Dopo la riforma parametri la nota delle spese ha ancora una funzione?
16 Settembre 2020
Massima
Quando la parte vittoriosa in giudizio presenta, secondo quanto è previsto dall'art. 75 disp. att. c.p.c., la nota delle spese, specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire ad essa, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore a quella indicata in tale nota. Il caso
Una parte soccombente in secondo grado, condannata alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello lamentando, tra l'altro, la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 75 disp. att. c.p.c., poichè le spese del primo grado erano state liquidate in misura ampiamente superiore (Euro 36.145,00 per compensi) a quanto indicato dal difensore della controparte nella nota spese relativa a quella fase (Euro 23.400,00 per compensi). La Corte accoglie tale motivo e cassa con rinvio la sentenza impugnata, condividendo anche il rilievo del ricorrente secondo cui il lamentato esubero non poteva essere ritenuto giustificato dal fatto che la richiesta della controparte era avvenuta con riferimento ai parametri dei compensi professionali di cui al d.m. n. 140/2012, sotto il cui vigore era stata svolta l'intera attività del giudizio di primo grado, mentre la sentenza del Tribunale era stata pronunciata una settimana dopo l'introduzione della nuova tariffa. La questione
La sentenza in commento offre l'occasione per esaminare la questione, finora non adeguatamente approfondita, del venir meno della funzione della c.d. nota delle spese a seguito dell'introduzione della riforma dei parametri forensi. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento si inserisce in quell'indirizzo di legittimità, invero piuttosto consolidato, secondo il quale la nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa, (Cass. 4 aprile 2003, n. 5327; Cass. civ., 14 maggio 2013, n. 11522; Cass. civ., 26 giugno 2019, n. 17057). Tale affermazione discende dalla premessa secondo cui il deposito della nota spese costituisce esplicitazione del principio della domanda poiché, attraverso di essa, «la parte fissa l'oggetto della condanna chiesta al giudice, sì che, tutte le volte che il giudice liquidi spese, diritti di procuratore ed onorari di avvocato in misura inferiore a quella richiesta, la pronuncia deve essere sorretta dalla spiegazione delle ragioni per cui il rimborso è considerato non dovuto o dovuto in misura inferiore rispetto a quello richiesto in corrispondenza delle singole voci della nota … Non si giustifica, allora, che alla nota delle spese sia negata analoga efficacia quanto alla determinazione dell'oggetto della pronuncia di liquidazione in rapporto ad un esercizio dal potere che si svolga nel senso di oltrepassare la misura di quanto è domandato». Questo orientamento risulta però difficilmente conciliabile con quello, addirittura granitico, secondo il quale: «La condanna al pagamento delle spese del giudizio, in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa a carico del soccombente anche d'ufficio, in mancanza di un'esplicita richiesta della parte vittoriosa, sempreché quest'ultima non abbia manifestato espressa volontà contraria» (Cass. civ., 21 maggio 1979, n. 294; Cass. civ., 22 ottobre 1981, n. 5557; Cass. civ., 21 dicembre 1983, n. 7532; Cass. civ., 21 aprile 1990, n. 3346; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006 n. 21244; Cass. civ., sez. VI 11 febbraio 2015 n. 2719). Sulla scorta di tale premessa si è anche chiarito che: «il mancato deposito della nota spese può avere il solo effetto di limitare la condanna alle sole spese risultanti dagli atti di causa atteso che la previsione dell'articolo 75 disp. att. c.p.c. … non esclude il potere-dovere del giudice di provvedere alla liquidazione delle stesse sulla base degli atti di causa ai sensi dell'art. 91 c.p.c.» (Cass. civ., 6 ottobre 2011, n.20439). In precedenza poi era stata abbandonata l'idea che, in caso di omissione del deposito della nota, le spese andassero liquidate al minimo di tariffa (Cass. civ., 9 febbraio 2000, n. 1440).
La Corte, nella decisione in esame, non cerca nemmeno di spiegare come i due principii, evidentemente antitetici, possano conciliarsi, limitandosi ad escludere, in maniera alquanto apodittica, che essi interferiscano tra loro: «una cosa è che, pure in mancanza di una espressa istanza in tal senso, il giudice abbia il potere di riconoscere alla parte vittoriosa il diritto ad essere rimborsata delle spese sostenute nel processo». Altra cosa è che egli abbia il potere di liquidare spese ed onorari in misura superiore a quella di cui la parte chiede il rimborso nella nota delle spese... Che ciò non sia appare del resto conforme al principio che informa il processo principio per cui il «giudice non può pronunciare oltre i limiti della domanda (art. 112 c.p.c.)».
Osservazioni
Innanzitutto non è condivisibile l'idea, da cui muove il primo degli orientamenti citati nel precedente paragrafo, secondo cui il deposito della nota spese costituirebbe esplicitazione del principio della domanda poiché, se così fosse, il giudice, in difetto di produzione di essa, non potrebbe pronunciare la condanna ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Del resto se il giudice può liquidare l'importo che ritiene congruo a titolo di compenso, in difetto di espressa indicazione (non già domanda) della parte, non si vede perché non possa farlo se quella indicazione c'è. Un esempio può essere utile per meglio comprendere le conseguenze, un po' paradossali, alle quali conduce la tesi qui criticata. Si pensi a due parti che siano nella identica posizione processuale poiché sono vittoriose nei confronti di una pluralità di convenuti. Una non presenta la nota spese mentre l'altra la presenta e quantifica in essa un importo notevolmente inferiore a quello a cui avrebbe diritto, perché non tiene conto del parametro della pluralità di parti (art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014). Ora, seguendo la tesi che considera il deposito della nota spese una declinazione del principio della domanda, alla prima parte verrebbe liquidato un importo di molto superiore a quello che verrebbe riconosciuto alla seconda. A prescindere dalla possibile responsabilità professionale del secondo avvocato una soluzione del genere non appare per nulla ragionevole. Va poi evidenziato che in dottrina si è anche sostenuto che l'art. 75 disp. att. c.p.c. è stato abrogato (tacitamente) a seguito dell'abrogazione, da parte dell'art. 9, comma 1, del d.l. n. 1/2012, delle tariffe professionali. A prescindere dalla adesione a tale tesi però è la stessa funzione dei parametri forensi che rende ormai inutile la nota spese. Infatti essa nel regime tariffario aveva la funzione di agevolare il giudice nel controllo di conformità tra spese, diritti ed onorari, stabiliti dalla tariffa, che fossero stati esposti in essa e le prestazioni desumibili dagli atti. I parametri numerici invece costituiscono dei criteri offerti al giudice per quantificare la retribuzione spettante al professionista per l'assistenza prestata al cliente e l'autorità giudiziaria gode di una certa discrezionalità nella loro applicazione, anche dopo che, con il d.m. 8 marzo 2018, n. 37, sono stati reintrodotti i valori minimi. Per di più alcuni di essi sono applicabili d'ufficio, ovvero senza che vi sia un esplicita richiesta da parte del difensore, come quelli di carattere premiale che prevedono un aumento del compenso in caso di difese manifestamente fondate (art. 4, comma8, d.m. n. 55/2014) o per la redazione degli atti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione (art. 4, comma 1-bis, d.m. n. 55/2014). Occorre peraltro tener conto del fatto che l'art. 4, comma 5, lett. d) del d.m. n. 55/2014, menziona ancora la nota spese tra gli atti che può redigere il difensore ma si tratta di un riferimento anacronistico che non tiene conto della reale natura dei parametri che sono dei criteri di ausilio per il giudice. Ed allora se si vuole tener conto della diversa funzione dei parametri forensi e al tempo stesso offrire al giudice un ausilio per orientarlo nell'esercizio della valutazione discrezionale che implica l'applicazione dei primi può risultare utile un atto di impulso del difensore della parte, non più redatta secondo il modello dell'art. 75 disp. att. c.p.c. ma come una proposta di liquidazione del compenso, in cui illustrare i parametri di cui si sollecita l'applicazione o la fase giudiziale che si ritiene meritevole di una remunerazione superiore ai valori medi di liquidazione e nella quale, al contempo, esporre le spese sostenute In questa prospettiva può anche essere sufficiente dedicare all'argomento una parte della comparsa conclusionale, riservando alla memoria di replica la eventuale contestazione alla proposta di liquidazione del compenso avanzata dalla controparte. Si noti che tale indicazione consente il contraddittorio tra le parti anche sul profilo della liquidazione delle spese, a differenza di quanto accade se si ritiene ancora utilizzabile a nota spese, dal momento che il deposito di quest'ultima, secondo un orientamento diffuso (Cass. civ. sez. II, 24 aprile 1992, n.4936, in Giust. Civ. Mass., 1992, fasc. 4), è possibile sino al momento del deposito delle memorie di replica, nonostante il diverso tenore dell'art. 75 disp. att. c.p.c. (Cass. civ., 24 aprile 1992, n.4936).
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