Emergenza Coronavirus e responsabilità penale dei sanitari

06 Aprile 2020

L'emergenza sanitaria sta ponendo numerose questioni al penalista, come quella delle responsabilità per la violazione della c.d. quarantena, ovvero per le dichiarazioni false nelle c.d. autocertificazione, ovvero per più gravi reati di epidemia o altri delitti contro la persona (omicidio e lesioni, dolose o colpose). Nel quadro della medesima emergenza sanitaria, si porrà con molta probabilità nell'immediato post epidemia il problema delle eventuali responsabilità penali dei sanitari, oggi maggiormente esposti nella loro incolumità, ma che potrebbero essere travolti dall'onda emotiva di coloro che hanno perso il loro cari.
Premessa

L'emergenza sanitaria sta ponendo numerose questioni al penalista, come quella delle responsabilità per la violazione della c.d. quarantena, ovvero per le dichiarazioni false nelle c.d. autocertificazione, ovvero per più gravi reati di epidemia o altri delitti contro la persona (omicidio e lesioni, dolose o colpose).

Nel quadro della medesima emergenza sanitaria, si porrà con molta probabilità nell'immediato post epidemia il problema delle eventuali responsabilità penali dei sanitari, oggi maggiormente esposti nella loro incolumità, ma che potrebbero essere travolti dall'onda emotiva di coloro che hanno perso il loro cari. È quindi realistico immaginare un possibile fronte di rischio penale per gli operatori sanitari, legato alla possibile responsabilità per eventi avversi che si verifichino nell'ambito dell'emergenza epidemiologica.

Appare sotto tale aspetto ineludibile una esigenza di personalizzazione della responsabilità, in chiave di necessaria limitazione della stessa, con riferimento a tali professionalità, che nell'esercizio dell'attività di tutela della salute collettiva, non possono rimanere esposti – salvi naturalmente i casi evidenti di mala sanità - al rischio penale che si aggiunge al rischio di contagio (cfr. l'ampia riflessione di Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, in www.sistemapenale.it.

Altra questione con cui fare i conti, è ancora il limite delle risorse disponibili in termini tanto strutturali e organizzativi (numero di posti letto, disponibilità di farmaci e tecnologie) quanto soggettivi (presenza di personale medico ed infermieristico in numero sufficiente e con requisiti di specifica competenza e conseguente effettuazione di turni di lavoro massacranti).

Il deficit di organico ha così condotto a fare ricorso, su base volontaria, a operatori sanitari disponibili nella struttura, pure se privi del necessario livello di specializzazione in relazione al tipo di attività medica prestata. In tali ipotesi vi è un'assunzione volontaria del rischio, di norma punibile a titolo di colpa perché riconducibile alla violazione di una regola cautelare prudenziale, che dovrebbe condurre all'astenersi dall'attività (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

È tuttavia evidente che in questi casi «la rimproverabilità di tali medici andrebbe esclusa, dal momento che il loro coinvolgimento, pur in assenza della richiesta qualificazione specialistica, è volto a prevenire il verificarsi di un evento avverso altrimenti non fronteggiabile per la carenza di soggetti adeguatamente qualificati disponibili in quel momento» (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Nonostante l'aumento dei posti letto disponibili in terapia intensiva, la potenza diffusiva della pandemia è tale da radicare uno scenario che sugli stessi medici potrebbe ricadere, segnatamente la scelta di chi curare prima o addirittura non curare.

In questo drammatico contesto, l'esigenza di limitare le responsabilità penali dei sanitari si collega alla necessità di evitare che i sanitari, preoccupati per la propria incolumità giudiziaria, possano assumere atteggiamenti improntati a una sorta di medicina difensiva dell'emergenza (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Brevi cenni sulla responsabilità penale del sanitario

Il problema si collega alla discussione generale circa la opportunità, sostenuta nella letteratura penalistica, di limitare la responsabilità penale, in ogni caso o almeno in determinati settori, alle sole ipotesi di colpa grave, in attuazione del principio di extrema ratio. L'idea ha recentemente ripreso vigore a seguito della introduzione e successiva modifica di una disciplina speciale per le ipotesi di colpa nell'ambito dell'attività sanitaria (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2020, 300 ss.).

