Confisca per sproporzione, divieto di giustificazione con l'evasione fiscale e irretroattività in una recente sentenza della Suprema Corte

Luca Della Ragione
26 Maggio 2020

Con la sentenza in commento la Suprema ribadisce, in tema di confisca allargata ex art. 240 bis c.p., il principio ormai pacifico della necessaria ragionevolezza temporale...
Il dictum

Con la sentenza in commento la Suprema ribadisce, in tema di confisca allargata ex art. 240 bis c.p., il principio ormai pacifico della necessaria ragionevolezza temporale tra acquisto dei beni e pericolosità sociale, precisando, con un innovativo principio che eleva lo standard delle garanzie dell'ablazione patrimoniale in malam partem, che non può essere applicata retroattivamente la disciplina introdotta dalla l. n. 161/2017 in base alla quale “in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”.

La natura della confisca allargata ed i rapporti con istituti affini

Va premesso che l'art. 240-bis (introdotto dall'art. 5, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21; in precedenza, la medesima misura era prevista e disciplinata dall'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992), al comma 1, c.p. prevede che, nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per alcuni delitti tipici, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. Nei casi previsti dal primo comma dell'art. 240-bisc.p., quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

Due sono quindi sostanzialmente i presupposti per l'applicazione dell'istituto, tra loro cumulativi, ovvero:

  1. una sentenza di condanna o di applicazione pena su richiesta delle parti per uno dei reati elencati dalla fattispecie, e
  2. l'individuazione di beni, nella titolarità o nella semplice disponibilità del reo, di valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati al fisco ovvero alle sue attività economiche.

Il verificarsi di tali condizioni comporta una presunzione di provenienza illecita dei beni sproporzionati, rendendone obbligatoria la confisca; tale presunzione tuttavia ha carattere relativo, essendo disposta un'inversione dell'onere della prova per la quale la condanna riguarda quei soli beni «di cui il condannato non può giustificare la provenienza».

Malgrado la collocazione contigua, la misura di ablazione patrimoniale si differenzia per plurimi elementi di autonomia, dalla confisca prevista dall'art. 240 c.p.

Si tratta, infatti, di una confisca obbligatoria («è sempre disposta») che opera nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (sentenza di patteggiamento) per determinati reati ed ha ad oggetto «beni o altre utilità» di cui il condannato sia formalmente titolare o di cui comunque abbia la disponibilità diretta o indiretta (per interposta persona) in «valore sporporzionato» al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica.

Si distacca, quindi, dalla matrice originaria della confisca quale misura di sicurezza patrimoniale (art. 240 c.p.) perché prescinde dall'accertamento di un nesso di pertinenzialità (in termini di derivazione causale o strumentalità) dei beni confiscabili con il reato per cui è stata pronunciata sentenza di condanna. Nesso di pertinenzialità che è invece implicito nei concetti di profitto, prodotto e prezzo del reato, cui si riconnette l'operatività della confisca, intesa come misura di sicurezza patrimoniale (Padovani, Diritto penale, Milano, 2019, 432 ss.).

In effetti, l'irrilevanza del nesso di pertinenzialità risponde alle finalità all'origine perseguite dal legislatore con la sua introduzione nel sistema penale: definire uno strumento di contrasto del fenomeno dell'accumulazione di risorse economiche illecite, legato specialmente alla criminalità organizzata, superando i limiti operativi della confisca penale (art. 240 c.p.), connessi all'esigenza di accertare il nesso oggettivo dei beni col reato (Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.).

Per questi rilievi, risulta incerto il suo inquadramento come misura di sicurezza patrimoniale (art. 240 c.p.).

Ed invero, in un sistema penale che conosce una pluralità di confische (non da ultimo, quella di prevenzione di cui all'art. 24 d.lgs. 159/2011) non è più prospettabile una chiave di lettura unitaria. La natura giuridica e la funzione delle singole ipotesi di confisca, infatti, dipendono dal contesto normativo in cui si collocano e dagli specifici presupposti che la legge di volta in volta definisce (Corte cost. sent. nn.29/1961 e 18/1996; si veda anche Cass. pen., Sez. un., n. 26654/2008).

La giurisprudenza, anche costituzionale (Corte cost. sent. n. 335/1996; di recente, n. 33/2018) è costante nell'attribuire alla confisca allargata una natura ibrida perché ambiguamente «sospesa» tra funzione «special-preventiva» e «vero e proprio intento punitivo».

La privazione coercitiva di beni di sospetta provenienza illecita persegue, anzitutto, una finalità preventiva: consente, infatti, di neutralizzare l'attività di soggetti che si presumono socialmente pericolosi, in ragione della condanna per uno dei reati indicati dall'art. 240-bis c.p. E risponde anche ad una funzione punitiva, che si esprime nella sottrazione definitiva dal circuito economico di risorse economiche di matrice illecita. La dimensione preventiva, di neutralizzazione della pericolosità sociale del soggetto condannato, sarebbe però prevalente per la giurisprudenza, che nega recisamente la natura di pena della confisca allargata e la inquadra come misura di sicurezza atipica, sottraendola alle garanzie costituzionali che presidiano la materia penale e, in special modo, al principio di irretroattività (art. 25, comma 2, Cost.).

È infatti regolata, sul piano intertemporale, dalla legge in vigore al tempo della sua applicazione (art. 200, comma 1,c.p.).

Sempre in tema di natura giuridica degli strumenti ablatori dei proventi di reato, deve evidenziarsi un diverso orientamento (riferimenti in M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, in AA.VV., Diritto penale dell'economia, Torino, 2019, 490 ss.) per il quale la confisca avrebbe, in generale, non già un portato afflittivo e sanzionatorio, quanto piuttosto risarcitorio e ripristinatorio, tale da evidenziarne una natura in senso lato civilistica. Gli statuti di riferimento pertanto non sarebbero quelli propri della legalità penale, di cui agli artt. 25 Cost. e 7 CEDU, quanto piuttosto della tutela della proprietà privata, di cui agli artt. 41 e 42 Cost. e, sul piano sovranazionale, art. 1, Prot. 1, CEDU. Tale impostazione ha trovato recente accoglimento in una importante sentenza della Corte Costituzionale la quale, esprimendosi in tema di tassatività e prevedibilità della categoria della pericolosità generica al fine dell'applicazione delle misure di prevenzione, coglie l'occasione per formulare delle considerazioni più generali su questa tematica, riconoscendo, a tale proposito, come confisca di prevenzione e confisca allargata costituiscano «altrettante species di un unico genus, che questa Corte […] ha identificato nella “confisca dei beni di sospetta origine illecita”» (Corte Cost., 20.11.2018 (dep. 2019), n. 24).

