Allergia alla lattoglobulina e decesso per shock anafilattico dell'avventore del ristorante: la cameriera “distratta” risponde di omicidio colposo

31 Marzo 2020

La condotta della cameriera da sala che, tempestivamente informata della allergia alimentare del consumatore, ometta di verificare analiticamente gli ingredienti contenuti nel pasto servito risponde a titolo di colpa specifica per il decesso del consumatore per arresto cardiorespiratorio determinato shock anafilattico?
Massima

Integra gli estremi della colpa specifica – per violazione degli artt. 8, 9 paragrafo 1 lett. C), 44 paragrafo 2 Regolamento CE 1169/11., relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori – la condotta della cameriera da sala che, tempestivamente informata della allergia alimentare del consumatore, ometta di verificare analiticamente gli ingredienti contenuti nel pasto servito – contenente la presenza di allergeni – così determinando un improvviso shock anafilattico con successivo decesso del consumatore per arresto cardiorespiratorio.

Il caso

La vicenda posta all'attenzione del Tribunale di Salerno riguarda il tragico decesso di un bambino, allergico al latte, per shock anafilattico determinato dall'ingestione di scialatelli al pomodoro, contenenti l'allergene.

In particolare, dall'attività istruttoria era emerso che in occasione di un viaggio turistico, il minore – in compagnia dei genitori – si era fermato presso una rinomata località turistica campana per consumare il pranzo.

All'arrivo al ristorante, il personale di sala – in particolare la cameriera che aveva preso l'ordinazione – era stato ampiamente edotto della allergia al latte del minore (circostanza dimostrata nel corso del giudizio), rassicurando i genitori della assenza di latte nel pasto ordinato.

Tuttavia, il piatto conteneva latte che determinava uno shock anafilattico con arresto cardiocircolatorio, successivo decesso causato da una allergia alla lattoglobulina.

Il giudice di merito dopo aver individuato nella cameriera, che aveva preso l'ordinazione, la figura di garante, ha ritenuto la stessa responsabile del decesso, ascrivendole due profili di colpa specifica: --a) non essere munita dell'attestato di formazione per alimentaristi, per cui non poteva ricevere ordinazioni; --b) l'aver violato il dovere di verificare che la pietanza servita non conteneva l'allergene indicato e, portato tempestivamente a sua conoscenza.

La questione

La questione in esame è la seguente: la condotta della cameriera da sala che, tempestivamente informata della allergia alimentare del consumatore, ometta di verificare analiticamente gli ingredienti contenuti nel pasto servito risponde a titolo di colpa specifica per il decesso del consumatore per arresto cardiorespiratorio determinato shock anafilattico?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento si segnala per la peculiarità degli aspetti di colpa specifica addebitati all'imputata condannata, giacché gli stessi trovano fondamento negli artt. 8, 9 paragrafo 1 lett. C), 44 paragrafo 2 Regolamento CE 1169/11.

Invero, una disposizione emanata da organi comunitari può indicare il canone di comportamento, in un determinato settore, che un soggetto deve osservare perché possa essere ritenuto conforme alle regole dell'attività che quel soggetto svolge, con la conseguenza che la normativa comunitaria può costituire parametro su cui fondare un giudizio di colpa; non c'è dubbio, infatti, che ai sensi dell'articolo 43 c.p. l'inosservanza della legge può essere riferita anche alle leggi comunitarie.

Va premesso, per una corretta comprensione dei termini della questione, un inquadramento normativo dell'attività svolta dall'imputata.

È assolutamente fondamentale che i consumatori ricevano adeguate informazioni sulla natura degli ingredienti allergenici presenti negli alimenti, tenendo anche conto di possibili allergeni che possano essere presenti nel cibo come contaminanti.

In un primo momento, la normativa sulla sicurezza dei prodotti commercializzati all'interno della Comunità europea (la direttiva n. 92/59/CEE, sostituita dalla direttiva n. 2001/95/CE, relativa ai prodotti industriali, compresi quelli alimentari) prevedeva l'obbligo per gli operatori di immettere sul mercato prodotti sicuri per la salute delle persone.

