I decreti di primavera e le novità in materia di ordinamento penitenziario: la conversione del d.l. 28/2020 e l'“abrogazione” del d.l. 29/2020

Leonardo Degl'Innocenti
06 Luglio 2020

Le polemiche sorte a causa dei provvedimenti, dei quali hanno beneficiato non pochi detenuti riconosciuti colpevoli di reati di criminalità organizzata, adottati da alcuni Uffici di sorveglianza per ragioni legate alla pandemia determinata dalla diffusione del c.d. coronavirus (o COVID-19) hanno indotto il legislatore a intervenire in senso restrittivo sulla disciplina dei permessi di necessità, della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute e del differimento di esecuzione della pena.
Premessa

Le polemiche sorte a causa dei provvedimenti, dei quali hanno beneficiato non pochi detenuti riconosciuti colpevoli di reati di criminalità organizzata, adottati da alcuni Uffici di sorveglianza per ragioni legate alla pandemia determinata dalla diffusione del c.d. coronavirus (o COVID-19) hanno indotto il legislatore a intervenire in senso restrittivo sulla disciplina dei permessi di necessità, della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute e del differimento di esecuzione della pena.

Il Governo ha infatti emanato, a breve distanza di tempo, due decreti legge: col primo (d.l. 30 aprile 2020, n.28) l'esecutivo è intervenuto sul procedimento di concessione del permesso per gravi motivi di cui all'art. 30-bis ord.penit. (art. 1, lett. a) e di concessione della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento ex art. 47-ter, comma 1-ter ord. penit. (art. 1 lett. b); col secondo (d.l. 10 maggio 2020, n. 29) è stato introdotto, limitatamente ad alcune categorie di detenuti, il procedimento di rivalutazione dei provvedimenti di concessione del differimento di esecuzione della pena o della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento ex art. 47-ter, comma 1-ter ord. penit. ed ex art. 147 c.p.

Il decreto legge n. 28 è stato convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno2020, n. 70 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 29 giugno 2020, n. 162 della Serie Generale) mentre il decreto n. 29, secondo un modus procedendi quanto meno inusuale e probabilmente non troppo rispettoso delle prerogative del Parlamento, è stato formalmente abrogato e le norme da esso introdotte sono state trasfuse nella citata legge n. 70 con la precisazione che “restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29(art. 1, comma 2 della legge n. 70 del 2020). In particolare il procedimento di rivalutazione è disciplinato dall'art. 2-bis della citata legge n. 70.

Le novità in materia di permessi per gravi motivi

Il permesso è il beneficio penitenziario che consente al detenuto di trascorrere fuori dall'Istituto di Pena un periodo di tempo che nel caso del permesso per gravi motivi (o di necessità) non comunque superare i cinque giorni.

L'art. 30 ord.penit. prevede che permesso per gravi motivipuò essere concesso in due casi:

a) quando sussiste l'imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente (comma 1);

b) quando ricorrono eventi familiari di particolare gravità (in tal caso, come precisa il comma 2 della norma, il beneficio può essere concesso “eccezionalmente”).

Dottrina e giurisprudenza concordano nell'affermare la finalità umanitaria e non trattamentale del beneficio de quo, ragione per la quale la concessione del permesso prescinde dalla gravità del reato commesso, dall'entità della pena residua da espiare in concreto e dalla pericolosità sociale del detenuto, elementi che potranno tuttavia indurre il Magistrato di sorveglianza a disporre che il detenuto sia scortato per tutto o per parte del tempo del permesso.

Ciò premesso va rilevato che l'art. 2 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28 ha integrato il testo dell'art. 30-bis ord.penit. stabilendo:

a) che se il permesso per gravi motivi (o di necessità) viene chiesto da un detenuto per taluno dei delitti indicati negli artt. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., il giudice competente (Magistrato di sorveglianza, o, per i detenuti non definitivi, l'Autorità indicata nell'art. 11 ord.penit.), prima di pronunciarsi sull'istanza deve non solo assumere le informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, ma anche chiedere al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede (precisazione aggiunta dalla legge di conversione proprio con riguardo al caso di istanze presentate da detenuti non ancora condannati in via definitiva), in ordine all'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità sociale del condannato;

b) che se la domanda di permesso è stata avanzata da detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit., il parere deve essere espresso anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;

c) che il permesso non può essere concesso prima delle ventiquattro ore dalla richiesta dei predetti pareri a meno che “ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza”.

