La trasformazione delle imposte anticipate in crediti d'imposta nel contesto dell'emergenza finanziaria

Vincenzo Busa
25 Giugno 2020

Inizialmente concepita per corrispondere a un'esigenza propria del settore creditizio, la trasformazione delle imposte anticipate in crediti d'imposta tende ad affermarsi, sia pure in forme diversificate, come rimedio generalizzato alla crisi di liquidità delle imprese. Il diffuso interesse suscitato dall'istituto sollecita opportune riflessioni che valgano ad orientare l'analisi e l'applicazione delle norme di riferimento.
Le imposte anticipate: fenomenologia e implicazioni applicative

È noto che il reddito di bilancio, determinato in attuazione delle norme civilistiche, non necessariamente coincide con il reddito fiscale, essendo diversi i presupposti di calcolo delle due entità. Le divergenze tra il risultato del conto economico ed il reddito fiscale sono numerose, alcune permanenti altre temporanea. Quest'ultime si ricollegano a componenti di reddito (costi o ricavi) che, in conformità al principio di competenza, sono imputati al conto economico di un determinato esercizio, mentre ai fini fiscali assumono rilevanza in esercizi successivi.

In presenza di componenti negativi la cui deducibilità fiscale sia rinviata agli esercizi successivi, nell'esercizio di competenza civilistica emerge una maggiore imposta da assolvere in via anticipata, che affluirà in bilancio nell'attivo dello stato patrimoniale alla voce C II 4-ter "Crediti per imposte anticipate".

L'iscrizione in bilancio delle imposte anticipate assolve alla funzione di rilevare l'incremento patrimoniale (credito) dovuto alle maggiori imposte correlate alla determinazione extracontabile di un maggior reddito fiscale. Ciò avviene, ad esempio, quando in applicazione di norme fiscali, la deducibilità di un determinato componente negativo, pure concorrente alla formazione del risultato economico civilistico, è rinviata agli esercizi futuri. Si pensi alle numerose norme tributarie che comportano uno spostamento temporale della deducibilità di determinati oneri e, nell'immediato, l'emersione di un reddito imponibile superiore all'utile civilistico (ammortamenti civilistici effettuati nell'esercizio per importi maggiori di quelli fiscalmente ammessi, perdite su crediti per importi eccedenti la quota ammessa ai fini fiscali, manutenzioni e riparazioni eccedenti i limiti fiscali, ecc.).

Le attività costituite dalle imposte anticipate, in quanto vincolate alla realizzazione di imponibili futuri, non sono nella piena disponibilità dell'impresa. Il ridotto grado di monetizzazione di tali attività, a suo tempo era risultato particolarmente penalizzante per il settore creditizio in quanto le imposte anticipate iscritte a bilancio dalle banche, secondo la disciplina prevista dal Comitato di Basilea (cd. Basilea 3), non potevano concorrere alla determinazione del patrimonio di vigilanza. Alla penalizzazione fiscale (rinvio della deducibilità della svalutazione) veniva così ad aggiungersi un altro significativo svantaggio competitivo. Svantaggio che ha suggerito l'idea di trasformare le attività per imposte anticipate in credito d'imposta, con l'obiettivo di ripristinare il tasso di liquidità e patrimonializzazione alterato dall'iscrizione delle imposte anticipate*.

*In evidenza

La relazione tecnica al decreto n. 225 del 2010 chiarisce che, la ratio che ha ispirato l'introduzione della disciplina in esame "è da trovarsi nel divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87) rispetto a quelli europei, divario che dipende significativamente da regimi fiscali meno favorevoli, quali ad esempio l'impossibilità di dedurre integralmente le rettifiche su crediti nell'anno di formazione, che determina la generazione di attività fiscali differite (DTA)".

La stessa relazione, inoltre, evidenzia come l'elevata incidenza delle DTA "si traduca anche in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane" in quanto, secondo la nuova disciplina in materia di patrimonio di vigilanza prevista dal Comitato di Basilea (cd. Basilea 3), poiché le DTA non sono nella piena disponibilità della banca (ma vincolate alla realizzazione di imponibili futuri), oltre una determinata soglia, devono essere dedotte dal patrimonio di vigilanza. "Per evitare questo ulteriore svantaggio competitivo, la norma proposta prevede un meccanismo di conversione automatica in crediti d'imposta (…) delle poste rappresentative delle DTA (…); in tal modo, le DTA sarebbero smobilizzabili e, pertanto, concorrerebbero all'assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza".

Di fatto, l'articolato meccanismo di smobilizzazione delle imposte anticipate comporta una mirata neutralizzazione di norme che, in adesione alla ragion fiscale, tendono ad allargare la base imponibile.

Il regime ordinario di trasformazione delle DTA

Il primo intervento in materia di trasformazione delle attività per imposte anticipate (Deferred Tax Asset - di seguito "DTA") risale al D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.

In materia sono intervenuti successivamente l'art. 9 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha previsto la conversione delle DTA in presenza di perdite fiscali rilevanti ai sensi dell'art. 84 del TUIR, e l'articolo 1, commi da 167 a 171, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ne ha esteso l'originario ambito applicativo alle DTA riguardanti l'IRAP.

In sintesi, la normativa di cui al citato D.L. n. 225/2010 prevede la trasformazione delle DTA, oltre che in presenza di una perdita civilistica (commi 55 e 56), anche in caso di perdita fiscale (comma 56-bis) e di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi (comma 56-ter).

2.1 La trasformazione in presenza di perdita civilistica (commi 55 e 56)

Ai sensi del comma 55 del citato decreto, nell'ipotesi che in bilancio sia evidenziata una perdita d'esercizio, sono convertite in credito d'imposta le attività per imposte anticipate, iscritte nel bilancio stesso, derivanti dalle seguenti due tipologie di componenti negativi di reddito (DTA qualificate):

a) "svalutazioni di crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell'articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi”;

b) "valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d'imposta ai fini delle imposte sui redditi".

Stante il riferimento alle svalutazioni di crediti di cui all'art. 106, comma 3, del TUIR, applicabile soltanto agli istituti di credito, solo quest'ultimi possono avvalersi della facoltà di trasformare le DTA relative a dette svalutazioni. Di contro, la trasformazione di DTA correlate all'ammortamento dell'avviamento e di altre attività immateriali è ammessa per la generalità delle “società” tenute all'approvazione del bilancio.

