Legittima difesa

Antonio Bana
27 Ottobre 2020

Appena tre mesi dopo l'inizio della trattazione in Commissione, il 24 ottobre 2018 il Senato della Repubblica ha approvato con 195 voti favorevoli su 248 votanti, un testo di legge di riforma della legittima difesa (“Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”). Le modifiche proposte intervengono su numerose norme, non solo del codice penale, anche estranee alla legittima difesa in senso stretto, complementari ad essa al fine di tutelare sotto ogni punto di vista le situazioni di aggressione all'interno del domicilio e dei luoghi di lavoro. Il fine è, così oggi come nel 2006, la ricerca di maggior tutela e certezza per chi si difende e maggior rapidità nella definizione dei procedimenti.
Inquadramento: iter storico del progetto di riforma della legittima difesa

Appena tre mesi dopo l'inizio della trattazione in Commissione, il 24 ottobre 2018 il Senato della Repubblica ha approvato con 195 voti favorevoli su 248 votanti, un testo di legge di riforma della legittima difesa (“Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”). Le modifiche proposte intervengono su numerose norme, non solo del codice penale, anche estranee alla legittima difesa in senso stretto, complementari ad essa al fine di tutelare sotto ogni punto di vista le situazioni di aggressione all'interno del domicilio e dei luoghi di lavoro. Il fine è, così oggi come nel 2006, la ricerca di maggior tutela e certezza per chi si difende e maggior rapidità nella definizione dei procedimenti.

Le modifiche proposte possono essere così sintetizzate:

La “difesa sempre legittima”: primo punto centrale del progetto di riforma è un duplice ampliamento della portata applicativa dell'art. 52 c.p.

- il primo correttivo consiste nell'aggiunta dell'avverbio «sempre» nella presunzione del requisito della proporzione del comma 2, che risulta come segue: «sussiste sempre il rapporto di proporzione». L'intento alla base di questa modifica è di trasformare la presunzione da relativa, ossia che ammette la prova contraria, ad assoluta, negando così ogni possibilità all'accusa di provare l'insussistenza del requisito e, allo stesso tempo, togliendo ogni discrezionalità al giudice nel verificarne la presenza. Restano in ogni caso fermi gli ulteriori requisiti previsti dalla norma al co. 1, nonché quelli introdotti dalla riforma del 2006 e indicati al comma 2;

- il secondo intervento, invece, consiste nell'introduzione di un nuovo quarto comma come segue «nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone». Si introduce così una presunzione di tutti i requisiti della legittima difesa, una presunzione che anche in questo caso è da ritenersi assoluta, stante il ricorso all'avverbio “sempre”. La stessa potrà operare solo nei casi di aggressioni nel domicilio (comma 2) e nei luoghi in cui viene esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale (comma 3) e sempre che le modalità dell'aggressione siano quelle indicate, dunque con violenza o minaccia dell'uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica. La verifica circa le modalità dell'aggressione e i luoghi in cui la stessa è avvenuta, è sufficiente a garantire l'applicazione della causa di giustificazione, essendo tutti gli altri requisiti presunti e non residuando un ulteriore spazio di verifica in capo al giudice.

[Si pensi a quanto appurato da Cass., sez. I, 27 maggio 2010 n. 23221 e Cass., sez. I, 8 marzo 2007 n. 16677 (dep. 2 maggio 2007)].

La rilevanza della minorata difesa: secondo aspetto fondamentale della riforma è l'intervento sull'art. 55 c.p., ossia l'eccesso colposo nelle cause di giustificazione; si introduce un nuovo secondo comma come segue.

«nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto». Si inserisce così una causa di esclusione della punibilità (a rigore della colpevolezza), ossia una norma che rende non punibile una condotta altrimenti penalmente sanzionabile a titolo di colpa. L'applicazione della medesima però, è spazialmente circoscritta ai soli casi di legittima difesa nel domicilio o nei luoghi di lavoro. Inoltre, il legislatore ha deciso di limitarne la portata applicativa ai casi di minorata difesa, da ritenersi tale quando connessa sia a condizioni oggettive esterne, sia a condizioni soggettive dell'aggredito. Infatti, vi è il riferimento non solo alla circostanza aggravante comune di cui all'art. 61 comma 1 n. 5 c.p., ossia i casi in cui l'aggressore ha «profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa», ma anche al turbamento emotivo vissuto dall'aggredito a causa dell'aggressione. Quest'ultimo elemento, ripreso, seppur in maniera diversa, dal disegno di legge Ermini n.3785 della XVII legislatura, comporta una verifica discrezionale del giudice sul turbamento vissuto e sull'influenza che questo ha avuto sulla capacità di giudizio dell'aggredito. Con questa aggiunta il legislatore ha voluto dar rilievo alla maggior vulnerabilità e alla particolare difficoltà in cui versa chi si trova aggredito in tali luoghi, normalmente sinonimo di sicurezza e tranquillità.

