Il socio può contestare sia la pretesa avanzata nei confronti della società sia la presunzione di distribuzione dei maggiori utili extracontabili a suo favore

Enrico Felli
Matteo Lorenzo Manfredi
16 Luglio 2020

Il contributo ha ad oggetto, in particolare, la possibilità del socio destinatario di un autonomo avviso di accertamento - con cui gli viene attribuito un maggior reddito di partecipazione - di contestare, con l'impugnativa del proprio accertamento, sia i presupposti in forza dei quale l'ente impositore ha emesso l'avviso di accertamento in capo alla società, anche qualora lo stesso sia divenuto definitivo per mancata impugnazione dello stesso nei termini tassativamente previsti, sia la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili a proprio favore.
Inquadramento generale

Nel caso di accertamenti fiscali a carico di società di capitali, in linea generale, destinatarie dei relativi atti impositivi sono le medesime società in persona del legale rappresentante pro tempore, che ne rispondono con il loro patrimonio e nei limiti dello stesso.

Detto principio, negli ultimi anni, sembra soffrire diverse eccezioni (si pensi ad esempio al caso delle responsabilità degli Amministratori, soci e liquidatori ex art 36 d.P.R. n. 602/1973) come nel caso – oggetto del presente contributo – degli accertamenti fiscali emessi a carico di soci di società con ristretta base societaria.

In tale ipotesi, infatti, al pari di quanto accade nelle società di persone, ove l'Amministrazione finanziaria imputerà i maggiori utili accertati in capo alla società direttamente in capo ai soci, l'ente impositore provvede dapprima ad emettere un avviso di accertamento a carico della società e, parallelamente, tanti avvisi di accertamento a carico dei relativi soci con partecipazioni qualificate, in ragione della loro quota di partecipazione alla stessa.

Si pone quindi il problema di verificare quali strumenti ha a disposizione il socio di una società di capitali al fine di reagire alla pretesa erariale ritenuta illegittima, ovvero, se quest'ultimo – con l'impugnativa del proprio atto - possa contestare la legittimità e fondatezza dell'avviso di accertamento emesso a carico della società o se, come sostenuto da parte della giurisprudenza, debba limitarsi a contestare i motivi in forza dei quali l'Ufficio ha emesso l'avviso di accertamento a suo carico.

Società di capitali a ristretta base societaria e accertamenti fiscali in capo ai singoli soci

Come sopra brevemente illustrato nel caso di società di capitali a ristretta base societaria l'Amministrazione finanziaria procede – una volta accertato un maggior reddito in capo all'ente – ad attribuire direttamente in capo al singolo socio ed in base della sua quota di partecipazione nella stessa i maggiori utili extracontabili accertati operando, in altre parole, come nel diverso caso delle società di persone ove i redditi vengo imputati per trasparenza direttamente in capo ai soci, prassi che ha portato alcuni autorevoli commentatori a parlare, in simili ipotesi, di “trasparenza per presunzione” (F. Rasi, La 'trasparenza per presunzione' delle società a ristretta base proprietaria: l'attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, in Riv. Trim. Dir. Trib. 1/2013, 120) ovvero di “trasparenza impropria” (D. Deotto, “Avvisi alle Srl a base ristretta: trasparenza impropria per i soci” in Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2020).

L'Amministrazione finanziaria – tutt'ora e salva la limitazione prevista dalla legge finanziaria 2018, di cui infra – procederà dunque alla notifica di un avviso di accertamento a carico della società (che fungerà da atto presupposto) nonché alla notifica di tanti avvisi quanti sono i singoli soci della stessa che detengono una partecipazione qualificata.

L'Amministrazione finanziaria, invece, per i soci che detengono partecipazioni non qualificate procederà, secondo quanto disposto dagli artt. 44 e 47 del TUIR, al recupero a tassazione mediante applicazione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 26% degli utili stessi, ex art. 27 del d.P.R. n. 600/1973, direttamente in capo alla società.

Come sopra indicato tale prassi dovrebbe trovare una limitazione per gli avvisi di accertamento relativi agli anni d'imposta 2018 e successivi atteso che il Legislatore, con la legge finanziaria 2018 (Legge 205/2017), ha previsto che anche per i titolari di partecipazioni qualificate si applichi la ritenuta alla fonte a titolo d'imposta del 26% già prevista – per i periodi d'imposta anteriori - per i titolari di partecipazioni non qualificate.

L'Amministrazione finanziaria dunque per gli anni d'imposta successivi al 2018 non procederà più all'emissione di un avviso di accertamento in capo ai soci titolari di partecipazione qualificate, ma procederà direttamente nei confronti della società.

Tuttavia, come correttamente osservato in dottrina, tale modifica non eliminerà il rischio dei soci titolari di partecipazioni qualificate, sostituiti, di essere coinvolti nella riscossione delle ritenute non versate dalla società ex art. 35 d.P.R. n. 602/1973 (G. Consolo, La presunzione giurisprudenziale di distribuzione di utili occulti, nelle società a ristretta base sociale, alla luce del nuovo regime di tassazione dei dividendi per le persone fisiche non imprenditori, in Riv. Trim. Dir. Trib., Marzo 2019) a mente del quale “quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sopratasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido”.