In forza del richiamo di cui all'articolo 16, comma 9, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 173, il comma 3 dell'art. 106 si applica anche alle società di assicurazione.

È da ritenere che le società ammesse al beneficio siano soltanto quelle assoggettate a IRES. Non anche le società di persone che, ai sensi dell'art. 5 del TUIR, non hanno autonoma soggettività ai fini dell'imposizione sul reddito e non avrebbero modo, pertanto, di contabilizzare in via anticipata imposte dovute dai soci.

Tra i componenti negativi indicati alla lettera b), vi rientra l'ammortamento o le svalutazioni dell'avviamento e delle “altre attività immateriali”, ivi compresi i marchi.

La trasformazione è ammessa:

  1. esclusivamente per le DTA qualificate che siano iscritte nell'apposita voce dell'attivo dello stato patrimoniale;
  2. a condizione che nel bilancio si evidenzi una perdita;
  3. nel limite individuato al citato comma 55, secondo cui la trasformazione “opera per un importo pari al prodotto … tra a) la perdita d'esercizio, e b) il rapporto tra le attività per imposte anticipate [qualificate] e la somma del capitale sociale e delle riserve”.

Con riguardo alla quantificazione delle DTA trasformabili, il legislatore ha inteso graduare l'agevolazione in funzione della misura in cui le DTA concorrono, assieme al patrimonio netto, alla copertura delle perdite: la quota di DTA convertibile aumenta con l'aumentare dell'incidenza della perdita sul patrimonio netto. Ne consegue che in presenza di perdite pari o superiori al patrimonio netto, tali da azzerare o rendere quest'ultimo negativo, le DTA possono integralmente trasformarsi in crediti d'imposta.

Ai fini del predetto rapporto occorre fare riferimento ai seguenti valori:

  1. perdita d'esercizio evidenziata nel conto economico;
  2. attività per imposte anticipate iscritte nell'attivo dello stato patrimoniale, limitatamente alla quota riferibile alle svalutazioni dei crediti e agli ammortamenti/svalutazioni dell'avviamento e altre attività immateriali deducibili nei successivi periodi d'imposta:
  3. patrimonio netto evidenziato in bilancio, da assumere al lordo della perdita dell'esercizio, come si desume dal riferimento alla "somma di capitale sociale e riserve", nonché dalla ratio della norma, volta a individuare la misura in cui le DTA concorrono all'assorbimento della perdita subita al pari del capitale e delle riserve iscritte nel patrimonio netto contabile.

La conversione in crediti d'imposta e la conseguente, immediata monetizzazione delle DTA, comportano una sostanziale anticipazione del vantaggio che, in termini di minore imposta, sarebbe derivato nei futuri periodi d'imposta (per effetto della deduzione dei componenti negativi di reddito che hanno dato origine alle DTA qualificate).

Per evitare una ingiustificata duplicazione del medesimo beneficio, il comma 56 dispone che “con decorrenza dal periodo d'imposta in corso alla data di approvazione del bilancio, non sono deducibili i componenti negativi corrispondenti alle attività per imposte anticipate trasformate in credito d'imposta…”.

2.2 La trasformazione in caso di perdita fiscale (comma 56-bis)

La fattispecie è caratterizzata dalla presenza non di una qualsiasi perdita, ma di una perdita fiscale ex art. 84 del TUIRderivante dalla deduzione di componenti negativi di reddito di cui al comma 55 [svalutazione di crediti e ammortamento di avviamento o altre attività immateriali]”.

La norma si ricollega all'effetto c.d. reversal di DTA iscritte in precedenti esercizi, vale a dire alle variazioni in diminuzione apportate nel successivo periodo d'imposta in cui i componenti negativi (gli stessi che, momentaneamente indeducibili nel precedente esercizio di imputazione a conto economico, avevano dato luogo a variazioni in aumento e normalmente alla iscrizione di DTA) sono ammessi in deduzione ai fini fiscali. Dette variazioni comportano una riduzione della base imponibile oppure, in assenza di imponibili fiscali sufficienti, l'emersione di una perdita fiscale riportabile ai sensi dell'art. 84 del TUIR.

In conformità all'OIC 25, sulle perdite fiscali come sopra determinate sono iscritte direttamente le DTA cui fa riferimento il comma 56-bis, consentendone una mirata trasformazione in crediti d'imposta. La trasformazione è ammessa, infatti, limitatamente alle DTA correlate alla quota-parte di perdite fiscali che trovino origine nelle variazioni in aumento (apportate nella stessa dichiarazione in cui la perdita è rilevata) relative a svalutazione di crediti e ammortamenti/svalutazioni dell'avviamento e di altre attività materiali.

La trasformazione delle DTA sulle perdite fiscali produce effetti finanziari tendenzialmente corrispondenti alla minore imposta che, in presenza di imponibili sufficienti, sarebbe stata assolta per effetto delle variazioni in diminuzione ammesse dalla norma fiscale. Con la differenza che nel nostro caso la deduzione dei componenti negativi, stante la carenza di redditi imponibili, non ha potuto dar luogo ad un immediato risparmio d'imposta, ma ha fatto emergere una perdita fiscale.

Per evitare effetti duplicativi del beneficio, la norma dispone che "la perdita del periodo d'imposta rilevata nella dichiarazione dei redditi di cui al periodo precedente è computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi per un ammontare pari alla perdita del periodo d'imposta rilevata nella dichiarazione dei redditi di cui al periodo precedente ridotta dei componenti negativi di reddito che hanno dato luogo alla quota di attività per imposte anticipate trasformata in crediti d'imposta ai sensi del presente comma".

Il menzionato trattamento di favore è riservato, come detto, alle DTA iscritte in relazione “alle perdite di cui all'art. 84 del testo unico delle imposte sul reddito”, ossia alle perdite fiscalmente rilevanti che, come prevede lo stesso art. 84, sono determinate al netto dell'“utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti”. In presenza pertanto di un regime di esenzione fiscale dell'utile, la perdita fiscale deve essere decurtata degli utili detassati, anche ai fini della corrispondente determinazione della quota di DTA ammessa al beneficio della trasformazione.

Con riguardo alla conversione di DTA in presenza di perdite fiscali non opera il limite quantitativo proporzionale previsto per la diversa fattispecie di trasformazione correlata alla perdita di bilancio, trattata al precedente comma 55.