[Cass., sez. IV, 20 giugno 2018 n. 29515, ud. 28 giugno 2018 Caso Birolo]

L'aumento delle pene: nel progetto di legge è proposto anche un inasprimento delle cornici edittali dei reati contro il patrimonio e l'inviolabilità del domicilio.

In particolare:

- l'art. 4 propone per i casi di violazione di domicilio ai sensi dell'art. 614 c.p. i seguenti aumenti: le pene da «sei mesi a tre anni» di reclusione diventano «da uno a quattro anni» per i casi di cui al comma 1, ossia quando qualcuno s'introduce contro la volontà, espressa o tacita, del titolare o clandestinamente o con l'inganno all'interno di un'abitazione o altro luogo di privata dimora o ancora nelle appartenenze di essi. Nei casi del comma 4, quando la violazione avviene con violenza su cose o persone o da parte di persona palesemente armata, la pena originariamente prevista «da uno a cinque anni» di reclusione diventa «da due a sei anni»;

- l'art. 5 propone per i casi di furto in abitazione e furto con strappo ai sensi dell'art. 624-bis c.p. i seguenti aumenti: le pene mutano da «tre a sei anni» di reclusione a «da quattro a sette anni» per i casi di cui al comma 1, ossia furto mediante introduzione in luogo destinato alla privata dimora; la disposizione, e il relativo aumento di pena, è peraltro estesa ai casi del comma 2, ossia furto commesso strappando la cosa mobile di mano o di dosso alla persona, stante il richiamo alla cornice edittale prevista per i casi del comma 1. Per le ipotesi di furto aggravato di cui al comma 3, punito attualmente «da quattro a dieci anni» di reclusione e «da euro 927 a euro 2.000» di multa, diventa rispettivamente «da cinque a dieci anni»e«da euro 1.000 a euro 2.500»;

- l'art. 6, infine, propone per il reato di rapina di cui all'art. 628 c.p. i seguenti aumenti: la pena minima per la rapina non aggravata, di cui al comma 1, passa da «quattro» a «cinque» anni nel minimo; per i casi del comma 3, ossia rapina aggravata, la pena minima della reclusione aumenta da «cinque» a «sei» anni, e muta la cornice edittale della multa «da euro 1.290 a euro 3.098» a «da euro 2.000 a euro 4.000»; infine è disposto un aumento anche per le ipotesi del comma 4, ossia quando concorrono più circostanze aggravanti, il cui minimo della pena passa da «sei» a «sette» anni di reclusione e la multa «da euro 1.538 a euro 3.098» a «da euro 2.500 a euro 4.000».

Il risarcimento del danno e le spese di giustizia: vi sono altresì una serie di disposizioni sia penalistiche sia civilistiche volte a intervenire sull'aspetto prettamente economico della vicenda, favorendo la posizione dell'aggredito.

In particolare:

- l'art. 3 del progetto di legge dispone l'aggiunta di un sesto comma all'art. 165 c.p., introducendo così un limite alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena; tale limite opera per i soli casi di condanna per il reato di furto in abitazione e furto con strappo, di cui all'art. 624-bis c.p., e consiste nel necessario previo «pagamento integrale dell'importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa»;

- l'art. 7 propone l'introduzione di due nuovi commi all'art. 2044 c.c., secondo cui «non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri»; viene introdotta in primo luogo un'esclusione di responsabilità per le ipotesi di cui all'art. 52 commi 2, 3 e 4 c.p., così sostanzialmente ripetendo quanto già sancito dall'attuale 2044 c.c. In secondo luogo, nei casi di eccesso di cui all'art. 55 comma 2 c.p., così come introdotto dallo stesso progetto di legge, la valutazione dell'indennità viene lasciata all'equo apprezzamento del giudice;valutazione che dovrà tener conto«della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato»;

- l'art. 8, infine, dispone l'introduzione dell'art. 115-bis all'interno del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (d.P.R. n. 115/2002). L'articolo estende le norme relative al patrocinio a spese dello Stato quando è emesso provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato sulla base del riconoscimento della causa di giustificazione, precisamente dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 52. La disposizione è applicabile anche ai casi di eccesso di cui all'art. 55 comma 2 c.p. solo però a fronte di una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non sussiste. È fatta comunque salva la possibilità per lo Stato di ripetere le somme versate nei casi di riapertura delle indagini, revoca o impugnazione della sentenza di non luogo a procedere o impugnazione della sentenza di proscioglimento, a cui segua la pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna.

[Un grave turbamento e pesante stato di ansia e paura. Si veda di recente Cass., Sez. V, 2 marzo 2017 n. 17795 (dep. 7 aprile 2017)]

L'accelerazione dei processi: l'ultima modifica, proposta all'art. 9 del progetto di legge, è l'introduzione della lettera «a-ter»all'interno dell'art. 132 bis disp. att. c.p.p., ossia la norma che indica a quali casi si deve dare priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi.

