Colpevole il figlio – piromane – e colpevoli i genitori per il vandalismo compiuto dal ragazzo – 17 anni di età – e consistito nell'aver dato alle fiamme un fienile. Inevitabile la loro condanna a risarcire i danni patiti dal contadino.
Esclusa la copertura assicurativa sottoscritta da moglie e marito per gli eventuali danni arrecati da membri della famiglia: decisiva la constatazione che all'epoca della sottoscrizione della polizza i coniugi erano consapevoli dei problemi comportamentali manifestati dal figlio, problemi che poi, anni dopo, avrebbero portato alla diagnosi di un disturbo psichico (Cassazione, ordinanza n. 8895/2020, sez. III Civile, depositata il 13 maggio).
Scenario della vicenda è la provincia veneta. Lì, in una zona di campagna, un ragazzino di appena 17 anni provoca l'incendio di un fienile di proprietà di un uomo. Quest'ultimo viene risarcito dalla propria compagnia assicuratrice, che poi agisce verso i genitori del ragazzo.
Moglie e marito negano la responsabilità del figlio, ma, allo stesso tempo, chiamano in causa la compagnia assicuratrice con cui hanno «un contratto per la copertura dei danni causati dai membri della famiglia». Loro obiettivo è «essere garantiti in caso di condanna al risarcimento» in favore del proprietario del fienile.
Per la compagnia assicuratrice, invece, va sancita la decadenza della coppia dalla garanzia, poiché essi «hanno taciuto una circostanza determinante», all'epoca della stipula della polizza, cioè «la malattia del figlio, un morbo che induce ad una certa piromania».
In primo grado viene dichiarata la decadenza dei genitori del ragazzo dalla garanzia relativa ai danni causati dai membri della famiglia.
In secondo grado, poi, viene sancita la condanna del ragazzo e dei genitori al risarcimento verso la compagnia assicuratrice che ristorato economicamente la persona danneggiata, cioè il contadino.
In sostanza, per i Giudici d'appello «sebbene il disturbo psichico di piromania sia stato diagnosticato nel 2006, tuttavia già all'epoca della sottoscrizione della polizza, nel 1998, la condizione del minore era nota, e note erano le sue tendenze a comportamenti anomali, ed in alcuni casi rivolti al danneggiamento. Cosi che l'attenzione dei genitori avrebbe dovuto essere maggiore del normale controllo che si esercita sui figli», e tale omissione è da ritenersi «rilevante ai fini della copertura assicurativa».
Allo stesso tempo, viene sancito l'obbligo del ragazzo – ora maggiorenne – a risarcire, in solido con i genitori, i danni arrecati al proprietario del fienile, ritenendo che egli «era, sì, affetto da un disturbo ma capace di intendere e di volere», comunque.
Moglie e marito ribattono, però, col ricorso in Cassazione, che loro non hanno rilasciato «dichiarazioni reticenti», all'epoca della stipula della polizza, «in ordine alla malattia del ragazzo», poiché «la patologia» del figlio «è stata diagnosticata nel 2006, mentre il contratto è stato concluso nel 1998», e dunque «al momento della stipula i genitori non potevano conoscere ciò che solo molti anni dopo sarebbe stato accertato».
Allo stesso tempo, il legale della coppia pone in evidenza «la circostanza che la compagnia di assicurazione ha omesso di fare il questionario, o meglio, nel questionario presentato agli assicurati, ha omesso di chiedere informazioni specifiche sulle circostanze rilevanti, come quella della malattia del figlio». E, sempre in questa ottica, viene contestata la prospettiva adottata in secondo grado, laddove «considerate le perizie in atti, il ragazzo, al momento del fatto, è stato ritenuto capace di intendere e volere e dunque responsabile dei danni causati con l'incendio, unitamente ai genitori che comunque non lo avrebbero controllato».
Le obiezioni proposte dal legale della coppia e del figlio sono però inutili.
A inchiodare moglie e marito alle loro responsabilità è la constatazione, spiegano i Giudici, che «sin dal 1998 il minore manifestava comportamenti che avrebbero dovuto indurre i genitori ad una maggiore attenzione, e per i quali egli era in cura psicologica».
In sostanza, non può negarsi che «la tendenza ad appiccare incendi è una circostanza la cui conoscenza è decisiva per un'assicurazione da responsabilità civile». E in questa ottica viene aggiunto che «la predisposizione di un questionario da parte dell'assicuratore, benché non abbia la funzione di tipizzare le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia tuttavia l'intenzione dell'assicuratore di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l'attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti medesimi e, quindi, dev'essere valutata dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell'inesattezza o della reticenza, cosi che è sufficiente che l'assicuratore chieda all'assicurato di denunciare ogni possibile situazione che possa aumentare il rischio o concretizzarlo del tutto».
Nella vicenda risulta pacifico che «un questionario è stato sottoposto e che v'era richiesta di denunciare circostanze rilevanti ed incidenti sul rischio, e tale adempimento è sufficiente a manifestare interesse dell'assicuratore per situazioni rilevanti ai fini del concretizzarsi dell'evento». Ma le risposte della coppia sono state generiche, insufficienti, reticenti.
Nessun dubbio, quindi, sull'obbligo risarcitorio dei genitori e del figlio per i danni arrecati dall'incendio appiccato all'altrui proprietà. Ciò anche alla luce della perizia con cui si è appurato che all'epoca dei fatti il minore, nonostante i problemi comportamentali, era comunque «capace di intendere ciò che faceva».
(Fonte: dirittoegiustizia.it)