d) che con cadenza trimestrale il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello deve essere informato dei permessi concessi e del relativo esito; inoltre, se il permessi sono stati concessi a detenuti appartenenti alle categoria indicate sub a) e b), a sua volta il Procuratore Generale deve trasmettere la predetta comunicazione, a seconda dei casi, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede e al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Come detto la modifica normativa è riferibile al solo permesso per gravi motivi di cui all'art. 30 ord.penit., ma non anche al permesso premio previsto dall'art. 30-ter che rinvia alla disciplina dettata dall'art. 30-bis solo per quanto riguarda i profili concernenti il reclamo esperibile avverso il provvedimento di concessione o di diniego del beneficio.

Il fatto che il legislatore abbia circoscritto l'ambito di applicazione della nuova norma ai soli permessi per gravi motivi suscita non poche perplessità.

In primo luogo si può osservare che la normativa introdotta dal d.l. n. 28 del 2020 nella misura in attribuisce rilievo ai fini della decisione che deve essere adotta dal Magistrato di sorveglianza (o dal giudice che procede), alla pericolosità sociale del detenuto sembra difficilmente conciliabile con la finalità umanitaria del beneficio de quo fino ad oggi pacificamente riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

In secondo luogo occorre evidenziare che il parere in ordine alla pericolosità sociale del detenuto, comunque non vincolante per il giudice, appare oggettivamente inutile nel caso di persona sottoposta al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord.penit. essendo difficilmente contestabile che proprio la perdurante sottoposizione a tale regime (c.d. carcere duro) costituisce una circostanza univocamente dimostrativa della persistente pericolosità sociale del soggetto. Non è agevole comprendere quale ulteriore elemento di valutazione in merito alla pericolosità sociale di tale categoria di detenuti possa essere offerto dal parere delle Autorità giudiziarie sopra indicate.

In ogni caso il parere dei suddetti uffici giudiziari non ha alcuna efficacia vincolante per il giudice che deve pronunciarsi sulla richiesta di concessione del beneficio, ferma restando la necessità di indicare nella motivazione del provvedimento le ragioni che inducono a disattendere il parere espresso.

Le novità in materia di detenzione domiciliare e di differimento di esecuzione della pena ex art. 147 c.p.

Con i due decreti nn. 28 e 29 del 2020 l'esecutivo è intervenuto anche sulla disciplina del differimento di esecuzione della pena e della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento.

La prima modificazione da esaminare (introdotta dall'art. 1 del d.l. n. 29, poi trasfusa nella parte finale dell'art. 2 della legge n. 70 del 2020) riguarda la revoca della detenzione domiciliare disciplinata dai commi 6 e 7 dell'art. 47-ter, ord.penit. Il comma 6, non toccato dalla novella, dispone che la detenzione domiciliare “è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura”.

Il comma 7, nel testo vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 70 del 2020, disponeva che la detenzione domiciliare “deve essere revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis.”

Il comma 1 disciplina i casi di detenzione domiciliare c.d. umanitaria così comunemente definita perché l'applicazione della misura tende a salvaguardare alcune condizioni personali o familiari del condannato (età, presenza di figli minori di dieci anni, condizioni di salute).

Il comma 1-bis riguarda la c.d. detenzione domiciliare generica che può essere concessa al condannato che deve espiare una pena non superiore nel massimo a due anni, purché non imputabile ad uno dei delitti indicati nell'art. 4-bis ord. penit., allorquando, secondo la valutazione del Giudice di sorveglianza, non ricorrono le condizioni per l'applicazione della più ampia misura dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Nei casi previsti dal comma 7 la revoca è determinata dal venir meno dei presupposti, di fatto e di diritto, che avevano giustificato la concessione del beneficio, e prescinde, quindi, dall'accertamento di una condotta imputabile al reo (c.d. revoca incolpevole) e non ha pertanto alcuna connotazione sanzionatoria, ed invero nella prassi di numerosi Tribunali di sorveglianza in casi di questo genere viene adottata una ordinanza dichiarativa della cessazione della misura alternativa proprio al fine di tener ferma, anche sul piano lessicale, la differenza rispetto alla revoca vera e propria.

