D.l. n. 29 del 2020: sollevati i primi dubbi di illegittimità costituzionale
03 Giugno 2020
Lo sfondo
Com'era prevedibile, immediatamente dopo la sua entrata in vigore, è stato sollevato, con ord. n. 1380/2020 dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, il dubbio circa il contrasto dell'art. 2 decreto legge 10 maggio 2020, n. 29 con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
Com'è noto, il provvedimento ha ad oggetto il meccanismo di rivisitazione cadenzata a intervalli molto brevi, delle particolari misure adottate nei confronti dei condannati, a fronte dell'emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese, emesse a partire dal 23 febbraio 2020. In particolare, l'art. 2 del testo stabilisce che quando un condannato per uno dei delitti indicati (mafia e terrorismo) è ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento pena per motivi connessi all'emergenza Covid-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato tale provvedimento, acquisito il parere del procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato, valuta la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine dei quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. La valutazione è effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dap comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell'internato ammesso alla detenzione domiciliare.
Segnatamente nell'ordinanza si ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. 10 maggio 2020 n. 29, nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso, per violazione degli artt. 3, 24 comma 2 e 111 comma 2 Cost. La violazione del diritto di difesa e del contraddittorio
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici delle leggi, il magistrato chiamato a ‘rivalutare' la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria ha ottenuto dalla Procura Distrettuale antimafia competente il parere contrario alla protrazione della misura domiciliare - posta la ricorrenza del pericolo di reiterazione di reati, non tanto per comportamenti contrari posti in essere dall'interessato nelle more, quanto, invece, per il ruolo di rilievo da lui svolto in passato nel contesto criminale di riferimento – ed ha ravvisato, così come avevano già fatto presente, da subito, i commentatori del testo (v. TERRANOVA, Le misure adottate dal Governo contro le scarcerazioni dei boss), la totale assenza dell'interlocuzione della difesa tecnica degli interessati. In altri termini, il provvedimento, capace di determinare una privazione massima delle libertà è, a norma di legge, assunto de plano, senza, quindi, che sia contemplata alcuna comunicazione formale di avvio del procedimento di rivalutazione, mentre è prevista, al contrario e in maniera inedita, quella di un organo requirente, peraltro – si noti - diverso da quello che sarebbe competente in relazione al giudice che procede (pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza).
Se si registra la presenza dell'organo d'accusa manca, invece, quella non solo dell'interessato, ma, soprattutto, quella del suo difensore. Quest'ultimo resta, peraltro, all'oscuro degli elementi essenziali acquisiti mediante l'istruttoria e sui quali verterà il giudizio che potrebbe portare alla ri-carcerazione, né, ad esempio, è previsto alcun contraddittorio circa la sede individuata dal Dap per lo svolgimento delle cure del proprio assistito. Invero, come afferma il magistrato remittente « la descritta procedura appare censurabile ai sensi degli art. 24, comma 2 e 111 comma 2 Cost., in particolare appunto poiché si svolge senza adeguato coinvolgimento della difesa e senza il necessario contraddittorio delle parti in condizioni di parità. Dalla descrizione dei passaggi essenziali della procedura (…), emerge all'evidenza l'assenza, che in tal senso non appare ragionevole, di qualsiasi formale coinvolgimento della difesa dell'interessato, nonostante dalla decisione del magistrato di sorveglianza derivi l'eventuale ripristino della massima privazione della libertà rappresentata dal rientro in carcere, per altro di una persona affetta da rilevanti patologie e già destinataria di una misura volta essenzialmente alla tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e ad una detenzione conforme al senso di umanità (art. 27 comma 3 Cost.)».
Peraltro, il richiamo al concetto di “ revoca” induce a ravvisare nell'atto la tendenziale definitività del provvedimento ripristinatorio della detenzione, per il quale non è prevista l'incardinazione di una competenza collegiale, se non quella “ordinaria” sulla richiesta di differimento avanzata dall'interessato che, tuttavia, nella fissazione dell'udienza, non soggiace ad alcun termine perentorio. Né si prevede alcuna conferma da parte del Collegio che, invece, tradizionalmente, nei procedimenti di differimento della pena, è l'organo competente ad adottare il provvedimento definitivo. Sul versante temporale, poi, la previsione del termine meramente acceleratorio di 60 giorni, previsto dall'art. 47, comma 4, ord. pen. (in quanto richiamato dall'art. 47-ter, comma 1-quater, ord. pen.), per la conferma dei provvedimenti interinali assunti dal magistrato di sorveglianza (termine peraltro del tutto assente nello schema procedimentale dell'art. 684 c.p.p., norma applicabile in subiecta materia), non è, secondo l'organo remittente, capace d'assicurare la garanzia a fronte, per giunta, della sua immediata esecutività.
