Giudizio dinanzi alla Corte Di Cassazione

24 Aprile 2024

La Bussola approfondisce il tema dell'attuazione del processo civile telematico (PCT) nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, nei suoi risvolti normativi e applicativi, con l'opportuna evidenziazione delle peculiarità dovute alla particolare funzione assolta dalla Corte nel quadro ordinamentale.

Inquadramento

Le fonti normative che disciplinano l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal d.lgs.7 marzo 2005, n. 82Codice dell'amministrazione digitale – C.A.D. - (in particolare: art. 4 d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, conv. dalla l. 22 febbraio 2010, n. 24; regolamento di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, e specifiche tecniche di cui al decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, pubbl. in G.U. 30 aprile 2014, n. 99, nel testo da ultimo modificato con provvedimento del 30 luglio 2021) non pongono alcuna distinzione per la Corte di cassazione.

Tuttavia, rispetto a questo impianto fondamentale comune, nel momento in cui è stata impressa una decisa accelerazione alla diffusione del processo civile telematico (PCT) con il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni, in tema - fra l'altro - di obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali (art. 16-bis) e di articolata precettività delle comunicazioni e notificazioni telematiche di cancelleria (art. 16), si è preferito differenziare l'approccio al giudizio di legittimità, rimettendo a successivi decreti l'attuazione delle disposizioni che - sia pure con una ben definita modulazione temporale - hanno imposto l'avvento del digitale innanzi ai Tribunali ed alle Corti d'appello.

È, dunque, opportuno soffermarsi sulle ragioni che hanno consigliato di distinguere il processo innanzi alla Corte di cassazione per poi delineare lo stato attuale e le possibili linee di sviluppo applicativo in coerenza con le peculiarità proprie dell'Ufficio e del rito.

Le ragioni di una differenza

I motivi che, nell'ottica di una gradualità nell'attuazione del PCT, hanno indotto il legislatore a differenziare la posizione della Corte di legittimità rispetto agli Uffici di merito possono individuarsi nella singolarità tutta propria dell'istituzione in questione sul piano ordinamentale e, di riflesso, su quello organizzativo.

Alla Corte Suprema di cassazione, posta al vertice della giurisdizione ordinaria, è affidato il compito di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. 65 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). La nomofilachia, che si esprime nell'elaborazione del “diritto vivente” (secondo la teorizzazione sviluppata dalla Corte costituzionale), salvaguarda la certezza del diritto e contribuisce all'affermazione del principio di uguaglianza (art. 3, comma 1, Cost.), promuovendo, sia pure indirettamente, la ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.).

Al ruolo - che può ben definirsi “esclusivo” - assolto dalla Corte corrisponde un rito specifico, preordinato alla risoluzione della questione di diritto, rispetto alla quale la fattispecie concreta rappresenta, per così dire, l'occasione per l'enunciazione del principio astratto, suscettibile di essere applicato ed osservato in casi analoghi, così da promuovere, per l'appunto, “l'uniforme interpretazione della legge”.

La speciale posizione della Corte dà conto anche delle ragioni che, tradizionalmente, ne hanno favorito l'autonomia di gestione. Sotto questo aspetto, va sottolineato il ruolo propulsore affidato al Centro Elettronico di Documentazione (CED), di cui ai d.P.R. n. 322/1981 e n. 195/2005, quale organo autonomo alle dirette dipendenze della Prima Presidenza, con il compito di sviluppare e curare tutte le attività inerenti all'informatica giudiziaria e giuridica, ivi compresa la formazione per i magistrati ed il personale amministrativo. Per queste ragioni, con la necessaria collaborazione degli Uffici ministeriali, la Corte di cassazione ha potuto contare sulla progettazione e realizzazione di sistemi informatici e programmi dedicati, alquanto differenti da quelli sviluppati a livello nazionale per gli Uffici di merito.

Pertanto, la funzione particolare svolta dalla Corte, le caratteristiche del rito - orientato alla soluzione della questione di diritto prospettata negli atti introduttivi e nel quale è del tutto assente l'istruttoria - e lo sviluppo autonomo di sistemi informativi automatizzati hanno consigliato di non estendere tout court al giudizio di legittimità le previsioni sull'introduzione del PCT nei Tribunali e Corti d'appello.

