In realtà, si osserva, il tema è stato oggetto anche di altre decisioni, nelle quali si è sottolineata la funzione propria della misura del sequestro conservativo, finalizzata a «salvaguardare la garanzia patrimoniale nei confronti di un soggetto che non viene arbitrariamente spogliato dei propri beni e ciò in quanto si assume che lo stesso abbia cagionato ad altri soggetti danni tali da rendere già insufficiente il proprio intero patrimonio. Il sacrificio del suo diritto di proprietà trova pertanto concreta ed adeguata giustificazione» (così in motivazione Sez. V, n. 7580 del 15/01/2019, Zigliotto Giuseppe, non massimata sul punto).
Si è pure precisato che il periculum in mora è dato dal pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, che è insito nella insufficienza del patrimonio dell'obbligato, valutata in relazione all'entità delle pretese risarcitorie, sicché non occorre che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento ad opera del debitore.
Risulta , dunque, superflua l'indagine sulla "intenzione" dell'imputato e, si evidenzia, tale «impostazione non confligge con nessuna norma costituzionale, atteso che , la Costituzione, insieme alla proprietà, tutela il credito.
Pertanto, il bilanciamento tra i due diritti rientra nei compiti esclusivi del legislatore e , nel caso di specie, il legislatore, prescinde dall'atteggiamento del debitore avendo riguardo, esclusivamente, al pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale (che può derivare anche da fatti accidentali, o non collegati all'azione del debitore)» (così in motivazione Cass. pen., Sez. V, n. 12804 del 15/01/2019, Vigolo Matteo Mario, non massimata sul punto).
Così definito il bilanciamento tra i diritti costituzionali della proprietà (anche per i riflessi che ha sul diritto alla vita privata, nei termini evocati dalla difesa in sede di discussione) e della tutela del credito deve quindi, ritenersi coerente la interpretazione dell'art. 316 c.p.p. ancorata all'apprezzamento della sussistenza del periculum in mora e correlato al "rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore" (Cass. pe., Sez. Unite, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito).
Punto cruciale nell'individuazione del periculum in mora è, dunque, il credito nei confronti dell'imputato e, di conseguenza, per l'adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni di cui all'art. 316, commi 1 e 2, c.p.p., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore.
L'interpretazione del disposto normativo di cui all'art. 316 c.p.p. sostenuta dalle Sezioni Unite risulta, inoltre, anche conforme alle garanzie del "diritto di proprietà" riconosciute dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
La scelta del legislatore nazionale di valorizzare la tutela del credito rispetto al "diritto di proprietà", prevedendo nell'art. 316 c.p.p. che il periculum in mora ricorra in tutti i casi in cui sussista un oggettivo rischio che, all'esito del processo, la garanzia dell'obbligazione non possa trovare soddisfazione in ragione della oggettiva insufficienza del patrimonio del debitore, non essendo altresì necessaria una valutazione di tipo soggettivo in ordine alla condotta del debitore, risulta , infatti, coerente e conforme alla CEDU ed alla interpretazione giurisprudenziale fattane dalla Corte Europea di Strasburgo.
Infatti, osserva la V Sezione, il diritto di proprietà - quale diritto economico costituente "una condizione per l'indipendenza personale e familiare" (lavori preparatori del primo Protocollo addizionale CEDU) - ha trovato una espressa collocazione normativa nell'art. 1 del Primo Protocollo allegato alla Convenzione (sostanzialmente riprodotto nella disposizione di cui all'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
L'effettiva portata applicativa di tale disposizione è stata definita progressivamente mediante una serie di pronunce interpretative della Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha individuato nella previsione normativa in esame tre distinte angolazioni della disciplina della proprietà privata.
In particolare, la prima (racchiusa nella proposizione di apertura del primo paragrafo) enuncia il generale principio del riconoscimento del diritto di proprietà privata.
La seconda (espressa nella successiva proposizione del primo paragrafo) indica le condizioni in presenza delle quali l'espropriazione per pubblica utilità può considerarsi legittima.
Infine, con la terza (secondo paragrafo) si riconosce il potere degli Stati di disciplinare l'uso dei beni in conformità all'interesse generale o al fine di assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende (Corte EDU, Chinnici c. Italia, 14 aprile 2015; Corte EDU, Perdigao c. Portogallo, 16 novembre 2011; Corte EDU, Draon c. Francia, 6 ottobre 2005; Corte EDU, Beyeler c. Italia, 5 gennaio 2000; Corte EDU, Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982).