Così facendo si vorrebbe garantire la precedenza alla trattazione per i processi le cui imputazioni sono per omicidio o lesioni colpose «verificatisi in presenza delle circostanze di cui agli articoli 52, secondo, terzo e quarto comma», ossia legittima difesa nel domicilio o nei luoghi di lavoroe«55, secondo comma, del codice penale» ossia i casi di eccesso non punibile.

Ripercorso punto per punto il contenuto del progetto di riforma, emerge abbastanza agevolmente quella che è l'idea di fondo del legislatore: il ladro e il rapinatore che decidono di entrare nel domicilio altrui lo fanno a proprio rischio e pericolo, violando il “regno” di qualcun altro. Un'idea che, per molti versi, richiama la teoria della c.d. “castle doctrine” americana, secondo cui ogni privato è “re del proprio castello” e, conseguentemente, ha diritto di esercitare tale dominio senza interferenze esterne.

Senonché, per quanto possa esser meritevole estendere la legittima difesa per dare rilevanza alle particolari situazioni di fatto che caratterizzano questo tipo di aggressioni – quali la paura e il turbamento –, va considerato che ogni riforma della legittima difesa deve fare i conti con i principi costituzionali e sovranazionali. Infatti, non solo la Costituzione sancisce la superiorità della vita – anche se del ladro o del rapinatore – sul patrimonio, ma anche la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, all'art. 2 comma 2, giustifica l'uccisione altrui, per fini di difesa, solo quando è assolutamente necessaria. L'eventuale introduzione di una presunzione del requisito della necessità, come nell'attuale progetto di legge, sembra difficilmente conciliabile con tali principi, circostanza, questa, che il Parlamento dovrebbe opportunamente considerare prima dell'approvazione definitiva della legge.

A tal proposito pare utile ricordare che già nel 2006 il legislatore era intervenuto sulla legittima difesa e la giurisprudenza, interpretando la riforma in maniera costituzionalmente conforme, ne aveva limitato fortemente la portata applicativa. L'attuale progetto di riforma rischia di essere un ulteriore tentativo sterile di modifica della causa di giustificazione: quand'anche fosse approvato, infatti, a causa dei dubbi profili di legittimità costituzionale, i giudici cercherebbero di fornire un'interpretazione costituzionalmente conforme, ancora una volta inevitabilmente limitativa della portata applicativa della scriminante, col rischio, ove ciò non fosse possibile, di dover rimettere la questione alla Corte Costituzionale e di una declaratoria di incostituzionalità che ne vanificherebbe gli intenti.

La riforma (sospesa) della legittima difesa

Da anni si discute di una riforma dell'art. 52 c.p., che disciplina la legittima difesa, per cercare di allentare le maglie della giustizia nei confronti di cittadini che hanno ucciso per difendere la loro attività o la loro casa. Il testo dell'art. 52 c.p. è stato riformato per la prima volta nel 2006 aggiungendo le clausole di proporzionalità, della reazione all'offesa o al pericolo ricevuto, e di applicabilità della legge anche se il caso di legittima difesa avviene in luoghi dove può essere esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. L'attuale art. 52 c.p. recita: «Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

Nei casi previsti dall'art. 614 c.p., primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale».

Giova ricordare nella sua ricostruzione storica che durante la scorsa legislatura era stato presentato un disegno di legge che prevedeva un piccolissimo passo in avanti rispetto alla norma del 2006, ma il testo risulta fermo al Senato da oltre un anno. La nuova normativa avrebbe aggiunto dei criteri legati al momento in cui avviene la legittima difesa (riconoscendola come tale nei casi in cui il fatto avvenga di notte). Nelle sue finalità, la normativa avrebbe dovuto aiutare gli aggrediti a evitare o ridurre i tempi dell'indagine seguente al fatto. Nel secondo comma, il disegno di legge prevede che le spese e l'onorario dei legali e dei consulenti della persona sia a carico dello Stato. Questo aspetto risulterebbe essere l'unico reale avanzamento nella normativa visto che la legge del 2006 prevede che le spese a carico dell'aggredito siano tutte a carico di quest'ultimo a prescindere dalla prosecuzione o meno del procedimento giudiziario. Tutto questo viene spiegato molto bene negli scritti di Lucrezia Rossi.

In conclusione, la legittima difesa deve essere esercitata legittimamente e perché ciò avvenga deve rispettare tre condizioni: il ricorso alla violenza deve rappresentare un rimedio estremo; la violenza aggressiva deve essere reale, effettiva e non ipotetica, presunta; la violenza difensiva, infine, deve essere proporzionata e dunque non superiore a quella aggressiva.

