Procedimento camerale dinanzi alla corte di cassazione

Cesare Trapuzzano
17 Settembre 2021

La riforma del processo civile in cassazione, di cui al d.l. 168/2016 (conv. in l. 197/2016), ha definitivamente sancito il principio di prevalenza del rito camerale di trattazione delle cause di legittimità e la conseguente residualità del modello incentrato sull'udienza pubblica e sulla discussione orale. Occorre indagare, all'esito, quali sono i presupposti giustificativi dei modelli camerali e del modello dell'udienza pubblica, nonché verificare le possibilità di interscambio tra i riti previsti.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

All'esito della riforma del processo civile in cassazione di cui all'art. 1-bis del d.l. 168/2016, convertito, con modificazioni, in l. 197/2016, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa, le modalità di svolgimento del procedimento di legittimità, secondo il modello dell'udienza pubblica piuttosto che secondo il modello camerale, sono connotate da una netta inversione di tendenza: il modello dell'udienza pubblica, da modello base, si tramuta in modello eccezionale mentre lo strumento «normale» di svolgimento del processo di legittimità diventa quello camerale, che appunto si conclude con una pronuncia avente la forma di ordinanza, emessa in camera di consiglio senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori delle parti. Il doppio binario nello smaltimento dei ricorsi di legittimità si sviluppa, dunque, in base a un modello ordinario di tipo camerale e a un modello statisticamente ridotto, imperniato sullo svolgimento dell'udienza pubblica. Infatti, secondo la locuzione adoperata dall'art. 375, secondo comma, del codice di rito, la Corte a sezione semplice pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso in cui non ricorrano le condizioni prescritte dal primo comma di tale articolo (condizioni, queste ultime, che giustificano comunque una pronuncia camerale), salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la sezione ordinaria deve pronunciare ovvero che il ricorso sia stato rimesso in pubblica udienza dalla sezione filtro in esito alla svolgimento della camera di consiglio che non ha definito il giudizio. Dalla formula utilizzata si evince che il modello dell'adunanza camerale non partecipata, davanti alla sezione sesta oppure davanti alla sezione semplice, costituisce il modello-base mentre si potrà ricorrere all'ipotesi eccezionale dello svolgimento dell'udienza pubblica, con discussione orale e pronuncia della sentenza, solo nei casi particolari in cui la controversia abbia valenza «nomofilattica». Peraltro, sul significato di valore nomofilattico della questione ricorrono non pochi dubbi, anche in ragione del raffronto con l'ipotesi che giustifica la rimessione della controversia alle sezioni unite, ai sensi dell'art. 374, secondo comma, c.p.c., disposizione in forza della quale il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite, oltre che sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, ossia nell'ipotesi in cui sia integrato un contrasto tra le sezioni, anche nell'ipotesi che si tratti di questione di massima di particolare importanza. Sul piano concettuale la particolare rilevanza della questione di diritto, che legittima la trattazione secondo il modello dell'udienza pubblica, non corrisponde alla particolare importanza della questione di massima, che giustifica invece la rimessione della questione alle sezioni unite. Sebbene le due espressioni siano omogenee sul piano qualitativo, differiscono sul piano quantitativo: la questione con valenza nomofilattica si identifica con i profili che assumono rilievo sull'esatta osservanza e sull'uniforme interpretazione della legge nonché sull'unità del diritto oggettivo ex art. 65 dell'ordinamento giudiziario (di cui al r.d. 12/1941); tra queste solo quelle che assumono un peculiare significato per l'interesse sotteso alla questione di diritto da trattare – e per i riflessi che la relativa decisione può produrre – possono essere assegnate alle sezioni unite. Dovrebbero così essere trattate in udienza pubblica le questioni nuove, quelle controverse ed infine quelle per le quali si profili l'opportunità di un mutamento giurisprudenziale. Gli stadi attraverso cui si sviluppa la questione di diritto sono quindi tre: da una parte lo jus litigatoris, che giustifica la trattazione in camera di consiglio, allorché la pronuncia impugnata sia viziata da errori nella ricostruzione del fatto oppure da errori di diritto non rientranti nella categoria delle questioni con valenza nomofilattica, come quelli relativi alla sussunzione della norma al fatto, cioè legati alla premessa minore dell'attività logica del giudice; dall'altra lo jus constitutionis, che si riscontra laddove la pronuncia impugnata sia affetta da errori di diritto sulla esistenza e/o sul contenuto delle norme, ossia da errori giuridici posti nella premessa maggiore dell'attività logica del giudice; infine, ove l'affermazione di un diritto inesistente o la negazione di un diritto esistente abbia particolare rilevanza per i riflessi che la decisione sull'argomento può avere sull'ordinamento giuridico, anche alla stregua della tipologia della situazione giuridica soggettiva di cui si invoca tutela, la questione dovrebbe essere rimessa alle sezioni unite. Ne discende che le fattispecie in cui ricorra l'omissione di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5, c.p.c., ovvero in cui sia disatteso in concreto un precetto di legge o un principio di diritto, senza che sia affermato alcun principio giuridico errato in contrasto col diritto vivente, sono da ricondurre alla trattazione in camera di consiglio presso le sezioni semplici; viceversa, ove il vizio fatto valere si traduca nell'affermazione dell'esistenza di un diritto che non ricorre o nella negazione di un diritto che merita tutela, la trattazione dovrebbe essere riservata all'udienza pubblica. Incompatibile con la trattazione camerale è altresì l'enunciazione d'ufficio del principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., che per definizione implica il riferimento ad una questione di diritto che riveste il requisito della particolare importanza, idoneo a legittimare la trattazione in udienza pubblica (Cass. civ., sez. III, ord. 9 marzo 2018, n. 5665; contra Cass. civ., sez. I, ord. 20 aprile 2021, n. 10396). Analoga conclusione dovrebbe valere allorché l'enunciazione del principio di diritto non avvenga d'ufficio, ma sia richiesta dal procuratore generale ai sensi dell'art. 363, primo comma, c.p.c.