Come ricorda la circolare n. 37/E del 28 settembre 2012, la trasformazione in argomento può cumularsi con quella trattata al comma 55 qualora nello stesso anno, assieme alle perdite fiscali, si manifestino anche perdite di esercizio, stante il diverso ambito di applicazione delle rispettive norme.

Qualora la perdita fiscale sia dovuta al concorso di più fattori, è da ritenere che l'importo della perdita rilevante ai fini della trasformazione debba essere attribuito prioritariamente alle variazioni in diminuzione indotte dai predetti componenti negativi, fino a concorrenza delle stesse.

2.3 La trasformazione in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione delle crisi (comma 56-ter)

Le DTA qualificate di cui al comma 55, infine, possono essere trasformate in crediti d'imposta, ai sensi del comma 56 ter, qualora siano iscritte nel “bilancio finale per cessazione di attività” redatto prima di avviare le procedure di liquidazione volontarie o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione delle crisi.

In tal caso, all'unica condizione che detto bilancio evidenzi un patrimonio netto positivo, l'intero ammontare delle DTA è ammesso alla trasformazione.

L'applicazione della disciplina di trasformazione delle DTA in credito d'imposta non si estende, pertanto, ad eventuali DTA che si siano generate successivamente alla data di inizio della fase di liquidazione volontaria o procedura concorsuale.

2.4 Modalità di utilizzo del credito d'imposta (comma 57)

Il credito d'imposta derivante dalle ipotesi di trasformazione prima illustrate può essere utilizzato, senza limiti d'importo, nei tre modi seguenti, alternativamente previsti al comma 57:

  1. in compensazione ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241;
  2. tramite cessione al valore nominale, secondo la procedura e nel rispetto delle condizioni oggettive e soggettive di cui all'art. 43-ter del DPR n. 602 del 1973. Avendo presente che la trasformazione delle DTD iscritte in un determinato esercizio “decorre [produce effetti] dalla data di approvazione del bilancio [relativo all'esercizio di iscrizione delle DTA trasformate]” (comma 56), è da ritenere che il credito possa essere ceduto già nella predetta dichiarazione e che il cessionario possa utilizzarlo in compensazione a decorrere dall'anno successivo (“a partire dall'inizio del periodo d'imposta successivo a quello con riferimento al quale l'eccedenza si genera in capo al soggetto cedente” (art. 43-ter del d.P.R. n. 602/1973));
  3. mediante richiesta di rimborso in dichiarazione, anche da parte del cessionario, per l'importo che residua dopo aver effettuato ogni possibile compensazione.

Per espressa previsione normativa, la cessione del credito d'imposta in esame può avvenire esclusivamente al valore nominale e secondo la procedura di cui all'articolo 43-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

L'art. 1, commi da 167 a 171, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha esteso l'ambito applicativo della disciplina delle DTA all'IRAP.

Il pagamento del canone annuale

A distanza di circa sei anni dalla entrata in vigore del decreto-legge n. 225/2010, la Commissione europea ha sollevato perplessità in ordine alla compatibilità delle norme sulla trasformazione delle DTA con la disciplina degli aiuti di stato, laddove la conversione veniva ammessa anche per le quote di DTA cui non corrispondesse un effettivo pagamento anticipato di imposte, vale a dire per DTA iscritte in bilancio a fronte di imposte anticipate di fatto non assolte (c.d. DTA di “tipo 2”).

Per rimuovere tale criticità, l'art. 11 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, ha introdotto un articolato sistema che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe attenuare il vantaggio della trasformazione grazie al pagamento di un canone tendenzialmente commisurato alle DTA di “tipo 2”. Con esclusivo riferimento a queste DTA, il “mantenimento dell'applicazione delle … disposizioni [che ammettono la trasformazione in credito d'imposta]” – come si afferma nella relazione illustrativa del citato art. 11 - viene subordinato al pagamento di un canone annuo a decorrere dal 2016.

Assolto l'onere di pagamento del canone, le menzionate attività di “tipo 2” potranno continuare ad essere convertite in crediti d'imposta nonostante il mancato versamento delle correlate imposte contabilizzate in via anticipata.

Resta ferma invece l'ordinaria trasformabilità delle DTA qualificate cui corrisponde un pagamento anticipato di imposte (c.d. DTA di “tipo 1”), per le quali non è dovuto alcun canone.

L'obiettivo prefissato della norma è tuttavia assicurato solo indirettamente, attraverso il complesso metodo di determinazione del canone illustrato ai commi 2, 3 e 4 del citato art. 11, che sembra basarsi su elementi di tipo anche segnaletico o presuntivo.

Invero, il canone è dovuto in ragione dell'1,5 per cento dell'importo che si ottiene dalla differenza tra le DTA già convertite o convertibili (al netto di quelle iscritte al 31.12.2007) e le imposte complessivamente versate per il periodo d'imposta in corso al 31.12.2008 e successivi, fino alla data di chiusura dell'esercizio precedente (IRPEG, addizionali comprese, IRAP, imposte sostitutive versate per il riallineamento del valore dell'avviamento e delle immobilizzazioni materiali e immateriali ex artt. 15 del D.L. n. 185/2008 e 176 del TUIR).

Detto altrimenti, a decorrere dal 2016, le imprese che abbiano DTA iscritte nel bilancio dell'esercizio in corso al 31.12.2015, qualora intendano avvalersi, anche in anni successivi, del beneficio di trasformarle in crediti d'imposta, debbono provvedere al versamento del canone.

Il versamento rileva come opzione, da esplicitare nella dichiarazione dei redditi.

Essa è irrevocabile e vincolante fino al 2030, nel senso che comporta l'obbligo di liquidare e pagare il canone dovuto anno per anno e fino al 2030. Ciò a far data dal 2016 o, in assenza di DTA iscritte nel bilancio 2015, dall'anno successivo in cui per la prima volta compare l'iscrizione in bilancio delle DTA.

La stessa operazione va ripetuta per ciascun esercizio e comporta il versamento del canone entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.

Qualora la “base imponibile” del canone sia negativa (vale a dire quando le imposte versate siano superiori alle attività per imposte anticipate create dal 2008 fino all'anno di riferimento) il canone non è dovuto, nel presupposto che alla iscrizione delle DTA “corrisponde un effettivo pagamento anticipato di imposte (cosiddetto DTA di tipo 1)”. In tal caso, per poter mantenere il diritto alla conversione, l'opzione va comunque esercitata mediante comunicazione da inviare alla competente Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate entro lo stesso termine previsto per il versamento del canone.