La responsabilità dell'autodifesa

Il diritto a difendere la propria vita anche a spese di quella altrui, quindi il diritto alla legittima difesa sia individuale che sociale, è principio cardine dell'etica come della cultura giuridica dell'Occidente: tanto nella sua matrice cristiana, quanto nella sua nuova religione laica che sacralizza i “diritti umani”. Sul piano del diritto individuale a difendere la vita anche a spese di quella altrui, dobbiamo sempre rammentare che il nostro ordinamento lo consente non solo in caso di legittima difesa, ma anche in situazioni di “stato di necessità”, dunque persino ai danni di incolpevoli terzi. Le norme scriminanti l'autodifesa non dovrebbero dunque poter essere interpretate in senso inaccettabilmente limitativo ed in un contesto, poi, dove la interpretazione dovrebbe privilegiare il principio del favor rei».

La legittima difesa e l'uso legittimo delle armi sono materie che devono essere affrontate attraverso una regolamentazione che stigmatizzi gli eccessi, senza dimenticare che il diritto di autodifesa è uno dei principi del nostro ordinamento. Le norme che si rifanno a tale principio non possono essere soggette a interpretazioni non falsanti e non riduttive.

Nel nostro paese chi ricorre all'uso delle armi per difendere sé stesso o i propri cari da un aggressore «si espone talora a rischi processuali non meno gravi di quelli fisici creati dall'aggressore. E, attenzione: gli incerti confini della legittimità della reazione difensiva espongono non soltanto a rischi di condanna penale, sovente relativamente mite, ma non di rado al talora molto più incidente e sproporzionato rischio di condanne risarcitorie capaci anche di rovinare per sempre una famiglia. Legittima difesa ed uso legittimo delle armi devono essere normati e giudicati senza consentire eccessi. Ma, quando gli eccessi ci sono il bilancino del legislatore e del giudice, oltre che sereno nell'identificarli, dovrebbe poter essere modulato e graduato nel sanzionarli; per non schiacciare con effetti sproporzionati la vita del cittadino che, magari eccedendo, ha subito la terribile esperienza di dover colpire un aggressore perché in quel caso lo Stato non poteva o sapeva difenderlo».

La liceità dei comportamenti dell'aggredito deve essere valutata caso per caso per valutarne

la correttezza dei comportamenti. L'attualità del pericolo, la sua gravità, l'eccessiva o troppo precipitosa reazione sono tra i principali criteri che il giudice deve valutare per accertare il grado di legittimità dell'azione compiuta dall'aggredito. Il Prof. Ruffolo nel suo libro ha posto l'accento su un aspetto di natura etica che interessa i casi di legittima difesa: «È eticamente giusto e poi se è giuridicamente corretto condannare a risarcire, ed in misura piena, i danni cagionati all'intruso dalla reazione armata della vittima, indotta a reagire dalla situazione di pericolo, effettivo o putativo, non solo per la proprietà dei beni ma soprattutto per la integrità fisica propria e dei propri cari. Sul piano etico, la valutazione comparativa degli interessi può far agevolmente apparire iniqua la pretesa risarcitoria di chi è rimasto leso dalla reazione difensiva, ma è al contempo autore della situazione che l'ha provocata. Sul piano interpretativo dovremmo allora poter trasporre tale soluzione valorizzando le figure dell'autoresponsabilità e del concorso di colpa. A tale conclusione potrebbe giungersi senza scomodare il ricorso ad interpretazioni “creative”. Mentre tali sono invece, all'opposto, quelle - non infrequenti in giurisprudenza - che restringono la scriminante della legittima difesa al di sotto di quanto la legge chiaramente consente, in nome di una “politica del diritto” votata alla “condanna esemplare” e prona alla fondamentalistica esigenza di far trionfare a qualsiasi costo il principio che “non si deve ricorrere alle armi comunque” e/o che ogni reazione difensiva sarebbe un “farsi giustizia da sé”».

Ai fini del risarcimento, va considerata sia l'eventuale responsabilità di chi eccede nel difendersi, sia l'autoresponsabilità di chi ha generato la necessità dell'autodifesa. Alcuni giudici risultano essere troppo severi nel censurare penalmente la difesa armata o l'uso illegittimo delle armi da parte delle forze dell'ordine, che in presenza di automatismi risarcitori pesanti, rischia di essere anche socialmente inaccettabile.

La valutazione giudiziale deve tenere debito conto della tensione psichica e della alterata lucidità in un contesto altamente traumatico. Al singolo costretto a difendersi va sempre concesso il beneficio del valutarne la reazione tenendo conto del contesto di improvvisa sorpresa ed elevato stress.