Con riferimento all'attività del medico, il grado della colpa ha assunto rilevanza non solo più sotto il profilo della misura della pena, ma come elemento della tipicità, muovendo dalla distinzione tra colpa grave e colpa lieve rilevante nell'ordinamento civile. Prendendo atto della necessità di ridurre il contezioso penale in materia di attività medico-chirurgica — soprattutto al fine di evitare il ricorso alla c.d. medicina difensiva, in virtù della quale il medico, per precostituirsi elementi di difesa da utilizzare in un possibile, futuro procedimento penale a suo carico, impone al paziente costosissimi e totalmente inutili esami diagnostici — un primo decreto legge del 2012 (d.l. n. 158/2012, conv., con mod. in l. n. 189/2012 - c.d. “Decreto Balduzzi), aveva previsto che l'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si fosse attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non rispondesse per colpa lieve, fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile.

Il legislatore assegnava dunque alle 'linee guida' (che con sempre maggiore frequenze vengono emanate al fine di definire standard di condotta riconosciuti come appropriati per la gestione di specifiche condizioni cliniche) purché accreditate dalla comunità scientifica, il compito di circoscrivere l'area di rilevanza penale dei comportamenti colposi e di orientare, ex post, i giudici nella valutazione dei comportamenti del medico (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

L'osservanza da parte del medico delle linee guida limitava infatti il rimprovero penale ai soli casi di colpa grave, quelli nei quali sia cioè riscontrabile «una macroscopica violazione delle regole cautelari, essendo ad esempio immediatamente riconoscibile da parte del sanitario la necessità di discostarsi in quel caso dalle linee guida o comunque di non limitarsi alla loro mera, meccanica osservanza» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

Il chiaro intento del legislatore era infatti quello di introdurre strumenti normativi idonei a ridurre il rischio penale derivante dall'esercizio dell'attività sanitaria, non certo per accordare un privilegio alla classe medica, ma in considerazione dell'assoluta peculiarità dell'attività stessa — comunque orientata a finalità di salvaguardia della salute — in ragione delle difficoltà che i medici devono affrontare e degli ineliminabili margini di rischio connessi alle decisioni che essi assumono (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). Traspare dunque evidente come tra gli scopi perseguiti dalla normativa del 2012 ci fosse anche quella di 'rassicurare' i medici: «l'effettiva e diligente osservanza delle regole di comportamento dettate da un sapere scientifico consolidato, tanto da essere 'cristallizzato' in linee guide o quanto meno in best practices, alle quali il medico si è attenuto, esonera da responsabilità penale il sanitario se la sua colpa non può definirsi 'grave'» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

Pochi anni dopo, la legge c.d. Gelli Bianco (l. 8 marzo 2017,n. 24), ha nuovamente innovato la disciplina, introducendo l'art. 590-sexies c.p., secondo cui: «1. Se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. 2. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto».

In virtù di tale articolo dunque non sono punibili i delitti di omicidio e lesioni personali colpose, commessi dall'esercente la professione sanitaria, se sono rispettate le raccomandazioni delle linee guida, definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di linee guida, le buone pratiche clinico-assistenziali (se adeguate alle specificità del caso concreto), ma solo nell'ipotesi di imperizia.

Il nuovo art. 590-sexies c.p.configura dunque l'osservanza da parte del sanitario delle linee guida — purché accreditate e 'adeguate' al caso concreto — ovvero, in mancanza di queste, delle buone pratiche clinico-assistenziali come una causa di esclusione della punibilità per il caso che l'evento (morte o lesioni) sia stato cagionato da imperizia.