Con riferimento alle differenti espressioni di "pubblica utilità" e "interesse generale" - utilizzate, rispettivamente, nel primo e nel secondo paragrafo della disposizione in parola -, la Corte ha evidenziato l'intenzione del legislatore Europeo di differenziarne il contenuto normativo, rimettendolo alla discrezionalità dei singoli Stati, in virtù della teoria del c.d. "margine di apprezzamento statale" (Corte EDU, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986), in ragione del fatto che la definizione dell'esatto contenuto della nozione di "pubblica utilità" richiede necessariamente l'esame di questioni politiche, economiche e sociali, rimesso all'insindacabile - purché rispettoso di limiti di ragionevolezza - apprezzamento del legislatore nazionale.
Di conseguenza, con la disposizione di cui all'art. 1, comma 2 Protocollo addizionale, la Convenzione riconosce la facoltà dei singoli Stati di prevedere delle delimitazioni del diritto di proprietà, sempre che le stesse si pongano nei limiti imposti dalla legge e risultino necessarie al soddisfacimento degli interessi di uno Stato di diritto.
Si tratta di una espressa riserva di legge formale, che subordina la previsione di misure finalizzate alla soppressione o restrizione della proprietà privata alla sussistenza, rispettivamente, di un pubblico interesse e di un interesse generale.
Ne consegue che, anche alla luce della disciplina convenzionale, può ritenersi legittima la scelta del legislatore nazionale di valorizzare rispetto al "diritto di proprietà" la tutela del credito, prevedendo nell'art. 316 c.p.p. che il periculum in mora ricorra in tutti i casi in cui sussista un oggettivo rischio che, all'esito del processo, la garanzia dell'obbligazione non possa trovare soddisfazione in ragione della oggettiva insufficienza del patrimonio del debitore, non essendo altresì necessaria una valutazione di tipo soggettivo in ordine alla condotta del debitore.
Rilevata anche la conformità sovranazionale dell'interpretazione qui riaffermata, la V Sezione, mediante una analisi complessiva dei diversi profili attraverso cui si articola la disciplina penalistica del sequestro conservativo, giunge, dunque, a confutare le critiche sollevate dalla difesa in relazione alla ritenuta incostituzionalità della opzione interpretativa avallata anche dopo l'intervento delle Sezioni Unite Zambito.
Si osserva, infatti, e quanto al momento della adozione della misura cautelare applicata, che il sequestro conservativo viene adottato con l'avvenuto esercizio dell'azione penale e, di conseguenza, il fumus richiesto per tale specie di sequestro, ossia il probabile fondamento dell'accusa, risulta di maggior consistenza rispetto a quello sufficiente alla adozione del sequestro preventivo.
A riguardo, si è, invero, osservato in giurisprudenza che, da un lato, la mancanza di un'incisiva valutazione prognostica sulla responsabilità dell'imputato, in sede di applicazione della misura del sequestro conservativo e, dall'altro, la riconoscibilità, a fondamento della decisione di rinvio a giudizio, di una valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori svolta, implicitamente, nella prospettiva della probabilità di colpevolezza dell'imputato, rendono questa seconda valutazione del tutto idonea ad integrare l'apprezzamento relativo al fumus commissi delicti necessario all'adozione della misura reale.
Tale conformazione si ripercuote anche sulle modalità operative degli strumenti di tutela attivabili dall'imputato.
Infatti, in sede di riesame del provvedimento che dispone la misura cautelare reale, l'emissione di un decreto di citazione diretta a giudizio degli interessati, a differenza del decreto di emissione di un decreto di rinvio a giudizio, non preclude la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti perché non vi è una preventiva verifica giurisdizionale sulla fondatezza dell'azione penale esercitata (Cass. Sez. III, n. 13509 del 10/02/2016, Zecconi, Rv. 266762).
Ciò si spiega con il fatto che solo nel caso in cui sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio la ratio della preclusione è «collegata all'intervento di una valutazione del giudice dell'udienza preliminare di idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, che reca in sé una positiva delibazione di sussistenza dell'ipotizzata fattispecie di reato, più intensa della mera valutazione sommaria compiuta in sede di emissione della misura cautelare» (Cass. Sez. V, n. 51147 del 02/10/2014, Figari, Rv. 261906, che ha precisato come la preclusione non operi rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio, che tale valutazione non reca, trattandosi di atto della pubblica accusa).