Si pensi, per esemplificare, al caso in cui il figlio minore superi il decimo anno di età, oppure all'ipotesi in cui, per effetto della sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi, il quantum di pena superi i limiti di ammissibilità al beneficio (es. due anni in caso di detenzione domiciliare generica), ovvero al caso in cui il condannato abbia perso la disponibilità dell'abitazione che costituiva il luogo di esecuzione della detenzione domiciliare.

Le legge n. 70 del 2020 ha integrato il testo del comma 7 dell'art. 47-ter ord. penit. mediante il riferimento alla detenzione domiciliare sostitutiva del differimento ex art. 47-ter, comma 1-ter: per effetto di tale integrazione il testo del comma 7, da leggersi comunque in connessione con il precedente comma 6, risulta così formulato: (la detenzione domiciliare) deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1, 1-bis e 1-ter”.

L'art. 47-ter comma 1-ter ord.penit. prevede che, nei casi in cui potrebbe essere disposto il differimento di esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 (differimento obbligatorio) e 147 (differimento facoltativo) c.p., il Tribunale di sorveglianza può concedere in luogo del differimento, la detenzione domiciliare stabilendone un termine di durata e ciò anche nel caso in cui la pena da espiare supera i quattro anni (limite massimo di concedibilità della detenzione domiciliare di cui all'art 47-ter comma).

I casi di differimento obbligatorio previsti dall'art. 146 c.p. sono i seguenti:

a) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di una donna incinta;

b) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore ad un anno;

c) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di un condannato affetto da A.I.D.S. conclamata o da grave deficienza immunitaria;

d) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di un condannato che soffre di una malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative.

Il differimento facoltativo può essere disposto, ex art. 147 c.p., nei seguenti casi:

a) quando è stata presentata domanda di grazia; in questo caso l'esecuzione della pena non può essere differita per un periodo superiore a sei mesi decorrente dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, anche se la domanda di grazia è stata successivamente rinnovata;

b) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di condannato che versa in condizioni di grave infermità fisica;

c) quando la pena deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni. In questo caso il provvedimento di concessione del differimento è revocato “qualora la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell'art. 330 del codice civile, il figlio muoia, venga abbandonato o affidato ad altri che alla madre”.

L'ultimo comma della norma precisa che il beneficio non può essere concesso, o se concesso, è revocato “se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti” (viceversa questa condizione aggiuntiva concernente la pericolosità sociale del condannato non è richiesta con riguardo al differimento obbligatorio).

Mentre in caso di concessione del differimento l'esecuzione della pena viene sospesa ed il condannato torna ad essere completamente libero, in caso di applicazione della detenzione domiciliare essa prosegue in regime extra carcerario con l'obbligo per il condannato di rispettare le prescrizioni imposte dal giudice di sorveglianza.

Come evidenziato in giurisprudenza l'art. 47-ter comma 1-terha la chiara finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 c.p., s'imponeva una alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli. L'innovazione viene quindi a configurare la polifunzionalità del regime detentivo che è mirato, per un verso all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi; per altro verso ad una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità quale è quella costituita dalla detenzione domiciliare a termine, da disporsi in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione che deriverebbe dall'applicazione degli istituti di cui ai richiamati artt. 146 e 147 c.p.” (Cass. Sez. I, 7.12.1999, Saraco, in C.E.D.Cass., n. 215293).

In base al nuovo testo dell'art. 47-ter, comma 7 la revoca della misura concessa in sostituzione del differimento di esecuzione della pena può essere disposta anche nel caso in cui siano venute meno le condizioni che ne avevano giustificato l'applicazione del beneficio.

Si pensi al caso della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento applicata al condannato che versa in condizioni di grave infermità fisica (art. 147, comma 1, n.2 c.p.) qualora le condizioni di salute del medesimo siano migliorate al punto da risultare adeguatamente curabili mediante le terapie ed i trattamenti attuabili intra-moenia con conseguente superamento delle ragioni che ne avevano determinato la concessione. In questo caso la detenzione domiciliare dovrà essere revocata anche se, come detto, non si tratta di una ipotesi di revoca vera e propria (provvedimento a carattere sanzionatorio correlato a condotte imputabili al condannato quali la violazione delle prescrizioni imposte o la commissione di ulteriori reati al quale allude il comma 6 della norma), configurandosi piuttosto una ipotesi di revoca incolpevole in quanto non determinata da condotte ascrivibili al condannato ma dal venir meno delle condizioni di fatto che avevano determinato la concessione della detenzione domiciliare.

