Tre questioni in materia di maltrattamenti: il punto di vista della Suprema Corte in una recente pronuncia

Alessandro Trinci
18 Gennaio 2021

È configurabile un concorso di reati tra la fattispecie di maltrattamenti e quella di sequestro di persona? Nell'ipotesi in cui il reato di lesioni concorra con quello di maltrattamenti secondo lo schema della continuazione criminosa o del concorso formale di reati, è configurabile la circostanza aggravante prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p.?;
I principi affermati

È configurabile il concorso tra i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona se la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce in una delle modalità in cui si esprime l'abituale coercizione fisica e psicologica costituente una delle fasi del reato abituale di maltrattamenti, ma ne configura un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione della libertà di movimento della persona offesa, quand'anche in modo non assoluto.

La circostanza aggravante prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p. risulta configurabile anche nelle ipotesi di concorso formale o di continuazione tra il reato di lesioni e quello di maltrattamenti, poiché essa non richiede una alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro”.

La sanzione accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale prevista dall'art. 34 comma 2 c.p. è applicabile anche al reato di maltrattamenti contestato ai soli danni del coniuge e aggravato ai sensi dell'art. 61 comma 1 n. 11-quinquies c.p., purché la prosecuzione del rapporto col genitore condannato risulti in concreto pregiudizievole per il figlio, considerate le circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione.

Il caso

Tizio, all'esito di giudizio abbreviato, veniva condannato dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Latina per i reati di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona e lesioni personali aggravate ai danni della moglie. La Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, riduceva la pena nei confronti dell'imputato, riducendo altresì la durata della misura di sicurezza della libertà vigilata e la durata della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, oltre ad intervenire in melius sulle interdizioni disposte in primo grado.

Avverso tale pronuncia l'imputato proponeva ricorso per cassazione adducendo una pluralità di motivi.

In primo luogo, egli deduceva la violazione di legge in conseguenza della ritenuta possibilità di concorso tra il reato di sequestro di persona e quello di maltrattamenti in famiglia, sostenendo invece la tesi dell'assorbimento del primo delitto nel secondo, non potendo considerarsi la compressione della libertà di movimento della vittima quale condotta ulteriore ed autonoma rispetto alle condotte specificatamente maltrattanti. A giudizio della difesa del ricorrente, dunque, la condotta di sopraffazione contestata come sequestro di persona sarebbe stata manifestazione della volontà non già di coartare la libertà di movimento della vittima, quanto piuttosto di mortificarla ed umiliarla.

In secondo luogo, il ricorrente lamentava la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 576 comma 1 n. 5 c.p. con riferimento al reato di lesioni personali. Secondo il ricorrente, difatti, nell'ipotesi in cui il reato di lesioni concorra con quello di maltrattamenti secondo lo schema della continuazione criminosa (ritenuta in concreto, ma il ragionamento viene svolto anche per l'ipotesi di concorso formale), non potrebbe integrarsi anche la circostanza della c.d. connessione occasionale prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p., poiché la commissione di due reati con una sola azione (od omissione) configurerebbe una situazione logico-giuridica incompatibile con l'aver commesso un reato in occasione dell'altro.

In terzo luogo, il ricorrente deduceva erronea applicazione dell'art. 34 c.p., poiché la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale sarebbe stata disposta in assenza del presupposto richiesto dalla norma, consistente nella condanna dell'imputato per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale. Tale circostanza, secondo la tesi difensiva, di fatto non sussisteva nel caso di specie, in quanto il reato di maltrattamenti risultava commesso soltanto nei confronti della convivente e madre dei figli del ricorrente, ma non nei confronti di questi ultimi, bensì in loro presenza.

La Corte rigettava il ricorso per infondatezza di tutti i motivi di censura sopra esposti.

Con riguardo alla prima questione posta dal ricorrente, la Corte asseriva che è configurabile il concorso tra i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona qualora la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisca in una delle modalità in cui si esprime l'abituale coercizione fisica e psicologica costituente una delle fasi del reato abituale di maltrattamenti, ma ne configuri un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione della libertà di movimento della persona offesa, quand'anche in modo non assoluto.