La natura di questa speciale confisca permane tuttavia incerta nella letteratura penalistica (cfr. le acute osservazioni di Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.). Per un verso, l'irrilevanza di un nesso, causale o strumentale, tra reato e beni suscettibili di confisca, la proietta inevitabilmente in una dimensione punitiva: d'altro canto, la stessa giurisprudenza costituzionale considera questo collegamento come presupposto essenziale perché una misura ablativa possa autenticamente svolgere una finalità preventiva. Finalità che, peraltro, non risulta prospettabile con riferimento alla confisca allargata, per l'evidente ragione che l'art. 240-bis c.p. non esige un accertamento giudiziario della pericolosità sociale del soggetto né tanto meno delle cose confiscabili. Per altro verso, questa confisca si fonda sulla presunzione legale che i beni non proporzionati alla capacità reddituale del soggetto condannato derivino da altri reati, giudizialmente non accertati; in tal senso, la confisca recupera il nesso tra beni e reato, sebbene per il tramite di un'inferenza probatoria (sproporzione-provenienza illecita) di matrice legale ed opererebbe come una sanzione con prevalente finalità ripristinatoria, quindi orientata a ristabilire, con l'estinzione della proprietà sui beni sproporzionati, la situazione economica anteriore ai reati che si presumono commessi, secondo il noto principio crimen non lucrat. Secondo visioni più radicali, peraltro, tale connotazione reintegratoria ne fonderebbe la qualificazione come misura di natura civilistica: né più né meno che una forma di estinzione del diritto di proprietà, acquisito mediante il reato.

A prescindere da queste letture, e valorizzando i tratti afflittivo-punitivi dell'istituto, è inevitabile riconoscere la tensione con i principi costituzionali: non soltanto con la garanzia di irretroattività, all'evidenza violata e che in una dimensione costituzionalmente conforme potrebbe essere rispettata ritenendo il divieto di applicazione retroattiva, ma anche con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.): il soggetto è privato di risorse patrimoniali in relazione a reati che si presumono commessi e in alcun modo risultano accertati. La condanna difatti concerne soltanto il reato-spia: è quindi del tutto irrilevante, nell'ottica dell'art. 27, comma 2, Cost., che l'art. 578-bis c.p.p., introdotto dal d.lgs. 21/2018, esiga comunque un accertamento di responsabilità penale del soggetto, nonostante la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione o amnistia (Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.).

Occorre osservare, infine, come la giurisprudenza convenzionale sia orientata a considerare questa ipotesi di confisca come mera misura preventiva, volta ad impedire l'uso illecito di beni di cui non è provata l'origine lecita da parte di soggetti pericolosi (sentenza Bocellari e Rizza c. Italia, 05.01.2010).

Si tratta, tuttavia, di una soluzione fortemente discutibile, anche alla luce degli indirizzi interpretativi sviluppati dalla stessa Corte europea.

La natura penale della confisca di sproporzione emerge infatti con evidenza proprio alla stregua dei criteri sostanziali a cui la giurisprudenza sovranazionale riconnette tale qualificazione, come ad es. il grado di afflittività: del resto, in relazione ad una confisca considerata come preventiva dal diritto interno, la Corte ha riconosciuto come la nozione di pena, agli effetti della Cedu, non sia incompatibile con la funzione preventiva e, insieme, repressiva perseguita (sentenza Welch c. Regno Unito, 09.02.1995).

La natura fortemente afflittiva comporta l'attrazione nella garanzia della irretroattività e più in generale, l'applicazione delle garanzie penalistiche a sfondo costituzionale.

La confisca di sproporzione è prevista anche in forma per equivalente (art. 240-bis, comma 2, c.p.) e opera, come di consueto, quando «non è possibile» procedere all'ablazione diretta del denaro o delle altre utilità; in tal caso, l'ablazione patrimoniale concerne denaro o altre utilità di legittima provenienza, per un valore equivalente a quello dei beni sproporzionati, che si presumono di origine illecita. Secondo il consolidato orientamento interpretativo, alcun dubbio sussiste circa la natura penale di questa specifica forma di confisca indiretta.

Può infine rammentarsi che, in virtù del rinvio che il nuovo art. 12-ter fa all'art. 240-bis c.p., a sua volta richiamato dall'art. 578-bis c.p.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato tributario estinto per prescrizione o per amnistia, potranno decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, purché procedano ad un previo accertamento della responsabilità dell'imputato.

Deve sul punto rilevarsi che la Corte di Cassazione, di recente, si è confrontata con gli artt. 183-quater att. c.p.p. e 240-bis c.p., pervenendo a conclusioni fortemente restrittive sulle possibilità del giudice dell'esecuzione di pronunciare la confisca allargata. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che tale ablazione speciale può essere disposta dal giudice dell'esecuzione solo in relazione alle disponibilità del condannato già individuate nel giudizio di cognizione, in quanto la sua estensione ai beni acquistati successivamente contrasterebbe con i principi generali che regolano le attribuzioni di tale giudice e vanificherebbe ogni distinzione tra la disciplina di tale tipo di confisca e quella della confisca di prevenzione (Cass. pen. n. 22820/2019 in fattispecie in cui il Gip, quale giudice dell'esecuzione, aveva rigettato la richiesta di confisca ex art. 12-sexies, d.l. n. 306 del 1992 avanzata dal p.m. sulla base di indagini patrimoniali successive alla definizione del giudizio)

Rispetto a tale impostazione, la sentenza in commento rileva che la “confisca per sproporzione post delictum” si differenzia dalla confisca disposta dall'art. 24 della l. n. 159/2011 (T.U. Antimafia): entrambe operano “per sproporzione”, ma mentre la confisca “allargata” interviene a seguito di una pronuncia di condanna (da qui il termine post delictum), la confisca antimafia è catalogata tra le misure di prevenzione patrimoniale, ed è quindi considerata una misura ante delictum, funzionale proprio a prevenire la realizzazione di futuri fatti illeciti (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, in www.sistemapenale.it).

Si osserva che tale forma di confisca allargata è “geneticamente 'importato' dalla elaborazione del settore delle misure di prevenzione patrimoniale antimafia”, riconoscendo che quindi la confisca allargata e quella di prevenzione condividono la medesima logica e finalità, essendo entrambe fondate su una presunzione di illecito arricchimento e destinate a una “funzione di ostacolo preventivo teso ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata, immessa nel circuito di realtà economiche a forte influenza criminale”.

La Suprema Corte riprende l'approccio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24/2019 nel riconoscere la medesima ratio e finalità alle due forme di confisca in esame, in contrasto con il precedente orientamento sia della Suprema Corte sia della stessa Corte Costituzionale che negava tale similitudine per non estendere le garanzie previste per la confisca ex art. 12-sexies alla confisca di prevenzione (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.). Evidenzia la Suprema Corte che i successivi interventi di riforma sono stati ispirati proprio dalla precisa volontà del legislatore di assimilare la disciplina della confisca allargata a quella della confisca di prevenzione, in gran parte per garantire in sede di confisca allargata l'applicazione della sperimentata disciplina del procedimento di prevenzione circa la destinazione, l'amministrazione e gestione dei beni, nonché la tutela dei terzi (l. 45/2001, l. n. 94/2009, l. n. 50/2010, l. n. 228/2012, l. n. 161/2017, che ha pure esteso la regola di necessaria partecipazione al procedimento di cognizione dei soggetti terzi intestatari di beni potenzialmente incisi dalla confisca, art. 104-bis c.p.p. al comma 1-quinquies).

