Modifica della proprietà esclusiva del condomino e divieto di alterare la destinazione della cosa comune

Redazione scientifica
23 Aprile 2020

La realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva, facendo anche uso delle parti comuni, rimane sottoposta, ex art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune e al divieto di impedire agli altri partecipanti di farne pari uso secondo il loro diritto.

Interventi sul terrazzo. Un Condominio conveniva innanzi al Giudice di Pace i condomini Tizio e Caio domandando che fosse accertata l'illegittimità degli interventi da questi effettuati sul terrazzo dell'immobile di loro proprietà ed ordinato il ripristino dello stato originario dei luoghi. A parere del Condominio, infatti, i lavori di avanzamento del terrazzo dell'immobile a filo del muro perimetrale di facciata, con annessione del cornicio e della parte di gronda, erano stati eseguiti in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. Il Giudice di Pace rigettava la domanda rilevando che i suddetti interventi non avessero alterato la destinazione della cosa comune e che non avessero impedito agli altri partecipanti di farne uso. Avverso la decisione il Condominio proponeva appello davanti al Tribunale di Milano che, riformando la sentenza, accertava l'illegittimità delle opere realizzate sul terrazzo dell'appartamento di proprietà di Tizio e Caio e li condannava al rispristino dello stato dei luoghi originario.
Avverso la decisione del Tribunale, i condomini propongono ricorso in Cassazione lamentando che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che le opere realizzate nell'edificio abbiano interessato parti comuni dello stabile, posto che la gronda non è stata modificata, avendo mantenuto la sua funzione di raccolta dell'acqua piovana proveniente dal terrazzo di loro proprietà esclusiva. Lamentano inoltre i condomini che il Tribunale ha erroneamente ravvisato violazione della simmetria e del decoroso nell'intervento sul parapetto del balcone, costituendo questo parte della facciata dello stabile.

Destinazione d'uso. La Cassazione, ritenendo infondati i motivi di ricorso, osserva che la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva, ai fini dell'utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta (art. 1102 c.c.) al divieto di alterare la destinazione della cosa comune e al divieto di impedire agli altri partecipanti di farne pari uso secondo il loro diritto.
Il compito di accertare se l'opera realizzata dal singolo condomino sia conforme o meno alla destinazione della parte condominiale spetta al giudice di merito, la cui decisione, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità. Nel caso concreto, rileva la Suprema Corte, il Tribunale ha congruamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto che la realizzazione delle opere eseguite dai condomini abbia alterato la destinazione d'uso ed impedito agli altri di fare uso della cosa stessa.
Inoltre, la Cassazione osserva che il parapetto rappresenta una parte della facciata del palazzo e ha una funzione estetica, essendo elemento decorativo ed ornamentale. Pertanto, se i balconi dell'edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, il rivestimento del parapetto e della soletta, se svolgono prevalentemente una funzione estetica per l'edificio, sono beni comuni, essendo elementi decorativi che rendono il palazzo esteticamente gradevole. Dunque, se il condomino esegue opere sui propri beni facendo anche uso di beni comuni, deve utilizzare le parti comuni nei limiti previsti dall'art. 1102 c.c.

Innovazione lesiva del decoro architettonico. Infine, viene chiarito dalla Cassazione che «è un'innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi ex art. 360, n. 5, c.p.c., non potendosi attribuire, tra l'altro, decisiva, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell'edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate».
Alla luce di quanto chiarito, il ricorso viene rigettato.

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