La rapina impropria è incostituzionale? La Consulta dichiara infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Torino
10 Agosto 2020
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Torino in ordine alla fattispecie di rapina impropria, per il ritenuto contrasto di detta fattispecie incriminatrice con i principi di uguaglianza, offensività e proporzionalità della pena.
Così ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 190, depositata il 31 luglio 2020.
La rapina impropria è sospettata di incostituzionalità: la violazione del principio di uguaglianza. Con tre distinte ordinanze di rimessione, il Tribunale di Torino chiede al giudice delle leggi di dichiarare l'incompatibilità della fattispecie di rapina impropria con l'architettura della nostra Carta Fondamentale. La struttura della norma incriminatrice, com'è noto, punisce con il medesimo rigore previsto per la fattispecie “classica” di rapina chi, dopo aver sottratto una cosa mobile, esercita violenza o minaccia alla persona per assicurare il possesso del bene sottratto o per conquistare l'impunità. Secondo il tribunale piemontese le due situazioni-tipo (la rapina cosiddetta “propria”, nella quale violenza e minaccia precedono l'impossessamento e la fattispecie appena descritta, nota appunto come “rapina impropria”) non sono affatto assimilabili.
La possibile violazione dei principi di offensività e proporzionalità della pena. Le ulteriori censure di costituzionalità fanno da corollario alla prima; da un lato si afferma che il rigore del trattamento sanzionatorio lederebbe il principio di offensività, poiché farebbe applicazione di un trattamento penale esageratamente consistente rispetto ad una condotta che esprimerebbe un disvalore sociale inferiore a quello che connota la classica fattispecie di rapina c.d. propria. In ogni caso la pena prevista per la rapina impropria è sicuramente superiore a quella derivante dalla sommatoria delle pene stabilite per il reato di furto e di violenza privata o minaccia (la scomposizione del reato complesso – la rapina, propria o impropria che sia, appartiene notoriamente a questa categoria di illeciti poiché costituisce la “fusione” di due fattispecie criminose autonome). In ultimo, l'elevatezza dei limiti edittali – minimo e massimo – previsti per il reato di rapina impedirebbe la finalizzazione rieducativa del trattamento penale, e da ciò si deduce che la pena stabilita dalla fattispecie oggetto d'analisi sarebbe sproporzionata per eccesso.
La Consulta respinge le questioni sollevate, ma con un interessante monito per il legislatore. Secondo la Corte Costituzionale non sussistono lesioni al principio di uguaglianza nella relazione comparativa tra la norma che punisce la rapina propria e quella che incrimina la rapina impropria. Un rilievo valga per tutti: non è ritenuto sempre vero – affermare il contrario sarebbe, quindi, il frutto di una generalizzazione inaccettabile – che nella rapina propria l'agente abbia preordinato il ricorso alla violenza, mentre nel caso della fattispecie “impropria” l'azione violenta sia del tutto estranea al volere del soggetto attivo. Semmai, è pur sempre possibile che nel caso concreto si manifestino variabili tali da consentire di apprezzare diversamente l'intensità del dolo o la capacità criminale del reo. Nè ha pregio il rilievo secondo cui il distacco temprale sarebbe elemento irrilevante, eppure dotato della capacità – in base alla sua durata – di far mutare l'assetto qualificativo del fatto: anzi, è vero il contrario. E cioè che il ricorso ad una condotta violenta o minacciosa eseguita “a stretto giro” rispetto ad una furtiva costituisce proprio la ragion d'essere della rapina impropria. E' proprio la “contestualità del rischio”, personale e patrimoniale, a giustificare un trattamento penale superiore a quello derivante dall'algebrica sommatoria dei reati che compongono la fattispecie complessa di rapina. Questi rilievi trascinano con sé anche le censure in punto di pretesa violazione del principio di offensività o di proporzionalità della pena, ma lasciano ugualmente spazio ad una considerazione della Consulta che suona come un chiaro ammonimento al legislatore: la pressione punitiva – così la chiama la Corte – in tema di reati contro il patrimonio è ormai diventata estremamente rilevante, “essa richiede perciò attenta considerazione da parte del legislatore”, che dovrà tenere sempre conto dei beni tutelati e del loro livello di protezione. Insomma, va bene il rigore ma attenzione a non dimenticare che il patrimonio, nel nostro ordinamento, è soltanto uno dei beni oggetto di tutela costituzionale.
Fonte: Diritto e Giustizia |