Traffico di stupefacenti via internet: le nuove modalità di contrasto del decreto legge 130/2020

Federico Baffi
05 Novembre 2020

Il contributo analizza i dettagli di una norma dalla tecnica di redazione quantomeno opinabile, contenuta in un impianto a prima vista affetto da vizi di legittimità costituzionale. La previsione istituisce un elenco di siti web da ritenere veicolo di reati in materia di stupefacenti, con onere pubblicistico...
Abstract

Il contributo analizza i dettagli di una norma dalla tecnica di redazione quantomeno opinabile, contenuta in un impianto a prima vista affetto da vizi di legittimità costituzionale.

La previsione istituisce un elenco di siti web da ritenere veicolo di reati in materia di stupefacenti, con onere pubblicistico di iscrizione nella black-list e di notifica dell'iscrizione ai provider, con obbligo per questi di inibirne l'accesso, pena una rilevante sanzione amministrativa pecuniaria non suscettibile di applicazione dei benefici ex art. 16 l. 689/1981.

Il decreto legge nel suo insieme e la collocazione della norma in esame

All'interno del decreto legge 21 ottobre 2020 n. 10, l'articolo 12 che disciplina “Ulteriori modalità per il contrasto al traffico di stupefacenti via internet” vede già nell'intestazione del Decreto una propria allocazione, nonostante la sua residualità nell'impianto normativo all'interno del quale si innesta, ovvero le “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”.

La lettera della disposizione appare già di per sé attrarre di una prima critica: pur intervenendo nella peculiare materia delle politiche di contrasto al traffico di stupefacenti, il Governo non ha ritenuto di inserirla all'interno del corpus normativo che disciplina il settore, ovvero il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, recante “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”. Ciò in un momento nel quale le riserve di collocazione ratione materiae sembrano finalmente aver trovato gli auspicati spazi.

I possibili profili di incostituzionalità

Come già emerso agli inizi del dibattito parlamentare della relativa legge di conversione, tale decreto legge, nel proprio impianto non appare poi brillare per omogeneità dal momento che il principale oggetto del corpus normativo riguarda tre macro settori, ovvero l'immigrazione, l'accesso agli esercizi pubblici e la disciplina del cd. Garante dei Detenuti.

Per la disposizione in oggetto, contesto pandemico da un lato, e pendenza della sessione di bilancio dall'altro potrebbero in astratto suffragare i dubbi, quantomeno di opportunità,
in materia di carenza dei requisiti di necessità ed urgenza propri dello strumento utilizzato.
Note e relazioni di accompagnamento avrebbero potuto rilevare la necessità e l'urgenza di misure volte contrasto al drug dealing on-line proprio a causa della pandemia, del contingentamento di contatti, e della conseguente apertura di mercati aventi modalità demateralizzate di offerta ed acquisto. Ma di estrinsecazioni della ratio legis in tale direzione non appare allo stato esservene traccia.

Ulteriore, quanto maggiormente grave invece il vulnus rappresentato dall'esorbitanza della disposizione rispetto all'oggetto materiale del decreto legge n. 130/2020. Ciò perché in materia di eterogeneità la giurisprudenza Costituzionale è ferma nel ribadire come il decreto legge vada inteso come “atto unitario fornito di intrinseca coerenza” e cioè come “insieme di disposizioni omogenee per materia o per scopo”, e ciò perché “la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità”.

L'analisi del contenuto della disposizione

Nel merito la norma utilizza strumenti propri delle misure volte al contrasto della pedopornografia online introducendo disposizioni nella materia del contrasto al traffico di stupefacenti via internet.

La novella in esame appare allocata in un contesto come detto eterogeneo, a fronte delle misure di contrasto alla pedopornografia in rete che, invece, vedevano nel lontano 1998 la loro introduzione in un complesso normativo articolato e sostanzialmente mono-settoriale, nella Legge 3 agosto 1998, n. 269 - “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, con la previsione di cui all'art. 14 rubricato “ Attività di contrasto”.

Rispetto alla disciplina del 1998, novellata dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38 - “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet” la novella non appare mutuare tutti gli elementi necessari ad una effettiva implementazione dell'impianto.

Nello specifico, al comma 1 si prevede l'istituzione di un elenco, da aggiornare costantemente, relativo ai siti web che, sulla base di elementi oggettivi, si debba ritenere siano utilizzati per l'effettuazione sulla rete internet di uno o più reati in materia di stupefacenti, commessi mediante l'impiego di mezzi informatici o di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico.

Deputato a tale attività di istituzione ed aggiornamento della black-list, anche per la prevenzione ed il contrasto di differenti tipologie di reati, è l'organo del Ministero dell'Interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione, che dal Decreto Interministeriale del 19 gennaio 1999 è individuato nel Servizio polizia postale e delle comunicazioni.

Il soggetto pubblicistico deputato alla relativa richiesta di inserimento è individuato dalla norma nella “articolazione del Dipartimento della pubblica sicurezza di cui all'articolo1, della legge 15 gennaio 1991, n. 16”.