La filosofia ispiratrice della norma e le finalità perseguite, com'è evidente, sono «in assoluta continuità con la precedente normativa, della quale si intendevano correggere alcuni supposti difetti, chiarendo al contempo aspetti che avevano obiettivamente dato origine a problemi interpretativi, presto sfociati in contrasti giurisprudenziali» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). Non si può dire, tuttavia, che l'esito abbia corrisposto alle aspettative. La formulazione tutt'altro che chiara della norma, oltre a creare problemi di diritto intertemporale, ha sin da subito dato luogo, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, a interpretazioni divergenti (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

La molteplicità delle possibili opzioni interpretative, molte delle quali parimenti legittime, a partire da quelle che si contendono tuttora il campo relativamente alla natura della causa di non punibilità (limite di tipicità, causa di esclusione della colpevolezza, causa di non punibilità in senso stretto), ha ben presto prodotto, come accennato, un quadro giurisprudenziale molto contrastato e dunque l'inevitabile intervento delle Sezioni Unite (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

La nuova norma non distingue più, esplicitamente, tra colpa lieve e colpa grave, ma le Sezioni Unite della Corte di cassazione, intervenute l'anno successivo all'entrata in vigore della riforma, hanno reintrodotto la distinzione, prevedendo che, in caso di colpa grave, anche in presenza di tutti gli altri requisiti richiesti dalla norma, non si applichi la causa di non punibilità (Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770).

Risulterebbe, infatti, inesorabilmente viziato da illegittimità costituzionale, ai sensi dell'art. 3 Cost., un modello nel quale si risponde anche solo per colpa lieve in caso di imprudenza e negligenza, ma non per colpa grave dovuta a imperizia.

Secondo i giudici del Supremo Collegio, infatti, sulla base della norma, da intendersi come introduttiva di una causa di esclusione della punibilità per fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p., «l'esercente la professione sanitaria risponde a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l'evento si è verificato per colpa (anche 'lieve') da negligenza o imprudenza; b) se l'evento si è verificato per colpa (anche 'lieve') da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l'evento si è verificato per colpa (anche 'lieve') da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l'evento si è verificato per colpa 'grave' da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico» (Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770).

La decisione delle S.U. «non appare convincente per molte ragioni, di metodo prima che di merito, anche se è comprensibile lo sforzo di individuare un ragionevole spazio applicativo ad una norma mal costruita senza incorrere in contrasti con principi costituzionali (in particolare quello di ragionevolezza)» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). Ha suscitato ad esempio molte perplessità “la riesumazione per via interpretativa del grado della colpa, che il legislatore aveva — a torto o a ragione — eliminato. Ancor di più però appare criticabile la elevazione a paradigma di una casistica (comunque parziale) elaborata per 'sottoclassi' alle quali viene assegnato il compito di delimitare l'ambito della (non)punibilità, senza un'adeguata base normativa” (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

Uno spunto della complessa motivazione che invece vale la pena raccogliere riguarda la valorizzazione, già presente in precedenti pronunce, del criterio di cui all'art. 2236 c.c. («Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave»). Da parte di molti e non da ora «l'adozione di quel parametro di giudizio viene indicata come la strade maestra da percorrere per consentire anche in sede penale una corretta considerazione della specificità dell'attività medica e del contesto concreto nel quale il medico si trova ad operare, rinunciando a soluzioni poco chiare come quelle proposte dall'attuale 590-sexies e alla loro, forse inevitabile ma certamente discutibile, rielaborazione creative per via giurisprudenziale» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

L'adeguatezza dell'art. 590-sexies c.p.

Il nuovo art. 590-sexies c.p. era mosso come visto dall'obiettivo di ridurre il “rischio penale” gravante sul medico e contrastare, nel contempo, il fenomeno della medicina difensiva a vantaggio di una più efficace tutela della salute dei pazienti. Sennonché, se si guarda all'area di punibilità delineata dalle Sezioni Unite, la stessa risulta sproporzionata rispetto alle contingenze emergenziali nelle quali il personale sanitario è chiamato a operare nell'odierna fase di contrasto al Covid-19 (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

L'irrilevanza penale è infatti (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.): 1) circoscritta alle sole fattispecie – espressamente richiamate al primo comma dell'art. 590-sexies c.p. – di omicidio e lesioni colpose; 2) limitata alle sole ipotesi di imperizia non grave, per giunta riferibili al solo atto esecutivo; 3) ancorata al rispetto di linee-guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali; 4) in ogni caso subordinata a un vaglio di adeguatezza delle raccomandazioni contenute in siffatte linee-guida certificate alle specificità del caso concreto.