L'art. 1 del d.l. n.28 del 2020, confermato quasi integralmente dall'art. 2 della legge di conversione, ha aggiunto all'art. 47-terord. penit. il comma 1-quinquies.

La nuova norma prevede che in caso di richiesta di detenzione domiciliare sostitutiva del differimento (e non anche del differimento di esecuzione della pena ex artt. 146 e 147 c.p.) avanzata da detenuti per uno dei delitti previsti dall'art 51, comma 3-bis e 3-quater c.p.p. ovvero di detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all'art 41-bisord. penit. il Magistrato di sorveglianza (competente per le istanze di applicazione provvisoria del beneficio ai sensi dell'art 47-ter, comma 1-quater) o il Tribunale di sorveglianza (competente in via generale ai sensi dell'art 47-ter, comma 1-ter) devono chiedere, nel primo caso, il parere del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e nel secondo al Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo “in ordine alla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità sociale del soggetto”.

I pareri, che devono essere chiesti anche in caso di proroga della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento e che non hanno alcuna efficacia vincolante, devono essere resi al Magistrato di sorveglianza e al Tribunale di sorveglianza nel termine, rispettivamente, di due giorni e di quindici giorni dalla richiesta. Il giudice, monocratico o collegiale, non può provvedere prima del decorso dei predetti termini, “salvo che ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza”.

Come detto l'obbligo di richiedere il parere sussiste solo nel caso in cui il condannato ha chiesto l'applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento e non anche quando la richiesta ha per oggetto il differimento vero e proprio. Tale diversità di disciplina suscita non poche perplessità e non sembra giustificabile sotto il profilo logico-razionale se si tiene conto dei maggiori rischi che, in astratto, presenta la posizione del condannato che abbia chiesto il differimento beneficio che, come noto, comporta l'integrale rimessione in libertà dell'interessato e la conseguente assenza di qualsiasi controllo (a differenza, di quanto accade in caso di applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento - cfr. sul punto le osservazioni di G.PISTELLI, Il D.L. Giustizia è legge, pubblicato in Diritto e Giustizia il 26.06.2020).

La rivalutazione dei provvedimenti di concessione del differimento e della detenzione domiciliare

A fronte delle polemiche suscitate dai provvedimenti di concessione del differimento di esecuzione della pena o della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento adottate da alcuni Uffici di sorveglianza nei confronti di esponenti della criminalità organizzata in ragione dei rischi connessi alla pandemia determinata dalla diffusione del coronavirus il governo è intervenuto col d.l. n. 29 del 2020 introducendo l'obbligo di procedere alla rivalutazione periodica dei predetti provvedimenti.

Come detto il d.l. n. 29 è stato abrogato dalla legge n. 70 del 2020 con la quale è stato convertito il d.l. n. 28 del 2020, mentre la disciplina del procedimento di rivalutazione periodica è stata trasfusa, con qualche importante modificazione, nell'art. 2-bis della legge n. 70.

Sotto il profilo soggettivo la rivalutazione riguarda i provvedimenti di concessione del differimento o della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento adottati nei confronti:

  1. delle persone sottoposte al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit.,
  2. delle persone condannate o internate, per i seguenti delitti:

a) reati previsti dagli artt. 270 e 270-bisc.p.;

b) reati associativi di cui agli artt. 416-bis c.p. e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e s.m.i.;

c) reati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero commessi al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa;

d) reati commessi con finalità di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexiesc.p.

Sotto il profilo oggettivo occorre che tali benefici siano stati concessi “motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19”.

Si tratta di una espressione assai generica con la quale il legislatore ha inteso fare riferimento ai casi nei quali i benefici de quibus sono stati concessi a detenuti che presentavano patologie non incompatibili con l'esecuzione della pena in regime carcerario, ma che potrebbero esporre i detenuti stessi a gravi conseguenze in caso di contagio da coronavirus (si pensi, per esempio, alle patologie a carico dell'apparato respiratorio). D'altra parte in molti casi i provvedimenti di concessione del differimento o della detenzione domiciliare sono stati emessi considerando il pericolo di contagio da coronavirus in termini astratti, vale a dire senza che fosse stato preventivamente accertato che nell'Istituto di Pena ove si trovava ristretto il detenuto risultasse la presenza di soggetti affetti da tale malattia.