Le coordinate normative

La fonte normativa primaria rimane senz'altro l'art. 4 d.l. n. 193/2009, conv. dalla l. n. 24/2010, che ha delegato ad uno o più decreti del Ministro della giustizia l'individuazione delle regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal d.lgs. n. 82/2005.

La normativa delegata è stata emanata con il regolamento di cui al d.m. n. 44/2011, che, a sua volta, ha delegato (art. 34) ad un decreto di livello dirigenziale l'emanazione delle specifiche tecniche, attualmente dettate con decreto del 16 aprile 2014, nel testo da ultimo modificato con provvedimento del 30 luglio 2021.

Su questo impianto di fondo, di applicazione indifferenziata, si è innestata l'ulteriore disciplina dettata dal d.l.n. 179/2012, conv. dalla l. n. 221/2012, e successive modificazioni, ove è stata inserita la “riserva” per il giudizio di legittimità.

Infatti, l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, già nella versione introdotta dall'art. 1, comma 19, n. 2, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, e modificata dall'art. 44, comma 2, lett. c), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite nei procedimenti innanzi ai Tribunale ed alle Corti d'appello (secondo la modularità temporale ivi prevista: si rinvia per approfondimenti alla specifica “bussola” Obbligatorietà del deposito telematico), aveva differito l'entrata in vigore delle predette disposizioni per gli altri Uffici (fra i quali andava annoverata anche la Corte di cassazione) al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U. dei decreti, aventi natura non regolamentare e da adottare sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, con i quali il Ministro della giustizia avesse, previa verifica, accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione (art. 16-bis, comma 6, d.l. n. 179/2012).

Ne consegue che, stante il tenore letterale del comma 1-bis del predetto articolo (che limitava espressamente l'ambito di applicazione della generale facoltatività del deposito telematico ai Tribunali ed alle Corti di appello), il deposito telematico degli atti e documenti nel giudizio di cassazione non solo non era obbligatorio ma, sino al 31 marzo 2021 (v. infra), non era neppure consentito, mancando l'apposita autorizzazione di cui all'art. 35 d.m. n. 44/2011 (secondo cui «L'attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio»); in questa prospettiva, l'art. 35 d.m. n. 44/2011 conservava pienamente la sua funzionalità, nonostante l'opinione contraria, che reputava implicitamente abrogata la predetta disposizione a seguito delle previsioni introdotte dal citato d.l. n. 179/2012.

Anche per le comunicazioni e notificazioni telematiche a cura della cancelleria l'art. 16 d.l. n. 179/2012 (commi 9 e 10) ha differito per gli Uffici giudiziari diversi dai Tribunali e dalle Corti d'appello l'entrata in vigore delle disposizioni di cui ai commi da 4 a 8 del medesimo articolo al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U. del decreto ministeriale, avente natura non regolamentare, da adottare sentiti l'Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense e i consigli dell'ordine degli avvocati interessati, previa verifica della funzionalità dei servizi di comunicazione. Ed è importante sottolineare che in questo caso non era tanto in predicato l'obbligatorietà della modalità telematica, comunque prescritta in prima istanza, bensì le conseguenze dell'impossibilità del ricorso alla posta elettronica certificata (PEC), vuoi perché il destinatario - benché a ciò obbligato - non avesse provveduto ad istituire o comunicare l'indirizzo PEC, vuoi, più in generale, perché il messaggio di PEC non potesse essere consegnato per cause imputabili al destinatario (casella inidonea o piena, etc.). Infatti, già a norma dell'art.136, commi 2 e 3, c.p.c., cui rinviava l'art. 366, c.p.c., nel testo risultante dalla modifica disposta dall'art. 25, comma 1, lett. i), n. 2, l. 12 novembre 2011, n. 183 (con decorrenza dal 1° febbraio 2012 e fino all'abrogazione disposta dall'art. 3, comma 27, lett. d), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la cancelleria era tenuta a trasmettere il biglietto a mezzo PEC «nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici» (art. 136, comma 2, c.p.c.) e, solo se ciò non fosse possibile, a provvedere con i mezzi tradizionali «salvo che la legge disponga diversamente» (art. 136, comma 3, c.p.c.). La clausola di salvezza fa riserva - per l'appunto – dell'applicazione delle disposizioni di cui ai citati commi 4-8 dell'art. 16 d.l. n. 179/2012, secondo cui, ove l'impossibilità sia imputabile al destinatario, le comunicazioni e le notificazioni «sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria».

