Eros kai thanatos: il fattore emotivo nel diritto penale. Approcci giurisprudenziali a confronto
15 Settembre 2020
Abstract
Amore e morte, eros kai thanatos. E sullo sfondo il mostro shakespeariano dagli occhi verdi. Il giurista rifiuta il biasimo popolare che condanna il ricorso tout court alla perizia psichiatrica sull'autore di un omicidio (che un tempo si sarebbe definito passionale). Ma il giurista pretende che i suoi consulenti procedano a verificare con accuratezza e metodi aggiornati la presenza di elementi da cui eventualmente ricavare la presenza di un vizio di mente di cui la gelosia sia la conseguenza. Due pronunce a confronto
Quest'anno la produzione giurisprudenziale italiana è destinata a registrare un notevole decremento numerico, causa emergenza da Covid-19, che ha di fatto precluso l'accesso all'aula per molti mesi, costringendo al rinvio la gran parte delle udienze. Ma esattamente nei mesi appena precedente ed appena successivo al c.d. lockdown, la prima sezione della Corte di Cassazione ha messo mano a due casi di omicidio che, pur commessi a notevole distanza geografica e in contesti assolutamente diversi, meritano di essere confrontate perché vi compare una sorta di minimo comune multiplo, identificato nella gelosia, che in ambedue i casi avrebbe apparentemente armato la mano dell'omicida. Come sono diverse le premesse, altrettanto deve dirsi sin d'ora delle conclusioni, che possiamo definire diametralmente opposte: mentre con la prima pronuncia viene annullata con rinvio la sentenza concessiva delle attenuanti generiche – tra l'altro con lo stigma più grave della motivazione contraddittoria, apodittica ed illogica (il sogno di ogni difensore)-, la seconda falcidia il ricorso del procuratore generale (altro sogno per un avvocato) che mirava a disconoscere il principio, ormai consolidato, che bolla di incompatibilità la premeditazione con il vizio di mente. Due argomentazioni interessanti che hanno il pregio di sintetizzare efficacemente gli approdi più attuali in materia di vizio di mente e stati emotivi e passionali la cui interpretazione, grazie agli apporti sempre crescenti da parte di saperi e conoscenze scientifiche, in uno con la elaborazione dottrinale delle nuove opinioni in quell'ambito, stanno ponendo in grave crisi l'impostazione tradizionale del codice. Quadro normativo
Il codice Rocco dedica al tema poche norme, molto sincopate, in cui coagula il pensiero dell'epoca, ben spiegato nei lavori preparatori: «non vi è azione onesta o disonesta, morale o immorale, lecita o illecita, conforme o contraria alla legge, che non sia determinata da un motivo affettivo, da un motivo emozionale, da un motivo passionale» (vol. IV, parte II, 1929, p. 284), ragion per cui – gli faceva eco Vincenzo Manzini – se l'uomo vive di passioni ed emozioni, sarebbe assurdo ammettere una scriminante o una diminuente per stati psichici propri di ciascuno. Ecco come, dato per ammesso che la capacità di intendere e volere (ossia l'imputabilità) sia condizione per la punizione, per come inteso il principio di colpevolezza (art. 85 c.p.), e previste a tale principio alcune deroghe, come la minore età, il sordomutismo ed il vizio di mente, in altre situazioni peculiari ove si potrebbe legittimamente metterne in dubbio l'esistenza (si pensi alla cronica intossicazione da alcool o stupefacenti) il legislatore ha “finto l'esistenza dell'imputabilità” (Marinucci, Dolcini, Gaita, Manuale di diritto penale, p. 449) ed escluso efficacia dirimente o attenuante (come nel caso degli stati emotivi e passionali di cui all'art. 90 c.p.). La ragione di questa rigidissima impostazione è storica: nel codice Zanardelli infatti mancava una norma, risalente al codice napoleonico del 1810 e riportata in molti codici locali, da quello sardo a quello del regno delle due Sicilie, per cui non solo l'“istato di pazzia” al