Tale articolazione è la Direzione centrale per i servizi antidroga, e non possono non sottolinearsi gli infelici pleonasmi dai quali è connotato il drafting normativo della disposizione, ai quali risulterebbe sempre preferibile l'indicazione dei soggetti deputati e non – solo - quella delle relative fonti istitutive.

La disposizione indica, come d'uopo, la clausola di salvaguardia relativa alle iniziative ed alle determinazioni dell'autorità giudiziaria, e definisce come l'organo per la sicurezza dei servizi di telecomunicazione, ovvero il Servizio polizia postale e delle comunicazioni, provveda ad inserire nell'elenco i siti utilizzati per la commissione di uno o più dei reati in materia di stupefacenti, su richiesta della Direzione centrale del servizio antidroga del Dipartimento della pubblica sicurezza.

La norma prevede quindi testualmente che il Servizio polizia postale e delle comunicazioni provveda “all'inserimento nell'elenco ed a notificare ai fornitori di connettività alla rete internet i siti web per i quali deve essere inibito l'accesso”.

Il fulcro della disposizione

Nodo cruciale della disposizione appare quindi l'indicazione della notifica di detta iscrizione ai provider, al fine di da impedire l'accesso ai siti indicati.

Prevedendosi un onere di notifica da parte del soggetto pubblicistico, non appaiono esservi dubbi circa il fatto che sia dal perfezionamento di detta notifica, di cui al comma 2 della disposizione, che i provider sono chiamati, entro il termine perentorio di sette giorni, ad inibire l'accesso ai siti web.

Circa i provider ovvero i fornitori di connettività alla rete Internet, manca una definizione che testualmente individui questa categoria, come viceversa avviene in materia di contrasto alla pedopornografia.

Pur in assenza di un rinvio espresso, non appare peregrina l'ipotesi di poter da tale disciplina mutuare la definizione, di cui all'art. 1 del Decreto Ministeriale del 2007, secondo la quale destinatario dell'obbligo di oscuramento è “ogni soggetto che consente all'utente l'allacciamento alla rete internet ovvero ad altre reti di comunicazione elettronica o agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi di comunicazione elettronica”. Conseguentemente va ritenuto che questi siano annoverabili tra i soggetti presenti nell'Elenco Nazionale delle imprese autorizzate ad offrire servizi di comunicazione elettronica ai sensi del Decreto legislativo 259/2003 (cd. codice delle comunicazioni elettroniche), tenuto a cura della Direzione generale dei Servizi di Comunicazione Elettronica e di Radiodiffusione, Ufficio I.

Le incongruenze della disposizione e della tecnica di redazione

Numerosi ed ulteriori appaiono i punti privi della necessaria chiarezza in ordine al quadro complessivo della disciplina: in ambito di contrasto alla pedopornografia, il Decreto del Ministro delle Comunicazioni del 8 gennaio 2007 aveva compiuto una meritoria opera di definizione complementare, ad esempio in materia di oggetto e definizioni, aspetti organizzativi della sicurezza presso i fornitori di connettività alla rete Internet, sicurezza dei flussi informativi di scambio con il Centro (Nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet), livelli di inibizione, requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio, rimozione del blocco di un sito segnalato dal Centro.

La disposizione in esame viceversa si limita a prevedere che “I fornitori di connettività alla rete internet provvedono, entro il termine di sette giorni, a impedire l'accesso ai siti segnalati, avvalendosi degli strumenti di filtraggio e delle relative soluzioni tecnologiche conformi ai requisiti individuati dal decreto del Ministro delle comunicazioni 8 gennaio 2007”, senza richiamare espressamente aspetti della disciplina indicata che appaiono centrali per una definizione puntuale degli obblighi in capo ai provider.

Un riferimento, quello al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 gennaio 2007, che per tutto quanto esorbita dagli “strumenti di filtraggio e delle relative soluzioni tecnologiche” non appare poter assurgere tecnicamente ad alcuna forma legislativa di rinvio.

Nè d'altro canto la norma indica alcuna forma di voluntas legis in ordine ad una eterointegrazione delle disposizioni a mezzo di fonte regolamentare ad hoc, che in relazione alla disciplina di contrasto della pedopornografia era prevista ad opera del poi emanato Decreto del Ministro delle Comunicazioni (tale Dicastero è oggi soppresso e le relative funzioni sono in capo al Ministero dello Sviluppo Economico).

Nulla la norma dice ad esempio in materia di comunicazione dell'avvenuta inibizione all'accesso ai siti segnalati, né prevede una disposizione che individui un termine entro il quale il l'Organo del Ministero – sulla falsariga di quanto previsto dal Decreto del 2007 per il Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia - provvederà ad indicare ai fornitori di connettività alla rete Internet le modalità con cui effettuare la comunicazione.

Nulla la norma determina in ordine alla rimozione del blocco di un sito, con tutto quanto consegue alla non peregrina ipotesi di oscuramento di piattaforme o semplici domìni istituiti per fini leciti, al cui interno possono essere state svolte ad opera di terzi attività illecite rilevanti ai sensi della disposizione in esame.