In conclusione: mentre nei procedimenti dinanzi ai Tribunali ed alle Corti d'appello (sia pure con regimi intertemporali differenti: si rinvia per approfondimenti alla specifica “bussola” Comunicazioni di cancelleria telematiche) l'art. 136 c.p.c., in combinato disposto con l'art. 16, commi 4-8, d.l. n. 179/2012, contempla la “sanzione” del deposito in cancelleria per l'impossibilità “imputabile” della comunicazione a mezzo PEC, nel giudizio in cassazione tale risultato è stato raggiunto solo in virtù dell'emanazione dell'apposito decreto ministeriale di attuazione.

Le comunicazioni e notificazioni telematiche a cura della cancelleria

Con d.m. 19 gennaio 2016, pubblicato nella G.U. del 21 gennaio 2016, è stata disposta l'attivazione delle notificazioni e comunicazioni telematiche da parte delle cancellerie delle sezioni civili della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 16, comma 10, d.l. n. 179/2012.

Pertanto, a decorrere dal 15 febbraio 2016 - data espressamente prevista nel decreto - le comunicazioni e notificazioni nel settore civile sono eseguite mediante deposito in cancelleria nelle ipotesi di impossibilità della modalità telematica o comunque di mancata consegna addebitabili al destinatario, con risultati, in termini di immediatezza ed efficienza per l'Ufficio, oltre che di risparmio economico, davvero significativi, così come si era già verificato per i Tribunali e le Corti d'appello.

In sintesi, per effettuare e per verificare le comunicazioni e notificazioni telematiche occorre procedere:

  • all'individuazione dei soggetti che hanno l'obbligo di munirsi di un indirizzo di PEC per poi individuare l'indirizzo PEC valido ai fini processuali, siccome risultante da pubblici elenchi (ai sensi dell'art. 16-ter d.l. n. 179/2012) o comunque accessibile alle PP.AA.;
  • alla verifica della data e dell'ora di ricezione della comunicazione mediante esame della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), che deve essere conservata nel fascicolo informatico,ai sensi dell'art.16, comma 4 d.m. n. 44/2011;
  • alla valutazione delle cause dell'esito negativo della comunicazione, nell'ipotesi di mancata consegna( il cui avviso “negativo” è comunque conservato nel fascicolo informatico, ai sensi dell'art. 16, comma 4, d.m. n. 44/2011), onde ravvisarne l'eventuale imputabilità al destinatario (ad esempio, casella sconosciuta, casella scaduta o nonattivata, casellapiena), quale presupposto per l'esecuzione mediante deposito in cancelleria (automaticamente eseguita dal sistema), ovvero, qualora debba escludersi qualsivoglia addebitabilità al destinatario (ad esempio per malfunzionamenti del sistema ovvero per errata individuazione dell'indirizzo di PEC), per curare la rinnovazione della notifica con i mezzi tradizionali.

In definitiva, si pongono le medesime questioni che, di volta in volta, gli Uffici di merito si sono trovati ad affrontare e che, in diverse circostanze, sono giunte fino al vaglio della Corte di legittimità (sul punto, sia consentito rinviare all'ampia casistica esaminata nella Rassegna Tematica della giurisprudenza di legittimità sul processo civile telematico dell'Ufficio del Massimario e del Ruolo, a cura di I. Fedele, pubblicata sul sito istituzionale della Corte di cassazione).

