Utilizzo della pronta disponibilità e sede di lavoro

22 Settembre 2020

La previsione di un servizio di pronta disponibilità fuori dai casi espressamente previsti dalla legge determina un rischio elettivo per l'azienda sanitaria.
Premessa generale: il diritto al riposo biologico

In seguito alle diverse denunce, la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per non aver applicato la Direttiva sull'orario di lavoro (Direttiva n. 2000/34/CE che modifica la precedente direttiva 93/104/CE) anche ai medici operanti nel servizio sanitario pubblico.

L'originario D. Lgs n. 66/2003, infatti, nel recepire la predetta Direttiva, escludeva i medici dal limite dell'orario avorativo settimanale e dai periodi minimi di riposo giornalieri. Al contrario, la Commissione nel maggio 2013 ha inviato allo Stato italiano un “parere motivato”, denominato Memo/13/470, in cui intimava l'adozione delle misure necessarie anche per la dirigenza medica, tenuto altresì conto che, i medici, operanti nel servizio sanitario pubblico, ordinati su un unico livello, ancorché formalmente definiti “dirigenti” non godono della autonomia tipica della dirigenza.

Conseguentemente, l'art. 14 della l. n. 161/2014, (“Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis”), in attuazione al richiamo della Commissione europea, ha abrogato il comma 13 dell'articolo 41 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 e il comma 6-bis dell'art. 17 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, facendo confermando così il diritto del dirigente medico al riposo e alla determinazione di un tempo massimo di lavoro settimanale.

Il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE ha definito come orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio delle sue attività o delle sue funzioni”.

In questo senso, per poter essere definito in orario di lavoro, secondo la giurisprudenza, il dirigente medico deve contestualmente non solo essere a “disposizione del datore di lavoro” ma anche “nell'esercizio delle attività e funzioni”.

Il regime di Pronta Disponibilità “in attesa”, pertanto, non è considerato orario di lavoro in quanto è presente la sola condizione di “essere a disposizione del datore di lavoro” e non anche “nell'esercizio delle attività e funzioni”. L'attesa, in altri termini, determina un mero regime di “riposo disagiato” che viene “ricompensata” mediante l'indennità di pronta disponibilità.

Anche la giurisprudenza formatasi sulla questione ha avuto modo di affermare che la pronta disponibilità “passiva”, pur risolvendosi in una obbligazione strumentale ed accessoria, non può essere paragonata ad attività lavorativa in quanto comporta la sola limitazione della sfera individuale del lavoratore e non impedisce al dirigente medico il recupero delle energie psicofisiche: “Proprio detta ontologica diversità fra prestazione lavorativa e obbligo di reperibilità giustifica la previsione di un riposo compensativo "senza riduzione del debito orario settimanale", ossia di una giornata di riposo la cui fruizione lascia globalmente immutata l'ordinaria prestazione oraria settimanale e, quindi, impone una variazione in aumento della durata della attività lavorativa da prestare negli altri giorni della settimana” (in questo modo tra le tante: Cass. civ., sez. lav., 18 marzo 2016, n. 5465; Consiglio di Stato 9.9.2009 n. 5343; Cass. civ., n. 9316/2014; Cass. civ., n. 11730/2013; Cass. civ., n. 4688/2011; Cass. civ., n. 27477/2008; Cass. civ., n. 18812/2008).

Secondo la Suprema Corte di Cassazione la pronta disponibilità prevista dalla disciplina collettiva, si configura come una “prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell'obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio orario di lavoro, in vista di un'eventuale prestazione lavorativa e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta” (in questo modo: Cass. civ., sent. n. 18812/2008 e Cass. civ., sent. n. 27477/2008).

In altri termini, il servizio di reperibilità, svolto nel giorno destinato al riposo settimanale, limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso e, quindi, non comporta il diritto ad un trattamento economico corrispondente a quello spettante nel caso di effettiva prestazione di lavoro in quel medesimo giorno, ma un trattamento inferiore, proporzionato alla minore restrizione della “libertà del lavoratore”.

In questo senso la pronta disponibilità costituisce una prestazione lavorativa strumentale ed accessoria che sebbene non possa eguagliarsi alla attività lavorativa in senso stretto determina comunque un vincolo che impedisce un riposo pieno ed incondizionato (cfr. Cass. civ., sez. lav.,9 settembre 1991 n. 9468).

Quando risulti che sia stata effettuata una prestazione lavorativa, sorge il diritto al riposo compensativo volto a compensare –concretamente- la perdita di ore di riposo durante il giorno festivo.