Dalla seconda metà degli anni novanta, a seguito di contaminazioni dei cibi (le uova alla diossina, la salmonella, la crisi della mucca pazza), la disciplina comunitaria della produzione e della commercializzazione degli alimenti e dei mangimi è stata modificata. In particolare, secondo una strategia alimentare perseguita dall'Unione Europea, sono stati previsti una legislazione sulla sicurezza dei prodotti alimentari e dei mangimi per animali ed un fondamento scientifico e normativo alle decisioni ed agli atti di controllo.

Al riguardo, l'ordinamento europeo ha previsto il controllo degli alimenti nelle fasi dell'iter di produzione alimentare, dalla produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione fino alla fornitura al consumatore.

In tale contesto, l'ordinamento europeo ha previsto una tutela preventiva e successiva a favore del consumatore.

La tutela preventiva trova fondamento normativo nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/95/CE, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, che persegue una duplice ratio di tutela della salute del consumatore e di promozione del libero scambio dei prodotti alimentari.

In riferimento a quest'ultimo profilo, il terzo considerando intende superare gli ostacoli agli scambi, le disparità degli standard di sicurezza negli Stati membri e le distorsioni determinate dalla concorrenza nel mercato interno.

In relazione al consumatore, il quarto considerando afferma l'esigenza di proteggerne la salute e la sicurezza.

A tale stregua, la direttiva, in conformità al principio di precauzione, prevede dei requisiti di sicurezza per ogni prodotto immesso sul mercato e destinato al consumo. In particolare, al fine di un'elevata tutela della salute delle persone, un prodotto alimentare si ritiene sicuro quando non presenta alcun rischio, o presenta rischi ridotti ed accettabili con l'utilizzazione.

Una tappa fondamentale della legislazione alimentare comunitaria è costituita dal regolamento n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che «stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare».

Il regolamento n. 178/2002 persegue il fine di contemperare la libera circolazione degli alimenti con i principi di sicurezza alimentare, ispirati alla ricerca di un elevato livello di tutela della salute e degli animali ed al controllo della circolazione di alimenti e di mangimi lungo l'intera filiera del prodotto agricolo, from farm to table.

In particolare, tale regolamento ha previsto una riforma della legislazione sulla produzione e commercializzazione di alimenti, in riferimento alla sicurezza dei prodotti alimentari e nei processi produttivi.

Nel rapporto tra la normativa sulla sicurezza generale dei prodotti destinati ai consumatori (la direttiva n. 2001/95) ed il regolamento n. 178/2002 e le altre fonti relative alla legislazione alimentare, l'art. 1 della direttiva n. 2001/95 prevede che ciascuna delle sue disposizioni si applica nella misura in cui non esistano, nell'ambito della normativa comunitaria, disposizioni specifiche aventi lo stesso obiettivo che disciplinano la sicurezza dei prodotti in questione.

In particolare, la previsione dei principi della legislazione alimentare nel Reg. n. 178/2002 ha consentito l'emanazione di ulteriori regolamenti, direttive e decisioni, a disciplina di aspetti della sicurezza alimentare. A tale stregua, in presenza di una normativa specifica, questa si applica per gli aspetti o le categorie di rischi non previsti dalla legislazione generale.

Le innovazioni recate dal Regolamento (EU) n. 1169/2011 rivestono grande importanza per la tutela della salute dei consumatori. Esse sono fortemente innovative specialmente per quanto riguarda le informazioni sulla presenza di allergeni che devono essere fornite in materia di alimenti non-preconfezionati, ivi inclusi quelli venduti negli esercizi commerciali o serviti nei ristoranti o da altri esercizi similari.

Le informazioni sugli allergeni devono essere fornite in forma scritta, a meno che gli Stati membri non decidano diversamente.

Infatti, il Regolamento citato prevede che gli Stati membri possano adottare nel merito una normativa nazionale da notificare alla Commissione Europea secondo la procedura usuale per definire gli strumenti attraverso i quali l'informazione in materia di allergeni deve essere resa disponibile. In questo rispetto, le misure nazionali possono prevedere che la dettagliata informazione da fornire in materia di allergeni in alimenti non pre-confezionati possa anche essere data, su richiesta del consumatore, purché l'operatore della catena alimentare indichi in un posto adeguato e facilmente visibile ed in maniera chiaramente leggibile e, se del caso, indelebile, il fatto che tale informazione potrà essere ottenuta su richiesta.