Difendersi da chi lede i nostri diritti è uno dei principi generali della dottrina giurisprudenziale italiana: «Costituisce principio generale nel nostro ordinamento quello secondo cui un determinato comportamento lesivo di un diritto altrui, che sarebbe in sé suscettibile di essere considerato illecito dal punto di vista civile e/o penale e generatore delle conseguenti responsabilità, debba invece ritenersi consentito qualora sia stato posto in essere dalla necessità di sventare l'aggressione ad un proprio diritto, o, comunque, di difenderlo. Tale principio è ben espresso dalla opinione dominante della dottrina e della giurisprudenza che configura la legittima difesa quale ipotesi di causa di esclusione della antigiuridicità o una causa di giustificazione.

Il principio di proporzionalità tra offesa e reazione

Mediante l'art. 1 della l. 13 febbraio 2006 n. 59, il Legislatore ha introdotto due ulteriori commi all'art. 52 c.p., che così recitano: «Nei casi previsti dall'art. 614, commi 1 e 2, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale».

Tale norma avrebbe dovuto “rafforzare” l'operatività della causa di esclusione dell'antigiuridicità di cui si tratta nei casi in cui l'aggressione si verifichi nell'ambito di una illecita intrusione nell'abitazione o nel luogo di lavoro altrui, sancendo che, in tali casi, il requisito della proporzionalità tra aggressione e reazione deve ritenersi presunto. Sennonché, tale intenzione originaria sembrerebbe almeno in parte frustrata dal testo della norma medesima.

Anche tale particolare ipotesi di legittima difesa richiede i requisiti, sopra esaminati, di attualità del pericolo e di necessità della reazione, tale per cui l'uso della forza da parte dell'aggredito deve pur sempre configurarsi quale extrema ratio, quale unico rimedio esperibile per la tutela del bene aggredito. In secondo luogo, poi, la presunzione di sussistenza del requisito della proporzionalità tra reazione ed offesa, che dovrebbe costituire il fulcro della tutela meramente ripetitiva dei principi già ampiamente enucleati, in dottrina e giurisprudenza, in tema di legittima difesa c.d. classica: tale presunzione è infatti ammessa solo nel caso in cui i beni giuridici messi in pericolo e quelli lesi in conseguenza della difesa abbiano carattere omogeneo e pari rango di tutela.

E così, infatti, la legittima difesa c.d. “domiciliare” è sempre ammessa per tutelare “la propria

od altrui incolumità”.

Il problema della legittima difesa italiana è l'interpretazione e l'applicazione, in alcuni casi, troppo restrittiva della legge da parte dei giudici, così come l'uso legittimo delle armi da parte delle Forze dell'Ordine. I limiti posti da una giurisprudenza privilegiante interpretazioni esasperatamente restrittive, pongono a chi si sia visto costretto ad una reazione armata, non solo il rischio di responsabilità penale (spesso mite), ma anche e soprattutto quello delle responsabilità risarcitorie, spesso incidenti per centinaia di migliaia di euro. Il ricorso a istituti come il patteggiamento o il rito abbreviato uniti a condanne penali poco elevate permettono all'imputato di limitare i danni di una condanna penale. Si sottovalutano, invece, gli aspetti risarcitori sul piano civilistico, che sono molto più rigidi: i danni al soggetto leso, e/o ai congiunti sono calcolati con pochi margini di flessibilità. Ed è un conto che si rischia di pagare per intero, anche quando la irrogazione della pena è fortemente attenuata dalle circostanze concrete.

Negli USA, ad esempio, il principio generale in tema di legittima difesa domiciliare, come già anticipato, è frutto della c.d. “Castle Doctrine” di matrice anglosassone, secondo cui ogni uomo sarebbe sovrano della propria casa, con conseguente diritto di utilizzare la “deadly force” per difenderla, sempre che abbia fatto di tutto per evitare il pericolo. Nella codificazione di tale principio, taluni stati, come la Florida o il Mississippi, in particolare, hanno previsto una sorta di presunzione in merito alla ragionevolezza dell'uso della forza, di fatto sancendo che lo stesso deve ritenersi consentito ogni qual volta vi sia una violazione del domicilio. Allo stesso modo, mentre quasi metà degli stati americani prevede il c.d. “duty to retreat”, ossia il dovere dell'aggredito di ritirarsi dal pericolo prima di poter utilizzare la “deadly force”, consentendo una reazione difensiva solo ove la fuga non sia possibile senza esporsi ad un pericolo maggiore; molti altri stati, per contro, hanno implementato le c.d. “stand your ground laws”, che altro non sono se non una negazione del suddetto principio del dovere di tentare la fuga, consentendo quindi all'aggredito di reagire con forza letale all'aggressione subita.

[Cass. Pen., Sez. V, 20 novembre 2014 n. 4184; Cass. Pen., Sez. II, 17 novembre 2018 n. 53630].

Il conflitto d'interessi alla base

Prendo come spunto nel proseguire nella trattazione di queste brevi nozioni sulla legittima difesa gli scritti del Professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale nell'Università degli studi di Milano, sulla legittima difesa che gode di una natura particolare: «Nelle situazioni in cui viene in gioco la legittima difesa si realizza a ben vedere un conflitto d'interessi: da una parte la vita dell'aggredito, dall'altra quello dell'aggressore.

Ebbene, l'ordinamento risolve questo conflitto di interessi dando la prevalenza a quello dell'aggredito, che non ha dato origine al conflitto».

Per il Professor Gatta «la legittima difesa, nel diritto penale, è una causa di giustificazione o scriminante. Chi agisce per legittima difesa, ad esempio uccidendo l'aggressore o cagionandogli delle lesioni, realizza un fatto che per l'ordinamento è lecito: non è disapprovato perché risponde a un istinto naturale, qual è, appunto, difendersi dalle

aggressioni». La legittima difesa risulta quindi essere una forma estrema di autodifesa che si prefigura nel caso in cui lo Stato non riesca a ottemperare i propri doveri di protezione nei confronti del cittadino.

Il Professor Gatta afferma che la legittima difesa è riconosciuta solo in presenza di determinati presupposti, che riguardano: a) la situazione di fatto che si deve presentare davanti l'aggredito e b) la difesa che questi esercita.

Quanto alla situazione di fatto, deve sussistere un pericolo attuale (non passato né futuro, quindi) di un'offesa ingiusta a un diritto – personale o patrimoniale - proprio o altrui (può essere quindi esercitata anche a beneficio altrui, in chiave solidaristica).

Quanto alla difesa, essa deve essere necessaria (non devono sussistere alternative lecite, come ad esempio la fuga, o meno lesive: ad es., difesa con un bastone in luogo di un'arma da fuoco) e proporzionata all'offesa (non vi deve essere sproporzione tra i beni in gioco, facenti capo all'aggredito e all'aggressore).

L'ordinamento italiano punisce solo i casi in cui la legittima difesa risulta eccessiva, cioè quando in una situazione configurabile con la difesa legittima, l'aggredito supera i limiti entro i quali questa è considerata lecita.

L'opinione di chi lavora nel commercio delle armi civile: il Brand Italia

Una parte dell'opinione pubblica considera un possibile ampliamento della legge sulla legittima difesa come un avvicinamento al modello americano e, soprattutto, un “favore” a chi le armi le produce. Secondo questa idea abbastanza diffusa ci sarebbe un gruppo di pressione, la cosiddetta “lobby delle armi”, che esercita la propria influenza per soddisfare l'equazione “legittima difesa più ampia uguale più armi”.

Armi e legittima difesa sono temi legati a doppio filo ed è prassi nei sistemi democratici che le imprese e le associazioni di settore (anche quello delle armi) vengano considerate interlocutori privilegiati da ascoltare durante i processi decisionali. La posizione espressa da chi le armi le produce, o ne tutela gli interessi, risulta essere discordante con ciò che percepisce l'opinione pubblica.

Siamo il Paese europeo con la più rigida legislazione in materia di armi sia nel detenerle sia nel commercio. Abbiamo provvedimenti sia dalla giurisdizione penale sia da quella amministrativa.

Il principale problema del nostro Paese è che spesso si tende a confondere la legittima difesa con il libero mercato delle armi o con chi usa armi da fuoco per attività venatorie o per uso sportivo. Giova precisare che per poter avere un approccio costruttivo alla questione l'istituzione dovrebbe avere chiari i limiti e gli ambiti di intervento giurisprudenziali della materia per poi aprire un tavolo di confronto con il mondo della magistratura, dell'avvocatura e di chi produce o tutela le imprese legate al mondo delle armi. Altro problema, forse anche più importante del precedente, è che le ultime proposte di riforma della legittima difesa sono state influenzate dai fatti di cronaca che hanno aumentato la paura all'interno della popolazione. La percezione dei cittadini, soprattutto in alcune parti d'Italia, come le metropoli, è quella di vivere perennemente con la paura che qualcuno possa entrare in casa senza che lo stato lo punisca.

L'articolo 52 del nostro codice penale è una norma perfetta per il corretto bilanciamento tra difesa e offesa ricevuta. Ciò non toglie che l'attuale sistema penale italiano tenda a configurarsi sempre più con la paura del nemico e si caratterizzi per la continua ricerca di cause che giustifichino il principio di “tolleranza zero”.

L'insicurezza percepita nel nostro Paese: alcuni punti di statistica

Il Censis, in collaborazione con “Federsicurezza”, ha recentemente pubblicato il suo primo “Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia”, indagando se le sensazioni della popolazione coincidano con i dati reali.

