Intimazione del licenziamento

16 Settembre 2024

Il rapporto di lavoro subordinato, quale rapporto di durata, trova nel recesso – soprattutto nella fattispecie del rapporto a tempo indeterminato –  una delle cause più ricorrenti di sua cessazione; il recesso si manifesta attraverso un atto unilaterale recettizio con cui si esprime la volontà di porre fine al rapporto di lavoro, e prende il nome di dimissioni, ove provenga dal lavoratore, e di licenziamento, ove provenga invece dal datore di lavoro; quale atto recettizio,  esso acquista efficacia nel momento in cui viene portato a conoscenza dell'altra parte.

Inquadramento

Il licenziamento, quale atto di cessazione su iniziativa del datore di lavoro, può essere manifestato (intimato) sia direttamente da quest'ultimo, sia  da un suo rappresentante legale, ovvero dai soggetti che ne sono legittimati sulla base della distribuzione del potere di gestione del personale fissata dall'organigramma aziendale.

Qualora il licenziamento venga intimato da un soggetto a ciò non autorizzato e legittimato, lo stesso non è affetto da nullità ma è soltanto annullabile su azione del datore di lavoro, che può – in via alternativa - ratificarlo a norma dell'art. 1399 c.c. La giurisprudenza ha ravvisato una ratifica implicita nella costituzione del datore di lavoro nel giudizio di impugnazione del licenziamento per opporsi a quest'ultima (Corte di Cassazione 4 luglio 2019, n. 17999).

Per rafforzare la tutela del lavoratore è stato previsto che l'intimazione del licenziamento sia sottoposta ad un requisito formale, a pena di inefficacia dello stesso, dovendo esso essere comunicato al prestatore di lavoro per iscritto ai sensi dell'art. 2, comma 1, l. n. 604/1966.

La Riforma Fornero (l. n. 92 del 2012) è intervenuta sulla norma anzidetta disponendo che lacomunicazione del licenziamento debba contenere la specificazione dei motivi posti a suo fondamento, al fine di rendere immediatamente consapevole il lavoratore sulle circostanze che hanno indotto il datore a interrompere il rapporto di lavoro, a differenza della sua formulazione previgente, secondo la quale il datore di lavoro era tenuto a comunicare i motivi solo su richiesta del lavoratore.

Tale modifica ha recepito un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'indicazione dei motivi deve essere specifica, cioè idonea a realizzare lo scopo perseguito dalla legge, e cioè di consentire al lavoratore di comprendere, nei suoi termini essenziali, le ragioni per le quali il datore intende porre fine al rapporto di lavoro. Lo scopo anzidetto delimita anche il contenuto della comunicazione di licenziamento, la quale non deve consistere in un'esposizione analitica di tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a base del licenziamento (v. in proposito Corte di Cassazione, 6.08.2020, n. 16795), essendo necessario che detta comunicazione individui tali fatti con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, in modo che risulti senza incertezza l'ambito delle questioni sottese al licenziamento.

In materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ad esempio, la Corte di Cassazione sez. lav. (ex multis, n. 24037/2013) è chiara nell'affermare che “quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabili nè il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, né il criterio della impossibilità di repechage, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili. Non è vero che la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare sia per il datore di lavoro totalmente libera: essa, infatti, risulta, limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi anche il recesso di una di esse (Cass., sez. lav., 21 dicembre 2001, n. 16144).

Il requisito della forma scritta dell'atto di licenziamento non può essere soddisfatto da forme di comunicazione diverse.

E' dunque esclusa la legittimità di licenziamenti portati a conoscenza dei lavoratori tramite comunicazione verbale, o strumenti o modalità indirette, non idonee a rendere integralmente edotto il lavoratore interessato circa il contenuto e la portata del provvedimento espulsivo, come, ad esempio, l'affissione di una comunicazione nei locali dell'impresa o sulla porta degli uffici ovvero sulla bacheca del cantiere.