Il diritto al riposo compensativo, dunque, appare riferibile sia per la “disponibilità attiva” che per la “disponibilità passiva” e deve attuarsi anche con riferimento alle modalità utilizzate dal lavoratore per raggiungere il presidio (cfr. App. Bologna, Sez. Lav., sent. 26 aprile 2006, n. 15).

Secondo la giurisprudenza, infatti, “non è affatto indispensabile che le parti sociali disciplinano, nel dettaglio, tutti gli aspetti dell'esercizio di facoltà e diritti. Laddove non consti una procedura espressa, l'esercizio degli stessi deve avvenire, secondo i canoni generali di correttezza e buona fede contrattuale, con modalità -anche temporali- tali da non frustrare le finalità dell'istituto, nonché gli interessi al riconoscimento del diritto senza peraltro arrecare a controparte un pregiudizio non giustificato dal proficuo esercizio della situazione giuridica soggettiva attiva” (Trib. Massa, 11 novembre 2011, n. 474).

Solo la “chiamata in servizio” attiva il pieno regime di lavoro sino alla fine dello stato di emergenza per cui il dirigente medico è stato attivato.

La pronta disponibilità “attiva” è, infatti, caratterizzata dalla messa a disposizione del datore di lavoro delle proprie energie lavorative. Tale attività dà luogo ad una prestazione lavorativa la quale deve essere computata nel numero di ore complessivamente lavorate dal dirigente e deve anche essere considerata impeditiva del necessario riposo settimanale. Per tali ragioni, al dirigente in servizio in pronta disponibilità, chiamato a rendere la prestazione, deve essere corrisposta non solo la maggiorazione prevista dal comma 5 (o in alternativa, su necessaria richiesta del dirigente, il recupero orario) ma dovrà essere garantito il riposo settimanale, a prescindere da una sua richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dall'art. 36 della Costituzione oltre che dall'art. 5 della direttiva 2003/88/CE (Cass. civ., sez. lav., 18 marzo 2016, n. 5465).

La norma varata specificatamente per garantire la tutela della salute e sicurezza del lavoratore, in ambito sanitario, conseguentemente, acquista una nuova espressione a garanzia e sicurezza delle cure e della correttezza della prestazione sanitaria posto che, il corretto riposo non solo incide sul diritto soggettivo del lavoratore ma anche sulla diligente prestazione che l'utente si attende dal professionista dipendente anche dal suo corretto riposo biologico.

Scopo e presupposti del servizio di pronta disponibilità

Il servizio di pronta disponibilità, originariamente previsto dall'art. 20 del CCNL 5 dicembre 1996, è stato poi disciplinato dall'art. 7 dell'Accordo del 20 settembre 2001, si caratterizzava per la “immediata reperibilità del dipendente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere la struttura nel tempo previsto …. per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica” specificando che esso è “limitato ai turni notturni ed ai giorni festivi” e che “due turni di pronta disponibilità sono prevedibili solo nei giorni festivi”.

L'art. 17 del CCNL dell'area della dirigenza medica e veterinaria del 3 novembre 2005, successivamente intervenuto a disciplinare la normativa stabiliva che: “Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dirigente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel tempo … per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed agli aspetti organizzativi delle strutture.

Il vigente CCNL 2016_2018

La disciplina contrattuale collettiva vigente, analogamente ai precedenti contratti, distingue agli artt. 26 e 27 tra servizio di guardia che costituisce attività ordinaria e istituzionale rispetto al servizio di pronta disponibilità che rappresenta attività strumentale e accessoria determinata dal verificarsi di presupposti imprevedibili rappresentati da esigenze di servizio caratterizzate dalla urgenza/emergenza nell'erogazione della prestazione sanitaria.

In particolare, l'art. 26 -Servizio di guardia stabilisce:

1. Nelle ore notturne e nei giorni festivi, la continuità̀ assistenziale e le urgenze/emergenze dei servizi ospedalieri e, laddove previsto, di quelli territoriali, sono assicurate tenuto conto delle diverse attività̀ di competenza della presente area dirigenziale nonché́ dell'art. 6 bis, comma 2 (Organismo paritetico), mediante:

a) il dipartimento di emergenza, se istituito, eventualmente integrato, ove necessario da altri servizi di guardia o di pronta disponibilità;

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b) la guardia di unità operativa o tra unità operative appartenenti ad aree funzionali omogenee e dei servizi speciali di diagnosi e cura;

c) la guardia nei servizi territoriali ove previsto.

2. Il servizio di guardia è svolto all'interno del normale orario di lavoro. È fatto salvo quanto previsto dal presente CCNL in materia di prestazioni aggiuntive di cui all'art. 115 comma 2 (Tipologie di attività̀ libero professionale intramuraria). Di regola, sono programmabili non più̀ di 5 servizi di guardia notturni al mese per ciascun dirigente.

3.Il servizio di guardia è assicurato da tutti i dirigenti esclusi quelli di struttura complessa.

4. Le parti, a titolo esemplificativo, rinviano all'allegato n. 2 del CCNL 3.11.2005 dell'Area IV e III con riferimento alla sola dirigenza sanitaria e delle professioni sanitarie per quanto attiene le tipologie assistenziali minime nelle quali dovrebbe essere prevista la guardia di unità operativa.

……….

Art. 27 - Servizio di pronta disponibilità

1. Il servizio di pronta disponibilità̀ è caratterizzato dalla immediata reperibilità̀ del dirigente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere lo stabilimento nel tempo stabilito nell'ambito del piano annuale adottato, all'inizio di ogni anno, dall'Azienda o Ente per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed agli aspetti organizzativi delle strutture.

2. Sulla base del piano di cui al comma 1, sono tenuti al servizio di pronta disponibilità i dirigenti - esclusi quelli di struttura complessa con le eccezioni previste nel successivo comma 3- in servizio presso unità operative con attività continua nel numero strettamente necessario a soddisfare le esigenze funzionali. Con le procedure del comma 1, in sede aziendale, possono essere individuate altre unità operative per le quali, sulla base dei piani per le emergenze, sia opportuno prevedere il servizio di pronta disponibilità̀.

3. Il servizio di pronta disponibilità̀ va limitato, ai turni notturni ed ai giorni festivi garantendo il riposo settimanale, fatto salvo quanto previsto all'Art. 6-bis comma 2 (Organismo paritetico). Tale servizio può̀ essere sostitutivo ed integrativo dei servizi di guardia di cui al presente CCNL. Nei servizi di anestesia, rianimazione e terapia intensiva può̀ prevedersi esclusivamente la pronta disponibilità integrativa. …….

4. Nel caso in cui il servizio di pronta disponibilità̀ cada in giorno festivo spetta, su richiesta del dirigente anche un'intera giornata di riposo compensativo senza riduzione del debito orario.

5. In caso di chiamata, l'attività può essere compensata come lavoro straordinario ai sensi dell'art. 30 (Lavoro straordinario) o, su richiesta dell'interessato, come recupero orario, purchè il dirigente abbia assolto integralmente il proprio debito orario, avuto riguardo al saldo progressivo annuale rilevato alla fine del mese precedente.

6. La pronta disponibilità ha durata di dodici ore. Due turni di pronta disponibilità sono prevedibili solo per le giornate festive. Di regola, potranno essere programmati per ciascun dirigente non più di dieci turni di pronta disponibilità mensili.

……..

8. Il personale in pronta disponibilità chiamato in servizio, con conseguente sospensione delle undici ore di riposo immediatamente successivo e consecutivo, deve recuperare immediatamente e consecutivamente dopo il servizio reso le ore mancanti per il completamento delle undici ore di riposo; nel caso in cui, per ragioni eccezionali, non sia possibile applicare la disciplina di cui al precedente periodo, quale misura di adeguata protezione, le ore di mancato riposo saranno fruite, in un'unica soluzione, nei successivi tre giorni, fino al completamento delle undici ore di riposo. Le regolamentazioni di dettaglio attuative delle disposizioni contenute nel presente comma sono definibili dalle Aziende ed Enti avendo riguardo di collocare il turno successivo a quello programmato in pronta disponibilità, nella fascia oraria pomeridiana.

………

Dalla lettura combinata della direttiva europea, della disciplina giuslavoristica in materia di sicurezza sul luogi di lavoro e del CCNL vigente con riferimento alla determinazione dell'orario massimo settimanale e all'obbligo di riposo consecutivo, deve affermarsi che il datore di lavoro non può prevedere che in seguito al turno di reperibilità il lavoratore possa all'indomani prestare la propria attività lavorativa ordinaria (o viceversa).

Diversamente argomentando si verrebbe ad ammettere, ante litteram, la possibilità –prevedibile- di violare legge in ragione al fatto che la chiamata del dirigente medico determini un impegno orario (anche frazionato) che unitamente all'impegno di servizio ordinario (CCNL 2002-2005 articolo 14 comma 1), impedisca il riposo continuativo pari a 11 ore ovvero, nel tempo, si venga a determinare il superamento dell'orario massimo di impegno settimanale (anche in ragione al fatto che il giorno successivo oltre all'orario istituzionale, per garantire la continuità assistenziale, il dirigente medico debba svolgere anche l'attività libero professionale che costituisce un diritto soggettivo del dirigente medico).

Per tali ragioni, non è ammissibile persistere nella attuazione della pronta disponibilità laddove questa si tramuti, nel tempo, in modo costante e documentato, in “attiva”.

La “prevedibilità -pressochè certa- della chiamata” è ontologicamente inconciliabile con la funzione e la ratio sottesa all'istituto in parola.

L'elemento distonico emerge dal fatto che la pronta disponibilità, in modo nemmeno tanto velato, da attività eventuale attivabile solo in caso di emergenza, in sostanza, è considerata -oramai- una attività istituzionale per ordinaria carenza organizzativa.

Le conseguenze relative alla carenza del personale non possono ricadere sulla dirigenza medica ma piuttosto sulla gestione amministrativa dell'ente a seguito della aziendalizzazione e regionalizzazione del servizio sanitario che ha comportato, nell'indeterminatezza delle competenze, ad abnormi interpretazioni locali.

Il vigente contratto, nulla innova sulla richiamata distinzione tra pronta disponibilità “passiva”, e pronta disponibilità “attiva” caratterizzata dalla messa a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative. Allo stesso tempo, il CCNL vigente, richiama la eccezionalità della prestazione in ragione a necessità imprevedibili di urgenza.

Per tali ragioni, il servizio di reperibilità costituisce uno strumento volto ad assicurare la disponibilità del proprio dipendente per far fronte ad esigenze sopravvenute ex ante non prevedibili in quanto variabili e non può essere utilizzato in via ordinaria per supplire a deficienze organizzative o organiche.

Il concetto di “stabilimento” è definito dall'art. 35 della l. 20 maggio 1970, n. 300, "ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti". Analogamente, il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 prima ed il testo unico sulla sicurezza sul lavoro 81/2008 dopo, definisce unità produttiva ogni "stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale" (art. 2, comma 1, lettera t, l. n. 300/1970).

La diversa definizione non modifica il senso e la portata della pronta disponibilità in quanto, diversamente, dovrebbe ammettersi che essa non è più accessoria e strumentale ma ordinaria e, subdolamente finalizzata a sostituire carenze organiche cristallizzate e non emergenze sanitarie.

Una interpretazione estensiva del concetto di stabilimento legata alla possibilità di erogare la pronta disponibilità presso altri presidi o su più presidi mal si concilia con l'art. 2103, comma 1, c.c., come modificato dall'art. 13, dello Statuto dei lavoratori, il quale prevede che il lavoratore «non può esseretrasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive».

In conclusione

È evidente che vi è una confusione tra istituti e il termine “stabilimento” è interpretato dalle aziende sanitarie per favorire una pronta diponibilità su più presidi o fuori dall'ambito dell'ordinario luogo di lavoro dimenticando, però, la legittimità dello "spostamento superiore a 50 chilometri", ove sussiste uno “stabilimento” datoriale, è legato all'istituto del “trasferimento” il quale consiste nella modifica dell'ordinario luogo di lavoro.

È evidente che il servizio di pronta disponibilità su altro presidio poco si attaglia al caso sopra individuato.

A ulteriore conferma della differenza tra istituti basta qui ricordare che la riforma del pubblico impiego mediante la riscrittura dei commi 1 a 2 dell'articolo 30 del Testo Unico Pubblico Impiego (decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001) richiama l'istituto del trasferimento ad altro stabilimento e comunque nei limiti territoriali già indicati, senza intaccare l'art. 2103 c.c.

È evidente la distinzione di istituti sia in senso formale che sostanziale nonché la differenza strumentale che gli stessi svolgono.

Il trasferimento postula il riconoscimento che la sede di lavoro ordinaria venga svolta in un altro stabilimento mentre la pronta disponibilità costituisce un elemento accessorio e strumentale rispetto l'attività istituzionale nell'abituale posto di lavoro, non potendosi sovrapporre, se non in maniera del tutto confusionaria, concetti e istituti differenti. Per completezza, l'eventuale condotta datoriale non può essere nemmeno identificata con il “distacco” (artt. 56 e 57, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 - t.u. degli impiegati civili dello Stato dove il distacco viene denominato “comando”).

Fermo restando quanto sopra, una diversa interpretazione appare poco aderente al dettato normativo il quale prevede per la pronta disponibilità l'immediata reperibilità del dirigente medico per affrontare impreviste situazioni di emergenza.

La volontà di assicurare la reperibilità in urgenza non può essere separata dalla dislocazione geografica che il dirigente ha rispetto l'ordinario luogo di lavoro e il domicilio che questi ha per raggiungere tempestivamente quella sede (e non anche sedi montane, disagiate e a volte distanti oltre 72 KM!).

Ne consegue che la previsione, ex ante, di immediata reperibilità presso più presidi dislocati a distanza rispetto l'ordinaria luogo di lavoro (tenuto altresì conto della particolare area geografica e della conformazione morfologica del terreno ed altri fattori locali) ovvero in luogo non agevolmente raggiungibile determina per l'Azienda sanitaria un “rischio elettivo” e in caso di eventi avversi o di ritardi, l'Azienda e il sottoscrittore dell'ordine di servizio potrà rispondere, anche alla luce dell'art. 1 della legge n. 24/2017 per “colpa cosciente” o, nel caso, per “dolo eventuale” in quanto gli stessi hanno accettato il rischio che i disagi e gli eventuali ritardi possano, in emergenza, determinare un grave pregiudizio alla salute e alla vita dei cittadini.

Mentre nella colpa cosciente l'accadimento lesivo si propone non come incerto, ma concretamente possibile e l'agente nella realizzazione dell'azione ne accetta il rischio confidando nella risoluzione del fatto astrattamente pericoloso in modo positivo, nel dolo eventuale, l'accadimento lesivo si propone anch'esso come non incerto, ma l'agente, anche in questo caso, nella realizzazione dell'azione accetta il rischio non solo su un piano meramente rappresentativo.

Afferma Cappellini “Nella sua formulazione classica, il criterio dell'accettazione del rischio prevede che per configurarsi il dolo eventuale non sia sufficiente la mera previsione dell'evento lesivo, ma occorra che esso sia stato altresì accettato dall'agente; nell'opposto caso, invece, in cui questi versi in uno stato di ragionevole speranza circa il fatto che l'evento non si verificherà, sarà piuttosto integrata la colpa cosciente” (Cappellini, Il dolo eventuale e i suoi indicatori: le sezioni unite Thyssen e il loro impatto sulla giurisprudenza successiva, in Diritto Penale Contemporaneo).

La Cass. Pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343 sul punto ha affermato otto indicatori che permettono di distinguere, sotto un profilo psicologico, la colpa cosciente dal dolo eventuale.

Mentre nella colpa cosciente sussiste l'esistenza di un malgoverno del rischio per la mancanza dell'adozione delle adeguate cautele atte a prevenire le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano il fatto-reato (rischio clinico astrattamente verificabile) a seguito della abnorme uso della pronta disponibilità, nel dolo eventuale l'agente accetta la verificazione del rischio e le sue conseguenze in ragione dei seguenti presupposti: 1) caratteristiche della condotta; 2) allontanamento dagli standars; 3) capacità di percezione della probabilità del verificarsi dell'evento e della sua pericolosità; 4) durata e costanza della condotta; 5) atteggiamento successivo all'evento; 6) ragioni della condotta; 7) probabilità della verificazione del fatto; 8) le conseguenze lesive conseguenti alla condotta.

E' evidente che, nel caso di specie, tutti questi indicatori sono presenti nel caso in cui in cui la pronta disponibilità venga frequentemente attivata anche per situazioni non imprevedibili in virtù della dell'esigenza di sopperire alla mancanza di personale da parte di un Ente sanitario qualificato a valutare conseguenze pericolose che possono essere particolarmente significative per il bene-salute posto in gioco.

Il ritardo conseguente alla pronta disponibilità in emergenza su più presidi o fuori dall'ordinario di lavoro, dunque, costituisce un rischio elettivo che può determinare la configurazione del dolo eventuale per tutti i soggetti che a vario titolo hanno permesso detta organizzazione.

Sul punto, infine, si evidenzia che la giustificazione circa la carenza di personale non giustifica l'amministrazione sanitaria ma anzi l'aggrava in quanto le aziende sanitarie devono essere in grado di garantire i requisiti minimi organizzativi definiti dal Ministero della Salute e richiamati dal D. lgs. n. 502/1992 e dal Decreto 2 aprile 2015, n. 70 del Ministero della Salute che appunto consente all'Ente di adeguare l'organizzazione secondo le proprie capacità (soprattutto in ragione della regionalizzazione e aziendalizzazione del servizio sanitario). Una struttura che non è in grado di garantire i requisiti minimi o gli standard di sicurezza crea inefficienza del servizio e contestualmente determina un ingiustificato rischio per l'utenza e per i propri dipendenti.

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