Inoltre, ad avviso di chi scrive, tale modifica comprimerà ulteriormente il diritto di difesa dei soci i quali potrebbero venire a conoscenza di pretese erariali nei loro confronti solo in fase esecutiva, senza aver preso parte alla fase di accertamento dei maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società ed imputati, “per trasparenza”, in capo ai medesimi.

Presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in capo ai singoli soci

L'Amministrazione finanziaria in tali casi agisce sulla base della presunzione giurisprudenziale (poiché non prevista da nessuna disposizione di legge) secondo cui in caso di società, seppur di capitali, ma a ristretta base societaria è lecito presumere che i maggiori utili non contabilizzati siano stati distribuiti tra i soci.

In giurisprudenza si è ormai fatto largo il principio secondo cui gli utili extracontabili si presumono distribuiti ai soci in ragione della “complicità” che dovrebbe (secondo la tesi giurisprudenziale) contraddistinguere tali società, attesala - pur sempre presunta - maggior conoscibilità degli affari societari da parte dei singoli soci (così, ex pluribus, Cass. n. 21415/2017, Cass. n 15334/2013, Cass. n. 19013/2016).

La giurisprudenza sostiene, altresì, che – in tali casi – non ricorre la violazione del divieto di doppia presunzione, inammissibile ex art 2727 c.c., in quanto il fatto noto non sarebbe costituito dalla sussistenza di maggiori utili extracontabili bensì dalla ristrettezza della base sociale, anche laddove tra i soci non ricorrano rapporti familiari, atteso che dalla ristrettezza della base sociale discende un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi.

Possibilità del socio destinatario di un avviso di accertamento di contestare la pretesa avanzata nei confronti della società

In tema quindi di accertamento dei redditi di partecipazione in capo ai singoli soci di società di capitali, l'indipendenza dei relativi accertamenti ed eventuali giudizi, non ricorrendo - per giurisprudenza costante (ex multis, si veda Cass., Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15876) - un'ipotesi di litisconsorzio necessario (come nel caso di società di persone), si ritiene consenta al singolo di contestare non solo la presunzione di distribuzione al medesimo dei maggiori ricavi accertati e (sovente) l'erroneità nella determinazione di tale maggior reddito (gli Uffici imputano per trasparenza il maggior reddito accertato in capo ai singoli soci laddove, a contrario, dovrebbero applicare l'art. 47 TUIR), ma anche l'accertamento emesso a carico della società, in ordine a ricavi non contabilizzati.

In altre parole il singolo socio potrà contestare sia l'an sia il quantum dei maggiori ricavi accertati in capo alla società, da cui discende il reddito di partecipazione imputato (nella maggior parte dei casi “per trasparenza”) al medesimo in base alla sua quota di partecipazione nella società.

La Suprema Corte, in siffatta ipotesi, ha – in più occasioni – precisato che “costituendo il valido accertamento, a carico della società, in ordire ai ricavi non contabilizzati, soltanto il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi, resta salva per il socio, il quale abbia separatamente impugnato l'accertamento a lui notificato, relativo al reddito da partecipazione, senza avere preso parte, o essere messo in grado di farlo, al processo instaurato dalla società al fine di impugnazione dell'accertamento (…), la facoltà di contestare – oltre la presunzione di distribuzione dei maggiori utili sociali – anche la ricorrenza di tale presupposto” (Cass., ex pluribus, ordinanza 27 settembre 2016 n. 19013).

In detta sentenza la Cassazione ha inoltre precisato, richiamati precedenti conformi (Cass. n. 19606/2006; Cass. n. 21356/2009; Cass. n. 17966/2013), che “la decisione presa in relazione all'accertamento del maggiore reddito della società di capitali non può svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio, nel giudizio di impugnazione dell'atto impositivo concernente il maggior reddito da partecipazione, e che il giudice di merito non può limitarsi ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza pronunciata nei confronti, della società”.

Detti principi sono stati ripresi anche dalle Corti di merito che hanno annullato gli avvisi di accertamento emessi a carico dei soci in accoglimento dei motivi di ricorso svolti dagli stessi avverso l'atto emesso a carico della società (così, ex multis, si veda la recente sentenza della CTP di Pordenone, sentenza 97/01/19, depositata il 21 novembre 2019).

Per completezza occorre osservare che non mancano sentenze di segno contrario, in particolare si segnala la recente sentenza della Corte di Cassazione, 18 febbraio 2020, n. 3980, secondo la quale tenuto conto che i soci – ai sensi dell'art. 2261 c.c. – “hanno il potere di consultare la documentazione della società; di prendere visione degli avvisi di accertamento degli atti accertativi emessi nei confronti di quest'ultima e degli eventuali documenti giustificativi in possesso della medesima; di prendere parte attiva agli accertamenti esperiti nei confronti della società, al fine di contrastarli”, una volta ricevuto un avviso di accertamento con cui gli vengono accertati maggiori redditi di partecipazione, “non possono dolersi della circostanza che l'accertamento emesso nei confronti della società sia divenuto definitivo e non possono riproporre doglianze riferibili all'accertamento emesso nei confronti di quest'ultima ed ormai divenuto definitivo”.

