Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ed interesse del minore
08 Giugno 2020
Massima
Nell'attuale ordinamento giuridico, l'equazione «verità naturale: interesse del minore» non è più valida in termini assoluti, «dovendosi bilanciare la verità della procreazione con l'interesse concreto del minore alla conservazione dello status di figlio», nell'ambito di in un'indagine nella quale il giudice dovrà tenere conto, tra i vari elementi, della durata del rapporto che si è instaurato tra il minore e il genitore contestato, delle modalità del concepimento e della gestazione, nonché, della presenza di strumenti legali che consentano di costituire un legame giuridico col genitore contestato che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l'adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela. Il caso
Il giudice di prime cure ha accolto la domanda con la quale il ricorrente ha impugnato il riconoscimento di paternità del figlio minore, sulla base di indagini genetiche fornite dallo stesso genitore, in difetto di contestazione specifica della madre e stante il rifiuto di questa e del figlio di sottoporsi a CTU medico legale. La Corte d'Appello di Milano ha riformato la decisione sia per mancanza di prova certa, in ordine alla non paternità dedotta, sia perché contraria all'interesse del minore il quale ha manifestato, espressamente, la duplice volontà di mantenere la propria identità di figlio del ricorrente, unica figura paterna di riferimento a livello emotivo ed educativo, nonché, di conservare i diritti a tale status conseguenti. L'impugnazione dinanzi alla Suprema Corte, da parte del genitore, è stata affidata a due motivi: a) difetto di contestazione, da parte della madre, sia della mancata convivenza che della non reale paternità naturale dell'istante. A censura della pronuncia di secondo grado, il ricorrente ha eccepito di aver fornito la prova della non paternità del minore, a mezzo di un'indagine genetica che la escludeva, a fronte degli elementi indiziari desumibili - ex adverso - dal rifiuto della madre naturale e del figlio di sottoporsi all'esame emato-genetico, nell' ambito di una CTU disposta in primo grado, e dal fatto che costei non avesse contestato la mancata convivenza e la non paternità, cosi che le due circostanze risulterebbero pacificamente provate. b) l'interesse del figlio è stato ritenuto apoditticamente preminente rispetto alla domanda del padre, ignorando, per esempio, il rifiuto del minore di mantenere il cognome paterno. La Cassazione, esaminate congiuntamente le due censure ritenute connesse, ha rigettato il ricorso rilevando come la pronuncia impugnata abbia correttamente valutato sia le carenze istruttorie circa la verità biologica, sia l'interesse del figlio a mantenere la propria identità (valorizzando la dichiarazione di quest'ultimo di non voler rinunciare al cognome del padre) conformandosi ai principi di diritto, condivisi dagli Ermellini e dalla Corte Costituzionale, in tema di interesse del minore. La questione
Nell'ambito del procedimento per la impugnazione del riconoscimento (ex art. 263 c.c.), l'accertamento della verità biologica e genetica (favor veritatis) costituisce un valore assoluto, sempre prevalente ex se, oppure necessita di un bilanciamento con l'interesse concreto del minore a conservare lo status di figlio, anche a mezzo di una tutela dei legami nati all'interno del nucleo familiare come garanzia della identità di quest'ultimo? Le soluzioni giuridiche
L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (ex art. 263 c.c.) mira a sanare un contrasto tra la realtà documentata nell'atto e la realtà del rapporto di filiazione. Partendo da tale principio, la Corte ha richiamato, dapprima, il consolidato orientamento per il quale tale azione postula la dimostrazione della “assoluta impossibilità” che colui il quale abbia inizialmente compiuto il riconoscimento sia, in realtà, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio. All'indomani delle riforme in materia di filiazione (2012/2013), tale assunto è stato rimodulato, uniformando la prova da fornire nell'ambito dell'azione ex art 263 c.c. - un tempo di natura confessoria, basata sul disvalore del concepimento fuori dal matrimonio – a quella richiesta per l'azione di riconoscimento della paternità (Cass. n. 18140/2018; Cass. n. 30122/2017). È, dunque, il favor veritatis ad orientare le valutazioni da compiere nell'accertamento, ma mai in senso assoluto. La verità biologica necessita di un bilanciamento con l'interesse del minore alla certezza del proprio status ed alla stabilità dei rapporti familiari, a tutela di un'identità personale non necessariamente vincolata al dato genetico, ma fedele alla conservazione dei legami, affettivi e personali, sviluppatisi all'interno della famiglia. Occorre, dunque, un'indagine in concreto dell'interesse del minore, con particolare attenzione agli effetti del provvedimento sulla vita dello stesso, in relazione all'esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass. n. 26767/2016 e Cass. n. 8617/2017). Centrale, sul punto, è il richiamo all'interpretazione dell'art. 263 c.c. fornito dalla Corte Costituzionale che (Corte cost. n. 272/2017 relativa al riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternità surrogata) ha confermato l'orientamento per il quale è necessaria una valutazione comparativa tra interesse alla verità ed interesse del minore, dovendosi escludere che la verità biologica e genetica dell'individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta ed indiscutibile. Nel nostro sistema giuridico, volto a valorizzare la stabilità dei legami familiari, l'equazione verità naturale = interesse del minore non è sempre valida, né può essere ritenuta un dogma, dovendosi, invece, favorire sempre un bilanciamento con la conservazione dello status di figlio. La decisione del giudice