Il quadro sanzionatorio e l'effettività delle misure

Il quadro repressivo è caratterizzato da specularità sanzionatoria rispetto alla disciplina in materia di pedopornografia online, a fronte di beni giuridici differenti e differente disvalore.

Appare sindacabile la scelta di individuare salomoniche sanzioni pecuniarie a garanzia dell'osservanza dell'obbligo di inibizione gravante sui fornitori di connettività alla rete Internet: da euro 50.000 a euro 250.000, come del pari previste in caso di inosservanza degli obblighi di oscuramento in materia di pedopornografia. Ciò anche dal momento che tale sovrapposizione speculare potrebbe in astratto essere suscettibile di censure in sede di sindacato davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a causa degli evidenti deficit di proporzionalità.

Tali sanzioni vedono poi, almeno allo stato, un limite alla loro irrogabilità in concreto a causa della scarsa definizione del precetto da parte del Legislatore, e delle sue eventuali eterointegrazioni per via lato sensu regolamentare.

Aldilà delle problematiche ermeneutiche scaturenti da un utilizzo poco chiaro della disciplina del rinvio ad altra fonte, solo meramente richiamata dal testo normativo, la disposizione appare carente anche in termini di effettività. Difatti, se da un lato rinvia alla disciplina di contrasto alla pedopornografia, dall'altro non mutua da questa la centrale attribuzione in capo al soggetto pubblicistico che redige la black-list di un ruolo di collettore di segnalazioni.

La Legge 38/2006, rinforzando ulteriormente l'apparato normativo di contrasto alla pedopornografia in rete aveva infatti introdotto nella Legge 269 del 1998 l'art. 14 bis, ad opera del quale veniva istituito il Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, “con il compito di raccogliere tutte le segnalazioni, provenienti anche dagli organi di polizia stranieri e da soggetti pubblici e privati impegnati nella lotta alla pornografia minorile, riguardanti siti che diffondono materiale concernente l'utilizzo sessuale dei minori avvalendosi delle rete Internet e di altre reti di comunicazione, nonché i gestori e gli eventuali beneficiari dei relativi pagamenti. Alle predette segnalazioni sono tenuti gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria. Ferme restando le iniziative e le determinazioni dell'autorità giudiziaria, in caso di riscontro positivo il sito segnalato, nonché i nominativi dei gestori e dei beneficiari dei relativi pagamenti, sono inseriti in un elenco costantemente aggiornato."

Può ritenersi che una maggiore effettività all'impianto potrebbe essere attribuita in sede di conversione attraverso l'inserimento di quanto individuato, o mediante un chiaro rinvio espresso agli ulteriori tratti salienti della disciplina di contrasto alla pedopornografia.

Del pari, appare auspicabile l'attribuzione alla Direzione centrale per i servizi antidroga (o ad una sua articolazione di nuovo conio) di quel ruolo di collettore attribuito dalla disciplina del 1998 con la novella del 2006 al Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet.

La disposizione infatti mutua dalla disciplina di contrasto alla pedopornografia i meccanismi di accertamento, quelli sanzionatori, l'importo delle sanzioni, la negazione dei benefici di pagamento in misura ridotta, la sottoposizione del procedimento sanzionatorio ai canoni della Legge 689/1981: ma da quella disciplina non mutua l'organicità, delineata dagli artt. 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della Legge 268/1998 introdotti con la novella del 2006.

La norma prevede infatti che all'accertamento della violazione provveda l'organo del Ministero dell'interno per la sicurezza delle telecomunicazioni ovvero il Servizio polizia postale e delle comunicazioni, laddove la effettiva irrogazione delle sanzioni è attribuita agli Ispettorati territoriali del Ministero per lo Sviluppo Economico.

L'unica forma di eterointegrazione ferenda è individuata dal comma 4, che demanda ad un decreto del Ministro dell'Economia, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dello Sviluppo Economico, la devoluzione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie. Tali risorse devono essere destinate al Ministero dell'Interno per il potenziamento ordinario e straordinario delle attività volte a rafforzare le azioni di controllo e di accertamento delle violazioni previste dalla disposizione in esame e al Ministero dello sviluppo economico per il rafforzamento dei servizi connessi alle attività di irrogazione delle sanzioni.

In conclusione

Salvo interventi in sede di conversione, il concreto rischio è di mantenere in vigore una norma carente di effettività, potenzialmente suscettibile di incostituzionalità per il suo contenuto non omogeneo rispetto al corpus nel quale è inserita. A meno di una diversa espressione in sede di accompagnamento, prima facie la disposizione non appare nemmeno giustificare per il suo conio l'utilizzo della decretazione di urgenza. Se mancherà un intervento in sede Parlamentare, così come costruita, la disposizione presterà il fianco ad evidenti problematiche di raccordo con la disciplina dalla quale mutua criteri e meccanismi di operatività, e ciò principalmente a causa delle sue pecche in materia di drafting normativo.

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