Il procedimento camerale può assumere diverse connotazioni alla stregua della eterogeneità dei presupposti che ne giustificano l'attivazione. Nella specie appaiono configurabili quattro diverse regolamentazioni della pronuncia in camera di consiglio.

Il procedimento camerale dinanzi alla sezione filtro

La prima ipotesi è regolata dall'art. 375, primo comma, nn. 1 e 5, in relazione all'art. 380-bis c.p.c. Si tratta delle fattispecie in cui, prospettandosi il ricorso principale o incidentale inammissibile, anche per la mancanza dei motivi previsti dall'art. 360 affinché possa essere spiegato ricorso in cassazione, ovvero ponderandosi la manifesta fondatezza o la manifesta infondatezza del ricorso principale e dell'eventuale ricorso incidentale, il presidente della sezione sesta, su proposta del relatore, fissa con decreto l'adunanza della Corte, indicando che è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. La pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. è praticabile anche ove si imponga la necessità di annullamento con rinvio al primo giudice per pretermissione originaria di un litisconsorte necessario, ai sensi dell'art. 383, comma 3, c.p.c., ancorché si tratti di ipotesi non prevista testualmente dall'art. 375 c.p.c. (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 10 aprile 2018, n. 8837). Non è più necessario il c.d. opinamento, ma è sufficiente che sia indicata nel decreto la causale per la quale si attiva tale procedimento camerale. Segnatamente, la proposta del relatore non deve essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell'individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 22 febbraio 2017, n. 4541). Sotto il profilo funzionale, la proposta, a seguito della riforma operata dall'art. 47, primo comma, lett. c), della l. 69/2009, ha natura di atto interno, siccome diretta esclusivamente al presidente per la fissazione dell'adunanza camerale nel caso di evidenza decisoria, la cui comunicazione alle parti costituisce una mera prassi curiale di cortesia; con l'effetto che non è ammissibile l'azione di revocazione esperita contro di essa (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 31 marzo 2021, n. 8939). Nel protocollo d'intesa raggiunto tra la Corte di cassazione, il CNF e l'Avvocatura generale dello Stato il 15 dicembre 2016, sulla trattazione dei ricorsi presso le sezioni civili della Corte di cassazione, al punto 5, si chiarisce che la proposta del relatore sarà formulata secondo il modello predisposto che verrà notificato ai difensori unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza e al relativo avviso, con la precisazione che tale proposta dovrà indicare, quanto alla prognosi di inammissibilità o di improcedibilità, a quale ipotesi si faccia riferimento tramite menzione del dato normativo o in alternativa del precedente o ancora con breve formula libera; quanto alla prognosi di manifesta fondatezza, quale sia il motivo manifestamente fondato e l'eventuale precedente giurisprudenziale di riferimento; quanto alla prognosi di manifesta infondatezza, quali siano i pertinenti precedenti giurisprudenziali di riferimento e le ragioni del giudizio prognostico di infondatezza dei motivi di ricorso, anche mediante una valutazione sintetica e complessiva degli stessi ove ne ricorrano i presupposti. L'avviso di fissazione dell'adunanza camerale sarà redatto secondo il modello predisposto dall'ufficio e dovrà riportare l'indicazione della data, dell'ora e del luogo dell'adunanza stessa, l'indicazione che l'adunanza camerale non è partecipata e infine l'indicazione del termine entro il quale le parti hanno facoltà di depositare memoria, oltre all'invito a depositare gli avvisi di ricevimento relativi agli atti notificati a mezzo del servizio postale nella cancelleria della sezione, quando possibile entro il termine stabilito per il deposito delle memorie e comunque non oltre l'orario previsto per l'inizio dell'adunanza camerale. La notificazione al difensore del decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio e della proposta del relatore, ove eseguita successivamente al 15 febbraio 2016 (data di entrata in vigore del d.m. Giustizia del 19 gennaio 2016), va necessariamente compiuta per via telematica, ex art. 16, quarto comma, del d.l. 179/2012 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 221/2012, salva la possibilità di procedere secondo quanto previsto dai successivi commi sesto e ottavo del medesimo art. 16 - e, cioè, mediante deposito presso la cancelleria ovvero ai sensi degli artt. 136, terzo comma, e 137 ss. c.p.c. - per il caso di impossibilità, imputabile o meno al destinatario, di ricorrere alla posta elettronica certificata (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 13 marzo 2017, n. 6369). Almeno 20 giorni prima della data stabilita per l'adunanza il decreto è notificato ai difensori delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre 5 giorni prima dell'adunanza stessa. Le memorie, se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili e il loro contenuto non può essere esaminato, non essendo applicabile per analogia il disposto dell'art. 134, quinto comma, disp. att. c.p.c., che riguarda esclusivamente il ricorso e il controricorso (Cass. civ., sez. I, ord. 27 aprile 2020, n. 8216; Cass. civ., sez. VI-III, ord. 27 novembre 2019, n. 31041).