Dunque, a ben vedere, nessuna delle condizioni richieste dall'art. 590-sexies c.p. ai fini dell'esonero da responsabilità può ritenersi allora «conforme alle specificità dell'emergenza Covid-19, tanto dal punto di vista della certezza scientifica (che si riverbera sia nell'assenza di linee-guida certificate, quanto nella mancanza di buone pratiche clinico-assistenziali, vista la novità della patologia e la sostanziale mancanza, allo stato, di evidenze terapeutiche) quanto della capacità organizzativa e gestionale in relazione all'elevato numero di contagiati bisognosi di cure (per le sopra evidenziate difficoltà connesse alla carenza di posti di terapia intensiva e di sufficiente personale medico-infermieristico specializzato)» (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

La misura soggettiva della colpa

Alla luce del quadro delineato, si potrebbe far leva sulla c.d. misura soggettiva della colpa in chiave limitativa delle responsabilità penale del medico. Ed invero, una volta stabilita l'esistenza di una condotta oggettivamente contraria alla diligenza richiesta (misura oggettiva della colpa) che si presenti con la caratteristica struttura psicologica della colpa (cosciente o incosciente), è però «necessario — perché si possa muovere al soggetto un addebito di colpa — stabilire la concreta esigibilità della regola di condotta violata, da parte del singolo e specifico autore (misura soggettiva della colpa)» (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). L'accertamento della concreta esigibilità da parte del singolo autore costituisce, infatti, un ulteriore presupposto dell'imputazione soggettiva a titolo di colpa, in quanto introduce l'eventualità di uno scarto fra i limiti oggettivi della diligenza richiesta — riferibile al c.d. agente modello — e i limiti entro i quali l'osservanza della regola poteva essere pretesa da un determinato autore (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). Ciò significa che, una volta stabilito quale condotta era oggettivamente dovuta (in quanto idonea a scongiurare, in una determinata situazione, il rischio di una lesione di beni), si deve stabilire anche se quel determinato autore, alla stregua delle sue personali capacità ed attitudini, era in grado di tenere la condotta richiesta. Come ben detto “da ciascun autore può essere preteso, infatti, di esprimere, in una situazione data, il massimo delle sue capacità, e non oltre” (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

La categoria così come descritta, dal punto di vista astratto, potrebbe fornire un adeguato strumento di valutazione delle emergenze ‘contestuali' e personali, legate alle difficoltà contingenti in cui l'operatore sanitario è chiamato a svolgere la propria attività di cura e assistenza.

Sono tuttavia note le problematiche che comporta la determinazione della misura soggettiva della colpa (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). La sua valutazione implica, infatti, almeno parzialmente, il riferimento all'intero complesso di fattori individuali che condizionano la capacità dell'autore di uniformarsi agli standards di diligenza richiesti. La definizione della misura soggettiva della colpa pone, infatti, i problemi tipici di ogni generalizzazione: e in primo luogo, “la selezione dei dati che concorrono a formare la base di giudizio per la determinazione delle capacità individuali di osservare l'obbligo di diligenza oggettiva” (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.). Un importante criterio di valutazione della c.d. misura soggettiva della colpa si connette proprio – come nella ipotesi in esame - all' anormalità delle circostanze emergenziali in cui si agisce, quando esse determinano la non esigibilità dell'osservanza dei doveri di diligenza, che può essere pretesa in condizioni normali. Alla anormalità delle circostanze, sia esterne che “interne”, è connessa anche la misura soggettiva della colpa esigibile in ragione del livello di qualificazione professionale. Analoga rilevanza ai fini della concreta esigibilità dell'osservanza di una regola oggettiva di diligenza possono assumere fattori “interni” dell'operare umano. Così, anche un sanitario preparato può incorrere in un errore, a causa di stanchezza, stress, superlavoro, ecc. ma la rilevanza di questo fattore soggettivo sarà certamente diversa, a seconda che le condizioni di stress siano riconducibili all'ininterrotto presidio del pronto soccorso, o ad altri fattori egoistici. Anche l'esistenza di un conflitto di doveri può assumere un'efficacia per l'esclusione dell'obbligo di diligenza, secondo la sua misura soggettiva (C. Fiore- S. Fiore, Diritto penale, cit., 300 ss.).

La misura soggettiva delle colpa può dunque operare – ricorrendone le tipiche condizioni - per i sanitari che operano nelle condizioni emergenziali del Covid 19, ma va ricordato come sia ormai acclarato che «al di là dei meri richiami alla necessaria valorizzazione dell'art. 2236 c.c. anche in funzione di limitazione della responsabilità penale in ambito sanitario, la giurisprudenza in ben poche occasioni abbia fatto effettivamente ricorso in sede di accertamento, degradandola da canone valutativo a clausola di stile»(Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

Sarebbe tuttavia necessario strutturare l'istituto in modo da escludere solo la rilevanza penale delle condizioni strettamente connesse e scientificamente collegabili alla situazione emergenziale determinata dal Covid 19, facendo salva la punibilità di macroscopici fatti di malasanità.

La necessità di una norma ad hoc “salva sanitari”

L'esistenza di una situazione emergenziale nuova, in cui non si può pretendere dal medico il rispetto delle cautele ordinariamente esigibili, unitamente alla difficoltà di utilizzare la misura soggettiva della colpa in chiave limitativa della punibilità, ha condotto la dottrina (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.) ad affermare che una via percorribile per perseguire gli obiettivi sopra descritti potrebbe essere quella di «introdurre un'apposita disciplina volta ad ampliare l'area di esonero da responsabilità colposa, plasmata sulle peculiarità della medicina dell'emergenza pandemica, che prospetti uno statuto penale ad hoc per la gestione organizzativa, clinica e assistenziale di tale rischio».

Il futuro intervento normativo «dovrebbe – all'interno di un ben definito campo di applicazione funzionalmente connesso alla gestione del rischio CODIV 19 e temporalmente limitato al perdurare dell'emergenza sanitaria – tenere conto di alcune direttrici di fondo» (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.): 1) limitare la responsabilità penale alle sole ipotesi di colpa grave; 2) estendere tale limite – oltre che all'imperizia – anche alle matrici colpose della negligenza e dell'imprudenza; 3) introdurre una definizione di colpa grave, nella quale da un lato si richiami una macroscopica violazione di regole o protocolli cautelari e dall'altro si dia conto del peso dei fattori ‘contestuali' (tra i quali, il numero di pazienti contemporaneamente coinvolti, gli standard organizzativi della singola struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio emergenziale, l'eventuale eterogeneità della prestazione rispetto alla specializzazione del singolo operatore); 4) allargare l'area di irresponsabilità colposa anche a fattispecie diverse da lesioni e omicidio (si pensi ad altri eventi avversi e alla possibile contestazione del delitto di epidemia colposa nei riguardi del medico costretto ad operare in assenza di adeguati presidi protettivi); 5) ragionare sul peso da attribuire, in una situazione di incertezza scientifica, al rispetto di linee-guida anche se non accreditate o di buone pratiche clinico-assistenziali non ancora consolidate.

Naturalmente, tale disposizione dovrebbe essere strutturata in modo da ricomprendere solo condotte collegate e strettamente strumentali alla emergenza sanitaria e non già macroscopici fenomeni di mala sanità.

Si dovrebbe quindi tenere conto solo dei c.d. fattori contestuali e strumentali, in modo tuttavia da delineare i confini applicativi da assegnare alla non punibilità di cui all'art. 590-sexies c.p. oltre gli angusti limiti della sola imperizia lieve nella fase esecutiva (Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, cit.).

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