Regolazione dell'affidamento e del mantenimento dei figli minori nelle ipotesi di perdurante convivenza
22 Maggio 2020
Massima
L'intervento da parte del Tribunale al fine di regolare affidamento, collocazione e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio ai sensi degli artt.337-bis e ss. c.c. presuppone che i genitori abbiano interrotto la convivenza, salvo casi di grave pregiudizio per i minori coinvolti Il caso
La madre di due minori nate da una relazione intrattenuta more uxorio ed ormai interrotta si è rivolta al Tribunale di Bergamo, chiedendo che le proprie figlie vengano affidate in via condivisa ad entrambi i genitori, con domicilio prevalente presso la ricorrente e conseguente assegnazione della casa familiare. Costituendosi nel procedimento, il padre ha invece chiesto che la casa venga assegnata a sé e che venga disposto il collocamento alternato e paritario delle minori presso entrambi i genitori, proponendo in via subordinata che le figlie permangano presso l'abitazione familiare con alternanza del padre e della madre. Nel corso del procedimento entrambe le parti hanno poi confermato «che la loro relazione sentimentale era da tempo entrata in crisi, pur continuando a convivere nella casa familiare insieme alle figlie minori»; nel decreto viene inoltre dato atto che non hanno avuto esito né le trattative avviate tra le parti, né la proposta conciliativa avanzata dal giudice delegato. Il Tribunale di Bergamo, verificato che «non emerge alcuna situazione di pregiudizio per le figlie, che infatti godono di un buon rapporto con entrambi i genitori», ritiene che “non vi siano i presupposti per l'accoglimento delle reciproche domande di collocamento delle figlie”: fermo quindi l'affidamento condiviso ad entrambi i genitori, non è stato disposto alcunché in merito al collocamento delle minori né all'assegnazione della casa, nel presupposto che l'attuale situazione (caratterizzata dalla perdurante convivenza con entrambe le parti all'interno dell'abitazione familiare) sia quella «maggiormente rispondente agli interessi delle figlie, sia dal punto di vista affettivo, sia dal punto di vista materiale e abitativo». Secondo quanto ritenuto dal Collegio, del resto, l'intervento del Tribunale «presuppone logicamente che i due genitori abbiano cessato di convivere», poiché i provvedimenti in materia di collocamento e mantenimento costituiscono «una misura necessaria ed opportuna solo se, e in quanto, sia venuta meno la coabitazione tra (almeno uno di essi) e la prole». La questione
L' art. 337 sexies c.c., richiamando quanto già previsto in materia di separazione e di divorzio, prevede che nell'ambito di qualsiasi procedimento volto a regolare l'affidamento ed il mantenimento della prole in presenza di una crisi “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Ampia parte della giurisprudenza di merito si è peraltro interrogata in merito alla possibilità che i coniugi possano continuare a vivere nella medesima abitazione, senza che tale comportamento (spesso indotto da mere ragioni economiche) precluda di per sé la pronuncia di separazione. Tali argomentazioni possono essere seguite anche qualora la crisi intervenga tra persone non legate dal vincolo matrimoniale, tenendo conto in ogni caso degli interessi dei minori coinvolti nel procedimento? Le soluzioni giuridiche
La legge 10 dicembre 2012 n.219 ha notoriamente trasferito al tribunale ordinario i procedimenti volti a regolare l'affidamento ed il mantenimento dei minori nati fuori dal matrimonio, sino ad allora trattati dal tribunale per i minorenni. È rimasto ovviamente immutato il principio secondo cui il giudice deve perseguire attraverso le proprie decisioni il miglior interesse dei minori coinvolti, tentando di risolvere le problematiche che determinino ai loro danni un effettivo pregiudizio e comunque individuando le condizioni di affidamento e mantenimento più adeguate a tutelarli. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità sin dall'entrata in vigore della l. n. 54/2006, infatti, tali procedimenti «hanno assunto autonomia procedimentale rispetto ai procedimenti di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c.» e sono volti ad assicurare anche ai figli nati fuori dal matrimonio una tutela processuale e sostanziale analoga rispetto ai minori coinvolti nei giudizi di separazione e di divorzio (cfr. Cass. sez. I, 30 ottobre 2009, n.23032 e Cass. sez. VI – I, ord. 16 settembre 2015, n.18194). L'intervento del tribunale ordinario non sarà quindi limitato alle sole ipotesi in cui sia individuabile un concreto rischio per i minori, ma dovrà estendersi a tutte le questioni derivanti dalla crisi familiare, con particolare riferimento all'eventuale domanda di assegnazione dell'abitazione, che incide in misura evidentemente rilevante nelle future condizioni di vita dei minori. Osservazioni
Nel provvedimento in esame, l'inderogabile esigenza di tutelare il miglior interesse dei minori coinvolti nel procedimento sembra trasformarsi da criterio guida che deve indirizzare la decisione del giudice della famiglia a presupposto che (in assenza di un grave pregiudizio per la prole) finisce per giustificare un sostanziale non liquet in merito alle domande proposte dalle parti. Controversa è anche l'argomentazione secondo cui il procedimento volto a regolare l'affidamento ed il mantenimento dei figli “presuppone logicamente che i due genitori abbiano cessato di convivere”, poiché i provvedimenti adottati dal Tribunale ai sensi degli artt.337-bis e ss.c.c. costituiscono “una misura necessaria soltanto se, e in quanto, sia venuta meno la coabitazione” tra i genitori. Tale conclusione può certo essere condivisa nelle ipotesi in cui non si sia effettivamente interrotta la convivenza more uxorio, dovendosi in tal caso risolvere eventuali contrasti tra i genitori nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art.316 c.c.. Diversa è invece l'ipotesi in cui, ormai cessata la comunione materiale e spirituale, i genitori abbiano continuato semplicemente a coabitare, soprattutto qualora tale situazione non sia frutto di una scelta condivisa nell'interesse dei minori, ma costituisca espressione del conflitto tra le parti (come parrebbe avvenuto nel caso di specie, in cui entrambi i genitori hanno chiesto l'assegnazione dell'abitazione familiare). L'esplicita attribuzione al Tribunale del potere di assegnare all'uno o all'altro genitore il godimento dell'abitazione familiare assume del resto un concreto significato proprio nei casi in cui non vi sia già stato l'allontanamento spontaneo di una delle parti e sia quindi necessario risolvere in via autoritativa il contrasto. Non dirimere tale questione (sulla quale spesso si incentra in modo aspro il contrasto tra le parti) finirebbe per pregiudicare non soltanto la libertà dei genitori, costretti ad una coabitazione non più desiderata, ma anche la serenità dei figli, i quali continuerebbero a vivere all'interno di un conflitto ragionevolmente destinato ad aggravarsi nel tempo. |