deve essere guidata, dunque, dall'analisi di tre elementi fondamentali, quali: la durata del rapporto in essere tra figlio e genitore, le modalità del concepimento e della gestazione e la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato che garantisca al minore un'adeguata tutela. Invero, sul versante istruttorio, l'eccezione sollevata dal ricorrente (difetto di contestazione della mancata convivenza e della non reale paternità naturale dell'istante da parte della madre) è stata respinta dalla Corte la quale ha chiarito come, in ambito di diritti indisponibili, non valga il principio di non contestazione classicamente inteso, essendo da escludersi che la confessione costituisca prova contro chi l'ha resa. Ed invece, a fronte di una carente e lacunosa allegazione dei fatti da parte del ricorrente, la difesa avversaria non poteva che essere altrettanto generica ed idonea a mantenere l'onere probatorio in capo all'istante (Cass. 21847/2014). Infine, è stato rilevato come il ricorrente non abbia chiarito la provenienza dei campioni biologici usati, così da privare di qualsivoglia valenza probatoria gli esami emato-genetici. Di contro, il rifiuto del figlio di sottoporsi a CTU (scelta non coercibile, ma suscettibile di essere valutata ex art. 116 c.p.c., se aprioristica o ingiustificata), è stata ritenuta valida e motivata dall'intenzione del figlio (frattanto divenuto maggiorenne) di opporsi ad un'azione ritenuta fonte di particolare sofferenza. Osservazioni
L'azione di impugnazione del riconoscimento rientra nel quadro più ampio delle azioni di stato, ovvero, di quelle istanze tipizzate volte ad ottenere una pronuncia che incida sullo status filiationis della persona (quali la dichiarazione giudiziale di genitorialità – nella filiazione fuori dal matrimonio – e le azioni di disconoscimento della paternità, di reclamo e di contestazione dello stato di figlio – in caso di filiazione matrimoniale). In passato, l'orientamento prevalente individuava un'automatica coincidenza tra favor veritatis e favor minoris, per cui l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità doveva ispirarsi “al principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere” atteso che la falsità del riconoscimento ledeva il diritto del minore alla propria identità. Ed invero, la crescente considerazione del favor veritatis (agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e delle indagini fortemente attendibili) non si poneva in conflitto con il favor minoris, poiché, anzi, la verità biologica della procreazione costituiva «una componente essenziale dell'interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico (Corte cost.n. 112/1997)». La riforma della filiazione, che ha equiparato i figli naturali ai figli nati in costanza di matrimonio, ha attribuito al minore la facoltà (prima negata) di impugnare il riconoscimento, oltre ad aver parificato l'azione di disconoscimento (art. 244 c.c.) e quella di impugnazione del riconoscimento (art. 263 c.c.), attraverso la previsione della imprescrittibilità - solo per il figlio - di entrambe le azioni. Quest'ultimo, in sostanza, è l'unico soggetto a poter agire senza limiti temporali. E dunque, anche la nuova formulazione giuridica delle azioni di stato evidenzia la centralità del minore come soggetto di diritto, il cui interesse deve essere valutato tutelando la discendenza biologica e la connessa identità personale, ma sempre nell'ottica della conservazione del rapporto familiare costituito, pur a discapito del favor veritatis. La sentenza interpretativa della Corte Costituzionale n. 272/2017 (richiamata nella pronuncia della Cassazione) rappresenta un vero e proprio revirement, in linea con esigenze di sviluppo legislativo e sociale, affermando il principio per cui nell'azione di impugnazione della filiazione è sempre necessario valutare l'interesse del minore, in concreto, caso per caso, così superando l'automatica identificazione di tale interesse con il favor veritatis e rilevando, altresì, come questo non abbia mai costituito un valore di portata costituzionale assoluta. Principio, questo, condiviso dalla Cassazione la quale non aveva mancato di evidenziare, già in precedenza, come il diritto all'identità personale del minore non necessariamente risulti correlato alla verità biologica, ma piuttosto ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia, occorrendo un accertamento in concreto dell'interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare rifermento agli effetti del provvedimento sul suo sano sviluppo psicofisico. Del resto, nel tessuto sociale attuale, sempre più spesso la famiglia (costituzionalmente tutelata in quanto luogo nel quale il minore sviluppa la propria identità) non è quella biologica. Al fine di tutelare a pieno il diritto all'identità personale, dunque, l'interesse del minore non può trovare realizzazione soltanto nel favor veritatis. I due interessi non devono costituire una inscindibile automatica equazione, ma devono essere entrambi valutati nell'ambito di un più ampio giudizio di bilanciamento, attraverso una comparazione attenta tra l'accertamento della verità biologica (e dunque dello status del soggetto) e le conseguenze che da tale indagine possano derivare sulla posizione giuridica del minore. Alla luce di tale premessa, la pronuncia esaminata appare confermare anche un orientamento consolidato in tema di interesse del minore, quale principio radicato nel nostro ordinamento, nonché, riconosciuto a livello sovranazionale (all'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo) secondo cui occorre garantire al minore la verità sulla propria discendenza biologico/genetica, ma sempre nell'ottica di una valutazione attenta e complessa che tuteli la stabilità dell'identità personale attraverso la continuità dei legami familiari instaurati ed il diritto al rispetto della vita privata. |