In evidenza

Nel giudizio di cassazione svolto nelle forme del procedimento in camera di consiglio, non essendo prevista la fase della discussione orale propria dell'ordinario giudizio di legittimità in pubblica udienza, non è ammissibile la costituzione tardiva del difensore mediante deposito di procura speciale rilasciata ai fini della partecipazione alla discussione, poiché la Corte giudica senza l'intervento del Pubblico Ministero e delle parti, il concorso dei quali, alla fase decisoria, può realizzarsi in forma scritta, mediante il deposito di memorie (Cass. civ., sez. I, ord. 25 ottobre 2018, n. 27124).

Il citato protocollo prevede altresì che dette memorie, predisposte in vista della trattazione camerale, non superino, di regola, il numero di 15 pagine. Ovviamente le memorie non possono contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 27 agosto 2020, n. 17893; Cass. civ., sez. II, ord. 28 novembre 2018, n. 30760; Cass. civ., sez. V, ord. 19 maggio 2017, n. 12657). In conseguenza, non possono neanche dedurre nuovi fatti (recte causae petendi), a sostegno del medesimo diritto etero-determinato fatto valere in giudizio (Cass. civ., sez. III, ord. 26 febbraio 2019, n. 5503). Come chiarito dall'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'art. 375 e dal terzo comma dell'art. 380-bis c.p.c., in sede di adunanza, la sezione filtro, sottosezione interessata dalla materia su cui verte il ricorso, potrà disporre la rimessione della causa alla pubblica udienza della sezione semplice ove ritenga che le ipotesi prospettate dal decreto di fissazione per la definizione in sede camerale non ricorrano. Ciò porta con sé due conseguenze. In base alla prima, il procedimento può essere comunque definito con rito camerale ove ricorra un'ipotesi diversa da quella opinata nella proposta del relatore, ma pur sempre idonea a giustificare il rito camerale dinanzi alla sesta sezione (recte inammissibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza), atteso che la detta disposizione stabilisce che la Corte deve rimettere la causa alla pubblica udienza soltanto se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'art. 375, primo comma, nn. 1 e 5, c.p.c. (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 23 marzo 2017, n. 7605). In questa ultima ipotesi, si dovrebbe escludere la possibilità di una rimessione in termini, in funzione della garanzia che il legislatore ha inteso assicurare con la formulazione della proposta: sicché il collegio non pare possa invitare le parti a depositare ulteriori memorie su una nuova proposta, questa volta riconducibile allo stesso collegio e qualificabile come un'anticipazione della decisione, e fissare così altra adunanza camerale all'esito della scadenza del termine per il deposito delle memorie. In secondo luogo, l'ordinanza interlocutoria con cui il collegio rimette la causa alla pubblica udienza dall'adunanza camerale ex art. 380-bis, ultimo comma, c.p.c. non dispiega effetti sull'ampiezza della cognizione, il cui oggetto verrà definito e delimitato a seguito della celebrazione della pubblica udienza, ma soltanto sulla modalità della cognizione, rendendo necessario in concreto, come presupposto del suo esercizio, il contraddittorio orale tra le parti (Cass. civ., sez. III, ord. 25 giugno 2019, n. 16913).

In evidenza

Nel giudizio di legittimità, una volta che la causa sia rinviata alla pubblica udienza per non avere il collegio della sezione filtro condiviso la proposta di definizione in camera di consiglio formulata ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., non è prescritto che il relatore della causa sia il medesimo giudice che ha formulato detta proposta né, tanto meno, che l'intero collegio dell'udienza pubblica sia composto dagli stessi giudici che si sono riuniti in adunanza camerale, non assumendo rilevanza il principio dell'immutabilità del collegio, volto unicamente ad assicurare che i giudici che pronunciano la sentenza coincidano con quelli che hanno assistito alla discussione (Cass. civ., sez. II, sent. 7 dicembre 2017, n. 29421).

Non è invece espressamente previsto che il collegio costituito presso la sesta sezione, all'esito dell'adunanza camerale, possa disporre il rinvio al presidente della sezione ordinaria affinché valuti se trattare la causa con il rito camerale della sezione ordinaria ovvero in udienza pubblica. Tuttavia, in base ad un arreso di legittimità, ove il ricorso sia stato preliminarmente esaminato dalla sezione prevista dall'art. 376 c.p.c. e questa, in esito alla camera di consiglio, si sia limitata a rimettere la causa alla sezione semplice ai sensi dell'art. 380-bis, terzo comma, c.p.c., non sussiste la necessità della trattazione del processo in pubblica udienza, salvo che l'ordinanza di rimessione faccia espresso riferimento alla sussistenza dei presupposti - particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare - che, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, c.p.c., giustificano tale trattazione (Cass. civ., sez. III, ord. 27 settembre 2017, n. 22462). Sicché non è preclusa la facoltà del collegio della sezione filtro di rimettere al presidente della sezione ordinaria, affinché sia quest'ultimo a valutare se le questioni meritano di essere trattate in sede camerale o in udienza pubblica. Quello innanzi delineato è il primo modello di trattazione camerale del procedimento in cassazione, che si svolge dinanzi alla sezione sesta, sottosezione di competenza.

Invece, quanto alle questioni preliminari relative all'integrità del contraddittorio, provvede il presidente, il quale, ai sensi dell'art. 377, ultimo comma, c.p.c., quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'art. 332, ovvero che essa sia rinnovata.

ORIENTAMENTI IN CONTRASTO

Dopo la riforma recata dal d.l. 168/2016 (conv., con modif., dalla l. 197/2016), in caso di inammissibilità del controricorso perché tardivo, deve comunque ritenersi consentito il deposito della memoria ex art. 380-bis, secondo comma, c.p.c., risultando ora l'unica altra attività difensiva permessa nel procedimento a struttura camerale e, quindi, equiparata o sostitutiva della partecipazione alla pubblica udienza, che è sempre stata, invece, pacificamente ammessa pur in presenza di ricorso inammissibile.

Cass. civ., sez. VI-III, ord. 24 maggio 2017, n. 13093; Cass. civ., sez. lav., ord. 27 febbraio 2017, n. 4906

In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile una «memoria di costituzione» presentata dalla parte intimata che non abbia previamente notificato al ricorrente il controricorso nel termine previsto dall'art. 370 c.p.c., né tale parte potrebbe giovarsi della facoltà di presentare memorie in vista dell'adunanza camerale prevista dall'art. 380-bis c.p.c., come modificato dalla l. n. 197 del 2016, quando, alla data di entrata in vigore di tale legge, aveva ancora la possibilità di ottemperare al disposto dell'art. 370 c.p.c., atteso che in tale caso sarebbe stato suo onere dapprima notificare il controricorso, ancorché tardivamente, e poi interloquire con la memoria di cui al citato art. 380-bis c.p.c.

Cass. civ., sez. V, ord. 24 agosto 2018, n. 21105; Cass. civ., sez. I, 15 novembre 2017, n. 27140; Cass. civ., sez. VI-III, ord. 20 ottobre 2017, n. 24835

L'inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibili anche le memorie depositate dalla parte intimata ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., in quanto, divenuta la regola la trattazione camerale e quella in udienza pubblica l'eccezione, deve trovare comunque applicazione la preclusione dell'art. 370 c.p.c., di cui la parte inosservante delle regole del rito non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso in cui sia fissata udienza di discussione, con la conseguenza che venuta a mancare tale udienza alcuna attività difensiva è più consentita.