In merito al secondo motivo di ricorso, la Corte evidenziava come la circostanza aggravante della connessione occasionale, prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p., risulti configurabile anche nelle ipotesi di concorso formale di reati, non richiedendo la norma una alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro.

Infine, la Corte affermava l'applicabilità al caso di specie della sanzione accessoria prevista dall'art. 34comma 2 c.p., tenuto conto che nella categoria dei reati commessi con abuso della responsabilità genitoriale possano essere inserite anche le fattispecie aggravate ai sensi dell'art. 61 comma 11-quinquies c.p.

Le questioni esaminate dalla Suprema Corte

Le questioni in esame sono tre:

1) è configurabile un concorso di reati tra la fattispecie di maltrattamenti e quella di sequestro di persona?;

2) nell'ipotesi in cui il reato di lesioni concorra con quello di maltrattamenti secondo lo schema della continuazione criminosa o del concorso formale di reati, è configurabile la circostanza aggravante prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p.?;

3) è applicabile la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall'art. 34comma 2 c.p., nell'ipotesi in cui il reato di maltrattamenti non sia contestato ai danni dei figli minori ma esclusivamente nei confronti del coniuge convivente?

Le motivazioni

Procedendo per ordine, esaminiamo innanzitutto la questione inerente i rapporti tra il reato di maltrattamenti e quello di sequestro di persona.

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, afferma che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non sussiste rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di persona, trattandosi di reati che non solo tutelano beni giuridici diversi, ma sono anche caratterizzati da un diverso elemento materiale, in quanto per la sussistenza del reato di maltrattamenti è necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a continue vessazioni, mentre per la sussistenza del reato di sequestro di persona è necessario che l'agente privi taluno della libertà personale (cfr. Cass. pen., sez. I, 2 maggio 2006, n.18447, Rv. 234673). Conseguentemente, il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall'art. 572 c.p. soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non sono ulteriori ed autonome rispetto a quelle specificatamente maltrattanti (cfr. Cass. pen., sez. V, 19 dicembre 2016, n. 15299, Rv. 270395).

Tale impostazione, secondo i giudici di legittimità, troverebbe riscontro nel consolidato orientamento giurisprudenziale elaborato in tema di rapporti tra il reato di cui all'art. 605 c.p. e altre fattispecie delittuose. Emblematica è sicuramente la soluzione ermeneutica proposta in tema di configurabilità del reato di sequestro di persona nelle ipotesi, assai frequenti nella casistica, di contestuale realizzazione di una rapina aggravata: secondo la giurisprudenza in tali ipotesi il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di rapina aggravata previsto dall'art. 628, comma terzo, n. 2, cod. pen. soltanto quando la violenza usata per il sequestro si identifica e si esaurisce col mezzo immediato di esecuzione della rapina stessa, non quando invece ne preceda l'attuazione con carattere di reato assolutamente autonomo anche se finalisticamente collegato alla rapina ancora da porre in esecuzione o ne segua l'attuazione per un tempo non strettamente necessario alla consumazione (cfr. Cass. pen., sez. II, 24 maggio 1990, in Riv. pen. 1991, p. 813; Cass. pen., sez. II, 6 dicembre 1990, in Cass. pen. 1992, p. 2108; Cass.pen., sez. II, 15 giugno 2000, n.9387, Rv. 216923; Cass.pen., sez. II, 5 maggio 2009, n.24837, Rv. 244339; Cass.pen., sez. I, 1° luglio 2010, n.31735; Cass. pen., sez. II, 8 gennaio 2014, n.3604, Rv. 258549; Cass. pen., sez. II, 19 maggio 2015, n. 22096, Rv. 263788;).