In presenza di tali condizioni (beneficio concesso per motivi legati all'emergenza sanitaria a condannati o internati per i delitti sopra indicati ovvero sottoposti al regime differenziato) il Giudice di sorveglianza, monocratico o collegiale, che ha adottato il provvedimento “valuta la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile”.

In caso di cumulo materiale o giuridico comprendente una o più pene inflitte per uno dei delitti sopra indicati è dubbio se il Giudice sia tenuto a procedere alla rivalutazione anche nell'ipotesi in cui il condannato abbia interamente espiato la quota di pena imputabile ai predetti delitti. Sembra preferibile la soluzione positiva: la pericolosità sociale (della quale la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata costituisce il profilo qualificante) del condannato può infatti permanere anche a prescindere dal dato, meramente formale, dell'avvenuta espiazione della quota di pena imputabile ai delitti de quibus. Nel caso di specie, inoltre, la norma fa testuale riferimento ai soggetti condannati per uno dei ricordati delitti.

Prima di provvedere in ordine alla rivalutazione, il Giudice di sorveglianza deve:

a) acquisire il parere del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, se trattasi di detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bisord. penit.;

b) sentire l'Autorità sanitaria regionale (regione che pare debba individuarsi in quella ove era precedentemente detenuto il condannato), in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale.;

c) acquisire dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria “informazioni in ordine all'eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta” nei quali il condannato, già ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento di esecuzione della pena, può riprendere l'espiazione della pena, o l'internamento, “senza pregiudizio le sue condizioni di salute”.

In forza della norma transitoria di cui al comma 5 dell'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020 queste disposizioni si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di concessione del differimento della pena, adottati successivamente al 23 febbraio 2020.

Riguardo alla nuova normativa occorre osservare:

a) che i delitti per i quali l'art. 2-bis prevede la rivalutazione non coincidono con i delitti per i quali l'art 2 del d.l. n. 28 del 2020 (e l'art. 2 della legge di conversione n. 70 del 2020) prevede l'acquisizione da parte del Giudice di sorveglianza del parere Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ai fini della decisione sull'istanza di applicazione della domiciliare sostitutiva del differimento.

Come detto il parere deve essere richiesto quando la domanda volta ad ottenere detto beneficio (solo la detenzione domiciliare e non anche il differimento) è stata presentata da detenuti per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, commi 3-bis e3-ter c.p.p. (oltre che da detenuti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bisord. penit., categoria richiamata anche dall'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020).

b) per quanto riguarda la competenza a procedere alla rivalutazione occorre distinguere in funzione del Giudice che ha adottato il provvedimento di concessione del beneficio.

Al riguardo occorre tener presente che, di norma, la richiesta di concessione della detenzione domiciliare o del differimento, viene presentata al Magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'Istituto di Pena nel quale il condannato si trova ristretto: l'art. 47-ter comma 1-quaterord. penit. attribuisce infatti al Magistrato il potere di disporre l'applicazione provvisoria del beneficio. Una volta pronunciatosi sull'istanza, quindi anche nel caso in cui sia stata adottata una decisione di rigetto, il Giudice deve trasmettere gli atti al Tribunale al quale spetta la competenza ad adottare la decisione definitiva in merito alla concessione o al diniego del beneficio.

D'altra parte può anche accadere che il detenuto abbia rivolto la domanda direttamente al Tribunale, senza aver preventivamente richiesto al Magistrato di sorveglianza l'applicazione provvisoria.

Tanto premesso si possono presentare le seguenti ipotesi:

b1) il Tribunale ha già adottato il provvedimento di applicazione della detenzione domiciliare o del differimento: in questo caso la rivalutazione deve essere effettuata dallo stesso Tribunale che ha emesso il provvedimento, e non dal Tribunale di sorveglianza da individuarsi in base al luogo in cui il condannato è stato ammesso ad espiare la pena in regime di detenzione domiciliare ovvero, in caso di differimento, in base al luogo in cui il condannato ha la residenza o il domicilio. Il Tribunale, acquisito il parere e le informazioni indicate dall'art. 2-bis commi 1 e 2 della legge n. 70 del 2020 decide, all'esito del procedimento in contraddittorio, con ordinanza impugnabile con ricorso per Cassazione (sul punto vedi infra);

b2) il Magistrato di sorveglianza in accoglimento dell'istanza del detenuto ha disposto l'applicazione provvisoria del beneficio ed il Tribunale, al quale, come detto, devono essere trasmessi gli atti, non si è ancora pronunciato in via definitiva: in questo caso la rivalutazione deve essere effettuata dallo stesso Magistrato che ha adottato il provvedimento.