Cass. civ., sez. lav., ord. 29 ottobre 2020, n. 23921

Il procedimento camerale dinanzi alla sezione ordinaria

Il secondo modello di trattazione della causa in adunanza camerale non partecipata è quello che si svolge dinanzi alla sezione semplice. Il presupposto è delineato dal secondo comma dell'art. 375 c.p.c., che afferma il principio secondo cui, ove non ricorrano le condizioni per la trattazione camerale presso la sezione filtro, appunto nelle ipotesi di inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso principale e dell'eventuale ricorso incidentale, la Corte pronuncia con ordinanza a sezione semplice in camera di consiglio, fatta eccezione per l'ipotesi in cui la causa abbia una particolare rilevanza in ordine alle questioni di diritto sulle quali occorre pronunciarsi. Sarà il presidente della sezione ordinaria a valutare se il procedimento debba svolgersi secondo il rito camerale oppure se debba essere trattato in udienza pubblica. Il modello camerale dinanzi alla sezione semplice, in presenza del presupposto indicato, è descritto dall'art. 380-bis. Tale modello si distingue da quello regolato dall'articolo precedente per i seguenti aspetti: a) in siffatto modello camerale è prevista la possibilità di partecipazione del pubblico ministero, al quale deve essere comunicato il decreto presidenziale di fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice (a sua volta, secondo il richiamato protocollo, non appena i mezzi di comunicazione telematica lo consentano, le conclusioni scritte rassegnate dal procuratore generale sono trasmesse alla cancelleria della sezione in via telematica e inoltrate con lo stesso mezzo anche ai procuratori delle parti, ai quali nello stesso modo sarà dato loro avviso anche del mancato deposito delle conclusioni della procura); b) nessuna proposta deve essere avanzata dal relatore né alcuna motivazione sulle ragioni della decisione deve essere contenuta nel decreto presidenziale di fissazione dell'adunanza; c) mutano, inoltre, i termini stabiliti da tale articolo per lo svolgimento del procedimento in camera di consiglio, atteso che il decreto deve essere comunicato ai difensori delle parti e al pubblico ministero almeno 40 giorni prima dell'adunanza fissata, il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre 20 giorni prima dell'adunanza camerale e infine le parti possono depositare le loro memorie non oltre 10 giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. Anche per queste memorie si raccomanda il contenimento, almeno di regola, entro il limite delle 15 pagine. Inoltre, consentendo il richiamato articolo alle parti di depositare le loro memorie non oltre 10 giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio, non può intendersi preclusa alla medesima parte, nel rispetto dell'anzidetto termine, la presentazione di più memorie nel rispetto del termine, senza che il deposito di una prima memoria implichi la consumazione del potere di difesa scritta (Cass. civ., sez. II, ord. 31 agosto 2020, n. 18127). Anche in siffatto modello l'adunanza non è partecipata, in quanto si svolge senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. Testualmente la disposizione non prevede, diversamente dall'ipotesi regolata dall'art. 380-bis, la possibilità che in sede di adunanza il collegio possa disporre la rimessione della causa all'udienza pubblica ove le questioni da trattare abbiano valenza nomofilattica. Nondimeno la Cassazione ha ritenuto che questa possibilità debba essere, per coerenza sistematica, salvaguardata e che detta rimessione possa essere disposta, ove la questione sia ritenuta di particolare rilevanza, alla luce di una lettura complessiva della intelaiatura processuale che regolamenta l'istituto. L'assegnazione di una causa alle sezioni ordinarie in camera di consiglio non osta, in caso di rilevanza delle questioni da trattare, alla sua rimessione all'udienza pubblica, in applicazione analogica dell'art. 380-bis, terzo comma, c.p.c., atteso che il collegio non può essere vincolato alla valutazione operata sul punto dal presidente della sezione e che l'udienza pubblica, nel disegno della riforma realizzata dalla l. 197/2016, costituisce il «luogo» privilegiato nel quale devono essere assunte, in forma di sentenza e mediante più ampia e diretta interlocuzione tra le parti e tra queste ed il P.M. - tenuto a concludere per primo -, le decisioni aventi rilevanza nomofilattica, idonee a rivestire efficacia di precedente, orientando, con motivazione avente anche funzione extraprocessuale, il successivo percorso della giurisprudenza (Cass. civ., sez. un., ord. 5 giugno 2018, n. 14437; Cass. civ., sez. III, ord. interlocutoria 1° agosto 2017, n. 19115; Cass. civ., sez. II, ord. interlocutoria 6 marzo 2017, n. 5533; contra Cass. civ., sez. I, ord. 5 aprile 2017, n. 8869, che esclude la possibilità della disposizione del mutamento del rito, quand'anche la questione di diritto si riveli di particolare rilevanza, essendo la trattazione con il rito camerale pienamente rispettosa sia del diritto di difesa delle parti, le quali, tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per l'adunanza, possono esporre compiutamente i propri assunti, sia del principio del contraddittorio, anche nei confronti del P.G., sulle cui conclusioni è sempre consentito svolgere osservazioni scritte). Quindi, anche in sede di adunanza camerale non partecipata - che si svolge dinanzi al collegio della sezione semplice - il collegio può disporre che, in ragione della particolare rilevanza delle questioni di diritto sulle quali la Corte deve pronunciarsi, la trattazione avvenga secondo il modello dell'udienza pubblica. Anche il richiamato protocollo ammette tale facoltà, attribuendo alle parti il potere di richiedere, nella memoria di cui all'art. 380-bis c.p.c. (ma anche tramite apposita istanza) che la trattazione avvenga, diversamente da quanto in precedenza disposto dal presidente, in pubblica udienza, purché peraltro abbiano cura di indicare le questioni di particolare rilevanza sottese alla propria richiesta. Da ultimo, in ragione dell'emergenza epidemiologica, si è reputato che, quand'anche ricorrano i presupposti per la trattazione in udienza pubblica, ossia le questioni di diritto abbiano rilievo nomofilattico, la causa possa essere trattata, anziché in pubblica udienza, con il nuovo rito camerale non partecipato, ai sensi degli artt. 375 e 380-bis c.p.c. E ciò appunto in quanto siano integrate particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali, tra cui rientra l'esigenza di evitare, nel periodo di emergenza epidemiologica da Covid-19, assembramenti all'interno degli uffici giudiziari e contatti ravvicinati tra le persone, alla luce sia dell'art. 221, quarto comma, del d.l. 34/2020, convertito, con modificazioni, in l. 77/2020 - che consente, fino a cessata emergenza sanitaria, la trattazione scritta delle cause civili (c.d. udienza cartolare) - sia delle misure organizzative adottate dal Primo presidente della Cassazione, con propri decreti, al fine di regolamentare l'accesso ai servizi (Cass. civ., sez. V, ord. 20 novembre 2020, n. 26480). Una volta che sia stata disposta, invece, ex ante o ex post, la trattazione in udienza pubblica, il procedimento non può più regredire alle forme camerali.

