Poteri datoriali e diritti del lavoratore nella disciplina del lavoro agile all'epoca del Covid-19

03 Agosto 2020

Nel contesto della disciplina emergenziale dettata per il contenimento del contagio da Covid-19, accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, e fermo restando il potere d'iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito in capo al datore di lavoro...
Massima

Nel contesto della disciplina emergenziale dettata per il contenimento del contagio da Covid-19, accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, e fermo restando il potere d'iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito in capo al datore di lavoro, la scelta di quest'ultimo nell'individuazione dei soggetti ammessi a tale modalità d'esecuzione della prestazione trova il proprio limite, la cui osservanza è soggetta al sindacato giurisdizionale, nei principi di ragionevolezza, nel divieto di discriminazione e nel rispetto dei titoli di precedenza attribuiti al singolo lavoratore per motivi di salute.

Nel caso di specie è stata ritenuta illegittima la scelta del datore di lavoro che, in assenza di effettive ragioni organizzative, aveva negato ad un lavoratore invalido civile con riduzione della capacità lavorativa l'accesso al lavoro agile, limitandosi a proporgli l'alternativa tra il godimento delle ferie maturande e la sospensione non retribuita dal lavoro.

Il caso

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 14 aprile 2020, il ricorrente - dipendente della società convenuta con mansioni di carattere impiegatizio ed invalido con riduzione della capacità lavorativa al 60% - ha agito in giudizio nei confronti della datrice di lavoro contestandone la scelta consistita nel precludergli, diversamente dagli altri dipendenti del medesimo reparto, l'accesso al lavoro agile, in luogo del quale la convenuta si era limitata a proporgli l'alternativa tra il godimento delle ferie maturande e la sospensione non retribuita dal lavoro.

In particolare, tenuto conto della collocazione temporale della vicenda nel mese di marzo 2020, nel contesto della crisi sanitaria connessa alla diffusione del Covid-19, il ricorrente ha dedotto la violazione di quanto previsto dall'art. 39, comma 2, d.l. n. 18/2020, a mente del quale “ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

La società datrice di lavoro, contestata innanzitutto l'ammissibilità della richiesta di condanna ad un facere infungibile formulata dal ricorrente, nel merito si è difesa sostenendo la legittimità del proprio operato dal momento che, da un lato, l'individuazione dei soggetti ammessi al lavoro agile era stata compiuta in un momento in cui il ricorrente non poteva essere compreso in quel novero in quanto assente per malattia, e che, dall'altro lato, ad un inserimento postumo del lavoratore interessato nel predetto novero sarebbe ostato il fatto che la modifica dell'organigramma del personale cui era consentito lavorare da remoto avrebbe implicato costi significativi in termini economici ed organizzativi, rivelandosi dunque, e di fatto, impossibile.

La questione

Il caso in esame coinvolge questioni giuridiche tanto di carattere processuale quanto di carattere sostanziale.

Sotto il primo versante, infatti, la pronuncia si esprime in ordine alla possibilità di formulare, mediante un ricorso ex art. 700 c.p.c., una richiesta di condanna del convenuto ad un facere infungibile.

Quanto al versante sostanziale, l'ordinanza in commento, alla luce delle innovazioni normative introdotte per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, affronta il rapporto tra prerogative datoriali e diritti del lavoratore subordinato rispetto al lavoro agile.

Le soluzioni giuridiche

In linea con la giurisprudenza di merito e di legittimità, il Tribunale di Grosseto ha respinto l'eccezione preliminare relativa all'inammissibilità della richiesta di condanna ad un facere infungibile.

Sul punto, il provvedimento in esame ha disatteso la tesi della necessaria correlazione tra provvedimento cautelare ed esecuzione forzata, valorizzando la circostanza per cui una pronuncia impositiva di un obbligo incoercibile rappresenta in ogni caso uno strumento di coazione indiretta, la cui inosservanza, lungi dal rimanere priva di conseguenze, può rappresentare il presupposto di una successiva azione risarcitoria da parte dell'interessato.

Del resto, come chiarito dalla stessa Corte di cassazione, ogni dubbio in ordine alla possibilità di pronunciare provvedimenti di condanna nell'ambito dei rapporti obbligatori connotati dal carattere infungibile dell'obbligazione in essi dedotta è stato eliminato dal legislatore con l'introduzione dell'art. 614-bis c.p.c. (attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare), norma avente valore ricognitivo di un principio di diritto già affermato in giurisprudenza (così Cass. n. 19454/2011 e Cass. n. 18779/2014).

Così superata l'eccezione d'inammissibilità formulata dalla convenuta, il Tribunale di Grosseto, nel merito, ha accolto la domanda del ricorrente, ordinando alla società convenuta di consentirgli lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile e fissando, proprio in applicazione del ridetto art. 614-bis c.p.c., la somma dovuta dall'obbligato per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento.

La decisione si fonda su un'articolata ricostruzione della disciplina normativa adottata per fronteggiare l'emergenza da contagio da Covid-19 e su un'interpretazione della stessa tale da perimetrare prerogative del datore di lavoro e diritti del lavoratore subordinato allorché il primo decida di far ricorso al c.d. smart working.

