Responsabilità civile
RIDARE

Pubblico dipendente e sua responsabilità amministrativo-contabile

01 Luglio 2014

Nell'ambito delle cinque responsabilità in cui può incorrere il pubblico dipendente, quella amministrativo-contabile trova oggi la sua unitaria e fondamentale disciplina, sostanziale e processuale, nelle leggi 14 gennaio 1994 n.19 e 20, come novellate dalla legge 20 dicembre 1996 n.639 che ha apportato significative modifiche alla materia, nonché al funzionamento del giudice di tale responsabilità, ovvero la Corte dei conti. Detta normativa ha unificato il differenziato regime sostanziale della materia, che in precedenza trovava la sua fonte in testi non uniformi e distinti a seconda dell'appartenenza dei dipendente ad amministrazioni statali. Come è noto, la generale applicabilità dell'attuale regime della responsabilità amministrativo-contabile a tutti i dipendenti pubblici, non solo statali, anche dopo l'intervenuta « privatizzazione » del rapporto di pubblico impiego, è confermata da settoriali previsioni: v. l'art. 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. La responsabilità amministrativo-contabile si configura qualora il dipendente pubblico (o soggetti legati alla p.a. da rapporto di servizio) provochi un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico. Essa, dunque, non differisce sostanzialmente dalla ordinaria responsabilità civile (art. 2043 c.c.), se non per la particolare qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico dipendente o soggetto legato alla p.a. da rapporto di servizio), per la natura del soggetto danneggiato (ente pubblico) e per la causazione del danno nell'esercizio di pubbliche funzioni o in circostanze legate da occasionalità necessaria con lo svolgimento di pubbliche funzioni.

Nozione, fonti e inquadramento sistematico

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Nell'ambito delle cinque responsabilità in cui può incorrere il pubblico dipendente, quella amministrativo-contabile trova oggi la sua unitaria e fondamentale disciplina, sostanziale e processuale, nelle leggi 14 gennaio 1994 n.19 e 20, come novellate dalla legge 20 dicembre 1996 n.639 che ha apportato significative modifiche alla materia, nonché al funzionamento del giudice di tale responsabilità, ovvero la Corte dei conti. Detta normativa ha unificato il differenziato regime sostanziale della materia, che in precedenza trovava la sua fonte in testi non uniformi e distinti a seconda dell'appartenenza dei dipendente ad amministrazioni statali. Come è noto, la generale applicabilità dell'attuale regime della responsabilità amministrativo-contabile a tutti i dipendenti pubblici, non solo statali, anche dopo l'intervenuta « privatizzazione » del rapporto di pubblico impiego, è confermata da settoriali previsioni: v. l'art. 55, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

La responsabilità amministrativo-contabile si configura qualora il dipendente pubblico (o soggetti legati alla p.a. da rapporto di servizio) provochi un danno patrimoniale alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico. Essa, dunque, non differisce sostanzialmente dalla ordinaria responsabilità civile (art. 2043 c.c.), se non per la particolare qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico dipendente o soggetto legato alla p.a. da rapporto di servizio), per la natura del soggetto danneggiato (ente pubblico) e per la causazione del danno nell'esercizio di pubbliche funzioni o in circostanze legate da occasionalità necessaria con lo svolgimento di pubbliche funzioni.

In casi di danni arrecati alla p.a. da un proprio dipendente, l'ente danneggiato potrebbe recuperare il risarcimento attraverso una normale azione civile inannanzi al giudice ordinario: in tale evenienza non si pone alcuna interferenza (né pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.) tra l'illecito amministrativo-contabile e quello civile, con l'unico limite del divieto di doppia condanna del dipendente, in sede civile e contabile, per lo stesso fatto e con eventuale effetto decurtante sulla pretesa della Procura erariale derivante dal parziale recupero intervenuto in sede civile o in sede transattiva). L'indipendenza tra i due giudici (ordinario e contabile), anche quando vengano investiti di un medesimo fatto materiale, comporta una mera interferenza tra giudizi (innegabilmente caratterizzati da regimi sostanziali e processuali assai diversi) e non tra giurisdizioni.