Come chiarisce la relazione illustrativa, qualora l'opzione non sia esercitata, le disposizioni sulla trasformazione delle DTA e sull'utilizzo del credito di imposta si applicano solo alle DTA di “tipo 1”, cioè all'ammontare delle attività per imposte anticipate iscritte in bilancio diminuite della differenza, se positiva, di cui al comma 2 dell'articolo 11 (ossia, diminuite delle DTA di “tipo 2”).

Il canone annuo è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP nell'esercizio in cui avviene il pagamento.

Ai fini dell'accertamento, delle sanzioni e della riscossione del canone di cui al comma 1, nonché per il relativo contenzioso, si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi.

Il pagamento del canone annuo – come si dirà - è stato elevato a onere generalizzato, da assolvere anche ai fini delle altre forme di trasformazione delle attività per imposte anticipate di seguito illustrate.

La trasformazione di DTA correlate ad aggregazioni societarie nel mezzogiorno

Una speciale ipotesi di trasformazione delle DTA era contemplata nella originaria versione dell'art. 44-bisdel decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, successivamente sostituita dall'art. 55 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

Essa riguardava talune operazioni di aggregazione (fusione, scissione, conferimento d'azienda o rami d'azienda) di società che, alla data del 1° gennaio 2019, avevano sede legale nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna.

La possibilità di trasformare in crediti d'imposta determinate “attività per imposte anticipate dei soggetti partecipanti all'aggregazione era subordinata alla circostanza che dette aggregazioni fossero deliberate dai competenti organi sociali entro il 30 dicembre 2020 (ossia entro 18 mesi decorrenti dal 30 giugno 2019, che è la data di entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2019) e che il soggetto risultante dalle aggregazioni avesse anch'esso sede legale in una delle predette regioni, veniva riconosciuta

La disciplina della trasformazione in esame può riassumersi nei seguenti punti:

  • suscettibili di trasformazione erano le DTA relative:
  1. a perdite fiscali non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi dell'art. 84 del TUIR;
  2. al rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto ex art. 3, comma 2, del D.M. 3 agosto 2017 in materia di aiuto alla crescita economica (ACE) [Soppressa dall'art. 1, comma 1080 della legge di bilancio 2019, l'ACE è stata ripristinata dall'articolo unico, comma 287, della legge di bilancio 2020. La misura è stata introdotta nel 2011 per favorire il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano. Essa si sostanzia nella deduzione, dal reddito imponibile netto, di un importo pari al rendimento figurativo degli incrementi di capitale];
  3. ai componenti negativi di cui all'art. 1, comma 1067 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, non ancora dedotti, risultanti dalle situazioni patrimoniali approvate ai fini dell'aggregazione [Si tratta dei “componenti reddituali derivanti esclusivamente dall'adozione del modello di rilevazione del fondo a copertura delle perdite per perdite attese sui crediti di cui al principio 5.5 dell'International financial reporting standard (IFRS) 9, iscritti in bilancio in sede di prima adozione del medesimo IFRF 9, verso la clientela …”];
  • il beneficio era fruibile per un ammontare di DTA non superiore a 500 milioni di euro per ciascuno dei soggetti partecipanti all'aggregazione che avessero iscritto a bilancio le DTA;
  • la trasformazione decorreva dalla data di approvazione del primo bilancio della società risultante dall'aggregazione, nel quale le DTA fossero confluite, nella misura del 25 per cento delle DTA iscritte; per la restante parte la trasformazione maturava in quote uguali nei tre esercizi successivi con l'approvazione dei relativi bilanci;
  • per evitare effetti duplicativi del beneficio, a decorrere dal periodo d'imposta in cui l'aggregazione aveva effetto, non erano computabili in diminuzione dei redditi imponibili le perdite fiscali relative alle DTA trasformate;
  • era prevista la indeducibilità dei componenti negativi corrispondenti alle attività trasformate;
  • si applicavano le disposizioni del comma 57 che, unitamente alle modalità di utilizzo dei crediti risultanti dalla conversione, ne prevedevano l'infruttuosità e la non imponibilità ai fini dell'IRES e dell'IRAP;
  • la trasformazione era condizionata all'esercizio, da parte della società risultante dall'aggregazione, dell'opzione di cui all'art. 11 del decreto-legge n. 59 del 2016, con efficacia dall'esercizio successivo a quello in cui l'aggregazione produce effetti;
  • era prevista l'esclusione dal beneficio delle società per le quali fosse stato accertato il dissesto o rischio di dissesto ovvero lo stato di insolvenza, oltre che delle società legate da un rapporto di controllo anche indiretto.

A seguito della sostituzione dell'art. 44 bis ad opera del menzionato decreto-legge n. 18 del 2020, le originarie disposizioni prima illustrate devono ritenersi abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge (17 marzo 2020).

In assenza di disposizioni transitorie e di coordinamento dovrebbero trovare riconoscimento le opzioni di trasformazione esercitate in base alla originaria versione entro la predetta data. In considerazione tuttavia del carattere eventuale dell'opzione - peraltro non necessaria se esercitata in precedenza - ed in applicazione del principio di affidamento, dovrebbero poter beneficiare della trasformazione anche i soggetti che alla data del 17 marzo 2020 abbiano approvato i progetti di aggregazione.


La trasformazione di DTA correlate alla cessione di crediti

Alla “ordinaria” monetizzazione delle DTA contemplata all'art. 2, commi da 55 a 58, del decreto-legge n. 225/2010, da ultimo il legislatore ha inteso affiancare una speciale forma di monetizzazione a termine, riservata ai soggetti che entro il 31 dicembre 2020 abbiano ceduto crediti deteriorati.

La normativa di riferimento è contemplata dal nuovo art. 44-bis del citato decreto-legge n. 34/2019, introdotto dall'art. 55 del decreto-leggen. 18/2020 (lo stesso art. 44-bis che - nella versione in vigore fino al 16 marzo 2020 - prevedeva la trasformazione in crediti d'imposta delle DTA dei soggetti partecipanti in aggregazioni societarie nel mezzogiorno).

5.1 Prerogative della nuova forma di trasformazione

Il regime di trasformazione in esame, benché abbia come presupposto di base o funzione di traino la cessione di crediti, riguarda le attività per imposte anticipate riferite a due componenti rilevanti ai fini della determinazione del reddito (di seguito, “componenti utili”):

  1. le perdite fiscali che, alla data di cessione dei crediti, non siano state ancora computate in diminuzione di redditi imponibili ai sensi dell'art. 84 del TUIR;
  2. l'importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all'art. 1, comma 4, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, non ancora dedotto né fruito tramite credito d'imposta alla data di cessione dei crediti.