In tal senso, il tribunale ha osservato che il legislatore, allo scopo di coniugare la tutela della salute con la salvaguardia dell'attività lavorativa, ha individuato nel lavoro agile, disciplinato in via generale dalla l. n. 81/2017, uno strumento di carattere prioritario, tanto da individuare la relativa modalità d'esecuzione della prestazione come quella ordinaria nel contesto della pubblica amministrazione (art. 87 d.l. n. 18/2020).

Nell'ambito del lavoro privato, benché essa non sia stata imposta come modalità ordinaria, la stessa è stata fortemente e reiteratamente raccomandata, tanto da indurre il tribunale a ritenere che, pur in assenza di una previsione cogente, si tratti di una misura sovraordinata, o quantomeno equiparabile, rispetto alla fruizione dei congedi ordinari e dei periodi di ferie ugualmente raccomandati dal legislatore.

Tale dictum – spiega l'ordinanza – si fonda su quanto previsto all'interno del d.P.C.m. 10 aprile 2020; infatti, quest'ultimo, dopo aver chiarito all'art. 1 c. 1 lett. gg) che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”, prosegue stabilendo, all'art. 1 c. 1 lett. hh), che “si raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente…”.

Dalla lettura congiunta delle disposizioni de quibus il tribunale giunge ad affermare che “laddove il datore di lavoro privato sia nelle condizioni di applicare il lavoro agile, e (come nel caso in esame) ne abbia dato prova, il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato o penalizzante, soprattutto laddove vi siano titoli di priorità per ragioni di salute”, la cui valorizzazione è prevista dall'art. 39, comma 2, d.l. n. 18/2020 sopra richiamato.

È a fronte di tale ricostruzione che, nella valutazione del caso di specie, il Tribunale di Grosseto ha ritenuto fondata la domanda cautelare.

Sulla premessa che il ricorrente, affetto da una patologia polmonare determinante un'invalidità civile per la riduzione permanente della sua capacità lavorativa al 60%, svolgesse attività di carattere impiegatizio all'interno di un reparto in cui era stata adottato, nei confronti degli altri addetti, il lavoro agile, e sull'ulteriore premessa che la società convenuta fosse, per dimensioni e struttura, in grado di approntare con facilità le misure organizzative funzionali al lavoro agile medesimo, il giudice ha ritenuto che la scelta datoriale di non inserire il ricorrente nel novero dei soggetti ammessi allo smart working contrastasse con la disciplina generale, per come sopra ricostruita ed interpretata.

In particolare, è stata ritenuta priva di consistenza, e dunque non ostativa alla previsione del lavoro agile in favore del ricorrente, la circostanza che questi fosse assente dal lavoro per malattia allorché è stato organizzato il lavoro agile in azienda, vuoi perché il suo ritorno al lavoro era prevedibile (oltre che espressamente anticipato), vuoi perché, data la struttura societaria in considerazione, risultavano poco plausibili le dedotte difficoltà e i costi di una successiva riorganizzazione dell'organico chiamato a lavorare da remoto.

Ciò ha condotto il tribunale a ritenere che la società non avrebbe dovuto sostenere alcuno sforzo per consentire al ricorrente di operare in modalità di lavoro agile e che dunque, accertato che tale modalità di lavoro veniva applicata nel contesto aziendale, il ricorrente avesse diritto ad accedervi, specie se si considera che questi, in ragione delle sue condizioni di salute, godeva del titolo prioritario di cui all'art. 39, comma 2, d.l. n. 18/2020.

Accanto a tale considerazione, il tribunale prosegue censurando la scelta datoriale di proporre, in luogo del lavoro agile, la fruizione di un periodo di ferie non ancora maturate.

In quest'ottica, precisato che il lavoratore aveva già goduto di tutti i periodi di ferie maturati, viene osservato non solo che, come già indicato, il ricorso alle ferie risulta cedevole rispetto alla possibilità di ricorrere al lavoro agile, ma anche che la possibilità di fruire di ferie maturande “non trova fondamento normativo alcuno, ma si profila, già in astratto, contrario al principio generale per cui le ferie (maturate) servono a compensare annualmente il lavoro svolto con periodi di riposo, consentendo al lavoratore il recupero delle energie psico-fisiche e la cura delle sue relazioni affettive e sociali, e pertanto maturano in proporzione alla durata della prestazione lavorativa. In quanto tale, il godimento delle (id est, il diritto alle) ferie non può essere subordinato nella sua esistenza e ricorrenza annuale alle esigenze aziendali se non nei limiti di cui all'art. 2109, comma 2, c.c. e nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti collettivi, avuto riguardo ai principi costituzionali affidati all'art. 36 della Carta”.