L'obiettivo fondamentale del regolamento (UE) n. 1169/2011 ha ad oggetto, oltre agli interessi generali del mercato interno (che si esplicano nella libera circolazione delle merci e nello svolgimento di pratiche commerciali leali), anche ed in particolare le regole volte a creare, a beneficio del consumatore, le condizioni per poter operare scelte adeguate e consapevoli nel proprio interesse non solo economico, ma anche sanitario, ambientale, sociale, etico.

Il predetto regolamento esordisce, al 1° “considerando”, con il riferimento all'art. 169 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea), che si preoccupa di “assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori”.

E', così, riproposto e sigillato il principio della libera circolazione di alimenti sicuri e sani (2° “considerando”) nella disciplina trasversale in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

Al 9° “considerando” è specificamente previsto che “il presente regolamento gioverà sia agli interessi del mercato interno, semplificando la normativa, garantendo la certezza giuridica e riducendo gli oneri amministrativi, sia al cittadino, imponendo un'etichettatura dei prodotti alimentari chiara, comprensibile e leggibile”.

Altro fattore dominante dell'intera disciplina normativa introdotta dal regolamento è il principio del leale esercizio del commercio, anche e soprattutto a tutela del consumatore.

Tale principio era già stato fatto proprio, in primo luogo, dal regolamento (CE) n. 178/2002 il quale, nello stabilire i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, si prefigge di consentire ai consumatori scelte consapevoli, in funzione della più ampia tutela della loro salute, anche a mezzo della prevenzione di pratiche commerciali idonee ad indurre in errore.

In particolare, il regolamento da ultimo citato stabilisce che: per determinare se un alimento sia a rischio occorre prendere in considerazione quanto segue: a) le condizioni d'uso normali dell'alimento da parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione; b) le informazioni messe a disposizione del consumatore, comprese le informazioni riportate sull'etichetta o altre informazioni generalmente accessibili al consumatore sul modo di evitare specifici effetti nocivi per la salute provocati da un alimento o categoria di alimenti.

La premessa è necessaria al fine di adeguatamente inquadrare il tema della comunicazione al consumatore degli allergeni presenti nel prodotto alimentare, data la delicatezza di tali informazioni le quali, più di altre parimenti obbligatorie ex lege, hanno particolare rilevanza nel determinare le scelte di carattere sanitario di specifiche fasce di consumatori affetti, a seconda dei casi, da problematiche del sistema immunitario ovvero metabolico.

Si parla, quindi, di “allergeni” in senso ampio, volendo in tale categoria annoverare non solo sostanze o prodotti che provocano un reazione immunitaria dell'organismo (allergie), ma anche quelli che provocano intolleranze, a loro volta manifestantisi in una reazione indesiderata dell'organismo oppure in disturbi dell'apparato digerente.

Considerata la gravità del tema, tali indicazioni sono oggetto di informazione obbligatoria al consumatore.

In particolare, l'art. 9 del regolamento (UE) n. 1169/2011, dedicato alle indicazioni obbligatorie da fornire sugli alimenti, stabilisce che: …sono obbligatorie le seguenti indicazioni:…c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell'allegato II (riportante l'elenco delle sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze) o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata.

Il regolamento (UE) n. 1169/2011 prevede, altresì, determinate modalità di indicazione degli allergeni, le quali devono essere conformi a specifici requisiti. In primis, gli allergeni devono essere sempre dichiarati, sia per gli alimenti preimballati.

Si può affermare, pertanto, che l'indicazione degli allergeni costituisce l'eccezione dell'eccezione, in quanto tali sostanze vanno obbligatoriamente indicate, sempre, anche nei casi in cui il legislatore prevede, per determinati ingredienti e/o costituenti di un alimento, esenzioni dall'obbligo della relativa menzione.

Proseguendo nella disamina relativa ai requisiti da rispettare nell'informazione al consumatore sulla presenza di allergeni nell'alimento, nell'elenco degli ingredienti, gli operatori del settore alimentare (di seguito anche “o.s.a.”) devono mettere in evidenza il nome della sostanza o del prodotto che provoca allergie o intolleranze e lo faranno a mezzo di una tipologia di carattere nettamente distinta – per dimensione o stile o colore – dalla quella utilizzata per gli altri ingredienti non allergenici.

Particolare rilevanza assumono, poi, le informazioni sugli alimenti fornite al consumatore finale dalle collettività, ossia da ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione, secondo la definizione che ne viene data dal regolamento 1169/2011.

A tale proposito, l'art. 44 del regolamento da ultimo citato è dedicato alle disposizioni nazionali per gli alimenti non preimballati, nell'ambito dei quali è possibile annoverare la gran parte degli alimenti offerti al consumatore dalle collettività. Queste ultime, infatti, sono i luoghi in cui gli alimenti vengono preparati, trasformati, frazionati o tagliati e somministrati al consumatore, ai fini, generalmente, del relativo consumo sul posto.

Ora, il predetto articolo 44 pone quale unico obbligo previsto dal legislatore europeo, la fornitura delle indicazioni relative alla presenza di allergeni, lasciando, ad ogni modo, agli Stati membri, ossia al legislatore nazionale, la possibilità di adottare disposizioni nazionali concernenti i mezzi e la forma di espressione e presentazione con i quali tali indicazioni (ed eventualmente altre, sempre di carattere obbligatorio) debbono essere rese disponibili.

Quindi, con specifico riferimento alle informazioni sugli allergeni in tema di alimenti offerti dalle collettività, il Ministero della Salute italiano è intervenuto nel 2015 con una circolare, prevedendo ed offrendo agli operatori linee orientative sulle relative modalità comunicative.

In relazione alle informazioni sulle sostanze o sui prodotti che provocano allergie o intolleranze, così come elencati nell'allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011, qualsiasi operatore che fornisce cibi pronti per il consumo all'interno di una struttura, come ad esempio un ristorante, una mensa, una scuola o un ospedale, o anche attraverso un servizio di catering, o ancora per mezzo di un veicolo o di un supporto fisso o mobile, deve fornire al consumatore finale le informazioni richieste.

Tali informazioni possono essere riportate sui menù, su appositi registri o cartelli o ancora su altro sistema equivalente, anche tecnologico, da tenere bene in vista, così da consentire al consumatore di accedervi facilmente e liberamente.

Nel caso in cui si utilizzino sistemi elettronici di tipo “applicazioni per smartphone”, codice a barre, codice QR etc., questi non possono essere in ogni caso predisposti quali unici strumenti per riportare le dovute informazioni, in quanto non facilmente accessibili a tutta la popolazione e dunque non sufficientemente idonei allo scopo. Trattasi, pertanto, di modalità di comunicazione utili, ma non sufficienti.

Secondo il Ministero, l'obbligo di informare sulla presenza di allergeni sarà considerato assolto anche nei seguenti casi: a) nel caso in cui l'o.s.a si limiti ad indicare per iscritto, in maniera chiara ed in luogo ben visibile, una dicitura quale: “le informazioni circa la presenza di sostanze o di prodotti che provocano allergie o intolleranze sono disponibili rivolgendosi al personale in servizio”; b) nel caso in cui l'o.s.a. riporti, per iscritto, sul menù, sul registro o su apposito cartello, una dicitura del tipo : “per qualsiasi informazione su sostanze e allergeni è possibile consultare l'apposita documentazione che verrà fornita, a richiesta, dal personale in servizio”.

Pertanto, oltre a modificare le regole dell'etichettatura degli allergeni negli alimenti preimballati la normativa di fatto introduce una grande novità, destinata ad avere importanti ripercussioni, che consiste nell'obbligo da parte degli operatori del settore alimentare di informare il consumatore sulla presenza di allergeni negli alimenti elaborati e venduti. Quindi, in pratica l'obbligo si estende ai ristoranti, bar, fast food, pasticcerie, panetterie, macellerie, salumerie, ristoratori sia istituzionali sia di ogni altro tipo (mense scolastiche, aziendali, ristorazione ospedaliera, delle linee aeree, carceraria, ecc.) e agli operatori di vendite alimentari a distanza.

Da tale inquadramento normativo può desumersi che la legislazione alimentare prevede degli specifici obblighi in capo all'operatore professionale, di sicurezza a tutela della salute del consumatore.