Presupposti della confisca allargata

La confisca c.d. allargata si fonda sulla presunzione legale della provenienza illecita dei beni e delle utilità di cui dispone, direttamente o indirettamente, il soggetto condannato.

La presunzione poggia su due elementi indizianti complementari: il primo consiste nella qualità di condannato per uno dei reati espressamente previsti dall'art. 240-bis c.p.; il secondo nella sproporzione dei beni o, più in generale, del patrimonio di cui dispone, direttamente o indirettamente, il soggetto condannato rispetto ai propri redditi dichiarati ovvero alle attività economiche lecite. Da questi elementi si risale alla presunzione «che il patrimonio stesso derivi da attività criminose che non è stato possibile accertare»; si presume, in altri termini, che «il condannato abbia commesso non solo il delitto che ha dato luogo alla condanna, ma anche altri reati, non accertati giudizialmente, dai quali deriverebbero i beni di cui egli dispone» (per questa lettura, Corte cost. sent. n. 33/2018). Si tratta di una presunzione soltanto relativa: per vincerla, è necessario che il soggetto condannato alleghi gli elementi utili a dimostrare la provenienza lecita dei beni sproporzionati; è del tutto irrilevante, invece, la prova negativa della non provenienza dei beni dal reato per il quale è stato condannato (Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.).

I reati di cui all'art. 240-bis c.p. (c.d. reati-spia) devono presentare connotazioni empirico-crimonologiche in grado di sostenere la presunzione legale di illecita accumulazione patrimoniale, in funzione della quale opera la confisca allargata. In tal senso, deve trattarsi di reati in grado di produrre utilità illecite e che implicano forme professionali o sistematiche di realizzazione. Lo impone, del resto, il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), che vieta al legislatore di assimilare, nell'ambito del catalogo di cui all'art. 240-bis c.p., fattispecie incriminatrici che, per natura e caratteri, non risultino coerenti con la presunzione legale (Corte cost. sent. n. 33/2018). A fronte di un nucleo originario, identificabile nei reati che sottendono un contesto associativo e/o organizzativo di realizzazione (delitti di cui all'art. 51 comma 3 bis c.p.p.) o, comunque, intrinsecamente produttivi di utilità (artt. 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 c.p.), il legislatore ha ampliato il catalogo seguendo una logica evidentemente in contrasto con l'esigenza di assicurare una giustificazione razionale della presunzione (art. 3 Cost.). Per correggere le carenze che affliggono la selezione in astratto dei reati-indizianti, si consente al giudice di verificare in concreto, tenuto conto delle circostanze del caso e della personalità del reo, se il singolo reato per cui è intervenuta condanna sia tale da giustificare la presunzione legale cui è connessa l'applicazione della confisca allargata (Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.).

La titolarità e la disponibilità della res

La confisca allargata può insistere su ogni bene, materiale o immateriale, suscettibile di valutazione economica (Cass., sez. II pen., 20.5.2009, n. 35969). Il rapporto tra agente e res, presupposto della confisca, comprende tanto la titolarità quanto la mera disponibilità della stessa: è grazie a tale seconda previsione che la confisca allargata dimostra una eccezionale efficacia espansiva. La disponibilità deve intendersi quale rapporto di dominio tra l'agente e il bene: una relazione con la res connotata cioè dall'esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (Cass., Sez. II, 6.3.2018, n. 14163). Grava sull'accusa, in particolare, l'onere di provare, anche in via indiziaria, l'esistenza di circostanze che avallino in modo concreto la divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene (Cass., sez. III, 12.5.2015, n. 36530).

La giurisprudenza di legittimità esclude, ad ogni modo, che in tema di confisca allargata possa trovare applicazione la c.d. presunzione di fittizia intestazione dei beni prevista in tema di confisca di prevenzione dall'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, ed inerente agli atti di trasferimento oneroso del bene compiuti dal proposto in favore di determinate categorie di soggetti, in una certa finestra temporale (Cass., sez. II, 25.2.2014, n. 15829).

Siffatta disciplina solleva, ad ogni modo, rischi di non poco conto con riferimento alla tutela del terzo, titolare della res che si afferma essere nella «disponibilità» del reo. A tale proposito, a fronte di un vuoto di tutela che aveva comportato anche una questione di legittimità costituzionale, il legislatore è intervenuto con la legge 1.3.2018, n. 21, inserendo all'art. 104 bis att. c.p.p. il nuovo comma 1-quinquies, ai sensi del quale «nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo» (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.). La giurisprudenza riconosce ai terzi interessati il diritto di impugnazione delle statuizioni in tema di confisca che li riguardano, nonché quello di esperire incidente di esecuzione, nel caso in cui sia stato pretermesso dalla partecipazione al giudizio di cognizione (Cass., sez. II pen., 12.10.2018, n. 53384).

La sussistenza di una sentenza di condanna

Altro presupposto di carattere oggettivo della misura è la condanna o l'applicazione di pena su richiesta delle parti per taluno dei reati elencati dalla norma. Per quanto attiene al settore penale tributario, per alcuno dei reati elencati all'art. 12-terd.lgs. n. 74/2000, con il superamento delle soglie ivi previste.A tale riguardo, occorre considerare che, ad opera della riforma di cui al d.lgs. n. 21/2018, il comma 4-septies dell'art. 12-sexies d.l. 306/1992 è stato abrogato, essendo stata tuttavia inserita una disposizione dal contenuto sostanzialmente analogo entro il è stato introdotto il nuovo art. 578-bis c.p.p., rubricato Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, ai sensi della quale, quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'art. 240-bis c.p. (o la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p.), «il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato». È stato in questo modo normativizzato, anche con riferimento alla confisca allargata, l'approdo giurisprudenziale radicatosi in tema di confisca obbligatoria diretta del profitto del reato, ai sensi dell'art. 322-ter c.p., di cui alla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 26.6.2015, n. 31617, Lucci, per cui la confisca diretta, da considerarsi misura di sicurezza, deve essere applicata in costanza non già di un giudicato di condanna, quanto di un accertamento della sussistenza dell'illecito e della sua attribuibilità al condannato, contenuto in un provvedimento definitorio di almeno un grado di giudizio. Si tratta, all'evidenza, del complesso – e insieme particolarmente rilevante – tema della c.d. confisca senza condanna: soluzione altresì ammessa, da ultimo, dalle più recenti pronunce della Corte EDU (Corte EDU [GC], 28.6.2018, G.I.E.M. c. Italia).

La norma dispone l'applicazione della misura nei casi di estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, senza considerare i casi in cui il reato sia estinto per una causa diversa. L'intervenuta morte del reo prima del passaggio in giudicato della sentenza, pertanto, impedisce l'operatività della misura (Cass., Sez. II., 4.10.2013, n. 43776). Nel caso in cui invece la morte del reo intervenga dopo il passaggio in giudicato della condanna, la misura, ai sensi dell'art. 183-quater att. c.p.p., deve essere applicata agli eredi o agli aventi causa.