Al contrario, il grave pregiudizio per il diritto di difesa, che la nuova procedura determina, non opera, con stravolgimento della ordinaria scansione procedimentale e della previsione di retroattività, oltre al contraddittorio pieno, invece, per i soggetti per i quali sia già stata assunta la decisione definitiva innanzi al Tribunale di Sorveglianza. È palese che in tal caso verrebbe, dunque, assicurato il contraddittorio -in maniera alquanto casuale e in contrasto con l'art. 3 Cost. - a seconda del carico maggiore o minore dei ruoli ovvero alla capacità degli organi giudiziari ad ottemperare alla loro attività. Le disposizioni qui in esame finiscono, dunque, per strutturare una procedura “atipica” che si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. La sopravvenuta procedura appare strutturalmente e sistematicamente avulsa dalle regole e dai principi che presiedono la procedura di “sorveglianza”. Si tratta, infatti, generalmente di ipotesi in cui il merito della decisione è parametrato su valutazioni caratterizzate da minimi spazi discrezionali e assicurati da ampi margini per la difesa tecnica o, comunque, dalla previsione di mezzi e termini d'impugnazione che determinano la sospensione temporanea dell'esecutività del provvedimento interinale o d'ipotesi di sospensione ex art. 51-ter ord. pen. per cui, se la decisione non è ratificata dal collegio entro termini perentori, il provvedimento perde efficacia.
A sostegno nell'ordinanza è, infatti, riportata, in maniera ineccepibile, una rassegna dei diversi e variegati modelli procedimentali penitenziari che, raffrontati con quello di ultima introduzione, ne determina l'assoluta atipicità e asistematicità (la liberazione anticipata ex art. 69-bis ord. pen., decisa in camera di consiglio, ma su istanza della difesa e volta a una finalità sostanzialmente premiale; la tutela dei diritti introdotta dagli artt. 35-bis e -ter ord. pen., anche questa avviata su impulso dell'interessato e ricorribile in Cassazione - salvo casi che non implichino valutazioni discrezionali; i procedimenti de plano ex art. 678, commi 1 e 1-bis c.p.p., il cui merito riposa su valutazioni a basso margine di discrezionalità o con esiti largamente favorevoli o, se sfavorevoli, non immediatamente esecutivi ed opponibili; la concessione di misure alternative alla detenzione nei confronti di soggetti liberi, con pena sino a diciotto mesi ex art. 678, comma 1-ter, c.p.p., anche in questo caso, analogamente ai precedenti, su impulso dell'interessato, con esecuzione sospesa e con previsione della facoltà di presentare opposizione, così da tutelare il contraddittorio; il cumulo delle pene ex art. 51-bis ord. pen., la cui decisione attiene ad una mera valutazione aritmetica, priva di discrezionalità; infine, la procedura prevista per la sospensione cautelativa delle misure alternative ex art. 51-ter ord. pen., dove il contraddittorio è differito innanzi al Tribunale di Sorveglianza, con perdita di efficacia della (eventuale) sospensione della misura alternativa, in caso di vano decorso del termine di trenta giorni).
La peculiarità del subentrato procedimento – si indica nell'ordinanza - è tanta « da non aver eguali nel pur variegato panorama di modelli procedimentali, più o meno semplificati, previsti dinanzi alla magistratura di sorveglianza» così da mal conciliarsi con l'art. 3 Cost.
Altro punto di contrasto con l'art. 3 Cost. è dato dal fatto che l' iter sottoposto al vaglio del giudice delle leggi riguarda esclusivamente i provvedimenti ammissivi connessi all'emergenza COVID-19 e riferiti ad alcune tipologie di reati (v. TERRANOVA, Le misure adottate dal Governo contro le scarcerazioni dei boss) peraltro non tutti coincidenti con quelli dell'art. 4-bis ord. pen. Si richiamano, infatti, tutti coloro che siano sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis ord. pen., ai reati previsti di cui al 4-bis ord. pen., ai condannati e gli internati per associazioni sovversive, terroristiche, mafiose o finalizzate allo spaccio ovvero per delitti aggravati, ma solo dalla finalità di agevolare una associazione mafiosa o con finalità di terrorismo. Le fattispecie contemplate, paiono, dunque, rinviare, ai casi che hanno destato grande clamore mediatico, più che seguire una logica direttrice normativa, che non sia quella fondata sulla presunzione di speciale pericolosità, derivante dalla commissione di una specifica tipologia di reati, più volte censurata dalla stessa Corte Costituzionale. È chiaro come una tale soluzione appare tanto più irragionevole se commisurata alla tutela del diritto alla salute, che merita una valutazione individualizzata, già, peraltro, compiuta nel caso concreto con il provvedimento provvisorio. L'ordinanza non manca, infatti, d'indicare come l'art. 2 del d.l. 10 maggio 2020 n. 29 appare “fortemente orientato verso il ripristino della detenzione” secondo una logica poco compatibile con la struttura costituzionale che governa i valori e le garanzie che il nostro ordinamento penitenziario deve assicurare.
Se così è, non v'è dubbio che le medesime fondate argomentazioni possono essere agevolmente estese al successivo art. 3 del d.l. n. 29 del 2020 il quale, con riferimento ai soggetti imputati in custodia cautelare, prevede che il ripristino carcerario riposi sull'iniziativa del pubblico ministero, sulla base di un'attività istruttoria riservata al giudice che sente l'autorità sanitaria regionale ed acquisisce informazioni dal Dap, anche in questo caso in assenza di contraddittorio o altra doverosa interlocuzione difensiva di carattere tecnico (v. A. MARANDOLA, Il ripristino del carcere cautelare nel d.l. 29/2020).
Ebbene, tenuto conto della delicatezza della materia da gestire, sarebbe, forse, stato più opportuno formulare un testo maggiormente in linea con i valori e i principi costituzionali, articolato con più attenzione, magari con il capace apporto tecnico della più qualificata parte degli operatori giuridici, al fine di assicurare, da subito, i diritti e le garanzie di tutti i protagonisti coinvolti. |