La Corte, inoltre, evidenzia come, secondo la giurisprudenza, anche i reati di ingiuria, minacce e violenza privata debbano ritenersi assorbiti nella fattispecie delittuosa di maltrattamenti solo qualora le condotte ivi sottese rientrino nella materialità di detto delitto (cfr. Cass. pen., sez. V, 14 maggio 2010, n. 22790, Rv. 247521); diversamente, qualora tali condotte assumano una chiara autonomia, sotto il profilo della volizione criminale, rispetto alla serialità delle vessazioni in cui si è sostanziato il presupposto reato di cui all'art. 572 c.p., distaccandosene ed acquisendo, pertanto, una specifica rilevanza delittuosa, dovrà escludersi tale assorbimento (cfr. Cass.pen., sez. III, 7 aprile 2016, n.10497, Rv. 269340, ipotesi in cui la Corte ha escluso l'assorbimento del reato di minaccia finalizzata al conseguimento dell'impunità per il reato di maltrattamenti).

I giudici di legittimità affermano, dunque, che, sul piano dell'analisi giuridica, è configurabile il concorso tra i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona se la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce in una delle modalità in cui si esprime l'abituale coercizione fisica e psicologica costituente una delle fasi del reato abituale di maltrattamenti, ma ne configura un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione della libertà di movimento della persona offesa, quand'anche in modo non assoluto.

Nel caso di specie, la Corte rileva che la privazione della libertà personale inflitta dall'imputato alla persona offesa, durata diverse ore e associata ad ulteriori condotte di sopraffazione e violenze tali da determinare un senso di coazione psicologica profonda e di svilimento della dignità personale (tra le altre cose, la vittima aveva subito anche il taglio dei capelli e l'ammanettamento, “simbolo inequivoco di mortificazione ed umiliazione, scrive la Corte), era da valutarsi certamente come ultronea rispetto alla condotta di maltrattamenti e dotata di autonoma efficacia lesiva del bene della libertà personale, non necessariamente coinvolto dalla condotta abituale del reato.

In conclusione, la Corte evidenzia come appaia necessario non confondere il profilo soggettivo del reato di sequestro di persona che, come noto, non richiede il dolo specifico ma solo quello generico della consapevolezza di infliggere alla vittima la restrizione illegittima della sua libertà fisica (Sez. 5, n. 19548 del 17/4/2013, M., Rv. 256747), con le ragioni a delinquere ed il movente delittuoso, sicuramente ricompreso, nel […] caso [del ricorrente], nell'orbita più generale della vessazione violenta della vittima, che costituiva il leit motiv malato e criminale del legame che lo univa a lei.

Per quanto concerne la seconda questione in esame, i giudici di legittimità rispondono al quesito posto riprendendo gli orientamenti giurisprudenziali più recenti elaborati in relazione all'art. 61 comma 1 n. 2 c.p., che prevede una fattispecie gemella a quella prevista dall'art. 576 comma 1 n. 5 c.p. Conseguentemente, gli stessi asseriscono che la circostanza aggravante del nesso teleologico, la quale presuppone la commissione del reato “in occasione” di taluni delitti, risulta configurabile anche nelle ipotesi di concorso formale o di continuazione tra il reato di lesioni e quello di maltrattamenti, poiché essa non richiede una alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro (cfr. Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 14168, Rv. 278844; in tal senso, si vedano anche Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2020-, n. 11002, Rv. 278714 e Cass. pen., sez. VI, 12 gennaio 2016, n. 3368, Rv. 266007, che hanno affermato la procedibilità d'ufficio del reato di lesioni personali anche lievissime quando aggravate ai sensi dell'art. 576 comma 1 n. 5 c.p., perché commesse in occasione del delitto di maltrattamenti).