A tale stregua occorre verificare – con onere posto a carico dell'operatore professionale – quando un alimento costituisce un rischio per la salute del consumatore.

Sotto il profilo soggettivo ed in particolare riferimento alla posizione di garanzia gravante sull'operatore professionale, la legislazione alimentare prevede degli specifici obblighi di sicurezza del prodotto, a tutela della salute del consumatore.

Al riguardo, i produttori e i distributori di alimenti hanno un obbligo di conformità dei prodotti, ossia di immettere sul mercato solo prodotti sicuri, attraverso l'osservanza della legislazione alimentare nelle fasi di produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio, custodia e distribuzione finale.

Le norme, quindi, prevedono una serie di cautele che l'operatore deve porre in essere nella somministrazione del cibo, nonché una serie di informative che devono essere date al cliente prima che consumi il pasto, quando dichiari – come nella specie – l'esistenza di allergie alimentari.

Da tale inquadramento normativo può desumersi che colui che ha la qualifica professionale di somministrazione di cibo è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, a tutela della incolumità di coloro che consumano pasti in forza del principio del neminem laedere, dovendo adottare tutti quegli accorgimenti necessari per impedire il verificarsi di eventi lesivi (come avvenuto nella odierna fattispecie, anche se deve segnalarsi che al riguardo il giudice di prime cure non si è posto grandi problemi, riconoscendo sic et simpliciter tale qualifica).

Ne discende che l'omessa adozione di accorgimenti e cautele idonei al suddetto scopo, in presenza dei quali un evento lesivo non si sarebbe verificato od avrebbe cagionato un pregiudizio meno grave per l'incolumità fisica dell'utente, costituisce violazione di un obbligo di protezione gravante su tale soggetto.

E' ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale è necessario individuare la cosiddetta legge scientifica di copertura, onde ancorare l'accertamento dell'esistenza del rapporto di causalità a solide basi scientifiche piuttosto che al mero intuito del giudice ovvero a massime di esperienza non verificate; solamente nell'ipotesi in cui una legge scientifica idonea a spiegare l'origine del verificarsi di un evento non esista o non sia conosciuta, al giudice è consentito ricorrere a generalizzate regole di esperienza, che forniscono informazioni su ciò che normalmente accade secondo un diffuso consenso della cultura media e nel contesto spazio-temporale della decisione (Cass. civ., Sez. Un,. n. 30328/2002; Cass. civ., n. 36430/2014; Cass. civ. n. 51818/2013).

Qualora il nesso di causalità sia stato accertato in relazione ad una legge scientifica, come nel caso concreto in cui l'insorgenza della shock anafilattico è stato indicato come reazione allergica all'assunzione di lattoglobulina presente nella pasta servita, subentra l'obbligo del giudice di accertare, altresì, la causalità della colpa.

Si deve, infatti, rimarcare che la legge di copertura spiega il fenomeno causale ma può non essere di per sé idonea a fondare l'accertamento della causalità della colpa, che richiede una valutazione quasi esclusivamente normativa, consistente nell'accertamento della violazione della regola cautelare, della prevedibilità ed evitabilità dell'evento e della concretizzazione del rischio.

In ogni caso, al fine di verificare l'incidenza causale di una determinata condotta rispetto all'evento, il giudice deve sviluppare un ragionamento esplicativo che si confronti adeguatamente con le particolarità del caso concreto, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto dall'ordinamento (Cass. civ., n. 21028/2011); tale procedimento logico presuppone che sia accertata la regola cautelare violata e che tale regola sia stata imposta al fine di evitare proprio l'evento in concreto verificatosi (Cass. civ., n. 36857/2009).

La colpa penale, dal punto di vista della tipicità strutturale-esterna, è definibile come dovere di evitare l'evento ;, o come causazione di un evento che si aveva il dovere di evitare.

Per configurare l'elemento soggettivo della colpa per violazione di una regola precauzionale, è necessario sussista la prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Cass. civ., Sez. Un., n. 22676/2009).

Pertanto, in tema di reati colposi, per configurare l'elemento soggettivo della colpa per violazione di una regola precauzionale è necessario sussista la prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale. In particolare, con specifico riferimento alla verifica della prevedibilità dell'evento, si impone il vaglio delle possibili conseguenze di una determinata condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto "modello d'agente" ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta.