Il requisito della sproporzione quale architrave dell'istituto

Quanto all'elemento della sproporzione, l'art. 240-bis c.p. sancisce espressamente che il soggetto condannato non possa giustificare la provenienza lecita dei beni adducendo redditi non dichiarati o, comunque, utilità che costituiscano il provento di evasione fiscale, «salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge», come nel caso in cui i redditi evasi siano emersi per effetto dell'adesione a procedure di ravvedimento o di condono fiscale. La ratio di questa previsione pare essere quella di escludere dall'oggetto della confisca allargata quanto l'imputato abbia già restituito all'erario, evitando una duplicazione di apprensione del provento illecito. Tale precauzione – proprio nell'ambito dei reati tributari – era già adottata nel diritto vivente in forza di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ed era stata addirittura “rafforzata” dal legislatore del 2015 prevedendo, al secondo comma dell'art. 12-bis, che la confisca sia esclusa non solo per la parte che il contribuente ha effettivamente già versato all'erario, bensì anche per quella che “si impegna” a versare (Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887; cfr., nello stesso senso, Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2012, n. 30140; Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2012, n. 46726).

La giurisprudenza circoscrive sul piano temporale la presunzione di illecita provenienza dei beni in valore sproporzionato alla capacità reddituale del soggetto condannato. Assume rilievo, pertanto, nel circoscrivere l'oggetto della confisca, la distanza cronologica che intercorre tra il momento di acquisizione dell'utilità, della cui provenienza lecita si dubita, e il reato-spia per cui è pronunciata condanna. La confisca non dovrebbe operare quando questa distanza è talmente significativa da rendere irragionevole la presunzione di provenienza illecita del bene. La delimitazione temporale consente di «evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell'istituto […] che legittimerebbe altrimenti – anche a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista – un monitoraggio patrimoniale esteso all'intera vita del condannato» (Corte cost. sent. n. 33/2018), non potendo i beni essere "ictu oculi" estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Cass. pen., Sez. V, n. 21711/2018). Occorre, in altre parole, la prossimità temporale dell'acquisto del bene rispetto alle condotte illecite (Padovani, Diritto penale, cit., 432 ss.).

Sul punto, la Suprema Corte sottolinea che tra la confisca allargata e la confisca di prevenzione cambia solo “il modus ricostruttivo di uno dei presupposti applicativi (quello soggettivo)”, ovvero la base “cognitiva alla cui stregua si articola il giudizio sulla persona: nel primo caso (misura di prevenzione patrimoniale) si tratta della ricostruzione di un profilo di pericolosità soggettiva orientato sulla constatazione della contiguità mafiosa (o su altre ipotesi tipizzate) che può anche prescindere dalla verifica di colpevolezza per un reato (ma sovente la include come presupposto cognitivo), nel secondo caso (confisca penale allargata) si tratta della avvenuta ricostruzione in positivo della colpevolezza per uno dei reati elevati dal legislatore a possibili indicatori di una accumulazione illecita …”. Fermo restando, si dovrebbe aggiungere secondo attenta dottrina (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.), che poi le due forme di confisca si distinguono dal punto di vista oggettivo: è vero, come si afferma nella sentenza in esame, che la confisca allargata «adotta un modello descrittivo dell'analisi patrimoniale (disponibilità anche indiretta dei beni, mancata giustificazione della provenienza, sproporzione di valore con il reddito dichiarato o con i risultati dell'attività economica svolta) del tutto coincidente con quello elaborato nel settore della prevenzione patrimoniale»; ma la confisca di prevenzione si può fondare non solo sull'accertamento del valore sproporzionato del bene come la confisca allargata, ma anche alternativamente sulla sussistenza di indizi o meglio sulla prova indiziaria circa l'origine illecita dei beni (risultino frutto o reimpiego). Anche se, come ribadito nella sentenza n. 33/2018, la sproporzione rivela come mero indizio dell'origine illecita e non come requisito autonomo (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

La Suprema Corte non qualifica espressamente la condanna come requisito soggettivo della confisca allargata, ma come espressione “della avvenuta ricostruzione in positivo della colpevolezza per uno dei reati”, prendendo atto dell'intervenuta riforma introdotta dalla l. 161/2017 e confermata dal d.l.gs. 21/2018 che con l'introduzione dell'art. 578-bis c.p.p. cristallizza “una precedente ma non uniforme giurisprudenza (Cass., Sez. V, 24 febbraio 2015 (dep. 17/06/2015), Prestanicola e altri, n. 25475) – consente di applicare tale forma di confisca anche nel caso di estinzione del reato per prescrizione o per amnistia, purché la confisca sia già stata ordinata e vi sia un previo accertamento della responsabilità dell'imputato (la Suprema Corte precisa da ultimo «a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna»)” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.) .

Si avvicina così ancora una volta la confisca per sproporzione allo strumento ablatorio di prevenzione, prescindendo da una condanna, “per mere esigenze di efficienza a scapito delle garanzie” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Si precisa ancora che ai fini della ricostruzione della pericolosità soggettiva si “può anche prescindere dalla verifica di colpevolezza per un reato (ma sovente la include come presupposto cognitivo)”, facendo riferimento con quest'ultima espressione «sovente la include come presupposto cognitivo» a quell'orientamento, recentemente affermatosi, in base al quale la Suprema Corte pretende ai fini del giudizio di c.d. “pericolosità semplice” dei precedenti penali e giudiziari; come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 24/2019 «occorre un pregresso accertamento in sede penale, che può discendere da una sentenza di condanna oppure da una sentenza di proscioglimento per prescrizione, amnistia o indulto che contenga in motivazione un accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte di quel soggetto (Cass., n. 11846 del 2018, Cass. n. 53003 del 2017 e Cass. n. 31209 del 2015)» (§ 11).

Tale orientamento che non si “accontenta di meri indizi ai fini del giudizio di pericolosità semplice (generica) rappresenta un passo in avanti in termini di tassatività processuale e di rispetto della presunzione d'innocenza come profilo processuale del principio di legalità, che garantisce che i cittadini siano chiamati a rispondere (nel senso di subire delle conseguenze giuridiche, come sono, perlomeno, le misure preventive) solo di fatti accertati in giudizio e non rimasti in uno stato di incerta efficacia perché non accertati in un regolare procedimento in contraddittorio; rischio quest'ultimo che è intrinseco al procedimento di prevenzione laddove si fonda l'applicazione delle misure solo in base a meri indizi, piuttosto che all'accertamento di fatti” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.). Fermo restando, poi, che non mancano ambiguità nell'adozione di tale orientamento laddove la giurisprudenza ai fini del giudizio di pericolosità sociale ricostruisce in via autonoma la rilevanza penale di condotte emerse durante l'istruttoria (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Sproporzione e ragionevolezza temporale

La confisca allargata insiste, come detto, su ogni bene, nella titolarità o nella disponibilità del reo, che sia sproporzionato rispetto al reddito denunciato al fine della dichiarazione dei redditi o all'attività economica da questi esercitata. La sproporzione non consiste in una qualunque discrepanza tra guadagni e possidenza, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare con riferimento al momento dell'acquisizione dei singoli beni (Corte Cost. n. n. 33/2018).