Dal rapporto emerge fin da subito che gli italiani hanno paura e sentono una carenza di sicurezza da parte dello Stato. Si potrebbero leggere sotto questa lente i dati che sottolineano come una parte dei cittadini (il 39% contro il 26% del 2015) sia favorevole ad alleggerire i criteri per ottenere la licenza per ottenere un'arma da fuoco. La richiesta di armi è in crescita nelle fasce di popolazione meno istruite e tra gli anziani per un totale di 4,5 milioni di cittadini che posseggono un'arma da fuoco in casa.

Nonostante il senso di paura che agita le classi meno agiate della popolazione, i numeri dell'indagine segnalano un calo netto delle denunce di reati nel 2017 (-10,2% rispetto al 2016) per un totale di 2.232.552. Calano soprattutto gli omicidi (-43,9%), le rapine (-37,6%) e i furti (-13,9%). I reati si concentrano maggiormente nelle grandi città metropolitane, con Milano in testa con 237.365 reati commessi nel 2016 (9,5% del totale nazionale) e Roma subito dietro con 228.856 reati (9,2% dei reati commessi in Italia). I numeri cambiano di poco se si considera l'incidenza dei reati in rapporto alla popolazione, con il capoluogo di Lombardia sempre in testa con 7,4 reati commessi ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6), Torino e Prato (entrambe con 6 reati ogni 100 abitanti). Ma le cifre appena descritte non corrispondono alle sensazioni dei cittadini. Il 31,9% delle famiglie italiane percepisce il rischio della criminalità nella zona in cui vive con picchi del 50% nelle città metropolitane. Le percentuali più alte si registrano nelle regioni del centro Italia (35,9%) e in quelle del Nord-Ovest (33%).

Uno dei possibili motivi che giustificano l'insicurezza dei cittadini potrebbe essere la riduzione della spesa pubblica per le Forze dell'ordine, che comunque godono di grande fiducia da parte dei cittadini. Nonostante la promessa di nuove assunzioni, i membri dei diversi corpi di polizia diventano sempre più vecchi (il 7,8% degli operatori di sicurezza pubblica ha più di 55 anni) e sempre di meno (tra il 2008 e 2016 si registra un calo di 22.000 unità nei Corpi di Polizia).

La soluzione per gli italiani è, dunque, rendere inaccessibili le proprie case per difendersi da ladri e rapinatori. Lo strumento più utilizzato è la porta blindata, che “protegge” le case di circa due italiani su tre, seguita dai sistemi di allarme, installati dal 42% della popolazione, e da inferriate a porte e finestre, montate dal 33,5% dei cittadini.

Ciò ci dice anche che la sicurezza è una questione anche eminentemente economica. C'è chi può permettersi maggiore sicurezza e chi no.

. Cass. Pen., Sez. IV, 14 novembre 2013 n. 691 in CED CASS. n. 257884

. Cass. Pen., Sez. I, 9 febbraio 2011 n. 11610, Qaloun, in CED CASS. n. 249875

. Cass. Pen., Sez. I, 27 maggio 2010 n. 23221, Grande, in CED CASS. n. 247571

. Cass. Pen., Sez.V, 14 luglio 2008 n. 25653, Diop, in CED CASS. n. 240447

. Cass. Pen., Sez. III, 10 dicembre 2019 (ud. 10 ottobre 2019) n. 49883

. Cass. Pen., Sez. V, 2 ottobre 2019 n. 40414

. Cass. Pen., Sez. V, 30 marzo 2017 n. 44001

. Cass. Pen., Sez. IV, 14 novembre 2013 n. 691

Casistica

CASISTICA

Causa di giustificazione

“La causa di giustificazione prevista dall'art. 52, comma secondo, cod. pen., così come modificato dall'art. 1 della legge 13 febbraio 2006, n. 59, non consente un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui ma presuppone un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità della scriminante per essersi l'aggressore introdotto non nell'abitazione ma in altro fabbricato in costruzione ad essa attiguo, sempre di proprietà dell'aggredito, dal quale, tuttavia, non sarebbe stato possibile raggiungere con immediatezza la casa di quest'ultimo).” (Cass. pen., sez IV, 14 novembre 2013, n. 691)

Presunzione di proporzionalità

“La presunzione di proporzionalità della reazione difensiva armata in caso di violazione di domicilio, prevista dal secondo comma dell'art. 52 c.p., opera anche nell'ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole.” (Cass. pen. sez. I, Sentenza 9 febbraio 2011 n. 11610)

Proporzionalità e autotutela

“In tema di legittima difesa, le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all'art. 52 c.p. hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, al dichiarato scopo di rafforzare il diritto di autotutela in un privato domicilio o in un luogo ad esso equiparato, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità.”

(Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2010, n. 23221)

Causa di giustificazione

“Ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, il requisito della necessità della difesa, anche a seguito delle modifiche apportate all'art. 52 c.p. L. n. 59 del 2006, va inteso nel senso che la reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda apprezzate "ex ante", l'unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto. (In applicazione di tale principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha ritenuto insussistente detto requisito nei confronti di un soggetto - ricacciato nella propria abitazione dal suo dirimpettaio e ivi colpito insieme alla figlia con un bastone - senza spiegare adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta consentissero o meno all'imputato - che a quel punto dell'aggressione si era procurato un coltello da pesca, con il quale aveva ferito il vicino di casa - di porre in essere senza pericolo per sé e per la figlia, una iniziativa qualificabile come "commodus discessus").”

(Cass. pen., sez. V, 14 maggio 2008, n. 25653)

In via esemplificativa, è stata esclusa la sussistenza della legittima difesa e ritenuta invece la configurabilità di un illecito doloso in casi quali, esemplificativamente, i seguenti:

Un tabaccaio (Franco Birolo) che, avendo sorpreso alcuni ladri a rubare stecche di sigarette presso la propria tabaccheria, uccideva, mediante un colpo di pistola cal. 9, uno dei ladri non armati; è stato condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi ed a risarcire i congiunti la complessiva somma di € 325.000,00.

Un commerciante (Ermes Mattielli) che esplodeva 14 colpi di pistola contro due ladri sorpresi nel proprio deposito, ferendoli entrambi, veniva condannato dal Tribunale di Vicenza a 5 anni e 4 mesi per tentato omicidio, ed a risarcire i due ladri feriti con la complessiva somma di € 135.000,00.

Un carpentiere (Giovanni Capuozzo), sorpreso un ladro in piena notte mentre si avvicinava alla stanza delle figlie, lo uccideva con un colpo di fucile. Il Tribunale lo ha condannato in primo grado a 10 anni di reclusione ed al risarcimento di una “provvisionale” (parziale immediata somma risarcitoria da pagare immediatamente) di € 50.000,00 (questo può far presagire un risarcimento totale ben più elevato).

Un imprenditore (Antonio Monella) che uccideva il ladro sorpreso a rubargli l'auto, mentre stava fuggendo a bordo della stessa, veniva condannato ad oltre 6 anni di reclusione ed al risarcimento di € 150.000,00 in favore dei congiunti della vittima (madre, sorella e fratello).

Un soggetto che sparava un colpo di fucile ad un ladro introdottosi nel giardino della sua abitazione veniva condannato dalla Corte d'Appello di Bologna a 6 anni di reclusione per tentato omicidio ed a € 30.000,00 di provvisionale (mera anticipazione di ben più elevata possibile liquidazione finale del danno risarcibile).

Un soggetto intervenuto nella lite tra la compagna ed il di lei ex marito, trovatosi a terra a seguito delle percosse ricevute da quest'ultimo, gli sparava un colpo di pistola cal. 7,65. In particolare, in tal caso i Giudici hanno dato rilievo dirimente la “maggiore capacità offensiva del mezzo del quale egli poteva disporre rispetto a quella, rappresentata dalla sola forza fisica dei contendenti, già in campo”.

Un uomo fermo con la propria vettura ad un semaforo, era stato “circondato”, davanti ed ai lati, da altre tre autovetture, dalle quali scendevano vari uomini e, fra gli altri, il precedente compagno della sua attuale convivente (che dal medesimo aveva ricevuto minacce). Quel guidatore, impaurito dall'avvicinarsi minaccioso di quel soggetto, reagiva esplodendo tre colpi di pistola in rapida successione e diretti ad organi vitali. I Giudici hanno escluso la sussistenza della legittima difesa, ritenendo l'assenza di un pericolo inevitabile, ben potendo l'uomo allontanarsi, anche in auto mediante retromarcia.

In giurisprudenza è stata, invece, esclusa la sussistenza della legittima difesa, ma nella meno grave forma dell'eccesso colposo, nel caso in cui:

  • un tabaccaio, vittima dell'ennesima rapina, esplodeva dapprima alcuni colpi in aria per spaventare i ladri e far abbandonare loro la refurtiva e, in un secondo momento, sparava verso l'autovettura degli stessi, prima ferma e poi in movimento, per evitarne la fuga. La Cassazione ha ritenuto che, considerata la “micidialità” dello strumento a disposizione (una non meglio precisata arma da fuoco), lo stesso “avrebbe dovuto essere impiegato con grande avvedutezza, prudenza e con la consapevolezza di possedere adeguata perizia nel suo maneggio”, ritenendo che ciò non fosse avvenuto laddove gli spari erano stati direzionati verso l'auto in movimento;
  • un soggetto che, per difendere la sorella vittima di un tentativo di rapina a mano armata, a seguito di una colluttazione con il rapinatore riusciva ad impossessarsi dell'arma di quest'ultimo (un'arma corta di tipo militare) ed esplodeva un colpo verso lo stesso mentre questi, allontanandosi, si trovava di spalle, a distanza di circa 5 metri.
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