Il Magistrato, acquisite le informazioni previste dalle norme sopra richiamate, decide con decreto non impugnabile che, unitamente ai pareri ed alle informazioni acquisite, deve essere trasmesso al Tribunale: gli atti del procedimento monocratico confluiranno pertanto nel fascicolo del procedimento che si è instaurato davanti al Tribunale (art. 2-bis, comma 4 della legge n. 70 del 2020).

Nel caso in cui il Magistrato di sorveglianza decida di revocare il differimento o la detenzione domiciliare concessi in via provvisoria (decisione che comporta il nuovo ingresso in carcere del condannato), il Tribunale deve pronunciarsi sulla applicazione dei benefici nel termine di trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, trattasi di un termine perentorio nel senso che il mancato rispetto comporta l'inefficacia del provvedimento (art. 2-bis, comma 4 della legge n. 70 del 2020 che sul punto ha modificato la disciplina introdotta dal d.l. n. 29 del 2020) e la conseguente liberazione del condannato.

Il legislatore ha così richiamato la disciplina prevista dall'art. 51-terord. penit. in materia di sospensione (provvedimento di competenza del Magistrato di sorveglianza) e revoca (decisione di competenza del Tribunale) delle misure alternative alla detenzione, anche se nel caso di specie, non sembra configurabile un caso di revoca vera e propria (sul punto vedi infra).

Occorre infine tener presente che per i provvedimenti di revoca adottati dal Magistrato di sorveglianza alla data di entrata in vigore della legge n. 70 del 2020 (26 giugno 2020) il termine di trenta giorni decorre dalla data di entrata in vigore della medesima legge (art. 2-bis, comma 5 della legge n. 70 del 2020).

Tanto il Giudice monocratico quanto quello collegiale devono procedere alla prima rivalutazione nel termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente con cadenza mensile.

La nuova normativa introduce pertanto una deroga alla disciplina dettata in via generale dall'art. 47-ter, comma 1-terord. penit. in forza del quale il Tribunale nel provvedimento di applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento deve indicare il termine di durata del beneficio.

Il termine di quindici giorni previsto per la prima rivalutazione appare assai problematico da rispettare nel caso i benefici de quibus siano stati concessi direttamente dal Tribunale ove si ritenga che la decisione debba essere adottata dopo la preventiva instaurazione del contraddittorio con la conseguente necessità di assicurare la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza al condannato ed al suo difensore almeno dieci giorni prima della data dell'udienza. Ed invero sembra difficile prescindere dal ricorso al procedimento in contraddittorio se si tiene conto del fatto che la rivalutazione può sfociare nella revoca del beneficio con conseguente reingresso in carcere del condannato e ciò si verificherebbe senza che quest'ultimo sia stato messo in condizione di interloquire su una decisione destinata ad incidere su beni giuridici di fondamentale rilievo quali la libertà personale ed il diritto alla salute. La diversa soluzione risulterebbe pertanto oggettivamente incompatibile con l'art. 24 della Costituzione.

Deve viceversa ritenersi che il Magistrato sia legittimato a procedere alla rivalutazione de plano: il provvedimento emesso dal Giudice monocratico presenta infatti carattere interlocutorio e provvisorio in quanto è sempre destinato ad essere riesaminato dal Tribunale (come detto nel termine di trenta giorni nel caso in cui il giudice monocratico abbia disposto la revoca) al quale spetta la competenza ad adottare la decisione definitiva che, come detto, deve essere emessa all'esito del procedimento in contraddittorio.