La Corte, tuttavia, ammette la sussistenza di un diverso orientamento ermeneutico, accolto anche in alcune sentenze di legittimità, volto ad escludere l'applicabilità del nesso teleologico al reato di lesioni commesso in attuazione della condotta propria del delitto di maltrattamenti. In particolare, secondo tale opzione ermeneutica, qualora le lesioni configurino atti costitutivi del delitto di maltrattamenti non sussiste il rapporto di strumentalità con i maltrattamenti medesimi, dal momento che esse stesse già realizzavano il reato suppostamente eseguendo. In altre parole, poiché l'aggravante del nesso teleologico esige separatezza tra le azioni costitutive dei due reati avvinti dal nesso teleologico, “se la lesione è di per sé azione di maltrattamento, logica vuole che non possa esser configurata come entità distinta dai maltrattamenti, attuata per commettere i maltrattamenti medesimi” (cfr. Cass. pen., sez. VI, 3 maggio 2011, n. 19700, Rv. 249799; Cass. pen., sez. VI, 7 maggio 2013, n. 23827, Rv. 256312; Cass. pen., sez. VI, 19 gennaio 2016, n.5738, Rv. 266122).

I giudici di legittimità rilevano però che, nonostante la stessa Corte in alcune sentenze passate abbia assunto tali posizioni differenti, orientando la prospettiva in senso generale si può notare come tendenzialmente la configurabilità dell'aggravante del nesso teleologico in caso di concorso formale tra reati sia stata ammessa dalla Suprema Corte. Non solo, gli stessi evidenziano come tale impostazione accolta dalla giurisprudenza maggioritaria affondi le proprie radici in una risalente pronuncia delle Sezioni Unite, che ha ritenuto applicabile tale aggravante anche nel caso in cui il reato-mezzo ed il reato-fine siano commessi con unica azione (cosiddetti reati contestuali), giacché è irrilevante qualsiasi considerazione di ordine cronologico tra un reato e l'altro posto il fondamento essenzialmente soggettivo della aggravante stessa nel sistema legislativo: che anzi, per tale ragione che svincola la struttura dell'aggravante da qualunque elemento di carattere temporale, può anche accadere che l'esecuzione del reato che realizza lo scopo finale precede l'altro reato che si è previsto di dover necessariamente compiere in relazione al primo (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 29 novembre 1958, n. 19, Rv. 98052).

Conformemente alla decisione delle Sezioni Unite, la costante giurisprudenza di legittimità ha dunque affermato che l'aggravante del nesso teleologico è configurabile, indipendentemente dalla unicità o dalla pluralità delle condotte criminose, o dalla contestualità di queste ultime, essendo sufficiente che la volontà del soggetto attivo sia diretta alla commissione del reato-fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo (cfr. Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 1986-22 novembre 1986, n. 13139, Rv. 174377; Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1994, n. 6866; Cass.pen., sez. II, 19 maggio 2009, n.29486, Rv. 244434; Cass.pen., sez. V, 10 luglio 2017, n.38399, Rv. 271211). Ciò in quanto la ratio dell'aggravante del nesso teleologico risiede nella maggiore pericolosità di colui il quale, pur di attuare il suo intento criminoso, non arretra di fronte alla necessaria od eventuale commissione del reato mezzo, per cui risulta essere presupposto unico e indispensabile della circostanza la consapevolezza da parte del colpevole della pluralità delle risoluzioni e della loro coordinazione finalistica (cfr. Cass. pen., sez. VI, 9 febbraio 1967, n. 266, Rv. 103822).

La Corte, inoltre, evidenzia come tale orientamento ermeneutico risulti coerente con le regole generali in ordine al rapporto tra l'aggravante del nesso teleologico e il concorso formale di reati. In primo luogo, difatti, il concorso formale ricorre anche nelle ipotesi in cui la condotta di uno dei reati sia più ampia e solo in parte abbia identità di azione con un altro reato a consumazione istantanea (cfr. Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 14168, Rv. 278844): tale è il tipo di rapporto che intercorre tra il reato di maltrattamenti (quale reato abituale) e il reato di lesioni. In secondo luogo, la norma che disciplina l'aggravante in questione non richiede affatto una alterità di condotte, bensì esclusivamente la finalizzazione dell'un reato all'altro. Appare dunque chiaro come non sussistano né limiti di carattere logico né limiti di carattere normativo all'applicabilità del nesso teleologico nelle ipotesi di concorso formale di reati (cfr. Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2020-8maggio 2020, n. 14168, Rv. 278844).

Concludendo, la Corte afferma che l'unica verifica che il giudice è tenuto a svolgere ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante del nesso teleologico è esclusivamente quella soggettiva sulla sussistenza della finalizzazione della condotta del reato di lesioni alla realizzazione di quello di maltrattamenti, sotto il profilo del coefficiente psicologico.

Venendo all'ultima questione, la sentenza in esame affronta il problema dell'applicabilità della sanzione accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall'art. 34comma 2 c.p., nelle ipotesi in cui il reato di maltrattamenti sia contestato esclusivamente a danno della moglie convivente e non anche nei confronti dei figli minori.

La Corte, in primo luogo, non mette in dubbio che la sanzione accessoria prevista dall'art. 34 comma 2c.p. si applichi al reato di maltrattamenti.

In secondo luogo, la stessa rammenta che la fattispecie delittuosa di cui all'art. 572 c.p. può dirsi integrata sia nelle ipotesi in cui i comportamenti vessatori siano rivolti direttamente in danno dei figli minori sia nei casi in cui tali comportamenti li coinvolgano indirettamente come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi (cfr. Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2018, n. 18833, Rv. 272985; Cass.pen., sez. VI, 10 dicembre 2014, n.4332).

Tale impostazione risponderebbe, secondo la Corte, all'esigenza di tutela della pluralità dei beni giuridici sottesi alla norma in esame, costituiti dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dalla difesa dell'integrità fisica e psichica dei soggetti che la compongono (Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019, in Giust. pen., 2004, p. 466; v. anche Cass. pen., sez. VI, 26 giugno 1996, n. 8510, Rv. 205901; Cass. pen., sez. VI, 1° febbraio 1999, n. 3580, Rv. 213516). Difatti, la giurisprudenza ha rilevato come la condotta di chi costringe il minore a presenziare alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, risulti certamente idonea a realizzare un'offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata. D'altronde, costituisce approdo ormai consolidato della scienza psicologica che anche bambini molto piccoli, persino i feti ancora nel grembo materno, siano in grado di percepire quanto avvenga nell'ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità (cfr. Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2018, n. 18833, Rv. 272985).

Tuttavia, rileva la Corte, se è certo che la sospensione della responsabilità genitoriale sia comminabile in relazione alle condotte di maltrattamento realizzate, direttamente o indirettamente, a danno dei figli minori, risulta invece necessario verificare se tale pena accessoria sia applicabile anche alle ipotesi, come quella sottoposta alla sua attenzione, in cui tali condotte non siano contestate ai danni dei figli, bensì esclusivamente ai danni del coniuge convivente e aggravate ai sensi dell'art. 61 comma 1 n. 11-quinquies c.p., in quanto realizzate alla presenza dei figli minori.

A parere della Corte, a tale quesito deve rispondersi affermativamente.

Il ragionamento svolto dai giudici di legittimità prende avvio dalla constatazione della diversa natura dei due commi previsti dall'art. 34 c.p.: il primo, difatti, disciplina l'istituto della decadenza dalla responsabilità genitoriale, applicabile esclusivamente ogni qualvolta la legge lo preveda espressamente; il secondo comma, invece, prevede l'istituto della sospensione della responsabilità genitoriale, ricollegata alla più generale clausola normativa di aver riportato condanna per un reato commesso con abuso della responsabilità genitoriale. Conseguentemente, per individuare le ipotesi alle quali sia applicabile l'istituto previsto dal secondo comma dell'art. 34 c.p. risulta necessario comprendere quali siano i reati che rientrano nel novero di quelli commessi con abuso di tale responsabilità.