Con specifico riferimento alla verifica della "prevedibilità" dell'evento, si impone il vaglio delle possibili conseguenze di una determinata condotta commissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto "modello d'agente" ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (Cass. civ., n. 22249/2014).

In altri termini, in tema di colpa, la valutazione in ordine alla prevedibilità dell'evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento.

In ogni caso, per la configurabilità della colpa non è necessario che l'agente abbia consapevolezza della situazione di pericolo da cui scaturisce il dovere di applicare una determinata regola cautelare, bensì è sufficiente che tale pericolo risulti in concreto riconoscibile e non imprevedibili le conseguenze di una condotta che lo ignori.

Nella fattispecie concreta la cameriera che ha preso l'ordine non solo non possedeva un minimo di conoscenze essenziali nel campo dell'allergia e intolleranze alimentari, degli ingredienti allergenici e dei loro rischi, del Regolamento FIAC stesso, di protocolli di prevenzione dei rischi allergenici, ma allo stesso tempo ha ritenuto colpevolmente innocuo un piatto di pasta al pomodoro, sebbene informata dell'allergia al latte, che poi è divenuto letale perché il suo consumo è avvenuto contravvenendo determinate prescrizioni da parte di un bambino sensibile alla lattoglobulina.

Il giudice di merito è pervenuto alla pronuncia di condanna ritenendo che l'imputata non avesse adottato un comportamento prudente e rispettoso delle necessarie cautele. In particolare, il giudice di merito ha ritenuto che la stessa né si è informata preventivamente ne ha messo a disposizione dei genitori del bambino poi deceduto la lista negli allergeni eventualmente presenti nei cibi somministrati, condotta che ha escluso la certezza in merito alla consapevolezza da parte del cliente dei rischi per la sua salute.

Osservazioni

La tutela del consumatore riguarda la prevenzione dei danni derivanti dalla circolazione di alimenti pericolosi per la salute.

In conclusione di quanto esposto, la disciplina vigente sulla sicurezza alimentare è rinvenibile nel coordinamento tra l'ordinamento europeo e quelli dei singoli Stati membri e tra questi ultimi e la legislazione regionale.

La legislazione alimentare può considerarsi completa, in quanto disciplina le azioni degli operatori coinvolti, contestualizza e differenzia, attraverso una normativa generale applicabile agli alimenti ed ai mangimi ed una normativa speciale nei settori in cui è necessaria una tutela dei consumatori più specifica, come l'igiene alimentare, l'uso di pesticidi, di integratori alimentari, di coloranti, di antibiotici e di vitamine, di minerali e sostanze analoghe.

L'acquisita consapevolezza di una così complessa relazione tra cibo e salute (certamente non riducibile al binomio alimento sicuro – alimento nocivo) implica l'emergere di una sempre crescente domanda di conoscenza, da parte dei consumatori, di informazioni concernenti la composizione degli alimenti, le caratteristiche nutrizionali, l'eventuale presenza di sostanze benefiche o, al contrario, nocive.

Il consumatore rivendica, invero, un ruolo da protagonista nella tutela della propria salute e, in tale prospettiva, l'informazione nel mercato alimentare si rivela direttamente collegata alla salvaguardia di interessi di natura personalistica e non meramente patrimoniale.

L'obiettivo di pervenire ad un “livello elevato di protezione della salute” deve, quindi, essere perseguito anche attraverso la previsione di specifiche regole informative che forniscano al consumatore le basi per autodeterminarsi consapevolmente nelle proprie scelte di consumo utilizzando gli alimenti secondo precisi standard di sicurezza.

In tale direzione si muove il Regolamento (UE) n. 1169/2011 che appare aver inteso affiancare al principio di precauzione il principio di autodeterminazione del consumatore.

Chiaramente l'adeguamento della ristorazione nei suoi diversi aspetti (ristoranti, bar, panetterie, salumerie, catering, mense, vendita a distanza, ecc) alle norme di informazione sugli allergeni del Regolamento FIAC impone una adeguata formazione del personale preposto, almeno di una figura per esercizio, e un minimo di programmazione e un'organizzazione.

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