La tesi della Cassazione, a sommesso parere degli scriventi, non convince sia perché il socio non può autonomamente impugnare l'avviso di accertamento emesso a carico della società e potrebbe essere ostacolato, in tal senso, dall'organo amministrativo e dagli altri soci, sia perché il socio al momento della notifica dell'avviso di accertamento (fattispecie tutt'altro che infrequente) potrebbe non aver più tale qualifica e, conseguentemente, non essere nella condizione di poter accedere ai documenti societari né di essere a conoscenza degli atti notificati alla società.

Prova contraria del socio sulla distribuzione dei maggiori utili extracontabili

Fermo quanto sopra esposto il socio potrà contestare – in ogni caso - la mancata distribuzione degli utili extracontabili a suo favore, con conseguente ribaltamento dell'onere della prova contraria a carico dell'Ente impositore.

La Corte di Cassazione, in proposito, con l'ordinanza 20 gennaio 2016, n. 923 ha precisato che nel caso in cui il contribuente produca documenti atti a comprovare la mancata distribuzione degli asseriti maggiori utili ai soci, sconfessando l'assunto dell'Ufficio, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di rispondere, introducendo “elementi positivi di dimostrazione dell'avvenuta distribuzione (ulteriori, ovviamente, rispetto alla presunzione)”, in mancanza dei quali il recupero a tassazione dell'Ufficio dovrà essere disatteso.

Sempre la Suprema Corte, nella sentenza 14 maggio 2009 n. 14046, ha statuito che “deve ritenersi apodittica ed apparente, e di conseguenza inficiata dal vizio di motivazione, la sentenza che legittima l'accertamento nei confronti del socio, affermando che i ricavi non contabilizzati della società, pur non provati documentalmente, siano da soli idonei a dimostrare il maggior reddito del socio in base alla logica, al buon senso e all'id quod plerumque accidit (…)”.

Anche la giurisprudenza tributaria di merito ha stabilito che se l'Ufficio vuole utilizzare la presunzione di distribuzione degli utili ai soci in ipotesi di ristretta base societaria ha l'onere di dimostrare che, in concreto, gli utili extracontabili sono stati percepiti dai soci, “attraverso elementi univoci e precisi, a nulla valendo quanto da esso Ufficio asserito nell'atto opposto e concernente la ragionevole possibilità che gli utili siano stati distribuiti ai soci” (CTP Parma 22 settembre 2014 n. 505/6/14, che richiama alcune sentenze della Cassazione da cui si ricava tale principio; nello stesso senso: CTR Molise, sentenza 24 settembre 2019 n. 522).

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, nella sentenza 10 settembre 2019 n. 3444 ha altresì stabilito che “la presunzione (di distribuzione degli utili ai soci) non può tradursi in una generica e immotivata attribuzione degli importi al socio da parte della amministrazionee, per altro verso, la Commissione Regionale della Puglia, con sentenza 08/02/2019 n. 344 ha stabilito che “in merito all'avviso di accertamento emesso nei confronti del socio (…), avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, la rettifica del reddito in capo al socio, trova fondamento nel principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, secondo cui nelle società a ristretta base partecipativa i redditi realizzati in nero si presumono distribuiti tra i soci, fatta salva, per questi ultimi, la dimostrazione che siffatta distribuzione, non vi sia stata”.

Ed ancora la CTP Emilia-Romagna Reggio Emilia sentenza 22 aprile 2014, n. 186 ha stabilito che “la presunzione che, in una società a ristretta base partecipativa, il maggior reddito, eventualmente accertato in capo alla stessa, sia stato, automaticamente, "girato" ai soci, in percentuali esattamente proporzionali alle loro quote partecipative è una presunzione semplice, carente delle qualità di gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge; pertanto il solo richiamo alla stessa non è sufficiente, a legittimare un tale tipo di accertamento; per legittimarlo la motivazione deve essere opportunamente integrata con altri elementi indiziari, concretamente rilevanti, quali il fatto che il socio accertato fosse il gestore di diritto o di fatto della società o che in capo allo stesso o alla società siano stati individuati movimenti finanziari non giustificati e documentati”.

In conclusione

In conclusione si ritiene che il socio di una società a ristretta base societaria, destinatario di un avviso di accertamento emesso in forza dell'atto emesso a carico della società possa, con l'impugnativa dell'accertamento a lui notificato, sia contestare la validità dell'accertamento emesso a carico della società (anche qualora lo stesso sia divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini), sia fornire la prova contraria della mancata distribuzione degli utili extracontabili a suo favore.

Sommario