L'ammontare dei richiamati componenti misura direttamente l'entità del beneficio, che tuttavia non può eccedere il 20 per cento del valore nominale dei crediti ceduti, quest'ultimo assunto per un importo non superiore a due miliardi di euro. In altri termini, detti componenti utili concorrono alla determinazione delle DTA trasformabili in crediti d'imposta per un importo pari al 20 per cento del valore dei crediti e comunque non superiore a 400.000 (20 per cento di 2 miliardi).

Poiché i componenti utili ai fini della trasformazione sono costituiti da perdite fiscali e rendimenti ACE non computati in diminuzione del “reddito” imponibile, deve ritenersi che le DTA calcolate in base ad eventuali valori di produzione netta negativi ai fini dell'IRAP, siano escluse dal beneficio. Ne consegue che la trasformazione riguarda solo l'IRES e che, ai fini della determinazione delle relative imposte anticipate convertibili, sull'importo di componenti utili (pari al 20 per cento dei crediti) dovrà essere applicata l'aliquota IRES del 24 per cento ovvero del 27,5 per cento per gli intermediari finanziari.

La relazione illustrativa riporta l'esempio di una società che, avendo ceduto crediti per un miliardo, potrà valorizzare, ai fini della trasformazione, componenti a livello di perdite fiscali e di eccedenze Ace per l'importo massimo di 200 milioni (20 per cento di 1 miliardo). Considerata l'aliquota IRES del 24% (27,5% per gli intermediari finanziari), il credito d'imposta di cui potrà beneficiare sarà pari a 48 milioni (55 milioni per gli intermediari finanziari).

5.2 Finalità del beneficio

Come chiarito dalla relazione illustrativa la norma intende “incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l'obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l'attuale contesto di incertezza economica”. Il vantaggio della conversione è evidente ove si consideri che le società interessate non dovranno attendere di conseguire nei futuri esercizi redditi imponibili tali da poter assorbire le perdite e le eccedenze ACE, ma possono disporre con immediatezza della liquidità necessaria per affrontare l'emergenza economica.

Nelle intenzioni del legislatore le difficoltà finanziarie indotte dalle perdite subite per effetto dello smobilizzo dei crediti verrebbero in qualche modo compensate dal beneficio della trasformazione di DTA che – è bene evidenziare – è legato non all'entità delle perdite riportate nelle operazioni di cessione, ma al valore nominale dei crediti ceduti.

5.3 La cessione dei crediti deteriorati come misura e condizione di accesso al beneficio

Così come nella precedente versione dell'articolo 44-bis si richiedeva un'aggregazione tra società del mezzogiorno d'Italia, il nuovo regime richiede, come condizione di accesso al beneficio, la cessione di crediti deteriorati.

Nel meccanismo di applicazione del beneficio, i crediti ceduti rilevano per un valore nominale non superiore a 2 miliardi di euro, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate entro il 31 dicembre 2020 da società legate da un rapporto di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. ovvero da società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto. Stabilito il tetto massimo di 2 miliardi a livello di gruppo, fino a concorrenza dello stesso è ammessa la trasformazione, qualunque sia la società del gruppo che, ricorrendone i presupposti, si avvarrà del beneficio.

Come espressamente previsto al comma 5 del citato art. 44-bis, si considerano deteriorati i crediti scaduti da oltre 90 giorni.

Si è ammessi al beneficio a condizione che siano effettuate “cessioni a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2020, di crediti pecuniari…”. Non rileva la data di formazione dei crediti oggetto di cessione, che conseguentemente possono essere sorti sia prima che dopo l'entrata in vigore del decreto n. 18 del 2020. Si richiede invece che la cessione dei medesimi crediti avvenga non oltre il 31.12.2020. La norma specifica il termine finale di effettuazione delle cessioni, ma non anche il termine iniziale (dies a quo). La ratio della norma porterebbe a ritenete che la cessione utile debba intervenire a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato decreto n. 18 del 2020, così che ai fini del beneficio assumono rilievo esclusivamente le cessioni di crediti intervenute tra il 17 marzo e il 31 dicembre 2020.

Il momento della cessione è individuato con riguardo alla “data di efficacia della cessione”, vale a dire del relativo contratto che, in applicazione dei principi generali in materia di negozi consensuali richiamati all'art. 1260 c.c., coincide con la data in cui il cedente e il cessionario si scambiano il consenso. Ciò indipendentemente dai criteri seguiti nella contabilizzazione dell'operazione.

Non sembra rilevare la circostanza che la cessione avvenga pro-soluto o pro-solvendo, essendo comune ad entrambe l'effetto traslativo del relativo contratto.

Nel silenzio della norma, sembrerebbero rientrare nello schema dell'agevolazione sia i crediti commerciali che quelli finanziari, ivi compresi i crediti tributari, anche se ceduti, ad esempio, in conformità alle disposizioni di cui all'art. 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 in materia di crediti d'imposta per lavori di ristrutturazione edilizia o riqualificazione energetica.

Il riferimento normativo al contratto di cessione a titolo oneroso esclude dal perimetro dell'agevolazione altre operazioni di smobilizzo dei crediti come, ad esempio, l'apporto nei fondi di credito, benché ai fini delle imposte sui redditi queste siano assimilate alle cessioni a titolo oneroso.

Le cessioni dei crediti devono necessariamente intervenire con soggetti terzi: sono escluse le cessioni di crediti infragruppo, ossia tra società legate da rapporti di controllo o società controllate anche indirettamente dallo stesso soggetto.

L'ipotesi che più soggetti, anche non correlati tra loro, possano effettuare una pluralità di cessioni aventi ad oggetto uno stesso credito, tutte utili ai fini della trasformazione, è ispirata da finalità antitetiche alla ratio della norma, che precludono l'accesso al beneficio. Si ricorda che l'originario art. 44-bis, nel vietare la trasformazione di DTA con riguardo a plurime aggregazioni che avessero interessato le stesse società, non ha certamente inteso esautorare l'ambito applicativo della norma antielusiva generale di cui all'art. 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212). Al contrario, l'anzidetta specificazione antielusiva costituisce un paradigma di riferimento utile per contrastare operazioni similari che, allo stesso modo, comportano una indebita duplicazione del beneficio fiscale.