Osservazioni

Nella valutazione conclusiva della pronuncia commentata deve premettersi che la questione esaminata nel merito risulta del tutto inedita, non solo perché, in generale, finora non era dato riscontrare decisioni in tema di lavoro agile, ma anche perché la disciplina deputata a governare quest'ultimo è stata profondamente ridisegnata dai molteplici decreti del Presidente del Consiglio dei ministri intervenuti in attuazione del d.l. n. 6/2020.

Infatti, va osservato che, in deroga alla previsione generale recata dall'art. 18, l. n. 81/2017, il quale subordina il ricorso al lavoro agile alla sussistenza di un accordo fra le parti, il legislatore, all'evidente fine di facilitare tale modalità d'esecuzione della prestazione lavorativa, ha consentito al datore di lavoro di farvi accesso anche in assenza di un accordo individuale (cfr., tra gli altri, l'art. 1 lett. gg) d.P.C.m. 10 aprile 2020).

Tuttavia, va osservato che nella contingente configurazione del lavoro agile, non (più) come oggetto di un incontro della volontà delle parti del rapporto subordinato, ma come strumento unilateralmente nella disponibilità del datore di lavoro, il legislatore ha individuato, sotto forma di altrettanti diritti del lavoratore, limiti espressi all'esercizio del potere datoriale.

Con ciò si fa riferimento non solo all'art. 39, comma 1, d.l. n. 18/2020, il quale, stabilendo che “i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”, individua un vero e proprio diritto soggettivo che prescinde da una preventiva scelta datoriale di ricorrere al c.d. smart working, ma anche all'art. 39 c. 2 d.l. cit., il quale, chiarendo che “ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81”, costituisce un limite espresso alla facoltà di scelta dei lavoratori chiamati a rendere la prestazione da remoto.

In quest'ottica, la decisione in commento, con argomentazioni condivisibili, pone accanto a quelli esplicitati dalla legge ulteriori limiti, implicitamente derivanti dal principio di ragionevolezza e dal divieto di discriminazione, così individuando anche una sorta di gerarchia tra le “raccomandazioni” formulate dal legislatore nei confronti della parte datoriale, chiamata, qualora nulla vi osti, a “preferire” il ricorso al lavoro agile piuttosto che ad incentivare la fruizione dei periodi di ferie (indicate come misura subordinata al lavoro agile o, quantomeno, ad essa equiparata).

In sostanza, alla riconduzione del lavoro agile al novero degli strumenti rimessi all'esclusiva volontà datoriale si contrappongono due limiti: il primo, di carattere generale, destinato ad orientarne la scelta favorendo l'esecuzione della prestazione in luogo del ricorso a periodi di ferie, ed il secondo, relativo alla scelta dei lavoratori chiamati a lavorare con tale modalità, da compiersi nell'osservanza non solo delle norme rivolte a soggetti appartenenti a categorie protette ma, più in generale, ai principi di correttezza e buona fede che presiedono allo svolgimento del rapporto contrattuale.

Calando tali indicazioni nel caso concreto, può osservarsi che, data la condizione personale del ricorrente, l'accoglimento della sua domanda sarebbe potuta passare attraverso la semplice applicazione della disposizione di cui all'art. 39, comma 2, d.l. n. 18/2020, plasticamente disattesa dal datore di lavoro.

Tuttavia, dalla motivazione dell'ordinanza in esame, può dedursi che la decisione di quest'ultimo sarebbe risultata censurabile anche prescindendo dall'applicabilità della norma de qua, risultando comunque contraria a buona fede e correttezza la prospettazione del godimento delle ferie non ancora maturate in luogo dell'applicazione del lavoro agile.

In ordine a queste ultime, benché l'ordinanza ne ponga in luce la mancanza di un addentellato normativo e ne sostenga una contrarietà alla funzione tipica che le disposizioni di rango costituzionale e ordinario assegnano al riposo del lavoratore, va ricordato che la Corte di cassazione si pone, invero, in una posizione differente, affermando che “spetta al datore di lavoro (nei limiti indicati dalla Costituzione, dalle leggi ordinarie e dalla contrattazione collettiva) definire il periodo di godimento, nell'arco temporale dello stesso anno, delle ferie annuali che possono essere, in tutto o in parte, anticipate, differite o concesse contestualmente alla maturazione del relativo diritto, non rivestendo valore normativo il criterio del godimento posticipato delle ferie sebbene esso possa costituire un valido canone ermeneutico nella ricostruzione della volontà delle parti diretta ad assicurare al lavoratore il rigoroso rispetto del riposo annuale” (Cass. n. 6431/1991; Cass. n.13258/2000; Cass. n. 13012/2003).

Va allora affermato che la decisione del datore di lavoro appare illegittima non tanto perché essa implichi la fruizione delle ferie maturande – in astratto, come detto, ammissibile – quanto perché, oltre a frustrare sia il titolo prioritario attribuito al lavoratore in ragione della sua patologia, finisce per dare indebita prevalenza, in un ambiente lavorativo ontologicamente in grado di consentire ai lavoratori di operare da remoto, al ricorso alle ferie in luogo del lavoro agile, da selezionarsi invece, in base all'interpretazione del dettato normativo sopra indicata, come opzione preferibile.

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