Carcere e conversione del d.l. Ristori. Punto e a capo sulle (assenti) riforme deflattive da emergenza sanitaria

Veronica Manca
14 Gennaio 2021

Con la legge di conversione n. 176 del 2020, naufragano definitivamente le speranze di tutti coloro che, in sede parlamentare e non, si aspettavano delle integrazioni significative al “timido” decreto Ristori n. 137 del 2020: in gran parte infatti i nuovi testi legislativi ricalcano il c.d. decreto Cura Italia, riprendendo sostanzialmente la stessa logica del minor impatto possibile sul carcere.
Abstract

Con la legge di conversione del 18 dicembre 2020, n. 176, il legislatore ha confermato le “minime” e “timide” modifiche emergenziali per il carcere, durante l'emergenza sanitaria da Covid-19, ancora in corso. Pochissime e meramente numeriche le modifiche al decreto legge n. 137 del 2020, c.d. Ristori: si prolungano le più ampie possibilità di fruizione dei benefici penitenziari e delle misure alternative, fino al 31 gennaio 2021, per tutti quei condannati che già sono stati ammessi alle misure extramurarie. Si confermano tuttavia le importanti esclusioni di un novero notevole di condannati tale che rendono le modifiche scarsamente incisive rispetto al numero dei detenuti attualmente presenti nelle carceri, e, soprattutto, rispetto alle conseguenze potenzialmente anche letali della pandemia sulle persone ristrette.

Legislazione d'urgenza ed emergenza sanitaria. cosa (non) cambia con la l. n. 176/2020?

Con la legge di conversione n. 176 del 2020, naufragano definitivamente le speranze di tutti coloro che, in sede parlamentare e non, si aspettavano delle integrazioni significative al “timido” decreto Ristori n. 137 del 2020: in gran parte infatti i nuovi testi legislativi ricalcano il c.d. decreto Cura Italia, riprendendo sostanzialmente la stessa logica del minor impatto possibile sul carcere. Nessun ripensamento, nessun adeguamento alle istanze di riforma avanzate da più componenti sociali, da quelle più estreme, come di chi sostiene la necessità di un provvedimento generale di indulto, a quelle più moderate, in direzione di un potenziamento della liberazione anticipata “speciale”, o, per l'integrazione delle disposizioni sulla disciplina derogatoria dell'esecuzione presso il domicilio, ad es., con l'eliminazione della maggior parte delle preclusioni inserite nei decreti emergenziali, che, di fatto, rendono accessibili le misure straordinarie ad un numero assolutamente limitato di beneficiari.

Sull'art. 28. in materia di “licenze premio straordinarie”

Come il d.l. n. 137 del 2020, anche la legge di conversione dedica pochissime e stringate misure al carcere, riprendendo pedissequamente le disposizioni del decreto legge. Con l'art. 28, appunto, incentrato sulle c.d. licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà si estende la possibilità di concessione di licenze con durata superiore a quella prevista per legge (v. di 45 gg., per l'art. 52 della legge sull'ordinamento penitenziario) fino al 31 gennaio 2021, anziché fino al 31 dicembre 2020, come nel decreto legge originariamente previsto. Trattasi quindi unicamente di una estensione temporale. Rimangono infatti gli importanti limiti applicativi: l'eventuale concessione riguarda solamente coloro che sono già stati ammessi alla misura alternativa, e, non per coloro che sono in procinto di richiederla o che hanno in corso una istruttoria pendente dinanzi al tribunale di sorveglianza. Permangono inoltre tutte le altre limitazioni, inserite in origine nel decreto c.d. Cura Italia: a) la prima è dettata dalla durata temporale, dato che il regime di favore è previsto solo fino al 31 gennaio 2021; b) la seconda riguarda invece la discrezionalità attribuita al magistrato di sorveglianza circa l'eventuale concessione. Si chiarisce, infatti, che tali licenze straordinarie potrebbero non essere valutate positivamente, laddove il magistrato di sorveglianza ravvisi “gravi motivi ostativi”. Una locuzione molto ampia ed eccessivamente generica, in cui si ricomprendono sicuramente le ragioni legate al pericolo di fuga, alla prognosi di recidiva, ma anche tutti gli altri elementi di segno contrario – inerenti, ad es., alla pericolosità sociale intramuraria o esterna, ricavabile dalle informative o dalle relazioni di sintesi di équipe – che non consentono un esame positivo della posizione del condannato (v. valgono quindi le critiche già espresse nel precedente contributo sul decreto c.d. Ristori, per questa Rivista).