Nell'ambito della responsabilità in esame, definita amministrativo-contabile, in realtà, sul piano terminologico e concettuale, va operata la fondamentale distinzione, sancita dagli artt. 81 e 82, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (c.d. legge di contabilità generale dello Stato), tra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile dell'agente pubblico, le quali, nonostante presentino alcune essenziali diversità, vengono sovente unitariamente unificate nella più ampia (e generica) nozione di responsabilità amministrativo-contabile.

La responsabilità contabile è quella particolare responsabilità patrimoniale in cui possono incorrere solo alcuni pubblici dipendenti, ovvero gli agenti contabili, qualifica ex lege spettante (art. 74, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, c.d. l. cont. gen. St.; art. 178, r.d. 23 maggio 1924, n. 827, reg. cont. gen. St.) ai soggetti che hanno il maneggio di denaro o di altri valori dello Stato o la materiale disponibilità di beni, e, segnatamente:

  • agli agenti della riscossione o esattori, incaricati di riscuotere le entrate;
  • agli agenti pagatori o tesorieri, incaricati della custodia del denaro e dell'esecuzione dei pagamenti;
  • agli agenti consegnatari, incaricati della conservazione di generi, oggetti e materie appartenenti alla p.a.

La rilevanza giuridica dell'assunzione della qualifica di agente contabile si evidenzia dalla lettura degli artt. 33 e 194, r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (reg. cont. St.), secondo cui gli agenti contabili rispondono patrimonialmente per la mera discrasia esistente (per difetto) tra la quantità di beni o denaro a proprio carico «di diritto» e la quantità realmente esistente «di fatto»: la mera deficienza numerica o qualitativa dei beni o valori custoditi o gestiti comporta la responsabilità dell'agente, la cui colpevolezza si presume, e sul quale grava l'onere di dimostrare che la sottrazione non è a lui imputabile a titolo di dolo o colpa grave, o che si sia verificata per fortuito o forza maggiore.

In altre parole, a differenza della responsabilità amministrativa, in cui è la pubblica accusa a dover dimostrare la colpevolezza del presunto autore del danno all'erario, per la responsabilità contabile tale (grave) colpevolezza si presume. Le restanti componenti strutturali dell'illecito (condotta, evento, nesso causale) non presentano invece differenze tra l'illecito contabile e quello amministrativo.

Giurisdizione contabile e rapporto di servizio

Le componenti strutturali dell'illecito amministrativo-contabile sono notoriamente, costituite:

  • dal rapporto di impiego o di servizio con la p.a.;
  • dalla condotta;
  • dal danno erariale;
  • dall'elemento psicologico;
  • dal nesso causale.

Partendo dal primo elemento, che rappresenta uno dei presupposti caratterizzanti della giurisdizione contabile, va evidenziato che al giudizio della Corte dei Conti per responsabilità amministrativa sono sottoposti, di regola, i soli dipendenti, intranei alla p.a., legati all'amministrazione da rapporto organico.

Pur avendo la Corte dei conti generale cognizione sui dipendenti pubblici legati alla p.a. da rapporto organico, tuttavia, ormai da alcuni anni, il giudice contabile ha rivendicato la propria giurisdizione anche nei confronti di soggetti estranei all'amministrazione danneggiata, ma legati alla stessa da un rapporto di servizio, che si configura quando una persona fisica, o anche giuridica (es. banca tesoriere di un ente pubblico, società concessionaria per la riscossione), venga inserita a qualsiasi titolo (volontario, coattivo, onorario o impiegatizio) nell'apparato organizzativo pubblico e venga investita sia autoritativamente che convenzionalmente dello svolgimento in modo continuativo di un'attività retta da regole proprie dell'azione amministrativa, così da essere partecipe dell'attività amministrativa.

La Corte dei Conti ha così ritenuto sussistere la propria giurisdizione sulle condotte dannose per l'erario poste in essere da medici privati c.d. « di base » legati da apposita convenzione al Servizio sanitario nazionale, o dal professionista privato nominato direttore dei lavori pubblici o collaudatore, mentre si discute sulla sussistenza della giurisdizione contabile sui progettisti esterni di opere pubbliche.

Parimenti l'organo giuscontabile ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione nei confronti di farmacisti che abbiano arrecato danno al aziende USL, nei confronti dei componenti del Secit che abbiano danneggiato l'amministrazione finanziaria, nei confronti dei membri del collegio dei sindaci o dei revisori di un ente pubblico, nei confronti di consulenti esterni di enti pubblici, nei confronti dei sanitari dipendenti o convenzionati della USL, componenti le commissioni mediche incaricate di accertare il grado di invalidità degli aspiranti al relativo assegno, legati da rapporto di servizio con il Ministro dell'interno, a carico del quale è posta tale provvidenza, nei confronti dei professionisti che rivestendo le cariche di Presidente, Segretario e revisore dei conti abbiano arrecato danno ad un Collegio professionale, nei confronti dei gestori di ricevitorie del lotto e nei confronti dei revisori dei conti di istituzioni scolastiche, nei confronti degli organi c.d. straordinari costituiti per rendere pareri e valutazioni nel contesto di procedimenti, originando così un rapporto di servizio con l'amministrazione, nei confronti degli amministratori di un ente ospedaliero, nei confronti dei componenti di un seggio elettorale, nei confronti dei medici incaricati operanti nell'ambito degli istituti di prevenzione e di pena.

Analogo indirizzo è stato seguito per persone giuridiche (ed il relativo amministratore) legati alla p.a. da rapporto di servizio (es. banca-tesoriere di enti locali; società affidatarie di corsi di formazione professionale, come tali gestori di fondi pubblici; cooperative preposte dalla Regione all'attuazione dei progetti socialmente utili; cooperative di gestione di corsi di promozione dell'occupazione giovanile, di cui alla l. 1 giugno 1977, n. 285). Non è da escludere dunque la giurisdizione contabile a fronte di danni cagionati all'amministrazione fiscale dai concessionari per la riscossione.

Non può invece attivarsi la Corte dei conti a fronte di danno cagionato da professionista esterno all'amministrazione nell'esercizio di attività libero-professionale (es. patrocinio legale), caratterizzata da ampio mandato e non sottoposta a vincoli e direttive della p.a., anche se non manca qualche pronuncia in senso contrario.

Giurisdizione contabile su dipendenti e amministratori di società a partecipazione pubblica

L'ampliamento della giurisdizione contabile è stata poi portata ad ulteriori sviluppi ad opera della magistratura, inizialmente avallata dalle sezioni unite della Cassazione, con l'attribuzione alla Corte dei Conti della giurisdizione sulle s.p.a. a partecipazione pubblica (anche minoritaria e indiretta, c.d. di secondo grado, secondo talune recenti pronunzie), quale attribuzione diretta di giurisdizione su ente pubblico in una moderna accezione e non già, come già in passato affermato, in virtù del classico ragionamento fondato sul rapporto di servizio tra la società (es. concessionaria di servizi pubblici o destinaria di finanziamenti pubblici) e la p.a. Tale indirizzo è stato poi parzialmente superate dalla giurisprudenza della Cassazione intervenuta dal 2009 in poi (Cass., S.U., 19 dicembre 2009 n. 26806; id., 15 gennaio 2010 n. 519) e, in parte, dal discutibile sopravvenuto art. 16-bis, l. 28 febbraio 2008 n. 31 che aveva escluso la giurisdizione contabile, a favore dell'a.g.o., per le società quotate in borsa con partecipazione pubblica inferiore al 50% (sul tema POLICE, Danno da cattiva gestione di società a capitale pubblico e ruolo della Corte dei conti, in Il nuovo dir.amm., 2012, f.2, 177). In base a tali pronunce delle sezioni unite della Cassazione, nella società di diritto privato a partecipazione pubblica, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla mala gestio dei suoi organi sociali non integra il danno erariale in quanto si risolve in un vulnus gravante in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società stessa, soggetta alle regole di diritto privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci; l'azione di responsabilità per danno erariale, può, invece, configurarsi in caso di danno direttamente arrecato alla P.A. quotista, oppure (c.d. tutela di secondo grado) nei confronti di chi, essendone incaricato, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d'indirizzare correttamente l'azione degli organi sociali o di reagire doverosamente agli illeciti da questi ultimi commessi.