La giurisprudenza è consolidata nell'affermare che, ai fini dell'applicazione della misura in esame, non sia necessario individuare alcun nesso di derivazione tra i beni sproporzionati ed il reato per cui è stata pronunciata condanna, e neppure tra i medesimi beni e una più generica attività criminosa del condannato. È pertanto ininfluente, ai fini dell'applicazione della misura, che il bene in questione sia stato acquistato prima o dopo rispetto alla commissione del reato, e altresì quale sia il valore dei beni rispetto al reato per il quale sia intervenuta la condanna (Cass., Sez. Un. 17.12.2003 (dep. 2004), n. 920).

Attenta dottrina (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.) ha tuttavia segnalato un interessante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la presunzione di provenienza illecita del bene (pur sganciata, come visto, rispetto all'accertamento del reato per cui si procede, sia sotto il profilo della pertinenzialità che su quello del quantum confiscabile) non potrebbe in ogni caso «operare in modo illimitato e indiscriminato, ma deve necessariamente essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale che consenta di operare un collegamento tra i beni e il fatto criminoso» (Cass., sez. II pen., 26.10.2018, n. 52626). La medesima dottrina (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.) evidenzia che questa prospettiva è stata autorevolmente confermata, di recente, dalla Corte Costituzionale, la quale ha enfatizzato l'esigenza di applicare la confisca allargata in quei soli casi in cui nella fattispecie concreta sia dato rinvenire quella serialità nell'accumulazione di ricchezza illecita che aveva a mente il legislatore, nel momento in cui sono state tracciate le confische per sproporzione (Corte Cost., n. 33/2018).

Si afferma così (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.) che “l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza, anche costituzionale, trasforma di fatto, per certi versi, la confisca c.d. allargata da misura obbligatoria in misura facoltativa, affiancando al presupposto oggettivo della sproporzione tra beni e consistenza economica del reo un ulteriore requisito (cumulativo), ovvero la ragionevole provenienza delittuosa dei beni medesimi, il quale racchiude in sé, del resto, la concreta pericolosità sociale del vincolo di disponibilità tra l'agente e la res: requisito tipico quest'ultimo, come noto, proprio della confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p. Tale approdo – pur apprezzandone la ricaduta maggiormente garantistica, e il conseguente allontanamento del secco automatismo presuntivo al quale la norma ci sembra invero ispirata – ci pare che comporti non pochi attriti rispetto al principio di determinatezza. In questo modo, infatti, la misura, di molto ridimensionata nelle sue coordinate legali, deve essere applicata in base a dei presupposti – su tutti, la contiguità del singolo imputato al “modello criminale” che aveva (presumibilmente) a mente il legislatore – che appaiono opachi e carenti di tassatività; idonei in ogni caso ad impedire, francamente, una concreta conoscibilità e prevedibilità, in capo all'agente, della futura applicabilità o meno, a proprio danno, della misura in questione, ribaltando sul piano processuale e sul buon senso del singolo giudicante la decisione in merito all'applicazione della misura, con riferimento sia all'an sia al quantum” (in tema v. anche Amarelli, Confisca allargata e ricettazione: in attesa di una riforma legislativa la Corte fissa le condizioni di legittimità con una sentenza interpretativa di rigetto dai possibili riflessi su altri «reati-matrice», in Giur. cost. 2018, 307 ss.).

La sentenza in commento richiama in chiave garantista proprio l'interpretazione ormai consolidata in base alla quale il carattere sproporzionato del bene deve essere valutato in relazione ad ogni singolo bene o ceppo patrimoniale al momento dell'acquisto: “in un ambito che (come precisato da Sez. Un. 2003, Montella) impone una ricostruzione non in termini 'riassuntivi' (confronto globale) ma in termini 'scomposti' anno per anno (ricostruzione della capacità di realizzare o meno gli acquisti nel momento in cui gli stessi sono intervenuti)” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.). Questa interpretazione evita di accertare e valutare la sproporzione in maniera globale, con riferimento all'intero patrimonio, e cioè come indizio dell'origine illecita di tutto il patrimonio “trasformando la confisca allargata tout court in una pena patrimoniale del sospetto; il più complesso accertamento in termini “scomposti”, che impone un più rigoroso onere probatorio all'accusa, rende tale elemento della sproporzione del singolo assetto in un certo momento storico, un serio indizio della sua origine illecita – fondamento insieme alla condanna della presunzione di illecito arricchimento – ferma restano la difficoltà di tale accertamento in un contesto imprenditoriale complesso” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Viene dunque valorizzata l'importanza della ragionevolezza temporale come requisito necessario per applicare la confisca ex art. 240-bis c.p., valorizzando un “percorso di incremento della tassatività e di progressiva assimilazione funzionale (e di disciplina) tra le due ipotesi di confisca» in termini garantistici laddove si è esteso alla confisca allargata l'approccio ermeneutico circa la necessità della correlazione temporale affermatosi dapprima in relazione alla confisca di prevenzione”. Il “requisito del nesso temporale tra la 'condizione soggettiva' (pericolosità in prevenzione/epoca del commesso reato in confisca estesa) e le accumulazioni patrimoniali astrattamente confiscabili” si è invero affermato in relazione alla confisca di prevenzione, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 33/2018 e 24/2019. Tale elemento rappresenta, come sancito dalle S.U. Spinelli (Cass., S.U., n. 4880/2015), “il requisito imprescindibile della costituzionalità della confisca ex art. 24 d.lgs. 159/2011 in qualità di fondamento della sua stessa natura preventiva e della ragionevolezza della presunzione dell'origine illecita dei beni confiscabili, nonché misura temporale dell'ablazione” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

La sentenza sottolinea che tale requisito – l'individuazione di un limite temporale da porsi all'indagine patrimoniale 'retroattiva' (rispetto all'indicatore rappresentato dalla epoca di commissione del reato-spia) – è imprescindibile per garantire lo stesso equilibrio di sistema in punto di ragionevolezza e necessaria proporzionalità degli interventi ablativi aventi ad oggetto il diritto di proprietà, evidenziando che altrimenti “finirebbe con il diventare arbitraria, ove tale retroazione si spinga sino a tempi remoti, la stessa presunzione semplice di derivazione illecita del patrimonio, che rappresenta la «regola di funzionamento di base dell'istituto della confisca estesa”.

Si afferma anche come la pretesa di tale requisito costituisce ormai diritto vivente (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.): “i contenuti di detta decisione sono stati, peraltro, recepiti nella presente sede di legittimità in più occasioni posteriori (vedi Sez. II n. 52626 del 26.10.2018, rv. 274468; Sez. Fer. n. 56596 del 3.9.2018, rv. 274753-03; Sez. I n. 36499 del 6.6.2018, rv. 273612) il che determina la constatazione della esistenza di un 'diritto vivente' nomofilattico cui il giudice del merito (sia in cognizione che in esecuzione) deve uniformarsi…”.