Al riguardo la Suprema Corte ha precisato che   il datore di lavoro, pur essendo vincolato all'osservanza della forma scritta, non ha alcun onere di adottare formule “sacramentali”, potendo la volontà di eseguire un licenziamento essere espressa anche attraverso forme indirette purché siano chiare, trasparenti e raggiungano correttamente il lavoratore interessato.

In evidenza: giurisprudenza

In tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l'onere di adoperare formule sacramentali e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara. Deriva da quanto precede, pertanto, che la consegna al lavoratore del libretto di lavoro con la indicazione della data di cessazione del rapporto contiene in sé la non equivoca manifestazione della volontà di fare cessare il rapporto stesso, con la conseguenza che dalla data di tale consegna decorre il termine per impugnare il licenziamento. In particolare, il licenziamento deve qualificarsi atto unilaterale recettizio, le annotazioni contenute nel libretto di lavoro hanno natura di scrittura privata e costituiscono attestazioni unilaterali di determinati fatti. La dichiarazione di cessazione del rapporto di lavoro contenuta nel libretto di lavoro vale come atto scritto di licenziamento dalla data della relativa consegna (Cass. sez. lav., 17 marzo 2009, n. 6447).

Rispetta il requisito della forma scritta l'intimazione del licenziamento mediante telegramma, purché ricorrano le condizioni di cui all'art. 2705 c.c. (Cass. sez. lav., 15.04.2021 n. 10023).

È stata ritenuta idonea ad integrare la forma scritta, in assenza della previsione di modalità specifiche, la comunicazione del licenziamento con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità, come avviene nel caso in cui sia trasmesso a mezzo e-mail un documento allegato in formato PDF (Cass. sez. lav., 12 dicembre 2017, n. 29753).  È discusso se rispetti il requisito della forma scritta la comunicazione tramite Messaggio WhatsApp; in senso positivo si è espressa la Corte di appello di Roma con la sentenza del 23 aprile 2018, a condizione però che la ricezione del messaggio non sia stata contestata dal lavoratore.

L'intimazione del licenziamento per g.m.o. dopo la Riforma Fornero

L'intimazione del licenziamento ha ricevuto una disciplina peculiare per la fattispecie del licenziamento per  giustificato motivo oggettivo a seguito della Riforma Fornero che, modificando l'art. 7 l.  n. 604/1966, ha stabilito che, prima di poter procedere all'intimazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia il licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) il datore di lavoro di un'azienda con più di quindici dipendenti, deve obbligatoriamente comunicare alla Direzione Territoriale del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, la propria volontà di recedere dal rapporto intercorso con il lavoratore, trasmettendo il tutto per conoscenza anche a quest'ultimo.

Si è venuta, dunque, a determinare una nuova condizione di procedibilità ai fini dell'intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

E' prevista, infatti, la illegittimità del licenziamento nel caso in cui quest'ultimo venga comminato senza il preventivo esperimento della procedura conciliativa di cui sopra.

Attraverso tale comunicazione il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione in merito alla situazione lavorativa del dipendente, esprimendo la volontà di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

E' tenuto, inoltre, ad indicare i motivi di ordine economico, produttivo e organizzativo che rendono necessario il recesso nonché le eventuali misure di volte a garantire la ricollocazione del lavoratore, al fine di permettere una sua più proficua utilizzazione, secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza in tema di obbligo di repechage.

Tali obblighi in capo al datore risultano funzionali a garantire un presumibile reimpiego del lavoratore ancor prima di un eventuale giudizio.

Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta viene data comunicazione dell'incontro innanzi la Commissione Provinciale di conciliazione ed entro 20 giorni da tale comunicazione la procedura deve concludersi.

Qualora non si pervenga alla definizione di un accordo conciliativo e, comunque, decorso vanamente il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione da parte della DTL, il datore potrà comunicare formalmente il licenziamento al lavoratore.

È previsto che nel corso della procedura le parti possano farsi assistere da rappresentanti sindacali, avvocati o consulenti del lavoro.

Nel caso in cui la procedura conciliativa si concluda positivamente, attraverso la previsione della risoluzione consensuale del rapporto, si applicheranno le disposizioni in tema di Assicurazione sociale per l'impiego (NASPI).

Tale disciplina non si applica per i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1, comma 1, e 3, comma 3, del d.lgs. n. 23 del 4 marzo 2015.

In evidenza: giurisprudenza

La comunicazione di licenziamento formulata nel verbale di chiusura della procedura prevista dall'art.  7  della  l. n. 604 del 1966 , che ha attestato il fallimento del tentativo di conciliazione imposto dalla norma, integra il requisito della forma scritta, purché siano osservate le ulteriori prescrizioni in tema di licenziamento, sicché non è necessario che la comunicazione scritta dello stesso intervenga successivamente, in contesto distinto dal verbale redatto in sede d'incontro davanti alla commissione di conciliazione (Cass. Sez. lav. Ord., 22 aprile 2024, n. 10734).

Orientamenti a confronto

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Validità dell'intimazione di un secondo licenziamento

Invalidità dell'intimazione di un secondo licenziamento

È consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, anche se la questione della validità del primo licenziamento sia ancora sub iudice, purché siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione. Tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell'art. 1423 c.c., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti ex tunc e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale (Cass., sez. lav., n. 6773/2013).

Il licenziamento intimato, in area di tutela reale, per giusta causa o giustificato motivo, è inefficace fino a quando non intervenga sentenza di annullamentoex art. 18, l. n. 300/1970; ne consegue che un secondo licenziamento, intimato prima dell annullamento è privo di oggetto, attesa l'insussistenza di un rapporto di lavoro. (Cass., sez. lav., n.10394/2005)

Casistica

CASISTICA

Decorrenza termine impugnazione giudiziale

Il licenziamento, quale negozio unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore, sicché la decorrenza del termine di decadenza, per l'impugnazione del recesso, opera dalla comunicazione del licenziamento e non dal momento, eventualmente successivo, di cessazione dell'efficacia del rapporto di lavoro (Cass. sez. lav., n. 6845/2014).

Comunicazione del recesso mediante lettera raccomandata e presunzione di conoscenza

Un atto unilaterale recettizio, qual è il licenziamento, si presume conosciuto - ai sensi dell'art. 1335 c.c. - nel momento in cui è recapitato all'indirizzo del destinatario e non nel diverso momento in cui questi ne prenda effettiva conoscenza; ne consegue che, ove il licenziamento sia intimato con lettera raccomandata a mezzo del servizio postale, non consegnata al lavoratore per l'assenza sua e delle persone abilitate a riceverla, la stessa si presume conosciuta alla data in cui, al suddetto indirizzo, è rilasciato l'avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, restando irrilevante il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l'avviso di giacenza e l'eventuale ritiro da parte del destinatario. (Cass., sez. lav., n. 23589/2018).

   

Intimazione licenziamento per giustificato motivo oggettivo sospensivamente condizionata

È ammissibile l'intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sospensivamente condizionata alla mancata accettazione del trasferimento ad altra sede entro un determinato termine. L'avveramento della condizione non può ritenersi compiuto nel caso di mero comportamento inattivo, incolpevole, del destinatario della comunicazione, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge. (Nella specie, il lavoratore era legittimamente all'estero, ma, tornato in Italia, non si era curato di rispondere al datore di lavoro) (Cass., sez. lav., n. 8843/2013).

Riferimenti

Normativi

Legge 15 luglio 1966, n. 604

Legge 28 giugno 2012, n. 92

Giurisprudenza

Per i recenti orientamenti sul tema, v.:

Cass., sez. lav., 23 gennaio 2024, n. 2274

Cass., sez. lav., 27 giugno 2023, n. 18254 con commento di A. LANZARA, È licenziamento orale il recesso datoriale per compimento del termine apposto al contratto di lavoro?

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario