Esclusa la responsabilità del liquidatore se non sono previamente accertati i debiti tributari della società
23 Novembre 2020
Massima
La responsabilità del liquidatore rispetto agli obblighi sullo stesso identificati dal d.P.R. n. 60271973, art. 36, comma 1 trova la sua fonte in un'obbligazione civile propria ex lege, in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., ed è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima. Il caso
La CTR Campania ha accolto l'impugnazione proposta da P. L., liquidatore ed ex amministratore della società S.C. s.r.l., in liquidazione, cancellata dal registro delle imprese ed estinta ai sensi dell'art. 2595 c.c.
In particolare, la CTR ha ritenuto illegittimo l'avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di tributi, fra i quali l'IVA, relativi all'anno 2009, a carico della società S. C. s.r.l., cancellata dal registro delle imprese, per frodi carosello perpetrate mediante fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo il giudice di appello, la normativa applicabile - art. 19 d.P.R. 26.2.1999, n. 46 - nel testo vigente alla data di cancellazione della società dal registro delle imprese (28.11.2013) riconduceva la responsabilità dei soci, liquidatori ed amministratori per i tributi iscritti a ruolo prima della cancellazione dal registro delle imprese unicamente per le imposte sui redditi, ma non riguardava l'IVA. Secondo la CTR, la modifica del ricordato art. 19, introdotta dal D.Lgs. 21.11.2014, n. 175, che aveva esteso il suo ambito operativo quanto alla responsabilità di soci, liquidatori e amministratori anche oltre l'imposta IRES, rendeva fondata l'eccezione sollevata dall'appellante, posto che il bilancio di liquidazione era stato approvato il 30.9.2013, mentre la società era stata cancellata dal registro delle imprese il 28.11.2013 e la notifica dell'accertamento era avvenuta in data 8.9.2014. Eventi, questi ultimi, prodotti tutti anteriormente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014, avvenuta il 13.12.2014, rendendo irrilevante l'estensione della responsabilità per l'IVA, non avendo la legislazione sopravvenuta efficacia retroattiva.
L'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della CTR sulla base di un unico motivo. La ricorrente deduce che l'accertamento nei confronti del liquidatore non era stato emesso sulla base del novellato art. 36 d.P.R. 29.9.1973, n. 602, bensì sulla contestazione di responsabilità del liquidatore della società a causa del mancato assolvimento del debito societario ai sensi dell'art. 2495 c.c.
Nel caso concreto, l'accertamento era stato notificato ai soci e all'amministratore liquidatore in seguito alla cancellazione della società, risultando la responsabilità del liquidatore connessa all'art. 2495 c.c. ed all'inosservanza dei doveri sullo stesso incombenti in base all'art. 36 d.P.R. n. 602/1973. La CTR, per converso, avrebbe erroneamente ritenuto quale unica norma cogente sulla quale era stato fondato l'accertamento proprio l'art. 36 d.P.R. n. 602/1973, ancorché l'accertamento non avesse fatto riferimento unicamente a tale disposizione, in quanto la responsabilità contestata nei confronti del liquidatore avrebbe trovato altresì sostegno nell'art. 2495 c.c.
Da qui l'errore nel quale sarebbe incorso il giudice di appello nel ricondurre la responsabilità del liquidatore al solo art. 36, non avendo considerato la norma generale di cui all'art. 2495 c.c. Peraltro, avrebbe errato la CTR nel considerare che l'intero art. 36 d.P.R. n. 602/1973, come novellato dall'art. 28 comma 4 D.Lgs. n. 175/2014 avesse natura sostanziale, presentando natura procedurale, non implicando una nuova disciplina della responsabilità dei liquidatori. La questione
La questione sottoposta alla Corte attiene alla natura della responsabilità del liquidatore per i debiti tributari della società in liquidazione. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, pur ritenendo corretta la sentenza nella parte dispositiva, ha integrato la motivazione, osservando che, in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della "par condicio creditorum".
In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità "illimitata" del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell'apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall'inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti; grava, invece, sul liquidatore l'onere di dimostrare l'adempimento dell'obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della "par condicio creditorum", secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all'epoca esistenti.