Anche se la disposizione appare di applicazione ristretta, si è sottolineato come la differente formulazione letterale dell'art. 28, rispetto al seguente art. 29 farebbe pensare ad un'applicazione più ampia, cioè anche per tutti i condannati in semilibertà che non hanno mai fruito di licenze premio. Ad una valutazione sempre “a caldo”, in ragione dei primi commenti sul testo legislativo, si è azzardato – nel tentativo di supportare un'interpretazione estensiva della disposizione di legge, seppur all'interno della lettera e della ratio legis – che il beneficio esteso possa riguardare tutti i semiliberi, a prescindere dal titolo di reato (anche ostativo, quindi), dato che il legislatore, dove ha voluto, è stato sufficientemente preciso ed analitico nell'escludere dal dall'ambito dei benefici penitenziari gli autori di delitti c.d. ostativi, anche e nonostante la tecnica pratica di favore dello scioglimento del cumulo virtuale (v. art. 29).

Ancora. Si ravvisa qualche difficoltà applicativa in termini di conteggio dei 45 giorni, da qui al 31 gennaio 2021, specie per tutti quei condannati che hanno beneficiato della concessione a cavallo tra i due anni e sono prossimi all'esaurimento dei giorni, per il computo rispetto all'anno in corso. Si è già rilevato, tuttavia, in via generale, che la decorrenza dei giorni per le licenze straordinarie non dovrebbe sommarsi a quelle ordinarie, potendo quindi il condannato usufruire dei giorni rimanenti nel corso dell'anno in corso.

Sull'art. 29 per i permessi premi

Il punto dolente riguarda proprio la materia dei permessi premio (e del lavoro all'esterno ex art. 21 della legge sull'ordinamento penitenziario o dell'art. 18 così come inserito dal d.lgs. n. 123 del 2018). In questo caso, si è segnalato come il legislatore è stato puntuale nel prevedere ed estendere fino al 31 gennaio 2021 la disciplina di favore a chi abbia già usufruito di permessi premio o di altri benefici penitenziari. Una differenza importante rispetto alla disposizione precedente, perché restringe di molto l'ambito applicativo. Si è evidenziato, tuttavia, che la portata della disposizione si restringe, da un lato, e si estende dall'altro: da un lato, infatti, si restringe, perché è evidente che si applica solo a chi è già stato valutato positivamente e ammesso dal magistrato di sorveglianza alla fruizione di benefici esterni (anche per tutti coloro autorizzati ma che di fatto non hanno potuto concretamente usufruire del beneficio o per questioni burocratiche o per le tempistiche della giustizia, anche in ragione della sospensione di tutti i benefici esterni, durante la prima fase dell'emergenza sanitaria).

Dall'altro, invece, si estende perché, come si è detto, si sceglie di ricomprendervi anche quei condannati ammessi al lavoro all'esterno o per motivi di studio o di formazione professionale (con lo scopo di alleggerire di presenze il più possibile le sezioni distaccate dei soggetti semiliberi e ammessi al lavoro esterno, che dimorano in una sezione-struttura distaccata apposita del carcere, con più contatti con l'esterno). Se ricorrono, quindi, i requisiti di merito, che hanno giustificato la concessione del primo beneficio, i detenuti potranno usufruire di altri permessi premio, in deroga ai limiti temporali di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 30-ter ord. penit., cioè di quei termini che riguardano sia il singolo permesso – non superiore a 15 giorni – sia la durata complessiva dei permessi in un anno, che non può essere superiore a 45 giorni. E questo non più fino al 30 dicembre 2020, ma fino al 31 gennaio 2021.