La Corte evidenzia a questo punto l'esigenza di meglio comprendere e definire il concetto di abuso della responsabilità genitoriale, previsto dalla norma quale presupposto fondamentale dell'istituto in esame, e, per fare ciò, riprende l'elaborazione dottrinale sviluppatasi sul tema in sede civilistica. Secondo la disciplina civilistica, difatti, la responsabilità genitoriale determina il dovere di crescere i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni (cfr. art. 316 cod. civ.). La violazione di tale obbligo può dar luogo, in relazione alla gravità della condotta realizzata, alla decadenza da tale responsabilità, ai sensi dell'art. 330 c.c., ovvero all'emanazione da parte del giudice, ai sensi dell'art. 333 c.c., di “provvedimenti convenienti” volti adinterrompere l'agire del genitore comunque pregiudizievole al figlio. Conseguentemente, la dottrina civilistica, attraverso un richiamo proprio all'art. 330 c.c., afferma che l'abuso della responsabilità genitoriale consiste nell'uso abnorme dei poteri e nella violazione o inosservanza dei doveri inerenti alla responsabilità.

Da tale punto di vista, la Suprema Corte evidenzia dunque come rispondano ad un canone comportamentale abusivo della responsabilità genitoriale non solo le condotte di reato direttamente rivolte contro i figli minori ma anche quelle indirettamente rivolte contro di loro, che, colpendo pervicacemente e brutalmente l'altro genitore li costringono ad assistere, secondo i parametri normativi dettati dall'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, cod. pen., ad una violenza e sopraffazione destinate ad avere inevitabilmente conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica, segnandone il carattere e la memoria. Si può quindi affermare che sussiste abuso della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 34 comma 2c.p. non solo nel caso in cui la violenza assistita integri di per sé la fattispecie di cui all'art. 572 c.p. ma anche quando essa sia configurata come aggravante di un reato commesso nei confronti di un altro familiare.

I giudici di legittimità rilevano, inoltre, come tale impostazione risulti corrispondente ai principi espressi dalla Corte costituzionale in tema di valutazioni da compiere in merito al provvedimento giudiziale di sospensione della responsabilità genitoriale (cfr. Corte cost., sent., 6 maggio 2020-29 maggio 2020, n.102). Invero, nonostante il Giudice delle leggi, con la sentenza citata, si sia espresso in merito ad un diverso istituto giuridico (la sospensione della responsabilità genitoriale prevista dall'art. 574-bis c.p.), i principi ivi affermati, secondo la Corte, possono ritenersi di portata generale.

In particolare, in tale sentenza la Consulta, nel valutare la legittimità dell'istituto sottoposto al suo esame, ha richiamato il principio secondo il quale in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei "migliori interessi" (best interests) o dell' "interesse superiore" (intérêt supérieur) del minore: principio affermato nel contesto del diritto internazionale dei diritti umani, a partire dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, e poi confluito nell'art. 3 comma 1 della Convenzione sui diritti del fanciullo e nell'art. 24 comma 2 CDFUE e altresì riconosciuto quale contenuto implicito del diritto alla vita familiare (di cui all'art. 8 CEDU) dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Conseguentemente, la Corte, dopo aver riconosciuto valore costituzionale anche al diritto del minore di essere educato e di intrattenere regolarmente relazioni e contatti personali con entrambi i genitori, asserisce che le ragioni di tutela di quest'ultimo diritto vengono meno, come prevedono all'unisono l'art. 9, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e l'art. 24, comma 3, CDFUE, allorché la prosecuzione di tale rapporto sia contraria all'interesse preminente del minore. Tuttavia, la stessa Corte costituzionale evidenzia come una misura che frappone significativi ostacoli alla relazione tra il figlio e il genitore, quale quella che impone la sospensione della responsabilità genitoriale, potrà risultare legittima solo qualora tale relazione risulti “in concreto” pregiudizievole per il figlio, considerate le circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione.

A tale principio fondamentale si conforma quindi anche la decisione in esame della Suprema Corte, la quale, appunto, se da un lato ammette l'applicabilità della sanzione accessoria prevista dall'art. 34comma 2 c.p. alle ipotesi di maltrattamenti commessi in danno di un familiare e aggravati dall'art. 61 comma 1 n. 11-quinquies c.p., dall'altro esclude che tale applicazione possa costituire un automatismo, dovendo il giudice accertare di volta in volta che tale misura risponda in concreto agli interessi del minore.

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