La perdita su crediti realizzata a fronte della cessione è deducibile nei modi ordinari dal reddito d'impresa (relativo allo stesso anno nel corso del quale è stata attuata la cessione) ai sensi dell'art. 101, comma 5, del TUIR.

5.4 I componenti rilevanti ai fini del beneficio: “perdite fiscali pregresse” e “eccedenze ACE”

Le perdite fiscali pregresse

Come si è detto, possono costituire oggetto di trasformazione innanzitutto le DTA relative a perdite fiscali individuate in conformità alla disciplina generale dettata dall'art. 84 del TUIR, a condizione che “non [siano] ancora computate in diminuzione del reddito imponibile”.

Si tratta dello stesso componente esaminato al paragrafo La trasformazione in caso di perdita fiscale (comma 56-bis), cui si rinvia, non senza evidenziare come nel caso di specie l'ammontare delle DTA trasformabili sia commisurato all'intero importo delle perdite fiscali emerse, indipendentemente dal tipo di componente negativo che abbia dato luogo alla variazione in diminuzione e alla conseguente perdita fiscale.

La norma valorizza le perdite fiscali provenienti da periodi d'imposta precedenti (rispetto a quello in cui opera la trasformazione) che, per ciò stesso, si considerano pregresse in quanto emerse in una dichiarazione dei redditi già presentata.

Rileva il fatto oggettivo che la perdita non sia stata utilizzata, a prescindere dal limite generale di utilizzo fissato all'art. 84 del TUIR nella “misura non superiore all'ottanta per cento del reddito imponibile”. Ne consegue che le attività per imposte anticipate si determinano avendo riguardo all'intero ammontare delle perdite fiscali riportabili.

Considerato che le perdite riportabili sono quelle che emergono dall'ultima dichiarazione presentata, nella quale confluiscono e perdono identità le perdite provenienti da anni precedenti, è alle risultanze della stessa che occorre fare riferimento per delimitare l'ambito applicativo della norma, la quale infatti subordina l'agevolazione alla presenza di perdite fiscali esistenti e non ancora scomputate alla data di cessione, a nulla rilevando l'anno di formazione delle perdite stesse.

Come si afferma al comma 1, secondo periodo, del citato comma 44-bis, “Ai fini della determinazione delle perdite fiscali non si applicano i limiti di cui al secondo periodo del comma 1 dell'art. 84 del [TUIR]”. Il riferimento è alle imprese che si avvalgono di un regime di esenzione, le quali di norma non possono trasferire il beneficio negli esercizi successivi con il sistema del riporto delle perdite. Diversamente si avrebbe un'applicazione estensiva della norma di esenzione, antitetica alla sua naturale portata, che è circoscritta all'esercizio per il quale l'esenzione, in deroga agli ordinari presupposti dell'imposizione, è destinata ad operare. Da qui la ratio dell'art. 84, comma 1, secondo periodo, che ammette il riporto delle perdite limitatamente all'importo eccedente l'utile che, in quanto esente, non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti in quanto esente. Ebbene, detta limitazione viene ora disattivata ai sensi del comma 1, secondo periodo, dell'art. 44-bis, con la conseguenza che le perdite pregresse, ai fini del beneficio della trasformazione in argomento, rilevano integralmente, secondo un importo superiore a quello normalmente “riportabile”. Secondo un'interpretazione estensiva della norma, meritevole di più adeguati approfondimenti, la rimozione dovrebbe rilevare con riguardo agli utili che non hanno concorso alla formazione del reddito (in quanto esenti) nell'esercizio di formazione della perdita fiscale, ancorché trattisi di esercizio risalente nel tempo. Tale soluzione prefigura una ricognizione a ritroso degli utili detassati, con contestuale rideterminazione delle perdite emerse in ciascuno degli esercizi osservati, in apparenza poco compatibile con il riferimento normativo univoco alla perdita fiscale emersa nell'ultima dichiarazione presentata, cui occorre parametrare il beneficio della trasformazione.

Per quanto riguarda le perdite generate all'interno del consolidato fiscale, come è noto, esse sono utilizzate e riportate a nuovo dalla società consolidante, cui dovrebbe essere altresì riconosciuto anche il diritto alla trasformazione delle correlate DTA. A tale conclusione è di ostacolo tuttavia la difficoltà di individuare nel caso di specie le cessioni di crediti che, come si è visto, condizionano e governano il riconoscimento dell'agevolazione. In alternativa all'ipotesi, in sé discriminante e di dubbia legittimità, di escludere tout court l'applicazione della norma agevolativa, la soluzione più praticabile sembrerebbe quella di prendere a riferimento le cessioni di crediti deteriorati effettuate da tutte le società che aderiscono al regime di tassazione di gruppo.

Le eccedenze ACE

Il secondo componente utile è dato dall'“importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all'art. 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201” sempre che non sia stato “ancora dedotto né fruito tramite credito d'imposta alla data della cessione”.

L'aiuto alla crescita economica (ACE) [Cfr. paragrafo La trasformazione di DTA correlate ad aggregazioni societarie nel mezzogiorno], cui la norma si riferisce, prevede a beneficio delle imprese che realizzano un incremento patrimoniale, mediante apporti di capitale in denaro o destinazione di utili a riserva, di portare in deduzione dal reddito d'impresa il “rendimento nozionale o virtuale” del nuovo capitale investito, che si ottiene applicando una determinata percentuale di rendimento sull'ammontare di detti incrementi. La quota parte di rendimento “non ancora dedotta” (eccedenza ACE) cui si riferisce l'art. 44-bis è quella che non ha trovato capienza nel reddito di un determinato anno e che, conseguentemente è riportato in avanti per essere computata in diminuzione del reddito d'impresa dei successivi esercizi. Anche tale eccedenza, al pari delle perdite fiscali, dà luogo ad attività per imposte anticipate convertibili ai sensi dell'art. 44-bis in esame.

5.5 Ambito di applicazione temporale del beneficio

Come anticipato, ai fini dell'applicazione del beneficio rilevano tanto le “perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell'art. 84 del [TUIR] alla data di cessione…”, quanto l'“importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto [eccedenza ACE] … non ancora dedotto né fruito tramite credito d'imposta alla data di cessione”. Si tratta di componenti utili che, maturati o formatisi in un determinato periodo d'imposta, non siano stati ancora utilizzati nei periodi successivi e, più precisamente, alla data di effettuazione della cessione dei crediti.