Va, tuttavia, evidenziato che, fino alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149/2022, nel giudizio in cassazione occorreva considerare la disposizione speciale in tema di domiciliazione ai fini delle notificazioni, prevista dall'art. 366, comma 2, c.p.c., che poneva su un piano di alternatività l'elezione di domicilio a Roma ovvero l'indicazione dell'indirizzo PEC (v. in tal senso, espressamente, Cass., sez. VI-III, 10 marzo 2014, n. 5457, sia pure con riferimento alle notificazioni ad istanza di parte: «In tema di giudizio per cassazione, allorché il ricorrente abbia eletto domicilio in Roma, indicando altresì l'indirizzo di posta elettronica certificata, il controricorso può essere indifferentemente notificato sia presso il detto domicilio, sia a mezzo posta elettronica, in quanto l'art. 366, comma 2, c.p.c. consente le notificazioni in via alternativa - con l'uso della disgiuntiva “ovvero” – all'uno o all'altro luogo.»), anche se non è mancata un'interpretazione intesa piuttosto a valorizzazione la volontaria elezione di domicilio in Roma, ancorché presso la cancelleria della Corte, rispetto all'indicazione dell'indirizzo di PEC (così Cass. sez. VI-III, 16 luglio 2015, n. 14969: «Ai sensi dell'art. 366, comma 2 c.p.c., nel testo modificato dall'art. 25, comma 1, lett. i), n. 1, della l. 12 novembre 2011, n. 183, è valida la notificazione del controricorso effettuata presso la cancelleria della Corte di cassazione, quando il ricorrente abbia volontariamente eletto domicilio in Roma, presso la stessa cancelleria, senza che rilevi l'indicazione, nel ricorso, dell'indirizzo di posta elettronica certificata, comunicata al proprio ordine, poiché la notificazione a questo indirizzo presuppone che non vi sia contestuale volontaria elezione di domicilio in Roma.»).

In ogni caso, le Sezioni Unite, in fattispecie anteriore alla disciplina sulle comunicazioni telematiche obbligatorie ex art. 16 del d.l. n. 179/2012, cit., hanno chiarito che «ai sensi degli artt. 136 e 366 c.p.c., in virtù di un'interpretazione orientata all'effettività del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, il cancelliere può eseguire la comunicazione dei provvedimenti tramite deposito in cancelleria (sempre che il difensore non abbia eletto domicilio in Roma) solo se non è andata a buon fine la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, né quella via fax.» (Cass., sez. un., 31 maggio 2016, n. 11383).

Come anticipato, l'art. 366 c.p.c. è stato modificato dall'art. 3, comma 27, lett. d), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nel senso che sono stati abrogati il comma 2, relativo alla speciale domiciliazione, ed il comma 4, di rinvio all'art. 136, comma 2 e 3, c.p.c. Pertanto, la disciplina delle comunicazioni e notificazioni di cancelleria nel giudizio in cassazione rientrano ormai nella disciplina generale (si rinvia per maggiori dettagli alla specifica “bussola” sul domicilio digitale).

Le notifiche telematiche a cura degli avvocati

A differenza di quanto previsto dall'art. 16 d.l. n. 179/2012 in tema di comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria, nessuna limitazione per il giudizio di cassazione è stata prevista dall'art. 16-quater d.l. n. 179/2012 in ordine alla facoltà per gli avvocati di procedere alle notifiche telematiche.

La notifica del ricorso per cassazione e del controricorso può dunque essere compiuta a norma dell'art. 3-bis l. 21 gennaio 1994, n. 53 a mezzo PEC all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, indipendentemente dall'ammissibilità del deposito telematico degli atti di parti, autorizzato presso la Corte di cassazione solo a decorrere dal 31 marzo 2021 (v. infra).

Per quanto emerso nell'esperienza pratica, può dirsi che i difensori hanno fatto largo uso della c.d. notifica telematica “in proprio” per notificare gli atti introduttivi del giudizio in cassazione, a tal fine avvalendosi della specifica disposizione di cui all'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, l. n. 53/1994, che, in caso di impossibilità del deposito telematico, consente il deposito delle copie analogiche dell'atto notificato, della relazione di notificazione, del messaggio di PEC e delle relative ricevute, di accettazione e di consegna, conferendo al difensore un apposito potere di attestazione di conformità delle copie cartacee ai documenti informatici dai cui sono tratte.