Più di recente, la Cassazione (Cass., S.U., 25 novembre 2013, n.26283) ha però attribuito alla giurisdizione contabile le fattispecie di danno arrecate da amministratori di società in house per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.

La condotta dannosa

Venendo alla seconda componente strutturale dell'illecito in esame, va in primo luogo ricordato che la responsabilità amministrativa va desunta da condotte illecite dei dipendenti pubblici e non necessariamente da atti illegittimi posti in essere dagli stessi.

La mera illegittimità dell'atto può dunque essere un mero indice sintomatico della illiceità di una condotta dannosa. Ne consegue che la Corte dei conti, pur non potendolo annullare, può incidentalmente valutare la legittimità o meno di un atto amministrativo (giungendo eventualmente anche a conclusioni discordanti rispetto a quelle del giudice amministrativo presso il quale l'atto sia stato impugnato principaliter), al solo fine di coglierne i sintomi o i riflessi di illiceità della condotta posta in essere attraverso l'adozione dell'atto stesso.

La condotta dannosa del pubblico dipendente, che origina una sua personale responsabilità amministrativa, può essere, al pari di altre forme di responsabilità (civile, penale, disciplinare), attiva o omissiva.

I giudizi contabili hanno vagliato fattispecie molto varie: di omessa o tardiva conclusione di procedimenti di pagamento nei termini prescritti da contratti o dalla normativa attuativa dell'art. 2, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241 (all'origine dell'esborso di interessi, rivalutazione e, talvolta, di spese di lite in giudizi intrapresi innanzi al giudice ordinario o amministrativo); di omesso utilizzo di opere pubbliche; di omesso azionamento di pretese risarcitorie da parte della p.a.; di omessa adozione di mezzi di vigilanza per prevenire furti; di omessa adozione di ordini di servizio per prevenire incidenti sul lavoro poi verificatisi; di omessa iscrizione della tassa per l'occupazione di suolo pubblico; di omesso controllo su ditta appaltatrice che cagioni un danno all'amministrazione; di omessa verifica su bomba dichiarata inerte e poi esplosa; di omesso recupero di somme indebitamente erogate; di mancata convocazione di una giunta per l'approvazione dei ruoli di tassa; di mancata convocazione del consiglio per la ratifica di un atto di transazione; di omessa acquisizione di contributo regionale che ha comportato l'esborso di maggiori oneri per interessi e spese legali a favore di un fornitore privato, creditore della p.a. destinataria del finanziamento; di omessa dichiarazione e versamento di IVA con conseguente sanzione per omesso versamento di doloso mancato (o parziale) accertamento fiscale in cambio della erogazione di tangenti; di omessa adozione di atti interruttivi della prescrizione di un carico tributario; di mancato inoltro di avvisi di accertamento; di mancata iscrizione a ruolo di partite di imposta; di mancata insinuazione di un credito erariale nel fallimento di una impresa debitrice verso la p.a.; di omessa adozione di cautele nella conduzione di autoveicoli; di omessa vigilanza su alunni; di omessa custodia di beni e valori etc.

Tra le condotte omissive foriere di danno erariale va altresì segnalata l'importante fattispecie introdotta dall'art. 1 comma 3, l. n. 20 del 1994, secondo il quale: «Qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno emesso o ritardato la denuncia. In tali casi, l'azione è proponibile entro cinque anni dalla data entro cui la prescrizione è maturata » (Trattasi dell'ipotesi di responsabilità amministrativa da omessa denuncia alla Corte dei conti di fatti dannosi per l'Erario.