Non viene tuttavia chiarito quale debba essere il limite temporale in questione; la Suprema Corte riconosce che “il limite temporale della 'retroazione' dell'indagine patrimoniale – in sede di confisca estesa penale – non può essere individuato in modo rigido, ma va in concreto parametrato alle circostanze del caso concreto ed in particolare all'indicatore rappresentato dalla gravità e dalle modalità di consumazione del reato-spia per cui è intervenuta la condanna”. Si richiama in proposito la Corte Costituzionale che nella pronuncia n. 33/2018 precisa che “la fascia di “ragionevolezza temporale”, entro la quale la presunzione è destinata ad operare, andrebbe determinata tenendo conto anche delle diverse caratteristiche della singola vicenda concreta e, dunque, del grado di pericolosità sociale che il fatto rivela agli effetti della misura ablatoria”.

Su queste basi, la sentenza sembra suggerire, con il richiamo alla pericolosità sociale di cui il fatto è sintomo, che occorre verificare “in che misura (temporale) il singolo reato riveli il (o meglio sia indizio del) carattere continuativo dell'attività criminale” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Va infine ricordato che la sproporzione del bene rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata è, come detto, requisito necessario ma non sufficiente all'applicazione della confisca allargata. È necessario, altresì, che il reo non sia in grado di giustificarne il legittimo possesso (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.).

Essa fonda, infatti, una inversione dell'onere della prova, in quanto è il reo che deve dimostrare la provenienza lecita dei beni sproporzionati; e non già l'accusa che deve dimostrarne la provenienza illecita (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.).

La giurisprudenza più recente “– forse per “pudore” lessicale – afferma che non si tratterebbe invero di un'inversione dell'onere della prova, quanto di un «mero onere di allegazione»”, ma ritiene la dottrina che “francamente si fatica a comprendere, sul piano pratico, la differenza, posto che in ogni caso ciò comporta per l'imputato il dovere di dimostrare la provenienza lecita dei beni sproporzionati” (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, cit., 490 ss.).

La Suprema Corte rappresenta, a questo riguardo, che la giustificazione non solo deve essere credibile ed esauriente, ma deve altresì dimostrare la positiva liceità della provenienza della res, non potendosi limitare alla prova negativa della non provenienza dello stesso dal reato per cui è stata inflitta condanna (Cass., Sez. I, 18.2.2009, n. 10756).

La rilevanza dell'evasione fiscale

L'art. 240-bis c.p. – richiamato dal nuovo art. 12-terd.lgs. n. 74/2000 – dispone che il condannato “non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”.

Nel tempo, particolare rilievo ha assunto il rapporto tra la confisca c.d. “allargata” e l'evasione fiscale, ovvero la possibilità per il reo di giustificare la sproporzione tra il proprio patrimonio e i redditi denunciati al fisco, in ragione della sottrazione ad imposta di ricavi provenienti da attività lecite. Le Sezioni Unite intervenivano nel 2014 dando risposta affermativa al suddetto quesito, confermando infatti come, in tale ipotesi, e in senso differenziale rispetto alla confisca di prevenzione, cioè “per sproporzione ante delictum”, detti ricavi – ancorché sottratti poi al fisco – avrebbero comunque avuto provenienza lecita, e sarebbero quindi sottratti al perimetro di operatività della confisca allargata ai sensi (in allora) dell'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 (Cass. SS.UU. 29.5.2014, n. 33451).

Successivamente tuttavia il legislatore è intervenuto estendo alla confisca allargata, trasposta poi nell'art. 240-bis c.p., la soluzione adottata, come anticipato, in materia di confisca di prevenzione, escludendo che l'evasione fiscale sia un limite all'operatività della confisca per sproporzione post delictum, salvo che il reo non abbia provveduto a regolarizzare la propria pendenza erariale.

Sia richiama, a tale proposito, quanto evidenziato da attenta dottrina (M. Lanzi, La confisca «in casi particolari», o “per sproporzione” post delictum, nel settore penale tributario, in AA.VV., Diritto penale dell'economia, Torino, 2019, 490 ss.): «Deve ritenersi che il legislatore abbia di fatto introdotto, con la novella del 2017 confluita poi nel codice penale nel 2018, una nuova forma di confisca, diversa sia da quella c.d. “allargata”, di cui alla restante parte dell'art. 240-bis c.p., sia dalla ipotesi speciale di confisca obbligatoria, anche per equivalente, disposta per i reati tributari ai sensi dell'art. 12-bisd.lgs. n. 74/2000. E infatti, a differenza di quest'ultima, la confisca in esame opera a prescindere dalla rilevanza penale dell'evasione di imposta, sia sotto il profilo qualitativo (nel senso della riconducibilità dell'evasione ad una delle fattispecie penali-tributarie di riferimento) sia sotto quello quantitativo (nel caso di reati tributari che prevedono soglie di punibilità, in funzione dell'ammontare dell'imposta sottratta al fisco). La regola dell'irrilevanza dell'evasione fiscale al fine della giustificazione della sproporzione dei beni opera anzitutto, sul piano probatorio, quale limitazione al superamento della presunzione relativa dell'origine illecita dei beni “sproporzionati”, restringendo cioè il novero delle giustificazioni efficacemente spendibili dal reo per sottrarsi alla misura ablatoria. La previsione del saldo del debito tributario quale causa di esclusione della confisca dei beni “sproporzionati” implica tuttavia, sul piano sostanziale, il riconoscimento della misura in esame, in tali ipotesi, quale strumento non già finalizzato alla sottrazione al reo di proventi di precedenti (anche se non accertati) reati, quanto per la riscossione coattiva di somme sottratte al fisco, senza che ne sia richiesta di per sé alcun collegamento rispetto ad ipotesi di reato, neppure tributarie. Il contribuente che viene condannato per taluno dei reati presupposto di cui all'art. 240-bis c.p. (anche per quelli che nulla o quasi hanno a che fare con profili tributari di sorta) subisce in sostanza una inedita pressione tributaria da parte del giudice penale il quale, superato il tradizionale compito istituzionale dell'accertamento della responsabilità penale, e della irrogazione delle relative sanzioni, provvede, a carico di costui, alla riscossione – mediante espropriazione – di ogni utilità riconducibile all'evasione fiscale. Sembrerebbe realizzarsi in sostanza, in tali circostanze, un'ipotesi di versari in re illicita, per la quale il soggetto condannato per alcuno dei reati indicati dalla norma subisce una riscossione tributaria in forma speciale, senz'altro più incisiva di quelle che lo stesso potrebbe subire nella sede amministrativa-tributaria, non operando infatti con riferimento alla confisca c.d. “allargata” (al netto di interpretazioni basate sulla “ragionevolezza temporale” […]) alcuna limitazione temporale (prescrizione), cui invece è vincolato l'accertamento amministrativo. Deve poi considerarsi, a tale proposito, che la giurisprudenza di legittimità, nell'affermare l'inopponibilità dell'evasione fiscale all'applicazione della confisca per sproporzione ante delictum (fra tutte nella pronuncia delle SS.UU. Repaci), faceva riferimento in motivazione non già all'imposta evasa quanto all'imponibile sottratto a tassazione. Se dunque dovesse confermarsi, con riferimento alla confisca allargata ex art. 240-bis c.p., la stessa esegesi giurisprudenziale consolidata in tema di confisca di prevenzione, la pressione fiscale subita dal reo sarebbe peggiorativa rispetto a quella di qualunque altro contribuente anche sul piano quantitativo, posto che si vedrebbe coattivamente privato non solo delle imposte non versate, quanto dell'intero ammontare dei proventi non dichiarati al fisco. Si verificherebbero quindi effetti persino più afflittivi rispetto a quanto accade nello stesso settore penale tributario in senso stretto, dal momento che, per giurisprudenza costante, l'oggetto della confisca speciale ivi prevista (disciplinata oggi dall'art. 12 bis d.lgs. n. 74/2000) “non va identificato con l'imponibile sottratto a tassazione bensì nel quantum dell'imposta evasa”».