Anzi, proprio per effetto della prassi, invero diffusa, di notificare a mezzo PEC gli atti introduttivi del giudizio di legittimità predisposti in originale informatico e firmati digitalmente, successivamente depositati in forma cartacea, anche senza attestazione di conformità, le Sezioni Unite della Corte, pronunciandosi nel periodo di transizione, prima dell'avvio a valore legale del deposito telematico degli atti di parte, hanno ritenuto di accedere ad un'interpretazione evolutiva, intesa a valorizzare il principio di effettività della difesa, esprimendo il principio così massimato «Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, l. n. 53/1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all'originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio» (Cass., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22438, rinviandosi alla rassegna già citata per la più ampia esegesi della pronuncia).

Quanto alla prova della notifica telematica, le medesime Sezioni Unite, esprimendosi sempre in riferimento al periodo di transizione caratterizzato dall'inammissibilità del deposito telematico presso la Corte di cassazione, hanno chiarito che in caso di ricorso predisposto in originale digitale e notificato in via telematica, ai fini della prova della tempestività della notificazione dell'atto, è onere del controricorrente disconoscere, ai sensi della disciplina di cui all'art. 23, comma 2, CAD, la conformità agli originali dei messaggi di PEC e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente; pertanto, ove il controricorrente abbia omesso di formulare obiezioni, è sufficiente il deposito di mere stampe del messaggio PEC, mentre l'attestazione di conformità rimane necessaria e potrà intervenire sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio nel caso in cui l'intimato non svolga attività difensiva ovvero il controricorrente contesti espressamente la conformità della copia all'originale.

Il deposito telematico degli atti di parte

Con l'emanazione del decreto ministeriale di attivazione delle comunicazioni e notificazioni telematiche è stato compiuto il primo passo verso l'attuazione del PCT innanzi alla Corte di cassazione.

Per l'ulteriore tratto qualificante, rappresentato dall'autorizzazione al deposito telematico degli atti di parte, sono purtroppo trascorsi alcuni anni, essendosi infine preferito attivare il servizio in virtù della normativa emergenziale invece che ricorrere all'adozione del decreto ministeriale ai sensi dell'art. 16-bis, comma 6, d.l. n. 179/2012.

Infatti, il deposito telematico degli atti di parte con valore legale presso la Corte di cassazione è stato disposto in base alla previsione di cui all'art. 221, comma 5, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con modif. in l. 17 luglio 2020, n. 77, che recita «Nei procedimenti civili innanzi alla Corte di cassazione, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L'attivazione del servizio è preceduta da un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. Gli obblighi di pagamento del contributo unificato previsto dall'art. 14 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, nonché l'anticipazione forfettaria di cui all'articolo 30 del medesimo testo unico, connessi al deposito telematico degli atti di costituzione in giudizio presso la Corte di cassazione, sono assolti con sistemi telematici di pagamento anche tramite la piattaforma tecnologica prevista dall'art. 5, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».

In attuazione di tale disposizione è stato emesso il decreto direttoriale 27 gennaio 2021 denominato “Attivazione presso la Corte di cassazione, settore civile, del servizio di deposito telematico degli atti e dei documenti da parte dei difensori delle parti”, pubblicato sulla G.U. 28 gennaio 2021, n. 22, il cui art. 1 recita «Ai sensi dell'art. 221, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, è accertata presso la Corte suprema di cassazione l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche nonché la funzionalità dei servizi di comunicazione del settore civile per il deposito telematico degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti a decorrere dal 31 marzo 2021».

Pertanto, il deposito telematico degli atti di parte presso la Corte di cassazione è stato autorizzato in regime di facoltatività a decorrere dal 31 marzo 2021.