In ogni caso gli stringenti termini entro i quali deve essere effettuata la rivalutazione rendono problematici eventuali approfondimenti istruttori come l'esperimento di una perizia sulle condizioni di salute del carcere di (cfr. sul punto G. PISTELLI, op.cit.). Occorre infatti rammentare che ai fini della valutazione delle condizioni di salute del condannato il giudice deve utilizzare in primo luogo la documentazione medica trasmessa dal Servizio sanitario penitenziario. Se tale documentazione attesta l'incompatibilità delle condizioni di salute del condannato con il regime carcerario, il giudice deve, in linea di principio, accogliere l'istanza di differimento (o di detenzione domiciliare), mentre se non ritenga di provvedere in tal senso ha l'obbligo di disporre una perizia (Cass. 29 novembre 2016, n. 54448, Morelli, in C.E.D. Cass. n. 269200; Cass. Sez. I 26 settembre 2019, n. 47868, Paiano, n.m.; Cass Sez.I, 16 maggio 209, n. 39798, Dimarco, in C.E.D. Cass. n. 276948 così massimata: “il giudice che, in presenza di dati o documentazioni clinica attestanti l'incompatibilità tra le condizioni di salute del condannato col regime carcerario, ritenga di non accogliere l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena o della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve basarsi su dati tecnici concreti disponendo gli accertamenti medici necessari e, all'occorrenza, nominando un perito”).

La rivalutazione del provvedimento di concessione del differimento o della detenzione domiciliare è finalizzata a verificare “se permangono i motivi che hanno giustificato l'adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, nonché la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell'internato” (art. 2-bis, comma 3 delle legge n. 70 del 2020) e può sfociare nella proroga del beneficio (in tal caso si dovrà procedere ad una nuova rivalutazione nei termini indicati dall'art. 2-bis, comma 1) oppure alla revoca dello stesso.

In questo secondo caso il condannato sarà nuovamente tradotto in un Istituto di Pena (l'art. 2-bis, comma 3 definisce il provvedimento di revoca “immediatamente esecutivo”).

Occorre tuttavia precisare che nel caso di specie sembra configurabile un ipotesi di “revoca incolpevole” in quanto non determinata da condotte censurabili poste in essere dal condannato (violazione delle prescrizioni o commissione di ulteriori reati), ma dal venir meno delle condizioni di fatto che avevano determinato la concessione del differimento o della detenzione domiciliare (come detto, nella prassi di molti Tribunali di sorveglianza la “revoca incolpevole” viene qualificata come cessazione proprio al fine di tenere distinte, anche sul piano lessicale, le due ipotesi).

Occorre infine segnalare che nulla vieta che i pareri e le informazioni previste dall'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020 possano essere acquisite dal giudice, monocratico o collegiale, chiamato a pronunciarsi per la prima volta sulla richiesta di applicazione provvisoria del beneficio. D'altra parte costituisce ius receptum la regola secondo la quale il Giudice di sorveglianza chiamato a decidere sulla concessione del differimento di esecuzione della pena o della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve sempre verificare se le patologie di cui soffre il condannato sono adeguatamente curabili mediante le terapie e i trattamenti attuabili intra moenia, ovvero mediante il trasferimento del detenuto in un centro clinico dell'Amministrazione penitenziaria o, infine, in un luogo di cura esterno ex art. 11 ord. penit.

La modifica della disciplina in materia di corrispondenza telefonica

Da ultimo occorre segnalare che con la legge n. 70 del 2020 (art. 2-quinquies) è stata modificata la disciplina in materia di corrispondenza telefonica detta dall'art. 39 del d.P.R. n. 230 del 2000 (c.d. Regolamento penitenziario).

Rammentato che l'art. 18, comma 1 della legge penitenziaria stabilisce che il detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone alche al fine di compiere atti giuridici, e che l'art. 39, comma 1 del d.P.R. n. 230 del 2000 attribuisce la competenza ad autorizzare la corrispondenza telefonica al Direttore dell'Istituto di Pena, va osservato che il nuovo testo dell'art. 39, comma 3 del d.P.R. cit. prevede che l'autorizzazione alla corrispondenza telefonica può essere concessa oltre i limiti stabiliti dal comma 2 (una volta alla settimana) nei seguenti casi:

  • in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza;
  • in caso di trasferimento del detenuto.

Inoltre la norma prevede il detenuto può essere autorizzato ad effettuare una telefonata al giorno se la stessa si svolge:

  • con i figli minori, o maggiorenni portatori di disabilità grave;
  • con il coniuge, con l'altra parte dell'unione civile, con il convivente o con la persona legata al detenuto da una stabile relazione affettiva; con i genitori ed i fratelli qualora tali soggetti siano ricoverati presso strutture ospedaliere.

Occorre tuttavia tener presente che tali norme non si applicano ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit.; mentre con riguardo ai detenuti per uno dei delitti indicati nell'art. 4-bis, comma 1 ord. penit. l'autorizzazione alla corrispondenza telefonica non può essere concessa più di una volta a settimana.

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