L'ordinanza che si annota precisa, altresì, che, nel caso di liquidazione e successiva cancellazione della società dal registro delle imprese, non si realizza alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, con la conseguenza che, una volta che questa sia stata liquidata e cancellata, viene meno il suo potere di rappresentanza dell'ente estinto e, dunque, la sua legittimazione passiva in ordine all'atto impositivo, potendo egli rispondere soltanto per il titolo autonomo di responsabilità derivante dalla carica rivestita, di natura civilistica, ai sensi degli artt. 36 del d.P.R. n. 602/1973 e 2495 c.c., di cui il debito tributario della società costituisce mero presupposto.
La Suprema Corte aggiunge, infine, che trattasi di responsabilità che trova la sua fonte in un'obbligazione civile propria ex lege, in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., ed è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo, che ne sia acquisita certezza legale e che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima. Osservazioni
L'ordinanza in esame contiene importanti indicazioni in ordine alla natura della responsabilità del liquidatore. La prima indicazione è che la responsabilità del liquidatore verso i creditori sociali prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana. La seconda indicazione – di segno contrario rispetto alla prima - è che, con specifico riguardo ai debiti tributari della società, la responsabilità del liquidatore ha un titolo autonomo negli artt. artt. 36 del d.P.R. n. 602/1973 e 2495 c.c.; questa responsabilità ha come presupposto il debito tributario della società, trova la sua fonte in un'obbligazione civile propria ex lege, in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., ed è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo, che ne sia acquisita certezza legale e che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesime. Le incertezze – emergenti dalla pronuncia in commento - sulla qualificazione della natura, ora aquiliana, ora contrattuale, della responsabilità del liquidatore per i debiti sociali riflettono il dibattito dottrinale sul tema.
Secondo una parte della dottrina civilistica (CRISCUOLI-GRIMALDI, Cancellazione delle società, in "Giust. civ.", 2010, pagg. 2797; FIMMANO'-ANGIOLINI, Gli effetti della cancellazione della società alla luce delle pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione, in "Riv. not.", 2010, pag. 1469, op. cit., pag. 1467), si tratta di una responsabilità aquiliana derivante dall'attività del liquidatore che, dunque, non risponderebbe direttamente per il debito societario ma per un distinto debito nascente dal proprio comportamento colposo. In assenza di un fenomeno di imputazione del debito di imposta in capo al liquidatore ed in assenza di una disposizione fiscale che faccia sorgere una fattispecie di carattere tributario, l'Amministrazione non potrà attivare la responsabilità del liquidatore, ex artt. 2495 e 2312 c.c., tramite l'emissione di atti impositivi. Gli uffici fiscali dovranno quindi far valere le proprie ragioni di credito, basate sulle norme codicistiche, alla stregua di un qualunque altro creditore sociale e citando in giudizio il liquidatore dinanzi al giudice ordinario. Non solo, ma si deve escludere, anche in questo caso, che l'Amministrazione finanziaria possa godere di una qualche forma di privilegio, non trattandosi in senso proprio di un credito di imposta. Se si volge ora l'attenzione all'art. 36 d.P.R. n. 602/1973, sembra prevalere l'idea della autonomia della disposizione fiscale rispetto all'art. 2495 c.c. (FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, pag. 94; TESAURO, La responsabilità fiscale dei liquidatori, in Giur. comm., 1977, I, pagg. 428 ss.; FALSITTA, Natura ed accertamento della responsabilità dei liquidatori per il mancato pagamento delle imposte dirette dovute dagli enti tassabili in base al bilancio, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1963, I, pagg. 260 ss.; MONTI, La responsabilità nella normativa di diritto tributario degli amministratori e dei liquidatori di società, Milano, 1991, pagg. 40 ss.; ROMANELLI, L'obbligazione del liquidatore per il mancato pagamento dei debiti d'imposta della società, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1941, II, pagg. 207 ss.). Invero, a differenza della norma civilistica, la prova dell'elemento soggettivo non è richiesta dalla disposizione fiscale. Dalla responsabilità regolata dall'art. 36, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 nasce, in ogni caso, una fattispecie di carattere tributario, da attuarsi in base ad un procedimento tributario, come emerge chiaramente dai commi quinto e sesto della norma in esame. Tuttavia, con riferimento all'oggetto della responsabilità di cui all'art. 36, comma 1 d.P.R. n. 602/1973, non sembra possibile affermare che in capo al liquidatore sia imputato il debito di imposta. Pare, invece, più corretto ritenere che, analogamente a quanto si afferma in campo civilistico, il liquidatore sia chiamato a rispondere di un debito proprio distinto dalla obbligazione tributaria della società, anche se a questa commisurato.
