si potrebbe prevede, come peraltro già verificatosi con il decreto legge n. 146/2013, per un arco di tempo limitato dall'emergenza, un aumento di giorni da computare alla liberazione anticipata (da 45 a 75 gg., per ogni semestre di pena espiato).

E poi …

Innumerevoli potrebbero essere ancora le soluzioni operative. Una soluzione di modello viene offerta, peraltro, dall'ordinamento penale minorile, sia per la ricchezza delle opportunità offerte al minore in fase di processo, sia per la graduale articolazione della fase esecutiva (anche per le diverse ipotesi di misure alternative, come la detenzione domiciliare con prescrizioni significative e piene di contenuto).

Ulteriori soluzioni potrebbero essere riprese dalla tanto compianta proposta di riforma penitenziaria, elaborata in seno agli Stati generali dell'esecuzione penale, con il 2015, e, proseguita con i lavori ministeriali, tra il 2017 ed il 2018, fino all'entrata in vigore, dei decreti legislativi nn. 121, 123 e 124 del 2 ottobre 2018.

4. Più futuribile, l'ipotesi di un possibile indulto, il quale, in via emergenziale, potrebbe essere limitato solo all'ultimo semestre o anno di pena residua, tenuto conto delle altre soluzioni proposte: l'individuazione del quantum di pena è una questione estremamente delicata, e, ad alto contenuto (discrezionalmente) politico. Peraltro, è una soluzione, che potrebbe, sì, risolvere il problema del sovraffollamento, ma non darebbe alcun senso di responsabilizzazione per il condannato rispetto alla sua condanna.

In senso critico rispetto ad un'ipotesi di indulto, si era espressa nel 2013, in un momento critico per l'ordinamento penitenziario, post Torreggiani, anche la Commissione mista, nominata dal CSM: «In Italia, come da più parti suggerito, si vorrebbe far ricorso, solito more, a provvedimenti quali l'amnistia e l'indulto con i loro “tagli lineari” ad effetti immediati. Si tratta, nell'uno come nell'altro caso, di provvedimenti pericolosamente deresponsabilizzanti perché solo in apparenza risolutivi di un problema, che comincerebbe a riproporsi già all'indomani della loro attuazione» (v., Sovraffollamento carceri: una proposta per affrontare l'emergenza. Relazione della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 2013, 160).

Molto ardua, infine, la fattibilità di una legge parlamentare di amnistia (così, anche,Riccardo De Vito, Il vecchio carcere ai tempi del nuovo colera, cit.).

5. In una ultima prospettiva, più lungimirante, ha ad oggetto il complessivo ripensamento del sistema sanzionatorio: perché non potenziare la disciplina delle sanzioni sostitutive alle pene detentive brevi (di fatto, una normativa inapplicata), con la legge n. 689/1981? Perché non assimilare l'istituto della messa alla prova minorile, con quella degli adulti, senza una limitazione di cornice edittale? Perché non prevedere ulteriori ipotesi di sanzioni principali?

Idee, di fatto, già formulate e diffuse, con l'ultima commissione ministeriale per la riforma del sistema sanzionatorio, del 2014, la c.d. Commissione Palazzo.

Sull'opportunità di riprendere gli studi già svolti in materia, Vladimiro Zagrebelsky, che rammenta: «Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell'insensibilità e nell'indifferenza, convivendo - senza impegnarsi e riuscire a modificarla - con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari". Seguirono alcuni interventi legislativi che privilegiavano soluzioni diverse e furono capaci di ridurre significativamente il numero dei detenuti in carcere. Ma poi quel numero riprese ad aumentare per tornare pressoché a quello precedente. Una iniziativa di complessivo ripensamento della legislazione penitenziaria fu presa dal Ministro Orlando nel 2015 e la commissione da lui nominata, presieduta dal professor Giostra, elaborò numerose proposte. Alcune divennero legge, ma quelle fondamentali sono rimaste sulla carta. Si era in prossimità delle elezioni e il governo di allora volle evitare riforme che pensava impopolari. Le elezioni le perse egualmente e per l'imprevidenza ora nelle carceri il terreno è propizio alle rivolte» (in La Stampa, L'emergenza nelle carceri, 14 marzo 2020).

L'isolamento a prova di metri: la cella il confine dell'emergenza umana e della legalità della pena

Dall'analisi delle possibili delle opzioni operative, sembra che il sistema penitenziario, in parte, disponga già di strumenti applicativi e di istituti giuridici in grado, quanto meno, di rimediare all'irreparabile.

Il ricorso a queste soluzioni, infatti, se operative, impongono degli sforzi considerevoli e addossano, agli operatori penitenziari (nessuno escluso; compresi i difensori), una responsabilità enorme: servono dei segnali di ripresa (in tal senso, v. Milano. Il Garante individua cinque mosse per disinnescare le tensioni nelle carceri, in Redattore sociale, 14 marzo 2020; Rinaldo Frignani, Roma. I detenuti possono parlare via Skype con i parenti, in Corriere della Sera, 14 marzo 2020; Teramo. Castrogno, per i detenuti ci sono colloqui via Skype con i familiari, in Il Centro, 14 marzo 2020; Bergamo. L'annuncio di Gori: computer in carcere per videochiamate tra detenuti e parenti, in primabergamo, 14 marzo 2020). Segnali che potrebbero giungere da indicazioni condivise, reti di coordinamento, linee operative, che aiutino gli operatori a lavorare con serenità e sulla base di direttive precise.

I risultati potrebbero arrivare, forse per centinaia di persone, forse ancora per troppe poche persone, o, forse, ancora più efficacemente solo per alcune realtà territoriali, più abituate al lavoro di rete e di condivisione, ma potrebbero rappresentare dei modelli virtuosi da imitare, anche per altre realtà; delle prassi innovative, che potrebbero rappresentare la regola, anziché l'eccezione, anche ad emergenza cessata (così, in primis, Sergio d'Elia, Coronavirus, direttrice Rebibbia anticipa governo contro affollamento carceri: 50 detenuti a casa, in Il Riformista, 13 marzo 2020; anche, Damiano Aliprandi, Magistrati di sorveglianza e garanti impegnati per ridurre il sovraffollamento, in Il Dubbio, 13 marzo 2020).

Possono, quindi, immaginarsi delle risposte pratiche, che provengono dagli operatori del settore; una risposta lungimirante dovrebbe comunque pervenire dal legislatore, non solo per la tutela delle persone recluse, ma anche per il rispetto della legalità del settore giustizia, e, quindi per un bene comune.

Se c'è qualcosa di buono, non disperdiamolo, ma coltiviamolo, per il futuro, a piccoli passi, con grandi speranze (così, ad esempio, Paola Severino, Un'occasione per capire chi vive il carcere, in Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2020). In tal senso, per tutti, Mario de Maglie: «Dell'emergenza umana, in corso da anni, in molte carceri, si parla troppo poco, a farlo è spesso chi vi lavora e non la società civile, il cui pensiero comune è spesso che se uno ci è finito dentro si vede che se lo meritava e non può cambiare. Io opero per il cambiamento delle persone e il loro cambiamento è anche il mio cambiamento. Se c'è una cosa che ho imparato è che ciò che può cambiare e far cambiare è la sofferenza, e in carcere la sofferenza è l'unica a girare libera per le celle senza restrizioni. Che questa emergenza ci insegni a vedere oltre le nostre mura e le nostre certezze domestiche, questa la mia speranza» (v., in Il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2020, Carceri, di quest'emergenza si parla poco. Ora spero che il virus ci insegni a guardare oltre).

Guida all'approfondimento

Nota DAP 13 marzo 2020 - Ulteriori indicazioni operative per la prevenzione del contagio da coronavirus negli istituti penitenziari

Nota Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: Colloqui a distanza per motivi di studio ed utilizzo della posta elettronica. Attuazione negli Istituti Penitenziari delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19

Nota Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità: "Ulteriori indicazioni urgenti per la prevenzione della diffusione del contagio da coronavirus. Segnalazione di caso sospetto e di caso confermato

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 11 marzo 2020, Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 9 marzo 2020. Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale

Decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14. Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza COVID-19.

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 8 marzo 2020. Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19

Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11: "Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria"

Schema DL 7 marzo 2020: "Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria"

Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale

DECRETO-LEGGE 2 marzo 2020, n. 9 Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19. (20G00026) (GU Serie Generale n.53 del 02-03-2020)

Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19»

Nota Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità: "Nuove indicazioni per prevenire il rischio di diffusione del contagio da Covid-19"

Nota Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: "Indicazioni specifiche per la prevenzione del contagio da coronavirus per le Regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Sicilia"

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 25 febbraio 2020 Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19

Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante «Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure. Urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19»

DECRETO-LEGGE 23 febbraio 2020, n. 6 Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19

Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020. Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili

Ordinanza del Ministro della salute 30 gennaio 2020. Misure profilattiche contro il nuovo Coronavirus (2019 - nCoV)

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