Come per le altre forme di trasformazione, anche in questo caso, per evitare duplicazioni del beneficio, al comma 1, ultimo periodo, del citato art. 44-bis si prescrive che “A decorrere dalla data di efficacia della cessione dei crediti”, le perdite fiscali “non sono computabili in diminuzione dei redditi imponibili” e le eccedenze ACE “non sono deducibili”.

Nella trama contorta della norma, il riferimento alla “data di efficacia della cessione dei crediti”, che - come si è visto - coincide con il 31 dicembre 2020, parrebbe delimitare anche l'ambito temporale di applicazione del beneficio. Tanto si desume dal disposto del comma 1, sesto periodo, secondo cui “La trasformazione in credito d'imposta avviene alla data di efficacia della cessione dei crediti”.

Pare inevitabile pertanto che la trasformazione debba avvenire entro il predetto termine del 31 dicembre 2020 con riguardo a DTA originate da perdite fiscali pregresse ed eccedenze ACE emerse (entro la medesima data) necessariamente nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta 2019. [Il disposto del comma 1, penultimo periodo, secondo cui “La trasformazione in credito d'imposta avviene alla data di efficacia della cessione dei crediti” mal si presta ad una interpretazione letterale ove si consideri che, in presenza di plurime cessioni effettuate in date diverse, non sembra possibile configurare distinte trasformazioni per ciascuna operazione di cessione. Sembra corretto pertanto dover considerare – come si è detto - le cessioni complessivamente intervenute nel periodo dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 18 del 2020) al 31 dicembre 2020].

Gli stessi componenti utili, infatti, a decorrere dalla data di efficacia della cessione, il cui termine è fissato al 31 dicembre 2020, non sono ammessi in deduzione dal reddito in quanto “trasformabili” in crediti d'imposta.

Si perviene alla conclusione che la trasformazione è ammessa limitatamente alle DTA calcolate con riferimento:

  • ai crediti ceduti dal 17 marzo al 31 dicembre 2020, nonché
  • alle perdite fiscali ed eccedenze ACE emerse nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta 2019.

In sintesi, i soggetti che hanno effettuato operazioni di cessione dei crediti nel predetto arco temporale, potranno accedere all'agevolazione qualora dalle risultanze della dichiarazione relativa al periodo d'imposta 2019, il cui termine di presentazione è rinviato al 30 novembre 2020, emergano perdite fiscali non computate in diminuzione del reddito imponibile ovvero rendimenti nozionali ACE eccedenti il reddito complessivo netto.

Non sembra possibile, di contro, valorizzare ai fini del beneficio le perdite generate nel corso dell'anno 2020.

Le conclusioni prospettate muovono dalla interpretazione logicamente orientata di norme che non brillano di chiarezza.

Non è escluso, in particolare, che all'affermazione equivoca per cui “La trasformazione in credito d'imposta avviene alla data di efficacia della cessione dei crediti” possa attribuirsi una diversa portata, tale da valorizzare altresì tanto le cessioni effettuate prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 18 del 2020 quanto i componenti utili emersi dall'ultima dichiarazione presentata, relativa al periodo d'imposta 2018.

5.6 I soggetti che possono avvalersene

La definizione dell'ambito soggettivo di applicazione del nuovo art. 44-bis, non emerge con immediatezza dal testo della norma.

I riferimenti normativi alle “società” (comma 1) e al regime delle perdite di cui all'articolo 84 del TUIR, applicabile esclusivamente alle imprese commerciali, portano tuttavia ad escludere le imprese individuali e gli enti. In secondo luogo, la struttura dell'agevolazione, incentrata tra l'altro su perdite “non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell'art. 84 del [TUIR]”, porta ad escludere anche le società di persone, considerato che le relative perdite, attribuite per trasparenza ai soci, non sono nella loro disponibilità fiscale.

In sintesi, l'agevolazione compete esclusivamente alle società soggette a IRES.

Ai sensi dell'art. 44-bis, comma 4, infine, il regime di trasformazione delle DTA non si applica alle società per le quali sia stato accertato lo stato o il rischio di dissesto (articolo 17 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180), ovvero lo stato di insolvenza (articolo 5 del R.D. 267/1942, ovvero articolo 2 del “codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”).

5.7 Ulteriori disposizioni integrative

La disciplina in esame della trasformazione delle attività per imposte anticipate è integrata dalle seguenti disposizioni:

  • per la prima volta, è stato stabilito che le DTA possono essere trasformate anche se non iscritte in bilancio. Come si spiega nella relazione illustrativa, il legislatore ha voluto includere nel perimetro dell'agevolazione le ipotesi di mancato superamento del probability test, da parte diimprese che, ritenendo di non conseguire redditi sufficienti per assorbire le perdite, prudenzialmente non abbiano rilevato in bilancio le relative imposte anticipate;
  • i crediti d'imposta derivanti dalla trasformazione non sono produttivi di interessi, vanno indicati in dichiarazione e non concorrono alla formazione del reddito di impresa né della base imponibile Irap;
  • le DTA trasformabili originano da componenti utili scomputabili unicamente dall'IRES e non anche dall'IRAP, stante il riferimento al “reddito” cui le previsioni riguardanti le perdite fiscali e le eccedenze ACE di cui al citato comma 1 dell'art. 44-bis fanno esclusivo riferimento.

5.8 Esercizio dell'opzione e pagamento del canone annuo

Anche ai fini della trasformazione delle DTA in crediti d'imposta contemplata dall'art. 44-bis, le società interessate hanno l'onere di esercitare l'opzione di cui all'articolo 11 comma 1, del decereto-legge n. 59 del 2016, mediante versamento del canone annuo pari all'1,5 per cento della differenza tra l'ammontare delle DTA da convertire o già convertite e le imposte complessivamente versate a titolo di IRES, addizionale IRES e IRAP in ciascun periodo d'imposta.

Come si afferma al comma 3 del citato art. 44-bis, “L'opzione, se non già esercitata, deve essere esercitata entro la chiusura dell'esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti; l'opzione ha efficacia a partire dall'esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione”.

Se non esercitata pertanto in precedenza (nell'anno 2016 e successivi), l'opzione si esercitata mediante il pagamento del canone annuo entro il 31 dicembre 2020 ovvero, nel caso che le imposte versate siano superiori alle DTA, mediante comunicazione da inviare entro la medesima data.