Si è, inoltre, evidenziato che l'adozione della misura non risulta influenzata dalla semplice domanda della parte civile, la quale non si traduce nella nascita di nessun automatismo, e che non può desumersi nessuna violazione del principio costituzionale di parità tra le parti sotto il profilo del diritto alla prova.
In particolare, si osserva che, soprattutto in presenza di istanze risarcitorie per importi molto consistenti, il sequestro conservativo viene modulato dai principi di proporzionalità e di adeguatezza alla cui verifica non si sottrae.
In tale ottica, dunque, si è rilevato che il principio di proporzionalità, con riferimento ai sequestri (non solo cautelari), implica un bilanciamento tra l'interesse alla cui tutela è indirizzato l'intervento provvisoriamente ablativo e quello del soggetto nei cui confronti detto intervento è adottato.
Nel caso del sequestro conservativo, l'interesse sotteso attiene alle esigenze di tutela dal «rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore» (Cass.Sez. Unite, n. 51660 del 2014, Zambito, cit.) e tale rischio deve essere apprezzato in relazione a concreti e specifici elementi riguardanti, prima di tutto, l'entità del credito stesso e la natura del bene oggetto di sequestro (Cass., Sez. VI, n. 20923 del 15/03/2012, Lombardi, Rv. 252865).
Per tale motivo, si evidenzia che, nell'individuazione del periculum in mora, il punto centrale è il credito nei confronti dell'imputato.
A riguardo, si è precisato in giurisprudenza (cfr. per tutte, Cass. Sez. V, n. 16750 del 30/03/2016, Barberini, Rv. 266702), il sequestro conservativo è legittimo anche quando l'importo del credito sia determinabile con un apprezzamento che, pur approssimativo, è, tuttavia, ancorato a dati oggettivi e ad argomenti sviluppati in termini idonei a rendere comprensibile il ragionamento del giudice.
Ciò si spiega con il fatto che la quantificazione indicativa dell'importo del credito è indispensabile per la verifica della proporzionalità della misura, oltre che dell'idoneità dell'eventuale cauzione offerta e della sussistenza del pericolo di dispersione (cfr. Cass. Sez. VI, n. 14065 del 07/01/2015, Baldetti, Rv. 262951).
In tale ambito, è compito del giudice valutare che il vincolo sia mantenuto nei limiti in cui la legge lo consente e verificare la ragionevole proporzionalità fra crediti da garantire ed ammontare del debito, fermo restando che spetta all'interessato che denunci la sproporzione dare la prova del proprio assunto (Cass.Sez. II, n. 46626 del 20/11/2009, Melis, Rv. 245466).
Né, come anticipato, risulta fondata la dedotta violazione del principio costituzionale di parità tra le parti sotto il profilo del diritto alla prova.
A fronte di una richiesta della parte civile che deve essere comunque corredata da elementi che permettano al giudice di valutare la non manifesta infondatezza della domanda risarcitoria, spetta all'interessato denunziare (e provare) la sproporzione.
Ciò in quanto, tale requisito garantisce il rispetto dei principi di necessità, adeguatezza e proporzionalità applicabili anche alle misure cautelari reali (Cass. Sez. VI, n. 44899 del 09/07/2019, Schettini Chiara, Rv. 27767901).
La Corte ha , infine, chiarito che proprio perché la ratio della disciplina codicistica risiede nella «assorbente e ragionevole esigenza di assicurare ogni più ampia garanzia alle istanze creditorie vantate da soggetti aggrediti da illeciti altrui, in ipotesi pregiudicati dall'eventuale ricorso di indici di rischio obiettivamente connessi alle concrete condizioni economiche dell'autore dell'illecito» (così in motivazione Cass. Sez. IV, n. 44809 del 22/10/2013, Gianferrini), l'irrilevanza del comportamento dell'imputato non risulta violare i principi costituzionali sotto il diverso profilo dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ai sensi dell'art. 3 Cost., e, dunque, non introduce una discriminazione tra debitori, in ragione delle relative condizioni economiche.