momento della commissione dell'azione, ma altresì la “forza alla quale non potè resistere” portavano all'impunità in quanto “non vi ha crimine né delitto”. Al contrario, l'unica forza irresistibile rilevante nel nostro ordinamento per escludere la punibilità è quella esterna, esercitata da un terzo (c.d. costringimento fisico) o da eventi naturali incontrollabili e invincibili (forza maggiore). Per il codice Zanardelli e poi per il codice Rocco la non punibilità (o la riduzione della sanzione) può dipendere solo da uno stato di infermità di mente tale da togliere, o diminuire la coscienza o la libertà dei propri atti. Pochissime le smagliature concesse a questa granitica impostazione: l'attenuante della provocazione (dove lo stato invalidante, o comunque scusante, è tipicamente emotivo, traducendosi nell'ira giustificata da un fatto ingiusto altrui) e tutta l'area della causa d'onore, che derubricava e minimizzava la pena nei casi di aggressioni (sino all'omicidio) motivate dall'esigenza di difenderlo. In tale struttura semplice ma molto solida, ove al vertice della piramide concettuale sta il principio del primato della capacità di intendere e volere, e in fondo ai due cateti si piazzano le diverse conseguenze dipendenti dal vizio totale o parziale di mente, non potevano mancare le critiche da parte della dottrina, sin da subito tesa a ridare pregio a condizioni (diverse rispetto a quelle che la psichiatria tradizionale avrebbe annoverato rispettivamente nell'alveo degli artt. 88 o 89 c.p.) accorpate sotto la definizione generale di “anomalie psichiche”. Secondo un primo indirizzo, anche gli stati emotivi e passionali in taluni casi possono tradursi in vere e proprie infermità, che escludono la capacità di intendere e volere e rendono richiamabile non già l'art. 90 ma lo stesso art. 85 c.p. (C. Di Dedda, Gli stati emotivi e passionali, p. 553). A mente di un secondo filone, invece, gli stati emotivi e passionali sono rilevanti, ma in un'area diversa rispetto a quella della imputabilità: quella dell'errore di fatto poiché si traducono in una falsa rappresentazione della realtà (G. Ruggiero, La rilevanza giuridico-penale degli stati emotivi e passionali, p. 79). Anche in giurisprudenza si sono ben presto registrati orientamenti diversi: il primo indirizzo – c.d. giuridico - risulta allineato agli orientamenti ed agli sviluppi della psichiatria, quindi è più duttile perché la sua idea di fondo è che la classificazione sistematica delle malattie risponda ad esigenze scolastiche, irrilevanti per il giurista. Questo orientamento esige ancora che sussista un rapporto causa effetto tra il reato commesso e l'anomalia psichica dell'agente, quindi attribuisce peso a quest'ultima quando essa abbia motivato la condotta criminosa. Per citare un esempio risalente, ma condiviso, tiene conto delle caratteristiche cliniche del soggetto psicopatico che abbiano determinato disarmonie nella personalità alterando il meccanismo delle spinte e controspinte all'azione (teoria del reato-disturbo, vedi Trib. Milano, 26 febbraio 1992). Il secondo orientamento - c.d. medico – è più tradizionale e fedele agli schemi più collaudati della psicopatologia, ed a sua volta si divide tra organicista (che esclude dal concetto di infermità le malattie del sistema nervoso prive di base organica o comunque di substrato somatico) e nosografico (per cui sono rilevanti anche i disturbi mentali riconducibili a una malattia accertata e catalogata dalla nosologia psichiatrica). Il Trattato italiano di psichiatria fa rientrare nel concetto di malattia le alterazioni psichiche conseguenti a processi morbosi somatici, noti o postulati, che interrompono la normale continuità dello sviluppo vitale. Accanto a queste vere e proprie malattie colloca le varianti abnormi dell'essere psichico, ossia le personalità abnormi, le disposizioni abnormi dell'intelligenza