Sempre in ordine all'elemento strutturale «condotta», va rimarcata la notevole valenza teorica ed operativa del principio di insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, sancito dal novellato art. 1, comma 1, l. n. 20 del 1994.

Tra le più frequenti applicazioni di tale principio è sufficiente far riferimento alle scelte transattive operate dalla p.a., o alle spese per rappresentanza, per donativi, per contributi a manifestazioni culturali o gemellaggio, alle consulenze esterne, alle scelte di resistere in giudizio invece di chiudere in via amministrativa stragiudiziale un contenzioso o un possibile contenzioso.

Il concorso di persone nella causazione del danno

L'illecita verificazione di un danno all'amministrazione può essere frutto anche della condotta di una pluralità di pubblici dipendenti (es. un impiegato si appropri di una somma e il relativo dirigente colposamente non se ne avveda; un dirigente ed un proprio subordinato che non denuncino alla Corte dei conti un danno riscontrato da entrambi; due finanzieri concordino con un contribuente la percezione di una tangente per « addomesticare » un accertamento tributario; un dipendente timbra il bedge e torna a casa ed il dirigente lo “copre”).

In tali evenienze, l'art. 3 della l. 20 dicembre 1996, n. 639, aggiungendo il co.1-quater all'art. 1 della legge n. 20 del 1994, ha sancito, in caso di concorso di persone nell'illecito, il principio della personalità e parziarietà (regola del c.d. «a ciascuno il suo») della responsabilità amministrativa (in verità già previsto dall'art. 82, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, l. cont. Stato). È stato così espunto l'antitetico principio di solidarietà passiva, recepito dalla prevalente giurisprudenza contabile per esigenze di tutela del credito erariale, ed oggi limitato, a seguito della cennata novella del 1996, alle due sole eccezionali ipotesi («punitive») di concorrenti beneficiari di « illecito arricchimento o che abbiano agito con dolo ».

Per i danni arrecati da organi collegiali, il legislatore (art. 1-ter, l. n. 20 del 1994 nel testo novellato dalla l. n. 639 del 1996) ha sancito che « nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole ».

Il danno erariale (diretto e indiretto)

Il danno erariale prodotto da un dipendente pubblico può consistere nel deterioramento o nella perdita di beni o denaro (danno emergente , es. appropriazione di beni dell'ufficio), o nella mancata acquisizione di incrementi patrimoniali che l'ente pubblico avrebbe potuto realizzare (lucro cessante ,es. omesso accertamento nei confronti di un contribuente).

Tale responsabilità si configura non solo a fronte di danni subiti direttamente dall'amministrazione (es. sottrazione di una somma o danneggiamento di un arredo da parte del dipendente), ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dalla p.a., chiamata innanzi al giudice ordinario (o, oggi, anche innanzi al giudice amministrativo) a risarcire, ex art. 28 Cost., il terzo danneggiato dal proprio lavoratore durante l'attività di servizio.

Dunque, in entrambe le ipotesi di responsabilità amministrativa (da danno diretto ed indiretto), giudice della rivalsa del credito vantato dall'amministrazione nei confronti del dipendente autore della condotta illecita è la Corte dei Conti.

La casistica sui danni erariali è assai varia (sul tema TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2013, 166). Oltre ai danni da condotta omissiva già evidenziati, si segnalano tra le innumerevoli fattispecie illecite frutto di condotte commissive i seguenti “filoni”: danni da sinistri automobilistici, da realizzazione di opere pubbliche inutili (ed inutilizzate), da omessa manutenzione del patrimonio mobiliare ed immobiliare, da acquisto di beni strumentali inutili o desueti, da erogazione di emolumenti (indennità varie) non dovute a dipendenti, da utilizzo non istituzionali di beni d'ufficio (auto, telefoni etc.), da prolungato allontanamento sine causa dal posto di lavoro in orario d'ufficio, da appropriazione di denaro e beni dell'amministrazione, da assenza dal lavoro celata dietro patologia medica inesistente, da danneggiamento di beni d'ufficio, da assunzione di spese senza idonea copertura finanziaria, da corresponsione di somme a titolo di interessi su capitale erogato in ritardo, da accessione invertita (c.d. occupazione acquisitiva di terreni privati da parte della p.a. con pagamento di oneroso risarcimento danni in luogo del più modesto indennizzo correlato alla tempestiva chiusura di rituale procedura espropriativa), da indebita concessione di pensione di invalidità, da illegittima sospensione di lavori pubblici, da illegittimo conferimento di incarichi e consulenze esterne, etc.

