Danno da mancata acquisizione del consenso informato: la Cassazione torna sugli oneri di allegazione e prova
20 Gennaio 2021
Massima
In materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude che, anche nel caso in cui venga dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, non potendosi in ogni caso configurare un danno in re ipsa. Il caso
In un giudizio in tema di responsabilità professionale del medico, la Corte d'appello era chiamata a pronunciarsi su una vicenda ove l'attore aveva dedotto la lesione del diritto al consenso informato e l'esecuzione imperita dell'intervento chirurgico, al cui esito, anche a seguito di un processo infettivo, si rendeva necessaria l'amputazione del piede destro del danneggiato. In riforma parziale della decisione di primo grado, la Corte riteneva responsabile il medico (in virtù di una serie di errori, quali l'avere effettuato un'incompleta indagine diagnostica, prescritto terapie tardive ed inefficaci, eseguito inopportunamente l'intervento di chirurgia laser) per i danni subiti dal paziente. La Corte territoriale procedeva, inoltre, alla liquidazione del danno, rideterminando il quantum risarcibile. Per altro verso, il giudice d'appello dichiarava inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. la domanda del paziente volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata acquisizione del consenso informato, non essendo stata formulata alcuna doglianza in tal senso nel giudizio di primo grado. La questione
La sentenza esamina una pluralità di questioni di interesse processuale attinenti, in particolare, a due profili, ossia: a) i criteri di accertamento della responsabilità del medico; b) la necessità (o meno) che il paziente il quale abbia dedotto la lesione del proprio diritto all'autodeterminazione per mancata acquisizione del consenso informato, alleghi e provi conseguenze pregiudizievoli, ulteriori rispetto ai danni alla salute, derivanti dall'omessa informazione circa i rischi e le complicanze del trattamento sanitario. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in esame si pone nel solco dei precedenti di legittimità in materia, sia in ordine alla questione riguardante l'onere allegatorio dei fatti dedotti in causa sia, in termini più generali, per quanto attiene la causalità rilevante in ambito di responsabilità medico sanitaria. In primo luogo la Suprema Corte conferma la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha accertato la responsabilità del medico per il grave pregiudizio alla salute del paziente stante le molteplici condotte imperite poste in essere dallo stesso. Nel fare ciò la Corte di cassazione conferma la regola di diritto per cui in materia di responsabilità civile, la causalità risulta fondativa, innanzi tutto, dell'imputazione dell'evento al fatto illecito e, secondariamente, della responsabilità connessa alle conseguenze risarcibili che ne derivano. La pronuncia richiama, quindi, l'ormai consolidato principio del «doppio ciclo causale», che si snoda in primis nell'accertamento della causalità materiale, secondo le regole mutuate dal diritto penale ex artt. 40 e 41 c.p. e, solo in un momento successivo (ovvero qualora il danneggiante non abbia utilmente provato l'impossibilità ad adempiere a lui non imputabile), nella determinazione, in osservanza dei criteri della causalità giuridica, del danno effettivo cagionato, eziologicamente connesso all'evento, come tale risarcibile ai sensi degli artt. 1223, 1225, 1226 e 1227 c.c. Invero, a tale seconda accezione della causalità sembra riferirsi la Cassazione, nel confermare la statuizione del giudice del gravame che, a differenza di quello di primo grado, ha ritenuto di riconoscere il risarcimento richiesto limitatamente al danno differenziale, potendo porsi a carico del medico solo i pregiudizi effettivamente derivanti in via immediata e diretta dalla condotta dello stesso, e quindi tenendo conto di possibili concause, quali l'eventuale pregressa situazione patologica di salute del danneggiato, purché se ne accerti l'incidenza sull'evoluzione del processo causale dell'esito dannoso (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2020, n. 514 e Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991). Sul piano squisitamente processuale relativo all'onere di allegazione e prova dei fatti dedotti in giudizio, in ossequio all'art. 2697 c.c., la Corte di legittimità pone a carico del paziente che si assume leso dalla mancata acquisizione di un valido consenso, l'obbligo di allegare non solo la condotta omissiva del medico, ma anche il danno consequenziale, patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore rispetto a quello conseguente alla compromissione del diritto alla salute. Difatti nella sentenza - pur in un obiter dictum attesa la conferma della statuizione della Corte d'appello anche in ordine all'inammissibilità della relativa domanda - si evidenzia la differenza ontologica del danno patito per la violazione del diritto al consenso informato rispetto a quello alla salute. Pur sottolineando il collegamento e le interferenze delle molteplici condotte del medico che di tali violazioni costituiscono il presupposto, la Corte di legittimità afferma che, nelle ipotesi in cui il danneggiato deduca la violazione del diritto all'autodeterminazione, il paziente per ottenere il relativo risarcimento è tenuto ad allegare e dimostrare il pregiudizio ulteriore, non potendosi identificare un danno conseguenza in re ipsa, autonomamente risarcibile, nella contrazione della libertà a determinarsi da sé. Osservazioni
La soluzione della pronuncia in commento appare condivisibile. La ricostruzione della lesione al diritto all'autodeterminazione terapeutica non può che passare necessariamente per l'accertamento, in sede processuale, della condotta imputabile al sanitario e della sua inferenza causale sui danni patiti dal paziente. In conformità al consolidato orientamento emerso in tema di onere di allegazione e prova nell' ambito della responsabilità medico chirurgica, se il danneggiato lamenta un deficit di informazione preventiva circa il proprio stato di salute, gli eventuali rischi e le strade alternative al trattamento terapeutico prospettato, è onere dello stesso provare l'effettiva lesione del proprio diritto all'autodeterminazione, dimostrando che avrebbe compiuto una scelta differente rispetto al trattamento in questione e quindi allegare e provare gli ulteriori danni subiti. In coerenza con la regola generale, desumibile dall'art. 2697 c.c., per la quale il risarcimento di qualsiasi pregiudizio postula la dimostrazione da parte di colui che lo domanda, la Corte esclude il riconoscimento di una sorta di automatismo risarcitorio, negando che la violazione del diritto all'autodeterminazione determini un danno in re ipsa che possa prescindere dall'allegazione degli effetti negativi che ne sono determinati. Riferimenti
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