Peraltro, con l'avvenuta inclusione dei reati tributari nel novero dei presupposti per l'applicazione della confisca allargata – ad opera del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modifiche in l. 19 dicembre 2019, n. 157- si “chiude il cerchio”, trasformando di fatto uno strumento nato per il contrasto alla criminalità organizzata in un mezzo di recupero straordinario delle attività sottratte al fisco.

Evidenti peraltro le ricadute relative all'utilizzo di misure cautelari reali già nella fase delle indagini.

È vero che, nel corso degli anni, la sfera applicativa della confisca allargata si è andata arricchendo anche con molte ipotesi di reato che già l'hanno allontanata dalla originaria matrice di contrasto alla criminalità mafiosa o, quantomeno, organizzata (basti pensare, per tutti, all'inserimento dei reati contro la Pubblica amministrazione tra le fattispecie presupposto), ma il tema diviene particolarmente delicato in relazione alle fattispecie penali tributarie: in tale contesto, infatti, l'evasione fiscale funge contemporaneamente tanto da fattispecie presupposto (“reato spia”) quanto da elemento rivelatore della sproporzione e, quindi, indiziante della provenienza illecita di (almeno) una quota del patrimonio.

Del resto, la Corte costituzionale ha affermato che “costituisce … approdo ermeneutico ampiamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità … che … il giudice non debba ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato per cui è stata pronunciata condanna, e neppure tra i medesimi beni e una più generica attività criminosa del condannato”. Con la conclusione che vede “la confiscabilità non esclusa dal fatto che i beni siano stati acquistati in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto, o che il loro valore superi il provento di tale reato” (Corte cost., 21 febbraio 2018, n. 33).

Unico limite temporale, capace di evitare un “monitoraggio temporale esteso all'intera vita del condannato” sarebbe così il parametro della “ragionevolezza temporale”, in forza del quale “il momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare ... talmente lontano dall'epoca di realizzazione del reato spia da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna”.

La Suprema Corte in commento si occupa in particolare della possibilità di addurre l'evasione fiscale per dimostrare il carattere proporzionato del valore dei propri beni e quindi giustificarne l'origine lecita, evidenziando che ciò fosse possibile da parte della difesa in sede di applicazione della confisca allargata prima della riforma introdotta dalla l. 161/2017, in base all'orientamento giurisprudenziale più recente (risalente al 2011).

È importante evidenziare che la Corte ritiene che il contrario orientamento finirebbe per far rientrare tra i reati presupposto dell'art. 240-bis c.p. l'evasione fiscale, in contrasto con il principio di legalità e il divieto di analogia in malam partem23. Si cita anche recentissima giurisprudenza della Suprema Corte in tale direzione (Sez. II n. 45105 del 4.7.2019).

La Corte prende atto che è intervenuta in materia la riforma introdotta dalla l. 161/2017, la quale estende anche alla confisca allargata l'orientamento affermato in sede di prevenzione (e recepito legislativamente sempre dalla l. 161), stabilendo che «in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale».

La sentenza ritiene che la “«voluntas legis è chiara: si prevede che anche in sede di confisca estesa, pur non essendo inserita l'evasione fiscale tra i reati-sorgente la stessa abbia rilievo impeditivo della dimostrazione di assenza (o di ridimensionamento) della sproporzione di valori”.

Viene quindi accolta l'interpretazione che “sembra emergere dalla sentenza Repaci in base alla quale si impedisce all'evasore di dimostrare il carattere proporzionato del valore del bene al momento dell'acquisto non solo attraverso i proventi dell'evasione fiscale (la tassa risparmiata), ma anche attraverso quella parte del proprio reddito imponibile di fonte lecita, sottratta alla tassazione; la Corte afferma tout court che «l'evasione fiscale … abbia rilievo impeditivo della dimostrazione di assenza (o di ridimensionamento) della sproporzione di valori” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Sul punto, acuta dottrina (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.) ha ritenuto che si tratta di “un'opzione di politica criminale piuttosto draconiana, in contrasto con il principio di legalità, proporzione e colpevolezza”.

Si argomenta che tale impostazione, in base alla quale non sarebbe possibile tenere conto dell'intero imponibile, finisce per “considerare di origine illecita dei redditi lecitamente acquisiti solo perché sottratti alla tassazione e per ampliare l'ambito di applicazione della confisca allargata, facendo risultare di valore sproporzionato anche dei beni acquisiti con redditi leciti, dei beni, insomma, il cui valore non è sproporzionato (e, quindi, non sono di origine illecita); si confiscano dei beni di valore proporzionato e quindi di origine lecita, trasformando la confisca in esame in una vera e propria pena patrimoniale. Il tutto in contrasto, innanzitutto, con lo stesso principio di legalità – perché l'art. 240-bis c.p. (e prima l'art. 12-sexies d.l. 306/1992) consente solo la confisca dei beni di valore sproporzionato, considerando la sproporzione indizio dell'origine illecita – nonché con il principio proporzione e di colpevolezza, come criterio di commisurazione della pena perché la confisca allargata colpirebbe dei beni di origine lecita, divenendo una pena patrimoniale (del sospetto)” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Di particolare interesse è l'affermazione, marcatamente garantista, dell'irretroattività del divieto probatorio introdotto dalla l. 161/2017.