Il regime di facoltatività generalizzato (anche per i c.d. atti endoprocedimentali) discende proprio dalla considerazione che l'attivazione del servizio presso la Corte è avvenuta in virtù della previsione speciale di cui al citato art. 221 (che, secondo taluni, reitera, a livello di norma primaria, il regime autorizzatorio previsto dall'art. 35, comma 1, del d.m. n. 44/2011), e non già secondo il regime attuato nei giudizi di merito ai sensi dell'art. 16-bis del d.l. n. 179/2012, che prevede l'obbligatorietà del deposito telematico per i cd. atti endoprocedimentali (comma 1) e la facoltatività del deposito telematico per tutti gli altri atti (comma 1-bis). Ne consegue che il deposito telematico in cassazione, proprio perché attivato al di fuori della disposizione generale di cui all'art. 16-bis cit., non rientra neppure nel regime di obbligatorietà introdotto per il periodo di emergenza pandemica, di cui all'art. 221, comma 3, del d.l. n. 34/2020, cit., (ai sensi del quale «Negli uffici che, hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico, anche gli atti e i documenti di cui all'art. 16-bis, comma 1-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, sono depositati esclusivamente con le modalità previste dal comma 1 del medesimo articolo»).

In definitiva, a decorrere dal 31 marzo 2021, i difensori sono facoltizzati (non obbligati) a depositare tutti gli atti (anche introduttivi) in modalità telematica.

Nondimeno, dovrebbe reputarsi che, ove il difensore opti per la r edazione dell'atto in forma di documento informatico, sottoscritto digitalmente, il deposito dell'atto debba essere effettuato in modalità telematica, non trovando più applicazione il combinato disposto di cui all'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della l. n. 53 del 1994.

Come ulteriore conseguenza, a decorrere dal 31 marzo 2021 dovrebbe essere venuto meno anche il fondamento giustificativo della giurisprudenza conservativa elaborata in ordine al deposito di copia cartacea del ricorso predisposto in originale informatico senza attestazione di conformità (Cass. sez. un. n. 22438/2018, cit.), atteso che l'ambito di applicazione della riconosciuta possibilità per il difensore di provvedere all'asseverazione “ora per allora” ovvero di attribuire efficacia al mancato disconoscimento della controparte è stato espressamente delimitato all'ambiente “digitale” nel periodo di transizione verso il processo telematico in cassazione.

In tal senso, espressamente, Cass. sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312: «nell'attuale periodo intermedio nel quale non essendo il giudizio di legittimità ancora inserito nel sistema del PCT, la Corte si trova nell'impossibilità di effettuare la verifica diretta sull'originale nativo digitale mentre tale verifica è possibile con un semplice adempimento alla parte destinataria dell'atto processuale nativo digitale, debitamente sottoscritto con firma digitale»). Pertanto, potrebbe ormai ritenersi che la prassi di depositare in copia cartacea gli atti predisposti in originale digitale e firmati digitalmente non possa più trovare adeguata “copertura” né nel piano disposto dell'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della l. n. 53/1994, né nella giurisprudenza che ha inserito “nel circuito processuale” la collaborazione del depositante dell'atto e del controricorrente, elaborata per il periodo di transizione sul chiaro presupposto della obiettiva preclusione per la Corte delle verifiche di conformità ormai direttamente consentite.

Sebbene l'autorizzazione al deposito telematico fosse stata emanata in virtù della normativa emergenziale, secondo l'opinione più accreditata il regime di facoltatività non sarebbe venuto a cessare con la scadenza del relativo periodo (come efficacemente sostenuto nella relazione dell'Ufficio del Massimario n. 20 del 10 marzo 2021, di G. Fichera, pubblicata sul sito istituzionale della Corte di cassazione).

Il dubbio, tuttavia, non ha avuto modo di essere affrontato in concreto dal momento che, in virtù dell'art. 196-quater disp. att. c.p.c., introdotto dall'art. 4 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 1° gennaio 2023 il deposito telematico è divenuto obbligatorio per ogni atto di parte del processo anche in cassazione, saldandosi l'efficacia della nuova disposizione alle citate norme emergenziali definitivamente cessate in data 31 dicembre 2022.

Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2023, con la definitiva obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte è venuto a cessare il c.d. regime “ibrido” (cartaceo e telematico) che ha caratterizzato la realtà processuale del giudizio in cassazione nell'ultimo periodo e, in particolare, dal 31 marzo 2021. In tal modo, a decorrere dalla predetta data, possono dirsi superate le difficoltà interpretative connesse alla continua “traduzione” del digitale in analogico nonché le complicazioni organizzative, soprattutto nella gestione dei servizi di cancelleria, legate alla necessità di assicurare la doppia modalità senza poter disporre di affidabili previsioni statistiche in base alle quali dimensionare la ricezione ordinaria rispetto a quella telematica degli atti.

La sancita obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali di parte, ai sensi dell'art. 196-quater, comma 1, disp. att. c.p.c., a decorrere dal 1° gennaio 2023, comporta la declaratoria di improcedibilità, ai sensi e per gli effetti dell'art. 369 c.p.c., del ricorso che, al di fuori dei casi tassativi in cui è consentito, sia depositato senza rispettare tale modalità (così Cass. sez. I, 20 aprile 2023, n. 10689).

Il deposito telematico dei provvedimenti del giudice

Benché non fossero immediatamente applicabili al giudizio in cassazione le disposizioni ex art. 16-bis d.l. n. 179/2012, poteva comunque reputarsi che per il deposito telematico degli atti a firma del giudice e degli altri soggetti abilitati interni, di cui al d.m. n. 44/2011, non si rendesse necessaria l'autorizzazione ai sensi dell'art. 35 d.m. n. 44/2011, in quanto, a seguito delle modifiche apportate dal d.m. 15 ottobre 2012 n. 209, tale necessità era stata limitata agli atti dei soggetti abilitati esterni.

Infatti, l'art. 15 d.m. n. 44/2011, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal d.m. 29 dicembre 2023, n. 217, prevedeva che «l'atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico», e, nel caso di atto formato da organo collegiale, «l'originale del provvedimento è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente». Le modifiche apportate dal d.m. n. 217/2023 («L'atto del procedimento, redatto in forma di documento informatico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, è depositato nel fascicolo tramite l'applicativo informatico, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'art. 34») hanno inteso affiancare all'ipotesi della sottoscrizione con firma digitale la possibilità di utilizzare anche altra firma elettronica qualificata, ai sensi del C.A.D., ed esplicitato la necessità che il deposito nel fascicolo avvenga «tramite l'applicativo informatico», in tal modo escludendo la ritualità di una modalità telematica realizzata in assenza dell'apposito applicativo ministeriale ovvero senza avvalersi dello stesso. 

Inoltre, ai sensi dell'art. 16 del decreto dirigenziale 16 aprile 2014, siccome da ultimo modificato in data 30 luglio 2021, «i soggetti abilitati interni utilizzano appositi strumenti per la redazione degli atti del processo in forma di documento informatico e per la loro trasmissione alla cancelleria o alla segreteria dell'ufficio giudiziario», con sistemi di autenticazione definiti dall'art. 10 delle medesime specifiche tecniche; l'atto è inserito nella busta telematica e viene trasmesso su canale sicuro al gestore dei servizi telematici (art. 16, comma 2, specifiche tecniche).

L'accettazione dell'atto da parte della cancelleria è - secondo la disciplina vigente - necessaria per l'inserimento dello stesso nei registri informatizzati e per la conseguente visibilità alle parti.

Sul punto, si richiama Cass., sez. III, 10 novembre 2015, n. 22871, che ha ritenuto valida la sottoscrizione della sentenza, a norma dell'art. 132, comma 2, n. 5, c.p.c., con firma digitale, quale modalità idonea ad attestarne la provenienza dal giudice che l'ha deliberata e a garantire l'integrità e l'immodificabilità del documento.

In virtù della delineata disciplina, anche per il deposito telematico dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione non si poneva un problema di autorizzazione, quanto di sviluppo e messa a disposizione di un'apposita infrastruttura ministeriale idonea a consentire la redazione e sottoscrizione dell'atto in forma di documento informatico e la trasmissione alla cancelleria per la pubblicazione automatica e l'inserimento nei registri informatizzati.