Questioni di diritto intertemporale

ORIENTAMENTI IN EVOLUZIONE

Nell'ambito del procedimento camerale di cui all'art. 380-bis c.p.c., introdotto dall'art. 1-bis del d.l. 168/2016, conv. con modif. dalla l. 196/2016 e con riferimento ai giudizi introdotti con ricorso depositato successivamente all'entrata in vigore della predetta legge di conversione, l'inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibili anche le memorie depositate dalla parte intimata ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., in quanto, divenuta la regola la trattazione camerale e quella in udienza pubblica l'eccezione, deve trovare comunque applicazione la preclusione dell'art. 370 c.p.c., di cui la parte inosservante delle regole del rito non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso in cui sia fissata udienza di discussione, con la conseguenza che venuta a mancare tale udienza alcuna attività difensiva è più consentita.

Cass. civ., sez. lav., ord. 29 ottobre 2020, n. 23921

In tema di rito camerale di legittimità ex art. 380-bis c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all'art. 370 c.p.c. ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l'art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l'Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione.

Cass. civ., sez. V, ord. 15 ottobre 2020, n. 22362; Cass. civ., sez. V, ord. 28 febbraio 2020, n. 5508; Cass. civ., sez. II, ord. 14 maggio 2019, n. 12803

Il procedimento camerale nel regolamento di giurisdizione e di competenza

Secondo l'art. 375, primo comma, n.4, c.p.c., il procedimento si svolge nelle forme camerali anche qualora si tratti di regolamento di giurisdizione o di competenza. Sicché il relativo modello, in presenza dei richiamati presupposti, può riguardare sia le sezioni unite sia la sezione semplice. Tale procedimento è regolato dall'art. 380-ter c.p.c. In proposito, si prevede che il presidente del collegio previamente chieda al pubblico ministero le sue conclusioni scritte. All'esito, le conclusioni e il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati almeno 20 giorni prima gli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre 5 giorni prima della medesima adunanza. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. Diversamente dal rito camerale dinanzi alla sezione ordinaria di cui all'art. 380-bis, in tale fattispecie l'apporto costruttivo del pubblico ministero non è eventuale ma è necessario. Nel procedimento per la pronuncia sull'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, la querela di falso incidentale può essere proposta solo se la parte, tramite il difensore, abbia chiesto di essere sentita in funzione di tale proposizione prima della convocazione della camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., restando invece inammissibile nell'ipotesi in cui la richiesta sia stata formulata il giorno stesso dell'adunanza e la querela sia stata contestualmente depositata, atteso che il predetto procedimento non tollera dilazioni o ritardi nella definizione del regolamento; né, per effetto di tale interpretazione del contesto normativo di riferimento, si determina una lesione del diritto di difesa, restando impregiudicata per la parte la possibilità di proporre la querela di falso in via principale (Cass. civ., sez. un., ord. 24 gennaio 2020, n. 1605). Ancora, lo specifico rito camerale attivato influisce sui tempi della rinuncia. Infatti, ai sensi dell'art. 390, primo comma, c.p.c., la parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all'udienza, o sino alla data dell'adunanza camerale, o finché non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all'art. 380-ter. Pertanto, la previsione dell'art. 390, primo comma, ultima parte, c.p.c. si deve intendere riferibile, quanto alla tempestività dell'atto di rinuncia, esclusivamente al caso in cui la decisione venga adottata con il rito previsto dall'art. 380-ter c.p.c., mentre, allorquando tale decisione abbia luogo con il rito di cui all'art. 380-bis.1 c.p.c., il termine utile per la rinuncia va individuato nel passaggio in decisione del ricorso, non potendosi istituire una analogia tra la notificazione delle conclusioni del P.M. e la notificazione della relazione di cui al medesimo 380-bis c.p.c. (Cass. civ., sez. un., ord. 24 dicembre 2019, n. 34432).