Poiché l'opzione è funzionale alla possibilità di continuare a trasformare DTA di “tipo 2”, qualora non venga esercitata, le DTA convertibili sono limitate a quelle di “tipo 1”, vale a dire alle DTA qualificate aventi un ammontare non superiore a quello delle imposte effettivamente versate.

L'opzione è irrevocabile e comporta l'onere di effettuare il calcolo ed eventualmente versare il canone ogni anno fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2030, secondo le stesse modalità illustrate al paragrafo 3. cui si rinvia, a conferma della volontà di continuare ad applicare (o applicare per la prima volta) le disposizioni sulla trasformazione delle DTA in crediti d'imposta.

Al comma 3 si puntualizza, in conformità al disposto del richiamato art. 11, che nell'ammontare delle attività per imposte anticipate si computano anche quelle trasformabili in crediti d'imposta ai sensi dell'art. 44-bis nonché i crediti d'imposta derivanti dalla trasformazione delle stesse.

Da più parti è stato evidenziato come l'agevolazione disciplinata all'art. 44-bis abbia presupposti e prerogative affatto diversi da quelli posti a base della ordinaria forma di trasformazione delle DTA di cui all'art. 2 del decreto-legge n. 225/2010, per concludere che l'onere di pagare il canone annuo di cui all'art. 11 del decreto-legge n. 59 del 2016 non troverebbe giustificazione con riguardo all'incentivo finanziario introdotto dal decreto n. 18 del 2020 (c.d. “cura Italia”). Si ricorda che la forma agevolativa ordinaria era stata indicata dalla Commissione europea come misura selettiva e pertanto incompatibile con il regime degli aiuti di stato, nel presupposto che il beneficio venisse riconosciuto in relazione ad imposte anticipate correlate ad oneri non ammessi momentaneamente in deduzione (svalutazione crediti, avviamento e altre attività immateriali), anche nei casi in cui le imposte anticipate non fossero state effettivamente assolte (DTA di “tipo 2”). Da qui l'onere di versare in questi casi il canone introdotto nel 2016. Con il decreto “cura Italia” si è inteso invece incentivare la cessione di crediti deteriorati mediante la trasformazione di attività per imposte anticipate che non comportano obblighi di pagamento immediato.

Argomentando dalle differenze strutturali delle due forme agevolative, non vi è dubbio che il beneficio introdotto dal decreto “cura Italianon si accompagni all'obbligo di anticipare il pagamento di imposte: la monetizzazione immediata delle DTA legate a perdite fiscale ed eccedenze ACE si pone come alternativa al fisiologico rinvio della relativa deduzione che di per sé non comporta alcuna anticipazione finanziaria. Questo tratto differenziale vale tuttavia ad accentuare il carattere premiale della conversione prevista dall'art. 44-bis ove si consideri che, mentre il regime ordinario di conversione trae argomento dalla penalizzazione che consegue al rinvio della deducibilità di determinati oneri, nel nuovo regime il beneficio della trasformazione è correlato alla emersione di perdite fiscali o eccedenze ACE, ossia a componenti legati alla indisponibilità di redditi imponibili ovvero alle ordinarie dinamiche gestionali e non necessariamente a disposizioni fiscali penalizzanti. Ciò porta a ritenere che la questione dell'aiuto di stato, già sollevata per il regime ordinario, peraltro nel solo caso in cui le imposte anticipate non siano assolte, si pone in termini più pressanti e generalizzati per il nuovo regime, rispetto al quale il pagamento delle imposte è una variabile indipendente che per ciò stesso non esclude la preoccupazione dell'aiuto di stato né, a rigore, dovrebbe escludere l'onere di pagare in ogni caso il canone annuo. La determinazione di assoggettare al regime opzionale anche le DTA trattate all'art. 44-bis trova altresì giustificazione sistematica nel fatto che l'opzione esercitata con il pagamento del canone annuale attiene alla conversione delle DTA complessivamente considerate, a prescindere dalla loro natura e dall'anno di formazione.

A voler escludere il carattere tendenzialmente selettivo, eventualmente rinvenibile nella riferibilità a determinate posizioni soggettive, il beneficio di cui all'art. 44-bis rivela tuttavia aspetti non confliggenti con la disciplina in materia di aiuti di stato ai sensi dell'art. 107, par. 2, lett. b), del TFUE, in quanto misura eccezionale e a termine, diretta ad attenuare le difficoltà finanziarie indotte dalla crisi epidemiologica da COVID-19. Sotto questo profilo la giustificazione del canone annuale appare decisamente meno solida.

Muovendo dal disposto del citato art. 11, comma 11, secondo cui “Ai fini dell'accertamento, delle sanzioni, e della riscossione del canone …nonché per il relativo contenzioso, si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi”, deve ritenersi che il canone abbia natura tributaria. La conclusione è supportata dal riferimento alla giurisdizione delle commissioni tributarie, affermata dalla norma nonostante l'obiettiva difficoltà di rinvenire in capo ai soggetti tenuti al pagamento del canone evidenti profili di capacità contributiva.

L'opzione, se non già esercitata, dovrà esserlo “entro la chiusura dell'esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti”; in tal caso, “l'opzione ha efficacia a partire dall'esercizio successivo a quello in cui ha effetto la cessione” (comma3, secondo periodo).

Al dato testuale della norma appena riportata, che di fatto rinvia all'anno 2021 la fruizione del beneficio, si contrappongono le menzionate disposizioni che limitano al 2020 l'efficacia della trasformazione, nonché la stessa la ratio del beneficio, volto a mitigare – si ritiene con immediatezza, già a decorrere dal 2020 - gli effetti dell'emergenza economico-finanziaria.

5.9 La disciplina del credito d'imposta

Il credito d'imposta può essere:

  • utilizzato in compensazione verticale oppure orizzontale nel Mod. F24 secondo i principi generali di cui all'art.17 decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza che operi il limite di 700.000 euro l'anno;
  • ceduto a terzi al valore nominale (si ritiene, anche a società dello stesso gruppo);
  • chiesto a rimborso in misura totale o parziale (anche da parte dell'impresa che lo abbia precedentemente acquistato).

Per ulteriori profili afferenti alla disciplina dei crediti risultanti dalla trasformazione si rinvia al paragrafo Modalità di utilizzo del credito d'imposta (comma 57).

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