Responsabilità civile
RIDARE

Interesse legittimo e risarcimento del danno per sua lesione

Ilvio Pannullo
29 Settembre 2020

Il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo è l'ultimo capitolo di una storia - quella appunto dell'interesse legittimo - il cui esordio è nel segno della sua ontologica irrisarcibilità. Di qui, la necessità di comprendere le sue origini, le motivazioni sottese alla sua genesi, per comprenderne appieno le variegate sfaccettature che, ancora oggi, incidono sulla sua qualificazione e, indirettamente, hanno segnato il ritardo con cui ne è stata ammessa la risarcibilità in caso di lesione.

Inquadramento

Il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo è l'ultimo capitolo di una storia - quella appunto dell'interesse legittimo - il cui esordio è nel segno della sua ontologica irrisarcibilità. Di qui, la necessità di comprendere le sue origini, le motivazioni sottese alla sua genesi, per comprenderne appieno le variegate sfaccettature che, ancora oggi, incidono sulla sua qualificazione e, indirettamente, hanno segnato il ritardo con cui ne è stata ammessa la risarcibilità in caso di lesione.

Il sintagma “interesse legittimo” trova il suo formale e autorevole riconoscimento nel diritto positivo italiano negli artt. 24, 103 e 113 Cost. e viene oggi inteso come la situazione giuridica riconosciuta al privato cittadino che miri ad un bene della vita, il cui conseguimento diretto sia tuttavia necessariamente mediato dall'esercizio di un potere - non più di eteronoma consistenza ottocentesca, bensì legittimato da una norma conforme a Costituzione - finalizzato ad assicurare l'obbligato contemperamento tra opposti interessi, tanto di natura e origine pubblica quanto di natura e origine privata.

La nozione ha tuttavia sempre stentato ad essere riconosciuta nell'ambito della teoria generale del diritto, dove il riconoscimento all'interesse legittimo di una dignità pari ordinata ad un diritto soggettivo continuativamente inteso come interesse giuridicamente tutelato se, in passato, da sempre, è stato problematico, oggi è addirittura, da alcuni Autori, radicalmente osteggiato: Luigi Ferrajoli, ad esempio, definisce l'interesse legittimo una «figura spuria», iscritta in una logica statualistica ottocentesca portata a negare l'esistenza di diritti nei confronti dello Stato, nonché «indebito supporto» per surrettizie limitazioni di responsabilità della p.a., teoricamente insostenibile rispetto alla «correlazione biunivoca» tra diritti e doveri.

Non deve dunque sorprendere che anche, o forse soprattutto, per questa «povertà di ontologia concettuale», l'interesse legittimo ha da sempre stentato a fuoriuscire dai confini italiani e dalle logiche del nostro sistema di giustizia amministrativa; non è infatti riuscito a trovare cittadinanza nel diritto europeo, il quale ha anzi agito nel senso di una ricomposizione della frattura con il diritto soggettivo, soprattutto per ciò che riguarda i profili risarcitori, secondo quella che autorevolmente in Letteratura è stato definito come una vera e propria marcia di avvicinamento al diritto soggettivo, segnata in questi ultimi anni da un pieno recupero di quella molteplicità di tutele e di modalità di protezione, che proprio una certa declinazione dell'interesse legittimo aveva a lungo negato, nell'ordinamento italiano, nei confronti del potere amministrativo.

Cenni sulle origini storiche della nozione e sulle ragioni della sua irrisarcibilità

L'interesse legittimo, qualificato dal grande giurista Federico Cammeo proprio come una «categoria storica […] da identificarsi secondo l'evoluzione della giurisprudenza giudiziaria fino al 1889-90», appare dunque una situazione giuridica soggettiva che, per la sua intrinseca mutevolezza di contenuti e di significati, risulta «speculare all'intero itinerario del sistema italiano di giustizia amministrativa ed incomprensibile a prescindere da questo percorso storico».