Tali condizioni sono state soddisfatte con la realizzazione del c.d. “desk” del consigliere, quale applicazione ministeriale specificamente sviluppata per la Corte di cassazione in parallelo con le attività preordinate all'avvio del deposito telematico a valore legale degli atti di parte, tanto che la prima sentenza “telematica” è stata depositata in data 14 maggio 2021, con il n. 13158.

Dal regime di facoltatività si è, infine, arrivati all'obbligatorietà del deposito telematico anche per i provvedimenti del giudice, oltre che per gli atti del pubblico ministero, secondo quanto disposto dall'art. 35 del d.l. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito con modificazioni dalla l. 21 aprile 2023, n. 41, che ha modificato l'art. 196-quater disp. att. c.p.c., disposizione pienamente applicabile anche al giudizio in cassazione per gli atti e i provvedimenti del giudice.

Rispetto alle previsioni di obbligatorietà del deposito telematico, ai sensi del richiamato art. 196-quater disp. att. c.p.c., si è reso necessario unicamente autorizzare il deposito cartaceo dei verbali di udienza sino alla data di adeguamento del sistema informatico, con decreto in data 1° marzo 2023 del Primo Presidente, pubblicato sul sito istituzionale dell'Ufficio, ai sensi dell'art. 196-quater, comma 4, disp. att. c.p.c.

Scenari evolutivi

Il raggiunto traguardo dell'attuazione del PCT in cassazione, con l'applicazione del regime di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e del giudice, è stato accompagnato dalla stipula di un nuovo protocollo intercorso fra la Corte di cassazione, la Procura Generale, l'Avvocatura Generale dello Stato e il Consiglio Nazionale Forense, sottoscritto in data 1° marzo 2023, destinato a ricomprendere e superare quelli sinora siglati.

Uno dei temi centrali del protocollo è costituito proprio dalle regole redazionali degli atti processuali, in armonia con la codificazione del principio di chiarezza e sintesi, di cui ai novellati artt. 121 c.p.c. e 46 disp. att. c.p.c. In proposito giova evidenziare che nell'ambito del d.m. 7 ottobre 2023, n. 110, di attuazione dell'art. 46 disp. att. c.p.c., per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, è stata riconosciuta la peculiarità del giudizio in cassazione, con la specifica previsione di cui all'art. 8, comma 3, secondo cui «Per gli atti del giudizio di cassazione le specifiche tecniche tengono altresì conto dei criteri stabiliti con decreto del Primo Presidente della Corte di cassazione, sentiti il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato», così, in buona sostanza, recependo anche la positiva esperienza offerta proprio dai  Protocolli siglati con l'Avvocatura.  

Inoltre, l'attuazione del PCT in cassazione ha consentito di cogliere almeno alcune potenzialità insite nell'automazione delle procedure in sede di attuazione della cd. riforma Cartabia, con il d.lgs. n. 149 del 2022, come l'abolizione della richiesta di trasmissione del fascicolo ad istanza di parte, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., e la sostituzione di tale onere con la richiesta del fascicolo d'ufficio da parte della cancelleria in modalità informatizzata, ai sensi dell'art. 137-bis disp. att. c.p.c., l'abrogazione degli artt.135 e 137 disp. att. c.p.c., in ordine all'invio di copia degli atti a cura della cancelleria e al deposito di ulteriori copie destinate allo scambio per le parti del giudizio (oneri ormai superati dalla consultazione degli atti da remoto, tramite il portale dei servizi telematici), la semplificazione delle disposizioni sul domicilio e sulle comunicazioni/notificazioni (già sopra esaminata), l'eliminazione della notificazione del controricorso (pure superata dalla possibilità di diretta consultazione del fascicolo informatico).

In futuro, le implementazioni del sistema informatico della Corte e, in generale, del PCT, potranno supportare ulteriori semplificazioni procedurali, nella logica della condivisione del patrimonio informativo, anche con le altre giurisdizioni.