Sennonchè, il risultato espressione della regola di garanzia della irretroattività di una disciplina che avrebbe effetti in malam partem, impedendo di addurre i redditi sottratti al fisco per dimostrare il valore proporzionato dei propri beni al momento dell'acquisto, suscita qualche perplessità, in quanto la sentenza afferma che si è al cospetto di una mera regola procedurale rispetto alla quale si deve applicare il dettato dell'art. 11 delle preleggi (la legge non dispone che per l'avvenire). Non si nega quindi la natura di misura di sicurezza della forma di confisca in esame e la conseguente applicazione dell'art. 200 c.p., con la conseguenza che “può essere applicata a beni conseguiti prima della sua entrata in vigore e, come affermato dalla Suprema Corte in altre occasioni, addirittura a reati commessi prima della sua entrata in vigore34 in palese violazione della ratio di garanzia della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta, sottesa al principio di legalità nell'interpretazione fornita dalla Corte EDU (Corte Edu, Perìnçek c. Svizzera [GC], 15 ottobre 2015, parr. 131 ss. e 283 ss.) e dalla Corte di Giustizia (CGUE, 3 giugno 2008)” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

L'originalità della decisione risiede nell'avere stabilito che la disciplina introdotta nel 2017 – in base alla quale “la dimostrazione dell'avvenuto esercizio di una attività economica lecita accompagnato dalla mancata sottoposizione dei guadagni alla imposizione fiscal” non può più essere adottata dalla difesa per superare la “presunzione di accumulazione illecita” – assume mera natura procedimentale di carattere civilistico, cui si applica l'art. 11 delle preleggi e cioè il divieto di applicazione retroattiva (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Si legge infatti che “è evidente che il legislatore ha introdotto – solo nel 2017 – un divieto probatorio che non può dirsi ricollegato alla dimensione penalistica dell'istituto (non essendo stata elevata l'evasione fiscale a presupposto della ablazione) ma alla sua dimensione 'civilistica' di ripartizione degli oneri dimostrativi tra parti contrapposte, in un ambito che (come precisato da Sez. Un. 2003 Montella) impone una ricostruzione non in termini 'riassuntivi' (confronto globale) ma in termini 'scomposti' anno per anno … Ne deriva, per dovere di interpretazione secondo ragionevolezza e principio generale di tutela dell'affidamento, che al divieto probatorio in parola debba attribuirsi natura procedimentale, il che comporta che il medesimo non può trovare applicazione – anche nei procedimenti in corso – in relazione alle ricostruzioni patrimoniali relative ad anni antecedenti a quello (2017) in cui è stato introdotto, in conformità agli assetti raggiunti in sede civile su temi analoghi (si veda, quanto alla inapplicabilità retroattiva di presunzioni favorevoli alla amministrazione fiscale quanto deciso, tra le altre, da Sez. VI Civ. ord, n. 2662 del 2018)”.

La Suprema Corte valorizza quindi l'art. 11 delle preleggi nella sua ratio garantistica quale affermazione del principio di irretroattività e cioè di “assoggettamento della disciplina di ciascun fatto alla normativa del tempo in cui esso si verifica» come affermazione di un principio generale dell'ordinamento (Corte Cost. 57/71; 57/118; 61/29; 70/19; 76/194; 77/13; 80/122; 82/91; 84/68; 86/42; 86/167), «rispondente al criterio logico e di giustizia per cui, essendo le norme del diritto rivolte a disciplinare l'attività dei soggetti dell'ordinamento, a condizionarla e a vincolarla, le condotte dei soggetti devono essere valutate e giuridicamente “qualificate” in base alle norme in vigore nel tempo in cui tali condotte si svolgono, e non in base a norme che, per essere sopravvenute rispetto a quel tempo, non potevano essere conosciute dai soggetti quando hanno posto in essere le loro condotte” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

Per giungere allo stesso risultato, la Suprema Corte avrebbe anche potuto ritenere – come rilevato in dottrina (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.) - che la riforma del 2017 rappresentasse una mera riforma della disciplina di applicazione di una misura di sicurezza, con operatività dell'art. 200 c.p. secondo cui il novum è applicabile al procedimento in corso.

È stato così sottolineato il dato secondo cui la Suprema Corte nega la natura sostanziale di tale divieto probatorio per darne un'interpretazione più garantista, laddove la garanzia della irretroattività dovrebbe accompagnarsi alla natura sostanziale in materia penale, imponendo di conseguenza il vincolo di irretroattività costituzionalizzato ex art. 25 Cost. (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.). Per contro, nell'ambito della “frode delle etichette rappresentata dalle misure di sicurezza, riconoscere natura sostanziale alla disposizione avrebbe comportato l'applicazione, meno garantista, dell'art. 200 c.p.” (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.).

L'opzione preferibile, dunque, dovrebbe essere qualle di considerare vietata l'applicazione retroattiva della confisca allargata a reati compiuti prima della sua entrata in vigore in violazione della ratio garantistica del principio di irretroattività in materia penale alla luce della sua natura sostanzialmente penale, estesa alla disciplina complessivamente intesa.

Va poi considerato che oggi tutte le argomentazioni sulla estraneità alle più rigorose garanzie penalistiche avanzate nel tempo potrebbero ritenersi superate dalle indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sul concetto di “pena” ai sensi dell'art. 7 CEDU. Per la Corte europea, infatti, la nozione di pena, considerata dall'art. 7 CEDU, possiede una portata autonoma rispetto a quella degli ordinamenti interni e la Corte, per rendere efficace la protezione offerta dalla disposizione, deve essere libera di andare al di là delle apparenze e giudicare da sé se una misura particolare realizzi una pena ai sensi della disposizione convenzionale (Corte EDU, 21/02/1984, Öztürk c. Allemagne, parr. 49 e 50; Corte EDU, 09/02/2015, Welch c. Royaume-Uni, par. 27). In forza di tale impostazione, i Giudici di Strasburgo, fermando l'attenzione sulla natura, sugli effetti e sulla severità della misura, hanno affermato che si è in presenza di una “pena” ogniqualvolta la dichiarata prevenzione si risolva, quanto agli effetti, in una vera e propria repressione di condotte comunque illecite (Corte EDU, Sez. II., 4 marzo 2014, c.d. "Grande Stevens"; CEDU, 20 maggio 2014, Nykänen c. Finlandia; CEDU, 27 novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia; Corte EDU, 10 febbraio 2015, Kiiveri v. Finlandia; Grande Camera del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11).

Ne esce convalidata l'impostazione secondo cui la confisca allargata rientra a pieno titolo nella nozione di “materia penale”, connotandosi per un contenuto fortemente afflittivo.

In una prospettiva più generale, quindi, è necessario ricondurre la confisca allargata alla matière pénale, così da consentire l'applicazione delle necessarie garanzie al di là delle etichette utilizzate dal legislatore nazionale: detto altrimenti, la natura fortemente afflittiva comporta l'attrazione nella garanzia della irretroattività e più in generale, l'applicazione delle garanzie penalistiche a sfondo costituzionale.

Comprensibili risultano quindi le perplessità avanzate dalla dottrina (Maugeri, Un ulteriore sforzo della Suprema Corte per promuovere uno statuto di garanzie nell'applicazione di forme di confisca allargata: art. 240-bis c.p., irretroattività e divieto di addurre l'evasione fiscale nell'accertamento della sproporzione, cit.) rispetto agli apprezzabili risultati della decisione in commento, in quanto, di regola, la natura procedurale di una disposizione penale radica l'applicazione ai procedimenti in corso.

Detto altrimenti, la natura procedurale consente l'applicazione della disciplina con riferimento a processi relativi a reati commessi prima della sua entrata in vigore, sottraendola al principio di irretroattività in materia penale.

Per contro, tale ultima garanzia, classica del modello costituzionale di lotta al delitto, viene pienamente ed inderogabilmente rispettata in relazione alla qualifica di una disposizione – come pare essere quella scrutinata dalla Suprema Corte – quale di diritto penale sostanziale.

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