Il dualismo delle situazioni giuridiche soggettive “diritto-interesse” iniziò infatti a delinearsi nell'ultimo decennio dell'Ottocento, spinto dalle esigenze interpretative della L. n. 5992 del 1889, istitutiva della quarta Sezione del Consiglio di Stato, cui si riconosceva la competenza a decidere sui «ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti [...] che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici, quando i ricorsi medesimi non sieno di competenza dell'autorità giudiziaria, né si tratti di materia spettante alla giurisdizione od alle attribuzioni contenziose di corpi o collegi speciali». Come sottolineato autorevolmente in Dottrina, le radici del dualismo sono tuttavia più risalenti, rimontando almeno alla celebre L. n. 2248 del 1865, all. E, con la quale il Legislatore dell'unificazione aboliva il contenzioso amministrativo, affidava al Giudice ordinario la protezione dei «diritti civili e politici», e riservava a forme di tutela interne alla stessa amministrazione gli altri «affari», da intendersi dunque qui come categoria residuale.

La scelta del Legislatore unitario, consapevolmente meditata e certamente nobile nei suoi propositi, del Giudice unico, del Giudice dei diritti e dei doveri, ossia del Giudice «del mio e del tuo», in luogo di un Giudice interno alla stessa amministrazione, non poteva tuttavia dissimulare la realtà, invero più politica che giuridica, dell'esistenza - per dirla con Bernardo Sordi - di un «vasto campo di battaglia, nel quale, fermi alcuni fondamentali diritti individuali di libertà e di proprietà, le situazioni giuridiche soggettive cessavano di fronteggiare, in modo pari ordinato, i diritti dell'amministrazione e dovevano scontrarsi con manifestazioni di potere consolidate ed indiscutibili. Lì, inevitabilmente […], la frontiera dei diritti si arrestava e si apriva quella dei meri interessi non meritevoli di tutela».

La mancata rimozione del divieto per il Giudice ordinario ex art. 4, comma 2, L. n. 2248/1865, all. E, di annullare l'atto amministrativo e la conseguente, rigida, delimitazione delle azioni esperibili nei confronti dell'amministrazione ha, infatti, da sempre, costituito un argine insuperabile alla valorizzazione dei rimedi utilizzabili dal privato cittadino, all'interno della giurisdizione del Giudice unico, nei confronti del potere autoritativo.

La storia dell'interesse legittimo - e da ultimo della sua risarcibilità in caso di lesione - è dunque l'affascinante percorso che vede contrapposti il diritto del privato cittadino e il potere della pubblica amministrazione, la perentoria e granitica certezza del diritto soggettivo perfetto e la mutevole, cangiante e a tratti umbratile figura del diritto affievolito; in altri termini, il mai sopito scontro tra il diritto della Giustizia e il diritto del Potere.

L'affermazione dell'interesse legittimo come criterio di riparto tra le giurisdizioni

Rinviando ai suggerimenti indicati in calce per l'approfondimento della pur tortuosa affermazione dell'interesse legittimo quale criterio del riparto tra le giurisdizioni, valga in questa sede limitarsi a sottolineare che, muovendo da ascendenze lessicali francesi - ove la soggezione amministrativa al sindacato giudiziario era considerata impossibile proprio perché relativa a «droits imparfaits» e ad «intérêts légitimes», ossia a situazioni soggettive strettamente intrecciate con l'interesse pubblico - l'«espediente esegetico» della “proposta sostanzialistica” della nozione, in luogo di quella “processualistica”, trovò in Oreste Ranelletti l'interprete in grado di tradurla in una vera e propria teoria del riparto e nella giurisprudenza della Cassazione romana a cavallo dei due secoli la sua consacrazione.

Da nebulosa costruzione dogmatica a criterio del riparto tra le giurisdizioni, l'interesse legittimo si affermò così come situazione giuridica soggettiva funzionale ad «una greve sovradeterminazione statualistica» che, nelle ricostruzioni dogmatiche fornite per rafforzarne la citata «povertà di ontologia concettuale» attraverso le categorie del Ranelletti degli «interessi occasionalmente protetti» e dei «diritti affievoliti», cui si sommava anche la riconosciuta capacità del potere discrezionale della p.a. di affievolire gli stessi diritti perfetti, da sempre ha minato la centralità del Giudice ordinario e da sempre è stata strumento per difendere «l'incensurabilità del potere discrezionale», giacché - si sosteneva - era «nell'interesse stesso del cittadino [che] rest[assero] invulnerate ed invulnerabili le prerogative dell'amministrazione».

La stabilizzazione del criterio di riparto fu così cristallizzata nel 1929 con il celebre «concordato giurisprudenziale» tra i presidenti delle Supreme Magistrature ordinaria e amministrativa, Mariano D'Amelio e Santi Romano, archiviando una stagione di intensi conflitti giurisdizionali e ratificando, da una parte, «la scomparsa del diritto soggettivo e la marginalità del sindacato del Giudice ordinario a fronte della riconosciuta invadenza del potere discrezionale», dall'altra, «la pesante tutela che la Corte di cassazione, arbitro esclusivo dell'ordine nella giurisdizione, continuava ad esercitare sul Consiglio di Stato, attraverso un millimetrico controllo dell'estensione della sua giurisdizione e persino dell'intensità dei suoi poteri di cognizione e di decisione». Ancora una volta, di tutta evidenza, un compresso, tanto necessario quanto bilanciato, tra le ragioni del Potere e le ragioni della Giustizia.

Date queste premesse, tuttavia, è evidente che la prospettiva della tutela del diritto del privato cittadino destinatario dell'attività autoritativa più che rimanere sullo sfondo era in realtà collocata fuori dal quadro oggetto dell'indagine dogmatica. Semplicemente, la risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo era impensabile. Emblematiche in questo senso le parole del Romano: «Non può dirsi che vi sia danno giuridico e, conseguentemente, responsabilità, tutte le volte che si rimane nella sfera dei poteri discrezionali delle pubbliche amministrazioni». Il Giudice amministrativo tendeva, del resto, ad escludere invero anche ogni soggettività della tutela, arrivando ad affermare che: «l'interesse legittimo è primaliter interesse dello Stato, tanto che il singolo a favore del quale viene riconosciuto agisce quasi in veste procuratoria» (cfr. Cons. St., Sez. IV, 30 aprile 1927, in Giur. it., 1927, III, 272 ss.).

Le premesse della risarcibilità

Elemento di cesura rispetto all'ineludibile continuum che caratterizza l'azione amministrativa in uno Stato moderno è l'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana. Anche se ad avviso di autorevole Dottrina «il congelamento costituzionale del sistema di giustizia amministrativa, con la prima imbalsamazione normativa della nozione di interesse legittimo, non appartiene alle pagine auree del costituente del secondo dopoguerra», la rivoluzione copernicana segnata dalla Costituzione, con il suo perno fondato sul riconoscimento della centralità del cittadino e delle sue libertà fondamentali, non può non essere riconosciuta come l'inizio della riscossa del diritto della Giustizia sul diritto del Potere.

Il sistema normativo della giustizia amministrativa era tuttavia rimasto immobile, traghettato nell'ordinamento democratico per mezzo di quegli articoli della Carta costituzionale richiamati in epigrafe. Il grande Giannini, con la sua prosa ineguagliabile, lo ebbe a definire non un sistema ma«un parasistema», privo di logica e di coerenza, «un edificio sinistro e sinistrato nel quale pochissimi iniziati sanno muoversi», eretto in un passato lontano ed irto di trabocchetti e labirinti: un legato per il quale «onestamente non possiamo ringraziare i nostri avi».

Ebbene, così iniziò l'opera dei giuristi repubblicani, oggettivamente obbligati a lavorare con concetti la cui cristallizzazione nel testo costituzionale aveva certamente convalidato e con riferimento ai quali era impensabile non tenere in debita considerazione i relativi indirizzi giurisprudenziali, corposi e sedimentati. Il risultato fu che, nonostante la generale previsione di cui all'art. 24 Cost., con la complicità della teoria ranelettiana dell'affievolimento dei diritti, innanzi alla discrezionalità dell'azione amministrativa, intersecando questa ogni disciplina, qualunque diritto soggettivo perfetto era suscettibile di essere degradato a mero interesse legittimo, con l'inaccettabile epilogo di una sostanziale irresponsabilità della p.a., almeno per quanto riguarda il campo dell'attività giuridica.

Fu solo con la teorica del provvedimento (e della sua imperatività) del Giannini, unanimemente accolta dall'Accademia, e con la funzione riconosciutagli di cristallizzare, nel caso concreto, l'inevitabile dialettica tra autorità della pubblica amministrazione e libertà del privato cittadino, che l'interesse legittimo assume il carattere di «situazione soggettiva che prendeva consistenza sin dal procedimento, definendosi per caratteri di marcata specialità rispetto alle situazioni dominative proprie dei rapporti pariordinati, contraddistinte da un rapporto diretto, di disposizione o di godimento, con il bene della vita». Avvicinandosi al potere, dunque, le situazioni di vantaggio confermavano il proprio intrinseco dualismo; divenivano «relazionali» e «strumentali» ad una parallela situazione di potestà o di potere in senso sostanziale; negata per definizione la possibilità di accedere direttamente al bene della vita, si armavano di quelle misure rivolte «a far esercitare questo potere altrui in modo conforme a norma».

S'inizia così a intravedere l'obiettivo di una tutela piena - assicurata invero solo dalla risarcibilità della lesione - dell'interesse legittimo, ma per la sua conquista sarà necessario tuttavia l'intervento esterno di un Ordinamento sovraordinato, seppur nei limiti del principio di attribuzione sancito dalla sentenza n. 170 del 1984 della Corte costituzionale, del tutto estraneo al sofisticato frasario tipico del sistema italiano di giustizia amministrativa e, seppur radicalmente fondato sul sistema di codificazione continentale, caratterizzato per uno spiccato approccio sostanzialistico di matrice anglosassone.

La risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo

Non potendosi in questa sede ripercorrere anche il tornante conosciuto dalla giurisprudenza del previo necessario annullamento dell'atto amministrativo e la successiva “riestensione” del diritto affievolito dal provvedimento non ancora dichiarato illegittimo, valga qui ricordare, seppur brevemente, che delle timide aperture al riconoscimento della risarcibilità vi furono da parte della Cassazione, anche se attraverso la qualificazione di un numero sempre crescente di casi in cui veniva in rilievo l'esistenza di “diritti non comprimibili” del cittadino da parte dell'azione amministrativa, e soprattutto qualificando come veri e propri diritti soggettivi le situazioni di vantaggio costituite dalla stessa attività autorizzatoria della p.a. in seguito illegittimamente annullate in via di autotutela.

Tuttavia, la prima vistosa ed irreparabile crepa nell'edificio costruito sui pilastri della specialità e dell'irrisarcibilità ontologica della lesione dell'interesse legittimo - giacché, si è visto, era inteso come interesse stesso dell'amministrazione agire legittimamente - è cagionata dall'approvazione della legge comunitaria per il 1991, la L. n. 142 del 1992, che, in attuazione dei principi sanciti dalla Direttiva n. 89/665/CEE (la c.d. “direttiva ricorsi”), con l'art. 13, disciplinava le violazioni del diritto comunitario in materia di appalti e forniture, prevedendo, per la prima volta, la possibilità che la p.a. fosse condannata al risarcimento dei danni causati da un provvedimento illegittimo, anche se non si tratti di lesione di diritti soggettivi.

È indubbio, infatti, che detta norma abbia avuto la funzione di scardinare la vetusta teorica che escludeva la possibilità di lamentare pregiudizi di ordine patrimoniale al titolare dell'interesse legittimo e che ad essa abbiano poi fatto seguito, rotto l'argine del dogma, le norme di cui agli artt. 33, 34 e 35 del D. Lgs. n. 80 del 1998, che hanno, le prime, esteso il numero delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e, l'ultima, definitivamente statuito come quest'ultimo, pur se ancora limitatamente nelle controversie devolute alla propria giurisdizione esclusiva, potesse disporre il risarcimento del danno ingiusto.

A questo punto (in realtà non mancarono singole voci assai precedenti) da più parti in Dottrina si rilevò l'evidenza che, nonostante non potessero ritenersi non centrali settori del diritto amministrativo quali l'edilizia, l'urbanistica, i pubblici servizi, che si erano aggiunti a quello degli appalti pubblici, «la creazione di nuove aree di giurisdizione esclusiva, fa[ceva] d'altra parte venire meno le ragioni storiche [...] che, in coerenza ad un dato assetto del sistema della giustizia amministrativa e del riparto delle giurisdizioni, pregiudicavano la questione della responsabilità». Di qui, la necessità di un assestamento sistematico, puntualmente assicurato dal Giudice di legittimità con la celeberrima sentenza n. 500 del 22 luglio 1999, ove, per la prima volta, la questione della risarcibilità degli interessi legittimi non solo da questione di giurisdizione si trasforma stabilmente in questione di merito, ma, addirittura, si pone a prescindere dalla «qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato».

D'un tratto la lesione di questa posizione giuridica soggettiva - il cui confine mai statico era in maniera vistosa sottoposto alle ineludibili oscillazioni meccanicamente sempre più forti prodotte da un Ordinamento esterno e sovraordinato - non si declinava più nei limiti della sola legittimità dell'azione amministrativa, ma poteva determinare quel «fatto dannoso ingiusto» a cui l'art. 2043 c.c. ricollega la responsabilità patrimoniale del danneggiante e fondare così una domanda risarcitoria per illegittimo esercizio della funzione pubblica.

Il crollo del dogma della irrisarcibilità del danno da lesione degli interessi legittimi si compie infine assai rapidamente, nel volgere di nemmeno un anno giacché tanto intercorre tra la sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione e l'art. 7 della L. n. 205 del 2000.

Orientamenti a confronto

I nodi teorici che occorreva sciogliere per riconoscere il risarcimento della lesione dell'interesse legittimo erano, per comune opinione, tre, così abilmente riassunti da Romano A. Tassone: «se l'interesse legittimo, per propria intrinseca natura, fosse suscettibile di subire una lesione rilevante sul piano della responsabilità aquiliana; se il diritto positivo sostanziale, ed in particolare l' art. 2043 c.c. , prevedesse il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi; se - last, but not least - esistesse un Giudice cui chiedere il risarcimento di tale lesione». Di seguito, i diversi orientamenti a confronto sulle singole questioni, riportati in maniera necessariamente schematica, e la posizione assunta dal Giudice di legittimità a chiusura della dialettica.

Sotto il primo aspetto, parte della Dottrina affermava che l'interesse legittimo, in quanto situazione soggettiva cui non si connette un'aspettativa giuridicamente tutelata al soddisfacimento dell'interesse materiale di base del titolare, non ammettesse una “ingiusta” lesione; mancando una relazione diretta tra titolare dell'interesse e oggetto dell'interesse, interponendosi tra soggetto e oggetto l'attività discrezionale della p.a., se, da una parte, è ben possibile una lesione, ossia il mancato conseguimento del bene della vita, dall'altra, si escludeva che ciò potesse integrare un comportamento contra ius.

Il secondo problema riguardava invece l'interpretazione dell'art. 2043 c.c., che, consentendo il risarcimento del solo «danno ingiusto», appunto contra ius,parte della Dottrina voleva riferire al risarcimento del pregiudizio derivante dalla lesione di soli diritti soggettivi.

La terza questione, infine, come rilevabile da quanto sopra accennato, riguardava il Giudice chiamato a decidere sulla domanda risarcitoria in ragione della qualificazione della situazione giuridica che si assumeva fosse stata lesa: se, infatti, la posizione azionata in via risarcitoria fosse stata effettivamente un interesse legittimo, allora avrebbe dovuto escludersi sia la cognizione del Giudice ordinario, che è Giudice dei soli diritti soggettivi; sia quella del Giudice amministrativo avanti al quale poteva esercitarsi solo l'azione costitutiva d'annullamento, almeno in sede di giurisdizione di legittimità.

Del resto, anche tra i sostenitori dell'ammissibilità del risarcimento, si riscontravano opinioni fortemente divergenti in ordine alle modalità con cui la relativa tutela potesse esser accordata. Fra le questioni più importanti e discusse, ne vanno ricordate almeno tre:

  1. quale fosse il Giudice competente a conoscere della domanda risarcitoria e, nel caso la risposta fosse il G.A., se in sede di giurisdizione di legittimità, ovvero in via esclusiva, oppure nel solo giudizio di ottemperanza;
  2. se fosse necessario il previo annullamento dell'atto amministrativo, e così provocare la successiva “riestensione” del diritto affievolito dal provvedimento non ancora dichiarato illegittimo, ovvero se le due azioni - demolitoria e risarcitoria - fossero concorrenti;
  3. se e come si potesse colmare il divario che si riscontrava, sotto il profilo risarcitorio, tra interessi legittimi oppositivi e interessi pretensivi, rispetto ai quali se, da una parte, i primi erano considerati sempre suscettibili di risarcimento, dall'altra, gli altri risultavano «ben difficilmente ammessi in concreto alla tutela risarcitoria».

Su questo contesto problematico, oggetto di annose e sempre rinnovate discussioni, intervenne la sentenza delle Sezioni Unite. Con impareggiabile chiarezza e sinteticità, il Tassone ne compendia così il contenuto:

  • l'art. 2043 c.c., quando parla di «danno ingiusto», si riferisce a qualsiasi pregiudizio arrecato ad aspettative comunque giuridicamente protette del cittadino, con il solo limite degli interessi di mero fatto;
  • dalla lesione di una qualsiasi di tali aspettative, causata da un fatto illecito, discende, in capo al danneggiato, il diritto soggettivo al risarcimento; anche il titolare di un interesse legittimo, al pari del titolare di qualsiasi altra situazione di aspettativa giuridicamente protetta, può dunque adire il Giudice ordinario chiedendo il risarcimento del danno subìto;
  • il diritto al risarcimento del titolare di un interesse legittimo non è tuttavia automaticamente connesso all'illegittimità del provvedimento amministrativo, ma occorre che si dia, nella fattispecie concreta, anche la lesione dell'interesse materiale di base del cittadino;
  • tale lesione è sostanzialmente in re ipsa nel caso di interessi legittimi di tipo “oppositivo” (siano o meno essi radicati in precedenti situazioni di diritto soggettivo), mentre il portatore di interessi legittimi di tipo “pretensivo” può lamentarla solo ove, sulla base di una valutazione prognostica, si possa ritenere che la pretesa del cittadino dovesse esser soddisfatta dall'amministrazione;
  • l'elemento soggettivo dell'illecito aquiliano non può considerarsi implicito nella sola illegittimità del provvedimento amministrativo, ma deve emergere autonomamente, ed è ravvisabile quando la pubblica amministrazione “come apparato” (e non già il funzionario) abbia agito con violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione;
  • poiché il diritto soggettivo al risarcimento sorge direttamente sulla base dell'art. 2043 c.c., l'esercizio dell'azione risarcitoria non è condizionato al preventivo esperimento del ricorso per l'annullamento del provvedimento della pubblica amministrazione;
  • nelle sole materie di giurisdizione esclusiva, la domanda di risarcimento deve essere proposta davanti al Giudice amministrativo.

A queste proposizioni, l'art. 7 della L. n. 205 del 2000 - poi confermato dal Codice del processo amministrativo - ne aggiungerà una sola, ma di rilevantissimo impatto, pratico e sistematico: spettano al Giudice amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione (non solo esclusiva), tutte le questioni relative al risarcimento del danno e «agli altri diritti patrimoniali consequenziali».

Casistica

Non potendosi dar conto in questa sede delle infinite galassie della casistica, ove molto spesso il risarcimento della lesione è conseguenza diretta delle circostanze caratteristiche del singolo caso concreto portato all'attenzione del Giudicante, possono suggerirsi quali spunti per meglio comprendere quanto sopra succintamente compendiato le seguenti pronunce.

Anzitutto, Cass. civ., Sez. Un., 1 ottobre 1982, n. 5027, che ha riconosciuto la responsabilità della p.a. nell'ipotesi dell'illegittima decadenza della licenza per l'esercizio dell'attività di autista di piazza. In materia urbanistica, si v. Cass. civ., 30 marzo 1963, n. 800, secondo cui sussiste un diritto risarcibile nell'ipotesi di licenza (oggi concessione) edilizia illegittimamente revocata o annullata. Si legge espressamente in tale pronuncia che è ammissibile l'azione risarcitoria «nel caso di affievolimento, poscia dichiarato illegittimo nella sede competente, di un diritto soggettivo, poiché l'annullamento dell'atto illegittimo, che aveva ingiustificatamente degradato il diritto in interesse, provoca il ripristino della pienezza del diritto […] tale ipotesi si verifica quando l'esercizio del diritto del proprietario... a disporre del proprio suolo, edificandovi un fabbricato, sia stato impedito dal diniego della licenza edilizia, dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato». Un analogo principio di diritto trovò in seguito autorevole conferma in Cass. Sez. Un., 5 gennaio 1994, n. 60, relativa al caso di un'illegittima revoca della intervenuta nomina a funzionario onorario.

In conclusione

La parabola che ha conosciuto la questione della risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo è strettamente connessa alle ragioni della genesi di questa posizione giuridica «spuria» e dai contorni sfuggenti, immaginata come nozione di parte generale corollario della discrezionalità dell'agire autoritativo della p.a., da sempre connessa alla sequenza “potere discrezionale-interesse legittimo-giurisdizione amministrativa di annullamento”.

È con l'incedere degli effetti prodotti dall'appartenenza dell'Italia all'Ordinamento dell'Unione europea e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, da una parte estranea all'articolato frasario della giustizia amministrativa italiana, dall'altra caratterizzata per uno spiccato approccio sostanzialistico realizzato mediante il principio dell'effettività e dell'efficacia equivalente, che si produce molto rapidamente il venire meno di qualsiasi spazio di irresponsabilità della p.a.

Ad oggi, pertanto, il titolare di un interesse legittimo, al pari del titolare di qualsiasi altra situazione di aspettativa giuridicamente protetta, può dunque adire il Giudice - individuato per volontà del Legislatore nel giudice amministrativo - chiedendo il risarcimento del danno subìto.

Guida all'approfondimento

In Dottrina sul tema si v. cfr.

Sordi B., Voce Interesse legittimo, in Enciclopedia del diritto, Ann., II, Milano, s.d. ma 2008, p. 709;

Tassone R. A., Voce Situazioni giuridiche soggettive (diritto amministrativo), Ivi, Agg., II, s.d. ma 2002, p. 966;

Cannada Bartoli, Interesse (diritto amministrativo), in Ivi, XXII, p. 1 ss.;

Scoca F. G., Interessi protetti (dir. amm.), in Enc. giur., XVII, 1989;

Ferrajoli L., Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, I. Teoria del diritto, Roma-Bari, 2007;

Cammeo F., Corso di diritto amministrativo, II, Padova, 1914;

Ranelletti O., A proposito di una questione di competenza della IV Sezione del Consiglio di Stato, Avezzano, 1892;

Giannini M.S., Discorso generale sulla giustizia amministrativa, pt. I, in Riv. dir. proc., 1963, p. 525;

Romano S., Principii di diritto amministrativo (1901), 2ª ed., Milano, 1906;

Caranta R., Danni da lesione di interessi legittimi: la Corte costituzionale prende ancora tempo, in Foro it., 1998, p. 3486 ss.;

per i riferimenti giurisprudenziali si rinvia a quelli indicati nel testo.

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