Il procedimento camerale per errore materiale o revocazione

Ai sensi degli artt. 391-bis e 391-ter c.p.c., anche la correzione e la revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. possono avvenire seguendo il procedimento camerale. Nel caso di correzione di errore materiale la disposizione di tale rettifica può essere disposta anche d'ufficio dalla Corte in qualsiasi tempo. In proposito, la Corte ha chiarito che la presentazione di un'istanza volta a sollecitare il potere di emendare, d'ufficio, gli errori materiali non equivale al deposito di un ricorso; sicché, per effetto del rinvio all'art. 380-bis, primo e secondo comma, nonché della disciplina generale della correzione dell'errore materiale ex art. 288 c.p.c., a fronte della fissazione dell'adunanza camerale, le parti hanno la possibilità di depositare memorie e non anche di proporre controricorso (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 25 novembre 2019, n. 30651). Sulla correzione la Corte pronuncia, nell'osservanza delle disposizioni del rito camerale disciplinato dall'art. 380-bis, con ordinanza. La revocazione ordinaria regolata dall'art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. (c.d. errore di fatto revocatorio), invece, può essere chiesta entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notificazione ovvero di 6 mesi dalla pubblicazione del provvedimento oggetto di revocazione. Sul ricorso per revocazione ordinaria la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis, se ritiene l'inammissibilità della revocazione; altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice. Ciò accade anche per i casi di revocazione straordinaria di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'art. 395 c.p.c. e per l'opposizione di terzo, ai sensi dell'art. 391-ter. Ne discende che, per effetto dello screening operato dalla sezione filtro e dal relatore designato per verificare eventuali casi di inammissibilità del ricorso per revocazione, il decreto presidenziale indica la causale di inammissibilità, fissando l'adunanza camerale; allorché, invece, non si profili l'inammissibilità, la Corte rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice. La proposta di trattazione camerale ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. non riveste carattere decisorio e non deve essere motivata, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per quest'ultimo, all'esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o di non condividerla, con conseguente rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all'art. 391-bis, quarto comma, c.p.c.; né il contenuto e la funzione di tale disposizione sono mutati all'esito del protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione, il CNF e l'Avvocatura generale dello Stato sull'applicazione del «nuovo rito» ai giudizi civili di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016, che ha previsto l'informazione circa le ragioni dell'avvio del ricorso alla trattazione in adunanza camerale. Ne consegue che in un giudizio di revocazione la suddetta proposta non può valere come indebita anticipazione del giudizio ad opera del consigliere relatore, né tantomeno comportare un obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c. (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 5 febbraio 2020, n. 2720; Cass. civ., sez. VI-II, ord. 16 marzo 2019, n. 7541). Vale anche la conclusione opposta, ossia la valutazione di non inammissibilità del ricorso per revocazione che il collegio della sezione sesta compie ai fini del rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all'art. 391-bis, quarto comma, c.p.c., non preclude alla stessa Corte, all'esito dell'udienza pubblica, di dichiarare con sentenza l'inammissibilità del ricorso. Ciò in quanto la delibazione della sezione semplice non rimane vincolata dalla precedente valutazione ed anzi, in virtù della più ampia garanzia assicurata dal giudizio celebrato in pubblica udienza, si estende a tutte le questioni poste dal ricorso (Cass. civ., sez. II, sent. 2 agosto 2019, n. 20856).

In evidenza

La declaratoria di inammissibilità della revocazione deve ritenersi consentita anche con ordinanza all'esito di udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., poiché tale ultimo modello di trattazione consente una maggiore articolazione del contraddittorio che conduce a superare il dato strettamente letterale del rinvio operato dall'art. 391-bis, quarto comma, c.p.c. (Cass. civ., sez. II, ord. 25 luglio 2017, n. 18278).

Tale modello può essere utilizzato anche davanti alle sezioni unite allorché il giudizio di revocazione riguardi le decisioni delle sezioni unite e la domanda di revocazione debba dichiararsi inammissibile: infatti, pur essendo detto modello disegnato sul calco delle regole per la sezione previste dall'art. 376, primo comma, c.p.c. nella sua interazione con le sezioni semplici e pur non essendo prevista una relazione tra esse e le sezioni unite, ciò non osta a che, su sentenze ed ordinanze delle sezioni unite, soggette a giudizio di revocazione, possano validamente essere chiamate a decidere le stesse sezioni unite con il rito camerale ex art. 380-bis novellato ed art. 391-bis c.p.c., per evidenti ragioni di coerenza logica e sistematica (Cass. civ., sez. un., ord. 11 aprile 2018, n. 8984). Allo stesso modo tale rito camerale può essere utilizzato per la correzione degli errori materiali in cui sia incorsa una pronuncia delle sezioni unite (Cass. civ., sez. un., ord. 14 marzo 2018, n. 6336). In ultimo, si rileva che le sentenze e le ordinanze ex art. 380-bis c.p.c., emesse dalla Corte di cassazione nel giudizio di revocazione, non sono suscettibili di una nuova impugnazione per revocazione, essendo esauriti i mezzi di impugnazione ordinari, né contro le stesse può proporsi il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., esperibile solo avverso un provvedimento di merito avente carattere decisorio e non altrimenti impugnabile; peraltro, il principio di effettività del giudizio di cassazione, derivante dall'art. 111, settimo comma, Cost., implica che tale rimedio non è utilizzabile quando il controllo di legittimità sull'oggetto del giudizio sia stato già svolto dalla Suprema Corte, dovendo prevalere, in tal caso, l'esigenza di assicurare che il processo giunga a conclusione in tempi ragionevoli, ex art. 111, secondo comma, Cost. (Cass. civ., sez. I, sent. 6 aprile 2018, n. 8592).