La ragione giustificatrice di tale responsabilità, secondo altra parte della dottrina, non può allora che essere quella della violazione dei doveri del liquidatore, in grado di far sorgere una specifica fattispecie, non fondata sulla capacità contributiva del soggetto, bensì sull'illecito oggettivo (v. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte Generale, Torino, 2005, pag. 136, secondo cui "la responsabilità dei liquidatori, dunque, non sorge quando sorge il debito di imposta, ma da una fattispecie successiva, che ha le caratteristiche dell'illecito (aver destinato le attività della liquidazione non rispettando le cause di prelazione, in modo tale da ledere i diritti del fisco, rendendo insolvente la società"). Quale che sia la natura giuridica da riconoscere alla responsabilità del liquidatore, resta il fatto che, nelle fattispecie in esame, l'obbligazione tributaria della società assume rilievo sulla base di un rapporto esterno rispetto a quello che lega il liquidatore al Fisco. Non si tratta, dunque, come del resto chiarito dalla Suprema Corte, nella sentenza in esame di un'ipotesi di successione nel debito di imposta o di responsabilità tributaria in senso proprio. Conseguentemente, il liquidatore sarà chiamato a rispondere solo se, e nei limiti in cui, si potrà dimostrare la sussistenza di una obbligazione tributaria non assolta dalla società; il che può verificarsi solo se l'imposta è già stata definitivamente accertata in capo alla società, come nelle ipotesi in cui l'avviso di accertamento non sia stato impugnato oppure vi sia stata sentenza passata in giudicato. Nelle diverse ipotesi in cui l'accertamento ancora non sia iniziato (o non si sia concluso con l'emanazione dell'avviso), il liquidatore non potrà essere chiamato a rispondere del debito di imposta non ancora accertato e, non subentrando nel rapporto di imposta, non potrà neppure essere destinatario degli atti di accertamento relativi al presupposto realizzato dalla società. Dall'estraneità del liquidatore rispetto al rapporto tributario sorto con la realizzazione del presupposto da parte della società discende anche che il soggetto non può, nell'impugnare l'atto impositivo notificatogli dall'Amministrazione finanziaria ex art. 36, comma 4, D.P.R. n. 602/1973, mettere in discussione il fondamento del debito di imposta societario.
La giurisprudenza - con un indirizzo costante, uniforme e ormai risalente - nega che dalla responsabilità in esame nasca per i liquidatori un obbligo di natura tributaria. Eppure militano a favore dell'attribuzione di una natura tributaria diversi elementi formali, sin dalla collocazione dell'art. 36 all'interno del D.P.R. n. 602/1973, tra le disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. La procedimentalizzazione nello schema dell'accertamento d'imposta, e, infine, la pertinente affermazione della devoluzione alla giurisdizione tributaria completerebbero l'inquadramento. Dal punto di vista processuale, peraltro, si individua senza difficoltà l'atto impugnabile, tramite il quale l'accesso alla giurisdizione tributaria è garantito. Ai fini dell'eventuale attribuzione di un carattere tributario all'obbligazione in questione si dovrebbe ipotizzare un modello di solidarietà tributaria atipica. La mancata realizzazione di un presupposto imponibile riferibile ai liquidatori, infatti, non esclude necessariamente l'attribuzione di una natura tributaria alla loro obbligazione, ma impone che questa derivi dall'obbligazione principale, caratteristica della responsabilità solidale dipendente o atipica.