e le reazioni abnormi all'avvenimento, ossia quelle alterazioni psichiche che vengono comprese nel concetto di anomalia, e vi inserisce anche i disturbi da uso di sostanze psicoattive, le parafilie (come cleptomania, ludopatia, pedofilia ecc.) e i disturbi del controllo degli impulsi (come il d. esplosivo intermittente). Il dibattito, in prospettiva forense, è quindi molto vivace. La giurisprudenza infatti continua a negare rilevanza agli stati passionali che non dipendano da un vero e proprio stato patologico – come uno stato maniacale, delirante o comunque proveniente da un'alterazione psicofisica consistente - e tra essi colloca proprio la possessività sospettosa tipica della gelosia, “idea generica portatrice di inquietudine usualmente non in grado di diminuire, né tanto meno escludere la capacità di intendere e volere del soggetto” (Cass. pen., Sez. VI, 25 marzo 2010 n. 12621), “mero stato emotivo ai sensi dell'art. 90 c.p. irrilevante ai fini dell'esclusione dell'imputabilità del reo” (ibidem). Quando non dipenda da un vero stato patologico, pertanto “l'indebolimento dei freni inibitori e/o l'attenuazione della loro funzionalità in determinate aree sensibili” non risulta in alcun modo scriminato. Infatti “la capacità di intendere e volere che esclude la imputabilità di un soggetto va distinta dalla capacità di inibizione e controllo delle proprie azioni trattandosi, in questo caso, della capacità del soggetto di adeguare la sua condotta agli stimoli per effetto di fattori di ordine educativo, etico, religioso o ambientale, i quali incidono sulla personalità dell'individuo, lo rendono consapevole, lo dotano di senso critico ed autocritico e moderano le spinte impulsive. Pertanto, quando i freni inibitori siano poco efficienti o indeboliti, come nel caso della gelosia esasperata e sospettosa che può esistere alla fine di una relazione, e tale deficienza non dipenda da un effettivo stato morboso psichiatrico, da un vero e proprio squilibrio mentale, caratterizzato da un'ideazione patologica, da forme maniacali, deliranti, incidenti sui processi di determinazione ed inibizione, ma sia frutto del carattere e del modo di concepire le relazioni personali, siffatta situazione non esplica influenza per escludere o limitare grandemente la capacità di intendere e di volere, esaurendosi in un mero stato emozionale” (Cass. pen., sez. I, 13 giugno 2013, n. 40286). La base di tale impostazione è molto semplice: esiste una gelosia “normale” e una gelosia patologica, la cui distinzione non si basa sull'intensità del sentimento (ad es. la rabbia distruttiva, il desiderio di vendetta o il sentimento di perdita) o sul binomio amore/odio, perché essi possono riscontrarsi in ambedue le forme. La differenza si individua nella radice neurobiologica della gelosia. Il tema è molto delicato, non solo perché non si registra uniformità di vedute neppure tra specialisti, ma perché alcuni di essi (A. MAIRET) hanno individuato forme cliniche di confine tra il normale sentimento di gelosia e la forma patologica, chiamate iperestesia gelosa (dove l'idea è prevalente e durevole ma il soggetto conserva spirito critico e possibilità di recesso) e gelosia ossessiva (TANZI e LUGARO), ancora in fascia intermedia ma maggiormente spostata verso la polarità patologica. E ancora, va sottolineato che il progresso delle ricerche di settore ha potuto approfondire il meccanismo dei circuiti neuronali, individuandone alcuni (detti serotoninergici) deputati o comunque coinvolti nella differenza tra situazioni psicologiche ordinarie (innamoramento con timore di perdita) e patologiche (disturbo ossessivo compulsivo con convinzione di infedeltà da parte del partner). Il punto su cui, ad ogni modo, si registra accordo da parte degli psichiatri è la presenza del delirio come fattore che deve far propendere senza perplessità a favore della presenza della malattia, che si traduce in vizio di mente nelle aule di giustizia. La variante delirante della gelosia, nella sua connotazione paranoica, è detta anche Othello Syndrome e nel DSM si colloca tra i disturbi schizofrenici paranoidi, spesso deliranti. Come nel caso deciso definitivamente dalla Cassazione con sentenza n. 20487 dello scorso 24 giugno 2020, quando nell'imputato viene riscontrata una patologia preesistente tale da porlo in condizione delirante, non solo deve riconoscersi che la sua capacità d'intendere e volere fosse grandemente scemata al momento del fatto, ma altresì che l'idea fissa ossessiva, caratterizzando la patologia stessa, escluda la premeditazione, la quale esige che la persistenza del proposito criminoso sia indice di una maggiore intensità del dolo, il cui accertamento resta qui precluso in presenza del vizio di mente. Aspetti criminologici
Il delirio di gelosia, per chi ama le digressioni in ambito più propriamente criminologico, si colloca tra i disturbi psicotici dovuti a una condizione medica generale, assieme a quelli indotti dall'alcool o dall'età senile. Più in generale, partendo dalle classificazioni biologiche antropologiche di Lombroso e Ferri (cinque tipologie di delinquenti: nati o per tendenza congenita, pazzi, abituali, occasionali e passionali), passando per quelle di padre Gemelli e della Nuova difesa sociale (no alle tipologie rigide, perché ogni delinquente è il prodotto unico di fattori individuali, situazionali e sociali variabili), approdiamo poi alla fase c.d. relativistica della criminologia, che suddivide le tipologie delinquenziali in quattro classificazioni:
L'espressione è contenuta nel più diffuso manuale diagnostico dei disturbi psichici (ossia il DSM, oggi giunto alla V^ edizione) il quale, utilizzando la nosografia classificatoria di tipo medico, comprende varie classi diagnostiche principali. Questo manuale ha già ampiamente dimostrato la propria utilità nella diagnosi, prognosi e terapia delle malattie somatiche. Spesso viene consultato assieme al ICD dell'OMS oggi alla sua 11ma versione (classificazione internazionale delle malattie e dei problemi relativi alla salute). Bisogna distinguere i tratti di personalità, ossia gli schemi di pensiero, percezione, reazione e relazione stabili nel tempo, dai disturbi di personalità, che compaiono quando tali tratti divengono talmente pronunciati, rigidi e disadattativi da compromettere il funzionamento lavorativo e/o interpersonale. Ne sono stati elencati da ultimo dieci, sebbene la maggior parte dei pazienti presenti caratteristiche di più disturbi, e vengono classificati per cluster: a) caratterizzato dall'apparire strano o eccentrico: comprende il paranoide (diffidente e sospettoso), lo schizoide (disinteressato agli altri) e lo schizotipico, che ha comportamenti ed idee eccentriche; b) caratterizzato invece da comportamenti drammatici, emotivi e stravaganti: antisociale (sprezzante e manipolatore), borderline (intollerante alla solitudine), istrionico (alla ricerca di attenzioni), narcisistico (fragile autostima e palese grandiosità); c) caratterizzato da comportamenti ansiosi o paurosi: evitante (rifiuto di sensibilità), dipendente (arrendevole e bisognoso di accudimento) e ossessivo-compulsivo (perfezionista, rigido e ostinato). Sono ereditabili in misura del 50%, come i disturbi psichiatrici maggiori. Nell'ultima versione del DSM è sparito il disturbo di personalità Non Altrimenti Specificato, che tanto inchiostro ha fatto scorrere in giurisprudenza penale. Per la gran parte delle sentenze reperibili nelle raccolte, i disturbi non hanno valenza alcuna in senso mitigante. Si pensi al caso Chiatti, che presentava un grave disturbo narcisistico, uno lieve paranoide e tratti marcati da istrionico, ossessivo-compulsivo, sadico, borderline e pedofilo (Corte Assise Perugia, 27 febbraio 1992). La Cassazione è intervenuta nel 2005 a Sezioni Unite, riconoscendo comunque che possano integrare ipotesi di “infermità”» rilevanti a norma degli artt. 88 e 89 c.p., purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere eziologicamente sul concreto processo motivazionale e deliberativo dell'autore di un determinato reato. Rapporti con aggravanti e attenuanti
Emozioni, emotività e reazioni possono avere un loro peso all'interno del giudizio dosimetrico della pena. Secondo una pronuncia recentissima, che altro non è che la sentenza d'appello di Bologna annullata dalla Cassazione con il dispositivo di cui si è dato atto negli estremi del documento, gli stati emotivi o passionali, pur non escludendo né diminuendo l'imputabilità, possono essere considerati dal giudice ai fini della concessione di circostanze attenuanti generiche, in quanto influiscono sulla misura della responsabilità penale. Come si è visto, il punto ha motivato però l'annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte. Sarà interessante leggere anche la sentenza della Corte d'Appello ricevente. Molto più solido invece ci pare l'orientamento in tema di aggravante dei futili motivi: la gelosia può infatti integrarla quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima o un terzo che appaia ad essa legato, ma anche nei casi in cui sia - più che causa determinante dell'evento - espressione di un intento meramente punitivo nei confronti della vittima, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione (Cass. pen., sez. I, 1° ottobre 2019, n. 49673). Secondo un'altra pronuncia, resa in un caso di omicidio stradale molto nota alla cronaca, la circostanza che dopo l'impatto (avvenuto, lo si ricorda, percorrendo ad altissima velocità e senza rispettare i segnali semaforici una strada ad ampia densità della capitale, un sabato sera attorno alle ore 23) col motorino su cui viaggiavano le due vittime, l'imputato sia entrato in panico ed abbia esclamato: “Oddio li ho ammazzati”, portandosi le mani nei capelli, deponeva a suo favore ai sensi dell'art. 133 c.p. Altrettanto dicasi per il notissimo caso di Perugia – l'omicidio Kercher – a cui in sede di condanna, poi annullata come noto, comunque era stato valorizzato il fatto che i due imputati avessero coperto il cadavere.
In conclusione
Attualmente la dottrina continua a sforzarsi a valorizzare il ruolo delle emozioni sul piano della colpevolezza normativa, ove per esse si intende un costrutto multicomponenziale che correla un aspetto affettivo con l'elaborazione cognitiva. Come ben descritto da Guglielmo Gullotta nel suo compendio, nell'emozione si accompagnano la reazione neurofisiologica, l'espressione motoria, vocale, facciale, gestuale, il sentimento soggettivo, la tendenza all'azione e la componente della valutazione cognitiva. Che siano “eccessive” e si manifestino come una abbondanza di emotività, o che siano “recessive”, e si caratterizzino con apatia ed indifferenza, le emozioni possono essere capaci di adulterare la spinta volitiva dell'agente ed intaccare il pensiero razionale, quindi deve venir loro riconosciuta una rilevanza scusante indipendentemente dalla loro origine patologica o meno. In questa stessa ottica allora, prosegue Isabella Merzagora Betsos, anche i disturbi della personalità possono assurgere ad infermità mentale, tesi questa disattesa ad esempio nel caso di Cogne, ove all'imputata venne riconosciuto uno stato crepuscolare orientato, integrante un disturbo della personalità, in soggetto affetto da sindrome ansiosa con conversione somatica su base isterica, ma fu ritenuto inidoneo ad integrare un vizio neppure parziale di mente (Cass. pen., sez. I, 29 luglio 2008, n. 31456). Sul fronte opposto, ci pare più che corretta l'impostazione giurisprudenziale che, di fronte ad un fatto efferato, evita di attribuirlo ad una anomalia psichica per il solo fatto che manifestazioni di ferocia sembrino esulare dal comportamento umano per così dire normale (Cass. pen., sez. I, 5 settembre 2011, n. 33070 sulla strage di Erba). Al contempo, si fanno strada anche nelle aule di giustizia i portati delle c.d. neuroscienze che, attraverso consulenze sempre più attente ai nuovi strumenti utili per gli accertamenti psichiatrici, svolgono il ruolo che – con un'espressione poi divenuta molto nota – deve rivestire la perizia “giusta”: essere un parere tecnico che non fornisce verità ma solo conoscenza e svolge una funzione di supporto della decisione di cui il giudice penale non può fare a meno (Gup Trib. Como, 20 maggio 2010, sul sororicidio di Cirmido). Ecco allora che ai requisiti della completezza dell'accertamento e alla serietà del metodo applicato si aggiunge quello della congruenza del risultato raggiunto con le ulteriori emergenze processuali disponibili, ivi compresa (se invocata) la c.d. verifica con la diagnosi di sede, che mediante l'imaging cerebrale permette di visualizzare l'attivazione di determinate aree del cervello in corrispondenza dell'esecuzione di determinati compiti riconducibili a funzioni mentali già note: in questo modo si possono evidenziare alterazioni nella corteccia cerebrale a riprova dell'esistenza di disturbi di personalità. G. Amato, Diritto penale e fattore emotivo: spunti di indagine, in Riv. Ital. Medicina legale, 2013, 2, p. 661 L. Balloni, G.C. Nivoli, L. Lorettu, M. N. Sanna, Psichiatria forense e aspetti di medicina legale rilevanti in psichiatria, a cura di V. Volterra, in AA.VV., Trattato italiano di psichiatria, Milano R. Catanesi, F. Carabellese, Uccidere per gelosia, in Riv. It. Medicina legale, 2008, 1, p. 95 C. Di Dedda, Gli stati emotivi e passionali come cause generative di infermità mentale, in Nuovo Dir., 1934, p. 553 G. Gullotta, Compendio di psicologia giuridico-forense, criminale e investigativa, Milano, Giuffrè, u.e. 2020 F. Mantovani, Il tipo criminologico d'autore nella dottrina contemporanea, in Riv. It. Dir. e proc. pen., 2012, 3, 753 I. Merzagora Betsos, I nomi e le cose, in Riv. Ital. Medicina legale, 2005, p. 373 G. Messina, I nuovi orizzonti della prova (neuro)scientifica nel giudizio sull'imputabilità, nota a Tribunale Como, 20 maggio 2010, in Riv.ital. Medicina legale, 2012, 1, p. 251 G. Pavan, Sui rapporti fra disciplina dell'imputabilità e nosografia psichiatrica, in Riv. Ital. Medicina legale, 2003, p. 659 G. Ruggiero, La rilevanza giuridico-penale degli stati emotivi e passionali, Jovene, Napoli, 1958, p. 79 Trib. Milano, 26 febbraio 1992, in Giur. Merito, 1993, 3, 751. Conforme Corte Assise Belluno, 1 marzo 1994, ibidem 1995, 95 Corte Assise Perugia, 27 febbraio 1992, in Indice penale, 1998, 358 Cass., sez. un., 8 marzo 2005, in Dir. pen. proc., 2005, p. 853 ss, con nota di Bertolino Cass. pen., sez. I, 29 luglio 2008, n. 31456, in Cass. pen., 2009, p. 1840 con nota di F. Caprioli Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 2010 n. 12621, in Zacchia 2011, 2, 397 Cass. pen., sez. VI, 24 marzo 2011, n. 11222, in Foro it., 2011, c. 306 con nota di F.P. di Fresco Cass. pen., sez. I, 5 settembre 2011, in www.penalecontemporaneo.it Cass. pen., sez. I, 13 giugno 2013, n. 40286, in Diritto e giustizia online 2013, 30 settembre con nota di Piras Corte Ass. app. Bologna, sez. I, 8 febbraio 2019, n. 29 in Guida al diritto 2019, 14, 62 con nota di Pascasi Su rapporto tra gelosia e motivi abietti e futili: Cass. pen., sez. I, 1^ ottobre 2019, n. 49673, in CED Cass. pen. 2020; sez. V, 21 maggio 2019, n. 44319 in CED Cass pen. 2019; sez. I, 6 luglio 2017, n. 5303, in Dir. & Giust., 9 marzo 2018; contra sez. I, 6 luglio 2018, n. 49129, in Dir. & Giust. 2018, 29 ottobre; sez. I, 6 maggio 2014, n. 37347, in Dir. & Giust. 2014, 10 settembre; sez. I, 27 marzo 2013, n. 18779, in CED Cass. pen. 2013 |