Conclusioni

Deve in ogni caso escludersi che la trattazione secondo il modello camerale non partecipato sia lesiva dei principi costituzionali di cui gli artt. 24 e 111 Cost. E ciò sia nella parte in cui per il procedimento camerale davanti alla sezione filtro la norma di riferimento esige la mera proposta del relatore e non il relativo opinamento, sia nella parte in cui il procedimento camerale davanti alla sezione semplice non esige alcuna previa giustificazione dell'incardinamento di tale modalità di trattazione, neanche in termini di mera proposta di decisione. Infatti, a fronte del nuovo rito camerale di legittimità non partecipato, il principio di pubblicità dell'udienza, pur previsto dall'art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di particolari ragioni giustificative, ove obiettive e razionali (Corte cost., sent. 11 marzo 2011, n. 80), da ravvisarsi in relazione alla conformazione complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione, che non rivestono peculiare complessità. Trattandosi di un tendenziale procedimento ordinario per il contenzioso non connotato da valenza nomofilattica, il rito camerale è ispirato ad esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU, nonché di quello di effettività della tutela giurisdizionale. Tanto più che in tale rito camerale di legittimità non partecipato, la garanzia del contraddittorio, costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa costituzionalmente tutelato, è assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni anche in rapporto alla proposta di trattazione camerale del relatore – in sé non suscettibile di vulnerare il diritto di difesa, trattandosi di mera ipotesi decisoria non vincolante per il collegio –, quale esito di un bilanciamento, non irragionevolmente effettuato dal legislatore nell'ambito del potere di conformazione degli istituti processuali, tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti, di speditezza e concentrazione della decisione (Cass. civ., sez. III, sent. 17 gennaio 2019, n. 1067; Cass. civ., sez. VI-V, ord., 2 marzo 2017, n. 5374; Cass. civ., sez. VI-V, ord. 2 marzo 2017, n. 5371). Per l'effetto, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. dell'art. 380-bis c.p.c. (nel testo introdotto dal d.l. 168/2016, conv., con modif., dalla l. 197/2016), costituendo non irragionevole esercizio del potere legislativo di conformazione degli istituti processuali la scelta di assicurare un contraddittorio solo cartolare alla decisione, in sede di legittimità, di questioni prive di rilievo nomofilattico, all'esito di una mera proposta di trattazione camerale da parte del consigliere relatore che, in quanto semplice ipotesi di esito decisorio, non è vincolante per il collegio, il quale, pertanto, ove intenda porre a base della decisione una questione rilevata d'ufficio, può ripristinare l'interlocuzione delle parti secondo il paradigma dell'art. 384, comma 3, c.p.c., deponendo in tal senso un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dello stesso art. 380-bis c.p.c. (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 10 gennaio 2017, n. 395). Al contempo, è stata dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale - per asserita violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione al principio di parità delle armi – dell'art. 380-bis c.p.c., nella parte in cui prevede termini sfalsati per il deposito delle memorie di parte e delle conclusioni scritte del P.M. nel procedimento per la decisione in camera di consiglio, introdotto dall'art. 1-bis, primo comma, lett. e) del d.l. n. 168 del 2016, conv., con modif., in l. n. 197 del 2016. Rientra, infatti, nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite imposto dall'art. 3 Cost. all'adozione di soluzioni obiettivamente irrazionali, la costruzione dei modelli processuali, cosicché l'anticipazione del termine per il deposito delle conclusioni scritte del P.M., mentre consente anche a quest'ultimo l'esposizione delle proprie ragioni in diritto e assicura così l'effettività del contraddittorio, appare funzionale a garantire il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo ed è coerente con il profilo strutturale del procedimento camerale, nel quale non sussistono esigenze nomofilattiche o di particolare complessità e nel quale dunque l'intervento del P.M. avviene a tutela dell'interesse della legge, come autonoma prospettazione super partes della soluzione giuridica della controversia (Cass. civ., sez. III, ord. 13 ottobre 2017, n. 24088). In ultimo, il fatto che la trattazione camerale davanti alla sezione ordinaria non richiede la formulazione di alcuna proposta a cura del relatore designato, diversamente dal rito camerale davanti alla sezione sesta, non sembra integrare la violazione dei citati parametri costituzionali, in quanto il rito camerale davanti alla sezione semplice può allo stato considerarsi il modello di trattazione «normale» dei ricorsi di legittimità per i casi in cui non ricorrano le ipotesi particolari di decisione che giustificano la trattazione camerale presso la sezione filtro. In conseguenza, non è richiesto che sia indicata la causale che propizia siffatta forma di trattazione ordinaria. A fronte di tale modello preferenziale, scelto dal legislatore per la trattazione dei procedimenti in cassazione, il rito camerale assicura comunque il contraddittorio, seppure in via cartolare, comprimendo le garanzie del contraddittorio nell'udienza pubblica per obiettive esigenze di contenimento dei tempi di svolgimento del processo di legittimità e di incremento della produttività.

Riferimenti
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  • L.P. Comoglio, Giudizio di legittimità, trattazione camerale «non partecipata» e processo «equo», in La nuova giur. civ. comm., 2017, I, 1028 ss.;
  • G. Costantino, Note sulle «misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione», in Foro it., 2017, V, 7 ss.;
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  • A. Didone – M. Di Marzio (a cura di), La riforma del giudizio di cassazione, Milano, 2017; F. FERRARIS, Adunanza camerale e pubblica udienza nel nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2018, 4-5, 1226 ss.;
  • C. Punzi, La nuova stagione della Corte di Cassazione e il tramonto della pubblica udienza, in Riv. dir. proc., 2017, 9 ss.;
  • B. Sassani, Giudizio sommario di cassazione e illusione nomofilattica, in Riv. dir. proc., 2017, 35 ss.;
  • G. Scarselli, In difesa della pubblica udienza in Cassazione, in Foro it., 2017, V, 30 ss.