Nella fattispecie, tuttavia, a differenza di quanto dovrebbe accadere nelle ipotesi di condebito tributario, anche se atipiche, non si manifesta neppure l'identità di oggetto della prestazione. Infatti, i liquidatori non sono tenuti al pagamento dell'intera imposta dovuta dalla società, essendo la loro responsabilità limitata all'importo che avrebbe potuto trovare capienza, a fronte di attività della liquidazione, in sede di graduazione dei crediti. Esistono, nondimeno, ulteriori ragioni per dubitare che quella dei liquidatori possa definirsi nei termini di un'obbligazione solidale, sia pur atipica o dipendente, rispetto a quella tributaria della società. Nelle ipotesi di responsabilità d'imposta il debito che si è chiamati ad adempiere dovrebbe discendere da atti o fatti esclusivamente riferibili ad altri. L'art. 36, invece, afferma che si tratta di debito proprio dei liquidatori conseguente a fatti e atti riferibili ai liquidatori stessi. Il «fatto generatore», che determina l'an debeatur, si rinviene nelle condotte individuate dal legislatore al 1° comma dell'art. 36 e presuppone le condizioni oggettive dell'esistenza di attività della liquidazione e dell'esistenza manifesta di un'imposta dovuta dalla società e rimasta inadempiuta, non coincidendo, dunque, con il fatto imponibile, né con il solo e semplice inadempimento dell'imposta a garanzia del quale si vorrebbe ricostruire l'ipotetica solidarietà. Per effetto della coobbligazione, inoltre, dovrebbe sorgere il diritto alla rivalsa nei confronti del debitore principale, nella fattispecie la società, quale conseguenza necessaria a controbilanciare l'elemento distorsivo del principio di capacità contributiva insito nelle ipotesi di solidarietà.
Il diritto di regresso in questione, invece, non solo non è previsto dall'art. 36, ma neppure sembra attivabile. In base alla ricostruzione della fattispecie operata dalla giurisprudenza ed espressamente condivisa dal legislatore del D.lgs. n. 175/2014, si è ritenuto che l'inadempimento, previsto quale condizione al sorgere della responsabilità dei liquidatori, possa verificarsi solo dopo che sia stata dispersa la capienza patrimoniale societaria e rimasta inadempiuta l'imposta dovuta, tipicamente resa manifesta ed esigibile dall'iscrizione a ruolo a carico della società. Questa circostanza renderebbe improbabile, se non impossibile, la rivalsa nei confronti della società, poiché sarebbe già presupposta l'oggettiva incapienza patrimoniale societaria. Un ulteriore problema riguarda la natura dell'art. 36 d.P.R. n. 602/1973, se cioè si tratti di norma di carattere sostanziale o procedurale. Occorre, infatti, considerare se e in conformità a quali disposizioni sia possibile predicare l'irretroattività riguardo alla norma in esame. L'irretroattività, com'è noto, è principio generale dell'ordinamento specificamente ribadito, con riferimento alle norme tributarie, dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 3, L. 27.7.2000, n. 212). Si tratta, tuttavia, di disposizioni di legge ordinaria derogabili, anche implicitamente o meglio tacitamente, da norme successive, secondo il principio lex posterior derogat priori, sebbene lo Statuto si ponga, a norma del suo art. 1, come diposizione di legge rafforzata, imponendo il rispetto delle proprie norme salvo deroga espressa. In materia tributaria l'irretroattività delle norme di natura sostanziale, che riguardino elementi fondamentali del tributo, può desumersi, come necessaria conseguenza del rispetto dovuto ai principi costituzionali di riserva di legge e capacità contributiva. Per questo motivo, l'Agenzia delle entrate si è trovata a sostenere la natura di norma procedurale e non sostanziale dell'art. 36 d.P.R. n. 602/1973, concludendo per la retroattività delle riforme incidenti su tale disposizione. Al contrario dottrina e giurisprudenza hanno manifestato, notevoli dubbi. Le teorie concernenti l'attribuzione del carattere procedurale e retroattivo muovono dalla collocazione della disposizione tra quelle riguardanti il procedimento di riscossione delle imposte sui redditi. Sulla specifica questione è intervenuta la sentenza in commento che – nel disattendere le argomentazioni dell'Agenzia delle Entrate, la quale sosteneva il carattere processuale dell'art. 36 – ha condiviso l'impostazione del Giudice di merito ed ha, dunque, che la norma, in deroga ai principi generali dell'ordinamento (art. 11 disp. gen.), potesse avere efficacia retroattiva, con ciò implicitamente riconoscendole una portata sostanziale.
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