Anche in questo caso, nonostante il legislatore non abbia indicato il divieto di concessione per “gravi motivi”, valgono comunque i limiti di applicazione che hanno a che fare con la discrezionalità del magistrato di sorveglianza nella verifica della posizione dell'interessato (specie alla luce di informative o di relazione di sintesi intramurarie di aggiornamento, di segno negativo).

Come si è detto “a caldo” per il decreto c.d. Ristori e come è stato segnalato dai primi commentatori in materia, si è rilevata una importante criticità nel divieto di concessione di tale possibilità agli autori di delitti c.d. “ostativi”, tra cui quelli identificati dal legislatore – in armonia con il d.l. n. 18/2020 – con gli artt. 572 e 612-bis c.p., quelli inerenti all'art. 4-bis ord. penit. e, rispetto “ai delitti ai delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e ai delitti di cui agli art. 416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste”. La preclusione rispetto a tali delitti diventa assoluta “quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell'esecuzione la connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. tra i reati la cui pena è in esecuzione”.

A questo punto, è più semplice fare il punto della disciplina rispetto ai destinataria effettivi del regime di favore previsto dalla normativa emergenziale: a) sicuramente quest'ultimo trova applicazione – tranne per valutazioni negative da parte del magistrato di sorveglianza sulla posizione singola – per tutti i detenuti c.d. comuni dal 29 ottobre fino al 31 gennaio 2021; b) altrettanto sicuramente, il regime di favore trova applicazione anche in caso di cumulo di pene concorrenti, tra delitti ostativi e non, con l'applicazione del criterio dello scioglimento del cumulo (di matrice giurisprudenziale, cristallizzato anche dalla Corte cost. n. 361/1994; 137/1999 e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione “Ronga”), con l'onere del magistrato di sorveglianza di verificare la parte di pena espiata e l'attribuibilità al delitto ostativo nel cumulo.

Si conferma che tale disciplina non possa trovare applicazione, stante la dicitura testuale, invece, per tutti quei condannati il cui cumulo delle pene abbia al suo interno anche dei delitti comuni, i quali siano stati qualificati ed accertati – dal giudice della cognizione o in esecuzione dal magistrato di sorveglianza – come finalisticamente collegati ai delitti ostativi, ai sensi dell'art. 12, comma 1 lett. b) e c)del codice di procedura penale, ovverosia in tutti i casi di concorso formale o di continuazione, o di connessione teleologica tra reati. A ben vedere, come è già stato osservato nei primi commenti, propriamente l'unica ipotesi demandata anche all'accertamento del magistrato di sorveglianza – ai fini della concessione di benefici penitenziari, specie per autori di cui al comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit. – sarebbe quella del vincolo finalistico della continuazione, artt. 81, 671 c.p.p. (che può essere altresì accertata in sede di esecuzione). Vincolo finalistico che peraltro il magistrato di sorveglianza già di per sé esamina quando si trova ad operare lo scioglimento del cumulo per reati connessi al delitto ostativo per eccellenza del reato associativo (e dei reati commessi con il metodo mafioso). In questi casi, si impone, quindi, un esame dettagliato da parte del magistrato di sorveglianza della sentenza di condanna definitiva, nella ricerca degli elementi accertati già in sede di cognizione da cui desumere un vincolo finalistico tra i delitti commessi, tra quelli ostativi e non (in relazione quindi al vincolo finalistico dei reati connessi).

Dubbia, tuttavia, è la questione dell'applicazione delle licenze per permessi a chi abbia già avuto un accertamento della collaborazione utile con la giustizia (v. art. 58-ter ord. penit.), o della collaborazione c.d. “fittizia” (v. art. 4-bis, comma 1-bis ord. penit.): purtroppo pare che la prassi si orienti verso un'interpretazione letterale, escludendo dal novero dei beneficiari anche gli autori che hanno avuto un accertamento positivo da parte del tribunale di sorveglianza, in materia di collaborazione impossibile. Ad avviso di chi scrive, a ben vedere, tale applicazione eccessivamente rigoristica pare irragionevole, dato che si tende ad escludere da tale novero di beneficiari tutti quegli autori che in sede di sorveglianza hanno affrontato un accertamento della collaborazione impossibile (specie con integrale accertamento dei fatti), in cui si è operato lo scioglimento del cumulo, e si sono già svolte delle valutazioni sulle sentenze di condanna definitive, oltre che sulla pericolosità sociale del condannato. Nuovamente un passo indietro rispetto alle potenzialità del sistema, che, in questo caso, vanno oltre la sentenza della Corte cost. n. 253 del 2019, rendendo di fatto inutilizzabili risultati acquisiti dalla sorveglianza sulla collaborazione e sulla pericolosità sociale del condannato, a cui non viene riconosciuto il diritto di progressione nel trattamento, per il mancato accesso al beneficio “esteso”, nonostante la fruizione di benefici ordinari.

Sull'art. 30 in fatto di detenzione domiciliare

Con l'art. 30, poi, si riprende pedissequamente – sottolineando che per la disposizione in esame non devono sorgere nuovi oneri a carico dello Stato, come se la questione dei braccialetti elettronici si fosse già risolta o si potesse immaginare a costo zero per l'amministrazione statale – la precedente previsione contenuta sia nel decreto c.d. Ristori, sia in quello ancor più risalente c.d. Cura Italia. La previsione di una misura “alternativa” di esecuzione della pena presso il domicilio, in deroga a quella già prevista dall'art. 1 della legge n. 199 del 2010, non ha mai soddisfatto i commentatori né tanto meno gli operatori pratici che sono stati chiamati all'istruttoria – seppur sommaria, con notevole difficoltà di chiarezza applicativa – delle relative istanze. La disposizione estende la possibilità di richiedere, e, quindi, di concedere (anche oltre il termine solo se l'istanza è presentata regolarmente) la misura emergenziale fino al 31 gennaio 2021, anziché 30 dicembre 2020.

Nulla è stato modificato: a) la misura riguarda infatti tutti quei condannati in espiazione pena detentiva con un residuo di 18 mesi, con l'ausilio del dispositivo elettronico (fatta eccezione per i fine pena inferiori ai 6 mesi o per l'esecuzione minorile); b) non si applica ad un novero molto esteso di condannati, dagli autori di delitti di cui all'art. 4-bis ord. penit. (in analogia a quanto già previsto dall'art. 1 della legge n. 199/2010), a cui si aggiungono (come per il decreto c.d. “Cura Italia” gli autori dei delitti di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p.), nonché novità del decreto c.d. “ristori” per quegli autori dei delitti di cui al co. 1 dell'art. 4-bis ord. penit., quali delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonché per delitti di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero commessi avvalendosi del c.d. metodo mafioso o per finalità mafiosa, “anche nel caso in cui i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell'esecuzione la connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale tra i reati la cui pena è in esecuzione”. Si sommano poi tutte le preclusioni “più classiche” già previste nel decreto n. 18/2020 e nell'originaria previsione dell'art. 1 della legge n. 199/2010, quali quelle per i c) delinquenti abituali, professionali o per tendenza; detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis ord. penit.; detenuti sanzionati nell'ultimo anno per infrazioni disciplinari; detenuti nei cui confronti, successivamente all'entrata in vigore del decreto legge, sia redatto rapporto disciplinare (specie per i fatti conseguenti alle rivolte in carcere dei giorni 7, 8, 9 marzo 2020); detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. All'elenco delle preclusioni, si inserisce poi la clausola generale di chiusura per cui al magistrato di sorveglianza compete comunque il potere di rigettare la richiesta laddove ravvisi “gravi motivi” alla concessione (locuzione molto ampia che già si aggiunge ai motivi tassativamente previsti in caso di comportamenti violenti sanzionati anche disciplinarmente).

Rimangono immutate quindi tutte le altre criticità avanzate già nei confronti del c.d. Cura Italia n. 18 del 2020 e del successivo decreto c.d. “ristori” (a cui per economicità si rinvia – v. Guida all'approfondimento).

Osservazioni conclusive: quali riforme possibili? un ventaglio infinito nelle maglie di un ordinamento penitenziario già scritto

Unica nota positiva, in termini di novità, riguarda l'art. 23-quinquies con cui si prevede un potenziamento di risorse finanziarie devolute per i soggetti nelle strutture residenziali per l'esecuzione di misure di sicurezza.

Si pensa che, a prescindere da soluzioni estreme, molto discusse e mai largamente condivise, livello politico, oltre che sul piano dell'opinione pubblica, in termini di provvedimenti generali di indulto, vi sono numerose vie che il legislatore, in un'ottica di attento bilanciamento di interessi contrapposti, potrebbe comunque considerare. Non si tratta di soluzioni complesse, né che richiederebbero un eccessivo stravolgimento dell'impianto già esistente. Facciamo degli esempi: perché non dare accoglimento alle istanze, anche parlamentari, che suggeriscono, solo per il periodo emergenziale (come del resto già si era fatto nel 2011, a seguito della prima sentenza di condanna Sulejmanovic c. Italia), di potenziare lo strumento della liberazione anticipata estendendo il quantum di detrazione da 45 a 75 giorni? Perché non potenziare lo strumento dell'esecuzione presso il domicilio, rendendolo sostanzialmente più incisivo e più largamente utilizzabile nella prassi, eliminando il ricorso al braccialetto elettronico, eccessivamente penalizzante, durante la fase dell'esecuzione della pena (oltre al fatto che i dispositivi non sono disponibili in numero sufficiente nemmeno a coprire le richieste delle misure cautelari), e, ancora, espungendo alcune delle preclusioni già esistenti. Se tale disciplina si concepisce come deroga alla disciplina esistente di cui all'art. 1 della legge n. 199/2010, qual è il senso di renderla ancora più gravosa di quella ordinaria? Sarebbe stato più ragionevole restringere le preclusioni al co. 1 dell'art. 4-bis ord. penit., restituendone l'applicabilità a tutti gli autori dei delitti ricompresi nei commi successivi dell'art. 4-bis ord. penit., connotati da un minore disvalore penale, e, nella prassi, da un fine pena notevolmente inferiore.

Se il fine ultimo è quello di garantire la sicurezza sociale, tale non può essere l'unica finalità perseguita dal legislatore, né può escludersi a priori per presunzioni assolute, che soluzioni differenti e graduate non possano comunque assicurare il fine della difesa sociale, e, al contempo, assicurare la sicurezza dei diritti fondamentali delle persone private dalla libertà.

Ciò accade, perché si dimentica che non è nell'esecuzione della pena e nel carcere che si dovrebbero trovare le risposte retributive – di vendetta – e di special-prevenzione negativa – di neutralizzazione della persona perennemente presunta pericolosa.

Ciò accade perché si immagina la disciplina esecutiva come parte a sé stante rispetto alle dinamiche processuali e del “penale”.

Ciò accade perché si ragiona spesso a compartimenti, senza pensare che ciò che si riverbera nell'esecuzione trova le proprie origini nel processo che dà vita, nel concreto, al “penale”. Ciò accade perché ormai la “giustizia penale” è la sede del punire, e, non più della ricerca della verità. Se il processo diventa lo strumento per attribuire una “punizione” al colpevole, allora è evidente che l'esecuzione è l'unica sede per garantire la certezza della pena, e, non più la certezza dei diritti – sia della collettività – sia, in primis, del condannato.

E allora perché, al contrario, non pensare all'ordinamento penitenziario come parte integrante del sistema processuale? O, meglio, del sistema “giustizia penale”. Il processo, e, ancora prima, il procedimento dovrebbe essere sempre proiettato già, dall'inizio, sull'esecuzione della pena. Ragionando per “sistema” con una visione ampia sulla “giustizia penale”, e, non miope sul singolo istituto, una soluzione immaginabile in termini di riforma potrebbe venire, quindi, dal termine di cinque anni, che ricorre sia in caso di sospensione del processo con messa alla prova (v. art. 168-bis c.p.), sia in caso di applicazione della custodia cautelare in carcere (v. comma 1, lett. c)) dell'art. 274 c.p.p.), termine che potrebbe essere ripreso anche, ai sensi del comma 5 dell'art. 656 c.p.p., per la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva. Innalzando tale termine, si dovrebbe, quindi, per armonia del sistema, ipotizzare, quanto meno per l'affidamento in prova al servizio sociale, un tetto di pena più ampio, che vada verso i cinque anni. Così come si potrebbero ripensare le varie soglie di accesso delle varie forme di detenzione domiciliare, che, a partire dal tetto più ampio dell'affidamento, vadano a cascata.

Ancora. Si potrebbe prendere come riferimento il termine di due anni (o ventiquattro mesi), peraltro, già utilizzato in caso di sospensione condizionale della pena, in sede processuale, ai sensi dell'art. 163 c.p., e applicarlo, in esecuzione, per due istituti: quello di cui all'art. 678, co. 1-ter c.p.p., consentendo al magistrato di sorveglianza di decidere in via autonoma e provvisoria sull'istanza di misura alternativa presentata dal condannato libero, e quello di cui all'art. 1 della legge n. 199 del 2010, che vuole l'accesso alla misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio, per gli ultimi diciotto mesi, come residuo di pena. Rispetto poi alla disciplina della detenzione domiciliare sarebbe auspicabile, peraltro, una scelta legislativa: sia la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1 ord. penit. sia quella di cui all'art. 1 della legge n. 199 del 2010 sono vietate, in modo assoluto, agli autori di cui all'art. 4-bisord. penit. Tale preclusione assoluta risulta irrazionale, se si pensa che tra gli autori dell'art. 4-bisord. penit., al di là del co. 1, vi sono anche autori di reati con disvalore sicuramente inferiore e che, a fronte di un fine pena ravvicinato, potrebbero scontare il residuo presso il domicilio.

Non solo. Data la necessità primaria di cura, si dovrebbe rimuovere la differenza per l'accesso alla misura dell'affidamento terapeutico, riportando un unico termine di sei anni per tutti gli autori, a prescindere dalla collocazione o meno nell'art. 4-bisord. penit. (v. art. 94 del d.p.r. n. 309 del 1990); così come per le altre ipotesi, se supportate da esigenze primarie, di cura o di tutela dei figli minori o disabili. Sempre in un'ottica di tutela della salute, potrebbero essere estese le ipotesi di sospensione/differimento (anche nelle forme della detenzione domiciliare) e potenziati gli strumenti normativi di cui ai commi 1 e 1-ter dell'art. 47-terord. penit., e, non depotenziate come invece è accaduto con i decreti legge nn. 28 e 29 del 2020 (convertiti con la legge n. 70 del 2020).

In altri termini, le soluzioni ipotizzabili sono numerose, già all'interno di un ordinamento penitenziario, complesso ed articolato, e, ancora di più in una prospettiva esterna di riforma; eppure la volontà di rivedere il sistema penitenziario nel suo insieme ad oggi è assente o non sufficientemente matura (nonostante le riflessioni sono già alla portata di tutti laddove si ripensi al metodo e all'approccio verso la materia), e ci si ferma a modifiche interpolatorie che non risolvono in sé il problema, né permettono al sistema di adattarsi ai tempi, alle istanze del momento storico o alle emergenze sociali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario