Intimazione del licenziamento
23 Gennaio 2024
Inquadramento Affinché il rapporto di lavoro cessi, il licenziamento deve essere intimato dal datore di lavoro, da un suo rappresentante legale ovvero dai soggetti che ne sono legittimati sulla base della distribuzione del potere di gestione del personale fissata dall'organigramma aziendale. Qualora il licenziamento venga intimato da un soggetto a ciò non autorizzato e legittimato, lo stesso non è affettò da nullità ma è, bensì, soltanto annullabile su azione del datore di lavoro, che può – in via alternativa - ratificarlo a norma dell'art. 1399 c.c. In applicazione dell'art. 2, comma 1, l. n. 604/1966, il licenziamento deve essere comunicato al prestatore di lavoro per iscritto, salvo ulteriori requisiti di forma stabiliti dalla contrattazione collettiva. La Riforma Fornero è intervenuta sulla norma disponendo che la comunicazione del licenziamento debba contenere la specificazione dei motivi, al fine di render immediatamente consapevole il lavoratore sulle circostanze che hanno indotto il datore a interrompere il rapporto di lavoro (mentre la norma previgente prevedeva che il datore di lavoro era tenuto a comunicare i motivi solo su richiesta del lavoratore). Tale aspetto è primario. Ed infatti, come evidenziato prima dalla giurisprudenza e ora espressamente dalla Legge n. 92/2012, l'indicazione dei motivi deve essere specifica, cioè idonea a realizzare il risultato perseguito dalla legge, costituito dalla conoscenza, da parte del lavoratore, delle ragioni sottese al provvedimento. Pertanto a tale scopo è necessario che la motivazione individui tali fatti con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, per modo che risulti senza incertezza l'ambito delle questioni sottese al licenziamento. Sul punto la giurisprudenza di merito ha statuito: “Nella fattispecie, l'analisi della comunicazione del 2.5.2013 rivela l'imprecisa determinazione delle ragioni del licenziamento; la parte datoriale ha infatti effettuato un generico riferimento ad “una radicale riorganizzazione degli assetti interni” non meglio precisata ed alla “grave crisi del mercato”, che avrebbe reso necessario il riassetto, senza in alcun modo esplicitare in cosa sia consistita la radicale riorganizzazione – e, quindi, quali unità, strutture e risorse avrebbe interessato, e con quali modalità e tempi – né come abbia inciso la crisi menzionata sugli assetti economici aziendali, e neppure, infine, quale sia stato il nesso causale esistente tra tale processo di riorganizzazione ed il venir meno della posizione ricoperta dal singolo lavoratore; non sono stati pertanto spiegati i motivi per i quali gli effetti della riorganizzazione abbiano influito sull'attività svolta dal ricorrente, impedendo così al lavoratore di identificare con chiarezza e precisione la causa della decisione datoriale. […] Alla luce di quanto premesso, deve essere dichiarata l'inefficacia del licenziamento intimato dalla s.r.l. nei confronti del lavoratore in data 2.5.2013 e conseguentemente affermato che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti non è venuto a cessare, con condanna della s.r.l. a ripristinare in fatto il rapporto riammettendo in servizio la parte ricorrente.” (Trib. Roma, sez. lav., 18 settembre 2014). Pertanto laddove una lettera di licenziamento inviata al ricorrente:
rendendo di fatto impossibile per il lavoratore comprendere con chiarezza le ragioni della decisione espulsiva della Società, il licenziamento sarà da considerarsi illegittimo. Peraltro nel caso in cui nella lettera di licenziamento si faccia riferimento genericamente alla soppressione di “alcuni posti di lavoro”, senza specificare quali posti di lavoro intende sopprimere, la stessa sarà da considerarsi generica. Rispetto a tale ipotesi la Corte di Cassazione sez. lav. (ex multis, n. 24037/2013) è chiara nell'affermare che “quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, non sono utilizzabili nè il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere in quanto non più necessaria, nè il criterio della impossibilità di repechage, in quanto tutte le posizioni lavorative sono equivalenti e tutti i lavoratori sono potenzialmente licenziabili. Non è vero che la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare sia per il datore di lavoro totalmente libera: essa, infatti, risulta, limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi anche il recesso di una di esse (Cass., sez. lav., 21 dicembre 2001, n. 16144). Come osservato da Cass., sez. lav., n. 7046/2011, in questa situazione, pertanto, si è posto il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede (Cass., sez. lav., 6 settembre 2003, n. 13058) ed è stato ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223/1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico - produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti - v. Cass., sez. lav., n. 16144/2001, nonchè Cass., sez. lav., n. 11124/2004). Il requisito della forma scritta dell'atto di licenziamento non può essere soddisfatto da forme di comunicazione equipollenti.
E' dunque esclusa la legittimità di licenziamenti portati a conoscenza dei lavoratori tramite strumenti o modalità indirette, non idonee a rendere integralmente edotto il lavoratore circa il contenuto e la portata del provvedimento espulsivo, come, ad esempio, mediante affissione nei locali dell'impresa o sulla porta degli uffici ovvero sulla bacheca del cantiere. Al riguardo la Suprema Corte, con sentenza del 17 marzo 2009, n. 6447 ha stabilito che non sussiste per il datore di lavoro alcun onere di adottare formule “sacramentali”; pertanto la volontà di eseguire un licenziamento può essere espressa anche attraverso forme indirette purché siano chiare, trasparenti e raggiungano correttamente il lavoratore interessato. A questo proposito, l'annotazione sul libretto di lavoro della data di cessazione del rapporto di lavoro esprime inequivocabilmente la volontà del datore di lavoro di effettuare il licenziamento e, proprio a decorrere da tale data, va computato il termine per il lavoratore, per impugnare il medesimo.
L'intimazione del licenziamento per g.m.o. dopo la Riforma Fornero Uno degli aspetti più innovativi della Riforma Fornero in tema di licenziamento è la modifica dell'art. 7 l. n. 604/1966 che, di fatto, introduce un nuova condizione di procedibilità, prevedendo che, prima di poter procedere all'intimazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ossia il licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) il datore di lavoro di un'azienda con più di quindici dipendenti, debba obbligatoriamente comunicare alla Direzione Territoriale del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, la propria volontà di recedere dal rapporto intercorso con il lavoratore, trasmettendo il tutto per conoscenza anche a quest'ultimo. Si è venuta, dunque, a determinare una nuova condizione di procedibilità ai fini dell'intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. E' prevista, infatti, la illegittimità del licenziamento nel caso in cui quest'ultimo venga comminato senza il preventivo esperimento della procedura conciliativa di cui sopra. Attraverso tale comunicazione il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione in merito alla situazione lavorativa del dipendente, esprimendo la volontà di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. E' tenuto, inoltre, ad indicare i motivi di ordine economico, produttivo e organizzativo che rendono necessario il recesso nonché le eventuali misure di volte a garantire la ricollocazione del lavoratore, al fine di permettere una sua più proficua utilizzazione, secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza in tema di obbligo di repechage. Tali obblighi in capo al datore risultano funzionali a garantire un presumibile reimpiego del lavoratore ancor prima di un eventuale giudizio. Quindi una garanzia preventiva rispetto all'eventuale contenzioso giudiziario nascente.
Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta viene data comunicazione dell'incontro innanzi la Commissione Provinciale di conciliazione ed entro 20 giorni da tale comunicazione la procedura deve concludersi. Qualora non si pervenga alla definizione di un accordo conciliativo e, comunque, decorso vanamente il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione da parte della DTL, il datore potrà comunicare formalmente il licenziamento al lavoratore. È previsto che nel corso della procedura le parti possano farsi assistere da rappresentanti sindacali, avvocati o consulenti del lavoro. Nel caso in cui la procedura conciliativa si concluda positivamente, attraverso la previsione della risoluzione consensuale del rapporto, si applicheranno le disposizioni in tema di Assicurazione sociale per l'impiego (NASPI). Può essere previsto, inoltre, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia per il lavoro, ovvero di intermediazione, di supporto alla ricollocazione professionale o di somministrazione. E' tuttavia opportuno porre l'attenzione sul possibile comportamento che il lavoratore potrebbe tenere a seguito della ricezione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ed infatti lo stesso potrebbe usufruire della malattia finendo, da un lato, per svilire lo scopo di tale nuova procedura (che è quella di garantire una drastica riduzione del contenzioso attraverso strumenti conciliativi snelli e rapidi), dall'altro rischierebbe di creare un indebito vantaggio in favore al lavoratore il quale verrebbe quindi ad avere la possibilità di consapevolmente usufruire degli effetti di cui all'art. 2110 c.c. Tuttavia il comma 9 dell'art. 7 l. n. 604/1966 pone un rimedio a tale eventualità: “In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni”. La malattia, dunque, non produrrà più un effetto “bloccante” dell'intera procedura come in passato, garantendo dunque la prosecuzione della stessa davanti alla DTL competente. Orientamenti a confronto
Casistica
Riferimenti Normativi Legge 15 luglio 1966, n. 604 Legge 28 giugno 2012, n. 92 Giurisprudenza Per i recenti orientamenti sul tema, v.: Cass., sez. lav., 23 gennaio 2024, n. 2274 Cass., sez. lav., 27 giugno 2023, n. 18254 con commento di A. LANZARA, È licenziamento orale il recesso datoriale per compimento del termine apposto al contratto di lavoro? Riferimenti normativiRiferimenti giurisprudenziali |