Danno da tangente e danno all'immagine della P.A.

Tra le più frequenti voci di danno erariale individuate dalla magistratura contabile, va segnalato anche il danno da tangente ed il danno all'immagine cagionato all'amministrazione pubblica, da propri dipendenti ed amministratori.

Di tale orientamento si è fatta applicazione nei molteplici giudizi contabili originati dalla c.d. tangentopoli, che, come è noto, ha avuto conseguenze non solo penali, ma anche giuscontabili, e dunque pecuniarie, per i pubblici amministratori e funzionari coinvolti nel fenomeno, molti dei quali sono stati condannati dalla Corte dei Conti a rifondere anche il danno erariale patrimoniale c.d. da tangente) (es. maggiori costi sostenuti dalla p.a. per aggiudicare appalti truccati, minori introiti fiscali derivanti da omessi accertamenti tributari etc.) ed il danno da lesione all'immagine dell'amministrazione.

In ordine al danno da tangente, la Corte dei conti ha ritenuto, in base alla comune esperienza, che il costo delle c.d. « mazzette » nelle procedure ad evidenza pubblica si traduce causalmente in un aumento dei prezzi rispetto a quelli comuni di mercato. Difatti, la dazione di denaro da privati fornitori (es. imprese costruttrici, fornitori, etc.) a pubblici funzionari o amministratori, crea un sistema « fisiologicamente distorto » di gestione dei pubblici appalti, nel quale il versamento della tangente costituisce requisito indefettibile di accesso alla procedura connessa agli appalti.

Strettamente connessa a tale ultima « voce di danno » è quella relativa al danno all'immagine patito dalla pubblica amministrazione a seguito di condotte illecite di propri dipendenti in situazioni legate da « occasionalità necessaria » con compiti di servizio (ovviamente per lesioni all'immagine del proprio ente di appartenenza arrecate al di fuori di contesti istituzionali o da occasioni di servizio, la giurisdizione risarcitoria apparterrà all'a.g.o., vertendosi in materia di illecito extracontrattuale).

La suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia a sezioni unite 25 giugno 1997, n. 5668 e con successive decisioni, recependo spunti dottrinali, ha chiarito che quello che la Corte dei conti definisce danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) è in realtà un danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. all'immagine della p.a., la cui cognizione è pertanto devoluta all'organo giuscontabile, ma non mancano decisioni che riconducono al 2059 c.c. (oggi oggetto di una lettura più ampia ad opera della Cassazione) tale danno.

Purtroppo in tempi recenti il legislatore è improvvidamente intervenuto con il c.d. “lodo Bernardo: art.17, co.30-ter, d.l. 1 luglio 2009 n.78, convertito nella l. 3 agosto 2009, n. 102 (sul tema VETRO, Il danno all'immagine della P.A. dopo il lodo Bernardo: una discutibile sentenza della Consulta, in Foro amm-CdS, 2010; TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2013, 181) che ha fortemente limitato la possibilità della Corte dei Conti di contestare il danno all'immagine, limitandola ai soli fatti che si traducano in reati contro la P.A. (e nemmeno tutti, ma solo quelli indicati nella l. n.97 del 2001) e, per questi ultimi, solo dopo il giudicato penale di condanna in plateale violazione della autonomia tra magistratura contabile e magistratura penale e dei distinti illeciti dalle stesse perseguiti. La recente legge anticorruzione n.190 del 2012 ha da ultimo fissato, novellando l'art.1, co.1-sexies, della l. n.20 del 1994, un presunzione, ovviamente vincibile, di danno all'immagine connessa a percezioni tangentizie pari al doppio della “mazzetta” percepita.

Va infine fatto cenno ad una categoria, al momento alquanto « fluida », di danno erariale: si tratta del «danno da disservizio», della quale è ancora difficile cogliere i caratteri essenziali, stante la differente qualificazione che viene operata nell'ambito delle stesse procure della Corte dei conti In primo luogo il « danno da disservizio » si caratterizza per l'inosservanza di doveri del pubblico dipendente (oggi canonizzati nel CCNL e nei codici di comportamento per il personale civile, mentre restano fissati nelle normative di settore per il personale militare) con conseguente diminuzione di efficienza dell'apparato pubblico: esso è intrinsecamente connesso ad un pubblico servizio, e si verifica allorquando lo stesso è « desostanziato », per l'utenza, delle sue intrinseche qualità, in una valutazione attuata secondo i parametri dell'efficienza e della efficacia. In altri termini, nei casi di « disservizio », l'azione pubblica non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall'impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse.

Il potere riduttivo dell'addebito

Va ricordato che la Corte dei conti gode del noto e risalente parametro nella quantificazione del danno erariale addebitabile al convenuto: il c.d. potere riduttivo dell'addebito (art. 83, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; art. 19, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). Tali norme attribuiscono alla Corte dei conti un potere-dovere che è stato tradizionalmente visto come un unicum nel panorama magistratuale: quello di ridurre, secondo il proprio prudente apprezzamento, il quantum di danno accertato ed imputabile al pubblico dipendente autore di condotte illecite, giungendo, in ipotesi limite, persino alla esclusione di qualsiasi addebito. In buona sostanza, dopo la determinazione dell'importo del danno patito dalla p.a. e dopo aver posto a carico dei vari compartecipi la quota-percentuale ad essi casualmente imputabile ex art. 1, comma 1 e comma 1-quinquies, l. n. 20 del 1994, il giudice può ridurre detta quota di danno da risarcire, valutando le circostanze del caso concreto.

Il principio è giustamente ritenuto espressivo di una “giustizia a misura di uomo”.

L'elemento psicologico: dolo o colpa grave

La responsabilità amministrativa è configurabile solo a fronte di comportamenti posti in essere con « dolo o colpa grave ».

Mentre il «dolo» (anche nella sua forma di «dolo eventuale») non origina problemi interpretativi ed applicativi, coincidendo con la nozione penalistica delineata dall'art. 43 c.p. e configurandosi dunque a fronte di danni previsti e voluti come conseguenza della propria azione, la nozione di «colpa grave» rappresenta una novità innanzi alla Corte dei conti, sebbene nell'ordinamento giuridico sia una categoria ampiamente esplorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Tale colpa grave si configura non più a seguito della mera violazione di una obbligazione o di una norma, ma bensì quando, sebbene il danno sia oggettivamente prevedibile ed evitabile, il dipendente non ha posto in essere una diligenza minima, ovvero quello sforzo possibile che avrebbe impedito il verificarsi dell'evento, inosservando le elementari regole di prudenza o le basilari regole tecniche di una data professione. In altre parole, secondo l'antico brocardo di Ulpiano, la colpa grave è la «massima negligenza, cioè il non intendere ciò che tutti intendono».

Un utile referente (sebbene non vincolante) per la individuazione di alcune macro-ipotesi di colpa grave è costituito, oltre che dalla già citata giurisprudenza della Cassazione elaborata in altri rami del diritto in cui viene in gioco tale peculiare elemento psicologico, dall'ormai copiosa elaborazione delle sezioni riunite della Corte dei conti, e dall'indirizzo di coordinamento 19 ottobre 1996, n. I.C./6 della Procura Generale della medesima Corte, che ravvisa tale elemento psicologico in caso di errore professionale inescusabile, che si configura in tre ipotesi fondamentali ivi richiamate (sul punto TENORE, La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2013, 181 229).

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